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Le prospettive di riforma istituzionale della Comunità europea: il dibattito in Senato
13 e 18 luglio 2000
INDICE
Seduta n. 885 del 13 luglio 2000:
Comunicazioni del Presidente del Consiglio dei ministri sul Consiglio europeo
di Feira e sulle prospettive di riforma istituzionale della Comunità europea
Discussione congiunta sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei
ministri, sulle connesse mozioni, sul Doc. LXXXVII, n. 7, e sul Doc. XVI, n. 14,
nonché svolgimento delle interpellanze su materie connesse.
Replica del Presidente del Consiglio dei ministri
Seduta n. 887 del 18 luglio 2000:
Dichiarazioni di voto:
Dini, ministro degli affari esteri
Vertone Grimaldi (Misto-RI)
Russo Spena (Misto-RCP)
Marino (Misto-Com)
Folloni (Misto-CR)
D'Onofrio (CCD)
Lorenzi (Misto-APE)
Mazzuca Poggiolini (Misto-DU)
Misserville (UDEUR)
Elia (PPI)
Provera (LFNP)
Servello (AN)
Pianetta (FI)
Novi (FI)
Migone (DS)
Documenti di seduta:
Mozioni:
1-00559, Migone ed altri (approvata)
1-00562, Salvato ed altri (approvata in un nuovo testo)
1-00564, Servello ed altri (non posta in votazione)
1-00566, Pianetta ed altri (non posta in votazione)
1-00567, Provera ed altri (respinta)
Ordini del giorno:
9.1-00559, 562, 564, 566, 567.1, Marino ed altri (accolto dal Governo)
9.1-00559, 562, 564, 566, 567.2, Jacchia ed altri (non posto in votazione)
9.1-00559, 562, 564, 566, 567.800, La Loggia ed altri (accolto dal Governo)
Interpellanze:
2-01104, Marino ed altri
2-01117, Folloni, Jacchia
2-01122, Gubert
(Doc. XVI, n. 14) Proposta della Giunta per gli affari delle Comunità
europee sulle comunicazioni della Commissione europea recanti il programma di
lavoro della Commissione per l'anno 2000 e obiettivi strategici 2000-2005
approvata
(Doc. LXXXVII, n. 7) Relazione della Giunta per gli affari delle Comunità
europee sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea
I lavori della Giunta per gli affari delle Comunità europee
Esame delle comunicazioni della Commissione europea recanti il programma di
lavoro della Commissione per l'anno 2000 (COM (2000) 155 def.) e obiettivi
strategici 2000-2005 (COM (2000) 154 def.):
29 marzo 2000
5 aprile 2000
21 giugno 2000
22 giugno 2000
28 giugno 2000
29 giugno 2000
Esame della Relazione sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea:
30 marzo 2000
8 giugno 2000
15 giugno 2000
28 giugno 2000
29 giugno 2000
SENATO DELLA REPUBBLICA XIII LEGISLATURA 885ª SEDUTA PUBBLICA RESOCONTO
STENOGRAFICO GIOVEDÌ 13 Luglio 2000
Presidenza della vice presidente SALVATO, indi del presidente MANCINO, del
vice presidente FISICHELLA, del vice presidente CONTESTABILE e del vice
presidente ROGNONI
Presidenza del presidente MANCINO Comunicazioni del Presidente del Consiglio
dei ministri sul Consiglio europeo di Feira e sulle prospettive di riforma
istituzionale della Comunità europea PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca:
"Comunicazioni del Presidente del Consiglio dei ministri sul Consiglio
europeo di Feira e sulle prospettive di riforma istituzionale della Comunità
europea". Anticipo fin d'ora che, dopo l'intervento del Presidente del
Consiglio dei ministri, si passerà alla discussione congiunta su tali
comunicazioni, sulle connesse mozioni, sui documenti LXXXVII, n. 7, e XVI, n.
14, e sulle interpellanze su materie connesse. Avranno la parola per primi i
presentatori delle mozioni, dopo di che inizierà il conseguente dibattito nel
quale interverranno anche i senatori proponenti le interpellanze. MIGONE.
Domando di parlare. PRESIDENTE. Ne ha facoltà. MIGONE. Signor Presidente, dopo
aver sentito anche i colleghi della Commissione affari esteri, avanzerei la
seguente proposta: che si esaurisca nella giornata odierna la discussione e che,
per quanto riguarda le dichiarazioni di voto e le votazioni, si rinvii a
martedì prossimo, in modo da dare il giusto rilievo e anche la necessaria calma
alla fase deliberante. PRESIDENTE. Presidente Migone, lei sa che abbiamo un
calendario molto stretto e durante la riunione della Conferenza dei Capigruppo
abbiamo convenuto che nella seduta pomeridiana di martedì prossimo saremmo
passati ad esaminare i provvedimenti relativi agli insegnanti di religione. Se
lei propone una seduta notturna per martedì per poter concludere su questo
argomento è un fatto diverso che sottoporrò alla votazione dell'Aula, ma non
altero il calendario così faticosamente stabilito dalla Conferenza dei
Capigruppo nella giornata di ieri. Ha facoltà di parlare il Presidente del
Consiglio dei ministri. AMATO, presidente del Consiglio dei ministri. Signor
Presidente, se mi è permessa una brevissima fuoriuscita dall'ordine del giorno,
vorrei poter ringraziare il Senato per il voto di stamani - e il presidente
Migone che è stato istituzionale regista della vicenda - che permette
all'Italia di presentarsi al prossimo incontro del G7 ad Okinawa tra una
settimana avendo varato una buona legge su una materia prioritaria e importante
quale è quella non soltanto della cancellazione del debito dei Paesi poveri, ma
anche dell'avvio di percorsi concreti di riduzione della povertà nei medesimi
Paesi in connessione con la cancellazione del debito. Era un impegno prioritario
del Governo ed è con grande apprezzamento che registro questa conclusione
positiva cui si è giunti stamattina in Senato. È un evento che si colloca
all'altezza delle grandi vicende che abbiamo di fronte. Così come una grande
vicenda è quella del futuro europeo. Vorrei sottolineare in partenza che una
grande vicenda è l'allargamento, ma lo è anche l'occasione che abbiamo con la
Conferenza intergovernativa di adattare e rinforzare le nostre istituzioni anche
in funzione di tale allargamento e di costruire, perciò, una parte di un futuro
in cui una visione più ampia d'Europa - un'Europa allargata - riesca ad essere
anche un'Europa più integrata. Dico questo perché troppe volte nelle ultime
settimane - amo esprimermi con sincerità e non vi rinuncio neanche in questa
sede - mi è parso che il rafforzamento istituzionale dell'Europa venga
concepito come un rimedio ad un male che sull'Europa sta per cadere:
l'allargamento. Nessuno ne parla in questi termini, ma, per come a volte viene
presentato, sembra che sia proprio così. Ora, è vero che - io ne sono
convinto, l'ho affermato più volte e continuo a pensarlo - un'Europa che si
allarga non può rimanere con l'assetto istituzionale che ha oggi perché, in
virtù dell'allargamento e fermi restando i meccanismi decisionali di oggi,
rischia di ridursi a spazio economico e, quindi, di perdere quell'impulso e
quelle prospettive di Europa politica che sono il cuore vero, l'animatore vero
dell'Europa. Ma, quando si sia detto questo, non lo si deve intendere nel senso
che, perciò, l'allargamento è un fatto inevitabile al quale dobbiamo porre
rimedio e che, casomai, se non riusciamo a porvi rimedio, possiamo anche
ritardare. No, l'Europa è l'Europa allargata, i Paesi che aspirano oggi e che
saranno i primi protagonisti dei nuovi ingressi sono Europa, lo sono
culturalmente, lo stanno diventando economicamente e lo sono storicamente. In
questi anni, lavorando molto sull'allargamento (ho dedicato, infatti, gli ultimi
cinque anni della mia vita più all'Europa che non ad altro), ho conosciuto
persone in Polonia, in Ungheria, in Cecoslovacchia, nelle quali ho ravvisato
tratti di identità culturale, e anche altro, con me, a volte superiori a quelli
che ho potuto riscontrare in altri interlocutori della tradizionale Europa.
L'Europa li includeva alla fine della seconda guerra mondiale; l'Europa li ha
persi grazie ad una divisione che è intervenuta dopo l'avvento, importato a
volte con le armi, del comunismo in questi Paesi. L'ho già affermato e lo
ripeto: i Paesi che hanno avuto questa disgrazia per quarant'anni, che riescono
a liberarsi e che, dopo essersene liberati, vogliono rientrare in Europa, si
sentono in qualche modo trattati come se chiedessero qualcosa in più rispetto a
ciò che sono. Questo è inammissibile: essi debbono essere reintegrati in
un'Europa di cui fanno parte e noi dobbiamo avere la consapevolezza che non ci
allarghiamo a dei "diversi" ma che, in realtà, recuperiamo le nostre
dimensioni europee. Certo, quando parliamo di allargamento dobbiamo porci il
problema di quale sia il confine al quale arriveremo; prima o poi, di questo
dovremo discutere con franchezza, perché credo ci sia un'identità culturale
europea, che ha un confine più ristretto di spazi economici che possiamo
integrare e che integreremo non so fino a che punto. Ma sono altrettanto sicuro
che i Paesi dei quali oggi stiamo parlando, come Paesi da immettere, sono Europa
come noi e, quindi, questo lo dobbiamo vivere come un evento di ritorno, così
come la Germania ha vissuto la propria riunificazione. Questo è un fenomeno di
riunificazione europea. È importante dirlo; è importante esserne consapevoli;
è importante vivere questa come la prima affascinante parte del futuro europeo.
Certo, progettare l'Europa del futuro significa progettare istituzioni che siano
in grado di governare con efficacia questa Europa allargata e che siano in grado
all'interno di quest'ultima di mantenere la visione politica del futuro europeo.
I problemi pratici sono tanti; abbiamo dimostrato di avere i problemi di
"motore", quelli che ormai definiamo "di visione", perché
in questi anni abbiamo perso visione del nostro futuro. Nel farlo è giusto
essere consapevoli dei peculiari, originali percorsi attraverso i quali l'Europa
è venuta costruendo se stessa, dei risultati positivi che hanno dato e di
quelli che ci dobbiamo attendere e che dobbiamo ottenere per il futuro, delle
aspettative non sempre identiche che un numero così ampio di Paesi ha rispetto
al proprio futuro. Per alcuni di noi unirci in modo totale in una unità
sovranazionale corrisponde ad un'antica aspirazione; per altri l'idea di
un'unità sovranazionale evoca la diffidenza del centralismo. Per i Paesi, per
l'appunto quelli dell'allargamento, è importante entrare in un'Europa della
quale si sentano partecipi, senza perdere un'identità nazionale che hanno
appena riconquistato dopo anni di comunismo, dal quale avevano ritenuto
calpestata e cancellata la propria identità nazionale. Per loro questo è
importante. È importantissimo essere europei, essere partecipi dei valori della
civiltà europea, recuperare il senso etico di una convivenza civile fondata sui
diritti umani che vedono parte della nostra cultura e che vedono svanire in una
inciviltà del mercato puramente economico che sta crescendo pericolosamente al
di là degli anni del comunismo. (Applausi del senatore Reccia). Mi sono sentito
prospettare da amici ungheresi e polacchi il rischio del cinismo come chiave
fondamentale dei rapporti interni ai nostri Paesi. Non si può esportare il
capitalismo senza l'etica che la storia ha costruito nel capitalismo. Se lo si
fa senza quella, si esporta esclusivamente il cinismo delle convenienze che poi
vede trionfare spesso chi sa applicare questo meglio di altri. E allora è più
l'Antistato che lo Stato l'organizzazione vincente. In questi Paesi c'è bisogno
di Europa perché si vuole essere in un'Europa che sa nutrire un'economia di
mercato con valori, con coesione, con diritti, con dignità. Allo stesso tempo,
di questa dignità si ritiene ineludibile parte la propria identità recuperata.
Quindi, piace quest'Europa che in questi anni abbiamo saputo costruire, della
quale ci hanno detto che mancava del demos, ma in cui manca il demos
totalitario, il demos assorbente, il demos identitario che cancella ogni altra
identità, e si è formato invece un demos parziale, un'identità europea che
tutti ci accomuna, che non cancella l'identità nazionale ma si colloca accanto
ad essa e l'arricchisce. Questa è l'Europa in cui vogliono entrare, che non li
cancelli ma che li arricchisca. Insieme dobbiamo costruire quest'Europa del
futuro; insieme dobbiamo condividere una visione dei congegni istituzionali che
tenga conto di tutti noi. Da questo punto di vista io, europeo, mi sento
orgoglioso di ciò che abbiamo fatto in cinquant'anni: se lo guardiamo dal di
sotto, vale a dire con l'ottica della cronaca, è un insieme continuo di
compromessi, di accordi difficili, di transizioni e di transazioni, di
aspettative rinviate e di parziali risultati ottenuti, di Stati che si
fronteggiano e che solo ogni tanto riescono a partorire qualcosa di comune; ma
se lo si guarda con la lungimiranza della storia, è un risultato straordinario,
che il mondo ci invidia, che il mondo invidia all'Europa. In un mondo nel quale
ancora oggi sovranità nazionali sono al servizio di egoismi nazionali, a volte
etnici, a volte di prevaricazione su altri, l'Europa che noi abbiamo fatto
rappresenta già oggi un grande risultato della storia. Cinquant'anni fa
l'Europa era quella parte cruciale del mondo in cui per secoli Stati nazionali
avevano brandito le rispettive sovranità per combattersi l'uno con l'altro e
per affermarsi l'uno contro l'altro con la forza delle armi. E giustamente il
grande disegno federalista degli anni immediatamente successivi al dopoguerra
aveva pensato all'Europa come al modo di spossessare gli Stati nazionali della
loro sovranità per impedire loro di continuare a insanguinare l'Europa e il
mondo con la guerra, vedendo nelle sovranità nazionali il fondamento e il
veicolo dell'uso delle armi. Ebbene, questo grande sogno si è realizzato, si è
già realizzato perché in cinquant'anni noi siamo diventati l'unica parte del
mondo all'interno della quale la guerra è culturalmente, psicologicamente,
istintivamente e istituzionalmente bandita. Non è più pensabile nei rapporti
tra i Paesi europei, quale che sia il conflitto che possa sorgere tra loro, che
quest'ultimo possa essere risolto ricorrendo alle armi. Nessuno pensa oggi di
dover mandare i suoi armati al Brennero o ai Pirenei. PROVERA. Li abbiamo
mandati nel Kosovo! MORANDO. Bisogna capirle le cose. RUSSO SPENA. E la guerra
nei Balcani? AMATO, presidente del Consiglio dei ministri. La pace c'è, se non
ammetti questo proprio non ti servono gli occhiali che porti! (Applausi dai
Gruppi PPI e UDEUR). La pace tra noi Paesi europei c'è, ed esiste anche il
lento, progressivo e costante sradicamento degli spazi della sovranità degli
Stati. Anche di questo dobbiamo essere consapevoli: ciò che abbiamo fatto in
questi anni è trasformare Stati, prima gelosi della esclusività delle loro
sovranità nazionali, in pezzi di un sistema sovranazionale più ampio, in cui
funzioni sempre più rilevanti ai fini dell'esercizio della vecchia sovranità
sono state o trasferite a livello sovranazionale o comunque condivise, perdendo
quel carattere duro, di esclusività che avevano in passato. È stato un
percorso originale, tanto è vero che coloro che studiano queste cose non hanno
mai saputo classificare esattamente ciò che avevamo fatto: i tedeschi si
domandano se è Verbund o Verband e gli italiani si domandano se è
confederazione o federazione. È una costruzione che è nata dalla lungimirante
testa di padri fondatori straordinari, che prima ancora di creare la comunità
europea inventarono le due chiavi istituzionali del futuro dell'Europa: una
Corte di giustizia e una Commissione. Furono questi i due pilastri: la Corte di
giustizia, nata per ius dicere il diritto europeo, che ha finito per dirlo, per
ampliarlo e per solidificarlo nei confronti dei cittadini, persone fisiche e
giuridiche, di ciascuno Stato europeo e ha fatto discendere il diritto comune
all'interno degli Stati; ed è stata la Commissione, organo esecutivo con potere
d'iniziativa e potere di esecuzione, che nei suoi momenti migliori - che ha
avuto e che continuerà ad avere con Romano Prodi - è riuscita a distendere un
diritto comune creato in realtà da accordi fra Stati sul terreno di un
interesse comunitario di cui era ed è rimasta l'unica portatrice. Su questi due
pilastri essenziali, in anni e anni di lavoro, che cosa abbiamo fatto? Abbiamo
allargato progressivamente le aree interessate ai trattati, abbiamo portato alla
cooperazione spazi che inizialmente erano a trattazione nazionale separata, li
abbiamo poi trasferiti dalla cooperazione all'integrazione. È stato un processo
continuo, che è proseguito: si inizia da soli, si porta nell'area comune, la si
fa materia di cooperazione, pian piano diventa materia di integrazione. Allora
la funzione non è più degli Stati ma dell'insieme. È questo ciò che noi
siamo venuti facendo e lo abbiamo realizzato in diversi settori: da quello
economico, da quello di Schengen, a quello oggi della difesa. Ne parlavo questa
mattina con il Presidente della Repubblica: forse perché abbiamo condiviso le
stesse esperienze del settore finanziario, ci siamo ritrovati a ragionare
esattamente nello stesso modo, vedendo questo dipanarsi progressivo di un
Governo europeo che scaturisce dall'azione inizialmente cooperativa. L'Ecofin,
che entrambi abbiamo vissuto, ha pian piano portato via ai Parlamenti la
sovranità di bilancio: nessuno poteva più superare il 3 per cento di
fabbisogno. Tutti i Parlamenti nazionali dei Paesi dell'euro si sono trovati ad
assumere questo come vincolo non da trattato internazionale, ma come vincolo
interno. Ora, negli ultimi mesi all'Euro 11 ho visto gli embrioni di un Governo
comune dello stesso genere applicato non più soltanto alla finanza pubblica ma,
pian piano, alle riforme della microeconomia, dove, attraverso il processo di
identificazione di standard comuni e di indicatori, lentamente ci vincoliamo
tutti ad una regola comune, che poi si impone e che trasferisce un altro pezzo
di intergovernativo nel sovranazionale. È questo il processo che noi stiamo
attuando ed è un processo nel quale ci sono diversi demos, non un unico demos,
e non c'è più il sovrano; io insisto su questo aspetto. Infatti, lo
straordinario processo che stiamo vivendo e che viene osservato, che è stato
studiato e spiegato anche in questa chiave, è quello della scomparsa della
sovranità che viene tolta agli Stati ma non si trasferisce altrove. Ciò credo
abbia un senso di cui sono profondamente convinto, anche se probabilmente non ha
al momento rilevanza politica: la sovranità è stata un requisito del potere
statuale finché quest'ultimo è stato esclusivo; ma una volta che andiamo verso
un mondo che perde l'esclusivismo totalitario dello statualismo e della fase
statuale, la sovranità non è più un attributo del potere e quest'ultimo si
diffonde, in alto e in basso. Viviamo una fase storica diversa, nella quale
l'assetto dei poteri pubblici è, per molti versi, tanto più democratico che
soltanto i popoli sono sovrani, ma le istituzioni attraverso cui esercitano
questo potere ne disperdono l'esclusività, proprio a garanzia - io credo - di
democrazia; ma di questo dovremo parlare. La Conferenza intergovernativa è una
porta stretta, che possiamo attraversare tutti insieme: o la attraverseremo
all'unanimità o non la attraverseremo e le cose resteranno come sono; possiamo
dipingerle a colori, ma rimangono immagini a colori. Dobbiamo convincere noi
stessi e gli altri che le aspettative dei 15 Paesi membri dell'Unione hanno modo
di convergere in decisioni che non ci facciano rimanere dove siamo ma ci portino
verso il futuro, che ci conducano verso l'allargamento e verso un cuore politico
e istituzionale di un'Europa allargata. È quindi fondamentale, al di là della
porta stretta, un'idea di governo comune che vada abbracciando aree vieppiù
ampie: l'area del governo dell'economia e non più soltanto della finanza e
l'area dei diritti di chi è nella Comunità e di chi vi entra. Abbiamo bisogno
di una politica comune dell'immigrazione per difenderci dall'immigrazione
clandestina in modo adeguato, per garantire a chi non è clandestino, su tutto
il territorio dell'Unione, gli stessi diritti e le stesse prospettive di
integrazione e di promozione sociale cui abbiamo avuto diritto e preteso di aver
diritto noi quando siamo entrati, non da clandestini ma da lavoratori, in altri
Paesi. Abbiamo bisogno, e la storia lo ha dimostrato da sola, al di là dei
nostri trattati, di una difesa comune oltre che di una politica estera comune;
il che significa andare al di là delle azioni comuni, faticosamente disegnate
dal Trattato di Amsterdam, e dar vita - come stiamo già facendo - a istituzioni
che rendano queste politiche operativamente, strutturalmente e istituzionalmente
comuni. Abbiamo bisogno di una Carta dei diritti che, come recita giustamente
una delle mozioni presentate, deve dare agli europei il senso di quel demos
parziale ma superiore europeo che dà di più e riconosce diritti ulteriori a
quelli tutelati dalle nostre Costituzioni nazionali. Sono profondamente
d'accordo con chi sostiene che la Carta dei diritti europea non deve essere il
minimo comune denominatore dei sistemi di diritti nazionali esistenti, ma deve
dare qualcosa in più. La Carta è il principale fattore di identità europea e
a me sarebbe piaciuto - lo proposi anche in veste tecnica - che a elaborarla e
proporla fosse l'unico organo titolare di un interesse comunitario, cioè il
Parlamento europeo, espressione di quel demos europeo che si sta formando, che
forse non è ancora fortissimo, ma che ha bisogno già ora di un Parlamento
comune un po' più forte di quello che la barocca costruzione delle codecisioni
ci ha dato in questo momento. Sarebbe stato importante, anche simbolicamente,
che ai cittadini europei i diritti venissero riconosciuti per decisione iniziale
dell'unico organo che in fondo li rappresenta: il Parlamento europeo. In questo
caso, l'opposizione non è certo venuta dagli italiani ma da rappresentanti di
altri Stati, che amano a volte lanciarsi in visioni d'Europa che appaiono ben
più avanzate rispetto alle proposte altrui; eppure, al momento di misurarsi su
questioni concrete, si incontrano ostacoli di questa natura. Il punto
principale, al di là dei cosiddetti leftover, ossia i residui, dei quali si
può anche parlare (ed è giusto che le mozioni che il Parlamento propone
forniscano indicazioni forti al Governo italiano anche a questo proposito; ad
esempio, in materia di ponderazione dei voti e di composizione della
Commissione), in realtà sarà il tema della cooperazione rafforzata. È per
questo che cerco di sottolineare l'importanza della visione di ciò che
intendiamo accada in futuro e l'assoluta necessità di fare in modo di
raggiungere l'unanimità su un congegno di accesso alla cooperazione rafforzata
che non dia a chi non partecipi il potere di veto. Questo, infatti, può aprire
il futuro: un congegno d'apertura delle cooperazioni rinforzate per il quale chi
non partecipa abbia la posizione che in gergo tecnico è definita
dell'astensione costruttiva, nella politica estera e di sicurezza comune
(riassumibile, in sostanza, nel concetto "non partecipo, ma non vi
ostacolo"), in modo tale che chiunque possa farsi locomotiva di processi di
integrazione ulteriori e chiunque possa partecipare, sia esso socio originario o
socio aggiunto. Come ha giustamente detto ieri Romano Prodi davanti alla
Commissione affari costituzionali del Parlamento europeo: "Questo è ciò
che dobbiamo fare, ma lo dobbiamo fare in modo che nessuno rispetto a questo si
senta di serie A o di serie B; segnalo questo pericolo". Ha ragione Prodi,
è un pericolo grave; vi è bisogno di una locomotiva, ma non con ruoli
preassegnati: nessuno ha il destino di guidare l'Europa, di esserne guidato o di
essere guidato da altri sulla strada dell'Europa futura. È importante, dunque,
che vi sia un meccanismo aperto, e in ciò consisterà la partita più
difficile. Onorevoli senatori, molto si è discusso in queste settimane tra chi
ha una visione e chi non ne ha, tra chi è visionario e chi non lo è, tra chi
ha a cuore il futuro dell'Europa e chi lo ha meno, tra chi ha coraggio e chi
invece è vile, tra chi è sottile e chi è obeso. Rispetto a tutto ciò posso
solo rifarmi, un po' retoricamente, ad una bella metafora con la quale Enrique
Baròn Crespo, mio caro amico, oggi capogruppo del Gruppo socialista al
Parlamento europeo, ha iniziato un suo libro, che credo sia stato pubblicato
anche in Italia (ho scritto per lui una prefazione in italiano; quindi, deduco
che sia stato edito anche nel nostro Paese, ma non ne sono certo in quanto lessi
il manoscritto originale). Pensando all'Europa, a quello che è riuscita ad
essere in tutti questi anni, alla sua capacità di crescere e continuare a
crescere pur portando tracce di tempi, di culture, di incontri, di Paesi e di
identità diverse, ha raccontato che in una città europea, alcuni secoli fa, vi
era una cattedrale in costruzione (come è accaduto in tante città europee,
dove sono stati necessari secoli affinché le cattedrali arrivassero ai loro
ultimi pinnacoli), nel cui cantiere lavoravano due scalpellini, impiegati a
elevare un muro; una persona si avvicinò e chiese al primo cosa stesse facendo
"Un muro", questi rispose, mentre il secondo, che faceva esattamente
la stessa cosa, a sua volta rispose: "Una cattedrale". Credo che
queste parole siano le migliori: stiamo costruendo una cattedrale, che è già
arrivata molto in alto; bisogna averne il disegno, ma è necessario anche
mettersi lì a costruire il muro, perché se il muro non viene elevato, rimane
solo il disegno e la cattedrale non esiste. (Applausi dai Gruppi DS, PPI, Verdi,
UDEUR, Misto-DU, Misto-RI e Misto-PSd'Az e dei senatori Lorenzi e Pinggera).
Sui lavori del Senato PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Presidente del
Consiglio. Colleghi, potremmo organizzare i lavori in questo modo: interverranno
per primi i presentatori per illustrare le rispettive mozioni, cui seguirà
l'illustrazione dei documenti presentati dalla Giunta per gli affari delle
Comunità europee da parte del senatore Bedin. Si aprirà poi la discussione
generale, seguita dalla replica del Presidente del Consiglio dei ministri. A
questo punto (intorno alle ore 18) potremmo sospendere la discussione per
aderire alla sollecitazione del senatore Migone, che ringrazio; il rinvio alla
giornata di martedì prossimo potrà essere utile anche per le opportune
convergenze. Ha chiesto di parlare il Presidente del Consiglio dei ministri. Ne
ha facoltà. AMATO, presidente del Consiglio dei ministri. Mi scusi, signor
Presidente, ma martedì prossimo, a partire dal pomeriggio fino a notte, ho un
incontro con il cancelliere Schroeder fuori Roma, già organizzato. PRESIDENTE.
Bene, signor Presidente. A questo punto, intorno alle ore 18 potremo ascoltare
il Governo; il sottosegretario Brutti è poi disponibile a rispondere
all'interrogazione sull'omicidio di un consigliere provinciale in Calabria,
sollecitata dal senatore Peruzzotti, ma su questo punto evidentemente ci saranno
anche altre interrogazioni. Per le dichiarazioni di voto e per il voto finale,
per quanto mi fossi dichiarato disponibile per la seduta notturna di martedì
prossimo, a fronte delle esigenze a noi sottoposte da parte del Presidente del
Consiglio - è opportuno che egli sia presente in Aula - potremmo stabilire la
seduta antimeridiana di martedì, dalle ore 11 fino alla votazione finale.
Poiché non vi sono osservazioni, così rimane stabilito. A questo punto,
dispongo una breve sospensione dei lavori fino alle ore 14,10. La seduta è
sospesa. (La seduta, sospesa alle ore 13,21, è ripresa alle ore 14,13).
Presidenza del vice presidente FISICHELLA Discussione congiunta su:
Comunicazioni del Presidente del Consiglio dei ministri sul Consiglio europeo di
Feira e sulle prospettive di riforma istituzionale della Comunità europea
connesse mozioni (Doc. LXXXVII, n. 7) Relazione della Giunta per gli affari
delle Comunità europee sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea
(Doc. XVI, n. 14) Proposta della Giunta per gli affari delle Comunità europee
sulle comunicazioni della Commissione europea recanti il programma di lavoro
della Commissione per l'anno 2000 e obiettivi strategici 2000-2005 nonché
svolgimento di interpellanze su materie connesse PRESIDENTE. L'ordine del giorno
reca la discussione congiunta sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio
dei ministri, sulle connesse mozioni 1-00559, 1-00562, 1-00564, 1-00566 e
1-00567, sul Documento LXXXVII, n. 7, e sul Documento XVI, n. 14, nonché lo
svolgimento delle interpellanze 2-01104, 2-01117 e 2-01122 su materie connesse.
Ha facoltà di parlare il senatore Migone per illustrare la mozione n. 559.
MIGONE. Signor Presidente, era giusto e necessario che l'esigenza del contributo
italiano a questa fase importante del dibattito europeo prima si sollevasse e
poi trovasse una sua definizione in Parlamento. Per questo, con alcuni colleghi
della maggioranza, ritenemmo nostro dovere formulare per l'Aula una proposta che
ambisse a richiamare l'attenzione, eventualmente l'adesione, di tutto il Senato,
secondo un metodo sempre doveroso, non di rado fruttuoso, quando si tratta di
definire il ruolo dell'Italia nei confronti del mondo che la circonda. Quale che
ne sia l'esito, un tale dibattito può servire a interrompere la nostra politica
quotidiana, riportando al centro dell'attenzione i grandi temi - forse il più
grande - su cui si misura il nostro futuro e che, più di ogni altro, con la
conquista dell'euro, ha segnato questa legislatura che volge al suo termine.
Anche in Europa nel suo insieme esiste una propensione verso il piccolo
cabotaggio, che non deve essere confuso con la politica dei piccoli passi,
sempre benvenuti purché diretti verso una meta; un piccolo cabotaggio
all'interno del quale anche i responsabili politici rischiano di restare
imprigionati in un gioco diplomatico nutrito di veti incrociati e che ha come
scopo principale quello di salvaguardare veri o supposti interessi nazionali di
breve periodo, senza mai alzare lo sguardo per contemplare non dico il cielo, ma
l'orizzonte verso cui, in linea di principio, ci si vorrebbe dirigere. Abbiamo
percepito come importante il discorso pronunciato da Joschka Fischer,
innanzitutto perché rompeva questo clima minimalista, riportando al centro
dell'attenzione la definizione di una strategia politica, che non è astratta
teoria o pura utopia perché indica una direzione verso la quale gli
indispensabili piccoli passi devono essere diretti, se non intendono risolversi
in un surplace o in un moto circolare senza costrutto. Per riprendere la
metafora del Presidente del Consiglio, è importante che al disegno corrisponda
la costruzione del muro; però, ad un certo punto, se il muro deve diventare una
cattedrale, è anche utile - come lui del resto credo sa bene - che vi sia un
disegno. Non era nemmeno privo di importanza che fosse proprio il Ministro degli
esteri della Repubblica federale di Germania a compiere questo atto, pur
premurandosi di precisare che parlava a titolo personale. In questo contesto,
riproporre la questione delle comuni istituzioni parlamentari e di governo - non
per un lontano avvenire, ma in quanto obiettivi raggiungibili nei prossimi dieci
anni, come ebbe a precisare lo stesso Fischer in un lungo e fruttuoso colloquio
con la Commissione che presiedo, che ha avuto luogo a Berlino - significa anche
prendere atto di uno stato d'urgenza, se non di emergenza, sempre più acuto.
Non si tratta soltanto dell'evidente necessità, spesso evocata, di evitare il
corto circuito che determinerebbero nuove adesioni alle istituzioni come sono
ora configurate e a cui dovrebbe porre rimedio la puntuale soluzione dei
problemi irrisolti ad Amsterdam che costituiscono l'oggetto della Conferenza
intergovernativa in corso. Vi sono problemi ben più cospicui, che chiamano in
causa le radici dell'attuale assetto istituzionale, anche se opportunamente
ritoccato in vista dei nuovi arrivi. Più che di un deficit a cui rimediare si
tratta di una lotta per la sopravvivenza del principio di rappresentanza
democratica in questa parte dell'Occidente. Il processo di globalizzazione, che
lo si esalti o lo si danni, è una realtà dinamica in atto che, tra l'altro,
spazza via ogni possibilità per i singoli Stati europei nella loro attuale
configurazione di rimanere padroni del proprio destino. Ciò che ci anima non è
una teologia federalista o il desiderio di trasferire in altro luogo i poteri
immutati del principe, a cui fa riferimento il Presidente anche nella sua
intervista a "La Stampa", ma la democrazia e la misura di autogoverno
compatibile con il mondo come si configura in questa fase storica. Per questo,
contrariamente a quanto è stato detto da un Ministro francese, il ruolo giocato
dalla Germania nella fase attuale costituisce l'esatto contrario della
riproduzione di una tentazione egemonica. Si tratta invece di una manifestazione
di consapevolezza dei propri limiti, tanto più rilevante in quanto proviene
dallo Stato di gran lunga più potente del vecchio continente. Non è un caso
che, tra i Paesi più grandi dell'Europa, questa consapevolezza sia più diffusa
in Germania e in Italia, la cui storia ha obbligato ad un esame approfondito dei
limiti e dei pericoli del morbo nazionalista, come emerge dal XIX secolo e come
si è sviluppato in quello successivo, dando luogo a due guerre mondiali. Per
questo, va detto con chiarezza a chi deve fare i conti con un passato più
glorioso o anche solo più sereno, come i Paesi del Nord, che la sovranità
nazionale, intesa come realtà fondante ed esclusiva dello Stato moderno, non
esiste più. Non ricollocarla, modificandola, in un quadro più ampio, quello
europeo, capace di interloquire e codecidere a livello globale, significa solo
subire altrui poteri, scarsamente controllabili, di fatto privando i popoli di
questa parte del mondo di una rappresentanza democratica al più alto livello e
quindi della loro capacità di autogoverno. Il G8 e la stessa NATO, nella loro
attuale configurazione, sono istituzioni utili e anche necessarie nella lunga
transizione che ci impegna, ma che soffrono di uno squilibrio interno - oltre
che di una separatezza dal mondo in via di sviluppo - cui solo un'Europa unita
può porre rimedio. Rinunciarvi significa accontentarsi di teorizzare, magari
con eleganza, lo status quo. In questo contesto i poteri limitati del Parlamento
europeo e della Commissione, l'angustia finora dimostrata dal metodo
intergovernativo, la palese incongruenza di una moneta finalmente sovrana, ma
priva di una politica economica che la sostiene e la contiene, insomma, tutto
ciò che abitualmente chiamiamo deficit democratico, impongono un vero e proprio
processo costituente realisticamente radicato nelle attuali istituzioni e nella
politica di oggi. Tutto ciò corrisponde al percorso delineato dal presidente
della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi nel discorso pronunciato a Lipsia ed è
compatibile con quanto affermato dal presidente Chirac che pure ha invocato una
vera e propria costituzione europea di fronte al Bundestag. Non deve preoccupare
il dialogo franco-tedesco, se esso si pone al servizio di un progetto di
integrazione più ambizioso. In particolare, ogni dimostrazione di gelosia da
parte dell'Italia costituirebbe un segno incomprensibile di debolezza nostra e
di confusione, visto che il dialogo ha assunto contenuti e ambizioni che da
tempo ispirano la nostra azione diplomatica. È anche da evitare ogni gesto più
o meno automatico di apertura nei confronti di Londra, inteso come gioco di
schieramento. L'asse Roma-Londra non ha mai retto più dello spazio di un
giorno, perché non è fondato su una solida base di contenuti essendo i due
Paesi i più lontani fra loro nel definire ritmo ed estensione del progetto di
integrazione. La Gran Bretagna è un grande Paese che deve decidere i tempi e le
modalità di adesione al processo in atto che, a sua volta, non può da sola
arrestare. Con la Conferenza di Saint Malo e la ripresa di una iniziativa di
difesa europea sepolta da 45 anni dopo il fallimento della CED, il Governo di
Londra ha avuto il grande merito di compiere il primo atto che ha aperto una
nuova e più ambiziosa fase di integrazione politica dell'Europa. È questo il
paradosso. Arrestare questa fase, in attesa di una piena e immediata adesione
della Gran Bretagna ad un ulteriore processo di integrazione, le renderebbe un
cattivo servizio e lo renderebbe soprattutto a chi in Gran Bretagna possiede una
vocazione europea. Come dimostra l'esperienza storica di questi anni, l'Europa
progredisce a strappi e l'adesione britannica risulta tardiva ma sicura, proprio
perché altri ne alimentano il tragitto, un tragitto che proprio la discussione
in atto ha sgombrato di alcuni rilevanti ostacoli. Al di là di ogni
nominalismo, si è constatato come il principio federalista, se pienamente
applicato, consente ad un tempo di devolvere poteri a istituzioni il più
possibile vicine ai cittadini, nel rispetto della storia e del ruolo degli Stati
europei, in quanto protagonisti della costruzione di una superiore sovranità
adeguata alle sfide dei tempi. In tal modo, si può eliminare o quanto meno
affrontare con maggiori probabilità di successo contrapposizioni ormai
invecchiate tra sovranità nazionali e sovranità europea, tra principio
federalista e il più rassicurante principio di sussidiarietà (che, se
correttamente intesi, costituiscono due facce della stessa medaglia), tra metodo
intergovernativo e processo di integrazione. Poiché non serve avere individuato
la direzione giusta se non si è in grado di muovere il primo passo, risulta
assai importante l'impostazione della Presidenza francese, frutto di un lungo
dialogo con la Germania, secondo cui la positiva soluzione delle tematiche di
Amsterdam, cui si aggiunge - anche per merito di una forte iniziativa del
Governo e dei parlamentari europei italiani - la cooperazione rafforzata,
costituisce l'indispensabile preludio di una fase più ambiziosa chiaramente
delineata e non preclusa da chi, come nel caso dell'euro e di Schengen, in una
prima fase non vi voglia partecipare. Comprendo l'origine delle perplessità
manifestate dal Ministro degli esteri su un processo segnato da tempi diversi.
Si tratta della nostra giusta e maturata insofferenza per i direttori - anche
per quelli da cui non siamo esclusi - valida in tutte le sedi: ONU, NATO e UE.
Ma qui si tratta di altro. Tuttavia, quello ipotizzato in questi giorni non è
un direttorio, ma un processo aperto a tutti coloro che desiderano parteciparvi:
la discriminante è costituita dalla volontà politica dei Paesi membri, non da
aprioristiche esclusioni o criteri di convergenza, come nel caso dell'euro.
Semplicemente si tratta di impedire che il convoglio non viaggi con il ritmo dei
vagoni più lenti, anche perché esso finirebbe per fermarsi del tutto. Come
indica il testo della nostra mozione, condividiamo la forte presa di posizione,
qui ribadita dal Presidente del Consiglio, a favore del processo di allargamento
dell'Unione nei tempi finora definiti. Essa è coerente con la posizione da
tempo assunta dall'Italia secondo cui l'allargamento non costituisce
un'alternativa o, addirittura, un antidoto al processo di integrazione come
alcuni in passato hanno temuto e altri addirittura auspicato. Ha avuto ragione
il presidente della Commissione europea, Romano Prodi, quando ha rivendicato il
valore storico e politico di un processo che costituisce la riunificazione di un
continente diviso per mezzo secolo dalla guerra fredda. La candidatura dei Paesi
che con la caduta del Muro si sono riscattati dal dominio sovietico non può
essere soltanto misurata secondo parametri economici, non solo calibrata dalla
giusta esigenza di tutelare l'acquis comunitario, ma anche dalle incongruenze
dettate dagli interessi agricoli di alcuni Paesi membri. L'allargamento non è
un male necessario, ma il compimento di un'aspirazione storicamente fondata dei
popoli del nostro continente. Come ci insegna il Presidente del Consiglio, anche
in questo caso occorre una proposta, un mattone, e una proposta italiana che
viene anche adombrata dalla nostra mozione, perché l'obiettivo non sfumi nella
retorica, per quanto sacrosanta. L'ingresso più rapido nella politica estera e
di sicurezza comune, oltre che nella costituenda difesa europea, ove l'acquis è
quasi inesistente, perché si comincia adesso con iniziative su questo terreno,
consentirebbe ai Paesi associati di affrontare con la necessaria serenità
l'integrazione economica, necessariamente più lenta. Così come noi prevediamo
due tempi nella costruzione dell'Europa politica e istituzionale, perché non
adombriamo la possibilità di due tempi nell'adesione di Paesi candidati che
corrispondano a quei princìpi fondamentali che sono stati delineati a
Copenaghen e in altre occasioni in sede europea? Sarebbe questo un
riconoscimento alla loro dignità, sarebbe vantaggioso perché in una sede più
ampia noi inizieremmo questo sforzo di costruzione della politica estera e della
difesa e consentirebbe di affrontare con più calma l'integrazione economica.
Insomma, se l'unificazione politica costituisce una condizione democratica non
rinunciabile, l'allargamento dell'Unione rappresenta una necessaria garanzia di
stabilità e di pace. (Applausi dai Gruppi DS, PPI e Verdi e del senatore
Basini. Congratulazioni). PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare la senatrice
Salvato per illustrare la mozione n. 562. SALVATO. Signor Presidente, "la
nuova Comunità non deve essere qualcosa di vecchio o di nuovo, ma una vera e
propria comunità politica". Si esprimeva con queste parole Altiero
Spinelli nelle sue note concernenti una politica estera italiana possibile nel
1969. A me sembra che ad oltre trent'anni di distanza queste parole oggi hanno
una grande attualità. L'Europa - come ha detto stamane anche lo stesso
Presidente del Consiglio - è in una fase di progressiva trasformazione, da uno
spazio di libero mercato a uno spazio politico comune. Inoltre, il Presidente
del Consiglio ha sottolineato - e io condivido - che dobbiamo ragionare
sull'allargamento non come su un male, ma come su un'opportunità che viene data
non tanto e non solo ai Paesi che saranno dentro la strategia dell'allargamento,
ma a tutti noi europei, nella ricerca anche di radici comuni e di un recupero
del senso etico di una civiltà fondata sui diritti, a patto - aggiungo io - che
questo recupero avvenga con una capacità critica che dobbiamo sprigionare non
solo nelle nostre azioni di governo e nelle nostre azioni politiche, ma
innanzitutto nella nostra cultura, anche rispetto a quanto in questa parte
d'Europa il capitalismo ha prodotto. Dobbiamo anche interrogarci sulla crisi di
una vecchia sovranità (anche su questo sono d'accordo); una sovranità che sta
scomparendo, che sempre più non solo è messa in discussione, ma non è la
realtà dell'oggi. Però, ragionare su una sovranità che scompare, ragionare
sulla vecchia sovranità non può soltanto enfaticamente ridursi a quella
sottolineatura - che pure qui è stata fatta stamane - dei poteri che si
diffondono. Credo ci siano delle domande che i poteri che si diffondono
rimandano a tutti quanti noi, che a me sembrano ancora oggi non soltanto eluse,
non messe a tema, ma soprattutto rispetto alle quali non siamo stati in grado di
costruire risposte efficaci, né nella nostra riflessione né in Europa. I
poteri che si diffondono richiedono innanzitutto una risposta sulla
legittimazione dei poteri stessi. Qual è la legittimazione? È una
legittimazione popolare? È una legittimazione che consente ad istituzioni non
più deboli di essere in grado di agire questi poteri diffusi? Io penso che solo
la risposta a queste domande può essere utile, può rappresentare lo strumento
per affrontare la questione centrale, quella che deve essere prioritaria nel
nostro dibattito, ossia il rafforzamento istituzionale. Altrimenti, finiamo con
il percorrere noi stessi vecchie strade, non solo per attardarci - come nella
lunga intervista su "La Stampa" mi sembrava adombrasse il Presidente
del Consiglio - in un federalismo di vecchia maniera. Credo che dobbiamo
conoscere le direttrici che possiamo seguire, che ovviamente sono diverse. Una
può essere quella di puntare ad una mera sommatoria di entità nazionali e non
dobbiamo nasconderci che questa tentazione esiste. Non so se possiamo
riassumerla in quel cinismo che qui questa mattina è stato denunciato, ma
sicuramente - ripeto - questa tentazione esiste. Oppure possiamo puntare ad
un'altra direttrice, certamente più coraggiosa, più innovativa, anche più
difficile e più complicata, quella di una vera e propria confederazione di
Stati, con un Governo e una rappresentanza comune, sganciati dagli interessi
particolari dei singoli Governi nazionali. Sento che la strada che dobbiamo
scegliere insieme - a me interessa innanzitutto questa seconda strada - deve
essere tale da poter essere percorsa dall'insieme dei cittadini europei;
soltanto percorrendola insieme, da una parte, si rafforza e si valorizza
identità e, dall'altra, si costruisce un'identità europea. Oggi non siamo a
questo: dopo Schengen, Maastricht ed Amsterdam, l'intergovernativismo è ancora
la realtà dell'oggi e la pratica politica che conosciamo. Il passaggio
dall'intergovernativismo ad una fase di sovranazionalità e le ricerche per
compensare la parziale perdita di sovranità con istituzioni forti, perché
forti di democrazia, ad oggi, non hanno dato risultato. Il potere tutto
accentrato nelle procedure di codecisione, improntate all'unanimismo
intergovernativo, è spesso paralizzante. Ho ancora in mente l'esempio concreto,
rispetto ad una parte che è Europa - perché per me i Balcani sono Europa -,
della decisione molto discutibile, assunta in sede europea, di adottare un
embargo selettivo nei confronti di popolazioni che sono state colpite nei loro
diritti fondamentali: quelli alla vita, alla salute, all'istruzione, al
riscaldamento. L'unanimismo intergovernativo a livello intereuropeo questo ha
imposto, e il nostro Paese ha partecipato a questa decisione. Se riflettiamo sui
Trattati di Schengen, di Maastricht e di Amsterdam ci rendiamo conto di che cosa
è stata questa cooperazione intergovernativa su temi cruciali, quali quelli
ricordati dal Presidente del Consiglio (sicurezza, ordine pubblico e aggiungerei
l'immigrazione) che più direttamente incidono sui diritti dei cittadini
dell'Unione. Ci si è mossi soprattutto con il timore che i rischi per la
sicurezza collettiva fossero maggiori dei vantaggi dovuti alla libera
circolazione delle persone. Siamo stati pronti a guardare con ottimismo alla
libera circolazione delle merci, mentre abbiamo avuto diffidenze e paure, e
ancora oggi continuiamo ad averne, riguardo alla libera circolazione delle
persone e ragioniamo di queste materie in termini di sicurezza anziché
considerarle come grandi questioni connesse ai diritti di cittadinanza. Così,
riducendole a problemi di sicurezza, non abbiamo saputo affrontare le politiche
dell'immigrazione, la lotta contro la tossicodipendenza, la politica di
concessione dei visti per i richiedenti asilo. D'altra parte, non molti anni fa,
nel 1995, l'Unione europea non ratificava la Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Non è storia di
chissà quanto tempo fa, è storia recente, ma tutto questo ha pesato. Solo ora
comincia a diventare centrale la questione dei diritti, e se questo avviene, lo
si deve anche all'importanza che i vari soggetti impegnati stanno dando alla
possibilità di scrivere una Carta dei diritti che abbia valore costituente. La
posizione del nostro Presidente della Repubblica è stata autorevolissima ed
altrettanto importante è stato quanto il ministro Dini ha dichiarato nei giorni
scorsi rispetto alla priorità della Carta e alla scelta, che l'Italia fa e per
la quale insiste, di inserirla nei Trattati dell'Unione europea. Solo se alla
Carta dei diritti si attribuisce valore costituente, e la si inserisce nei
preamboli del Trattato dell'Unione, si crea la condizione per evitare che essa
rimanga una mera dichiarazione di principi, senza alcun carattere vincolante per
gli Stati, e senza alcuno strumento efficace, in termini culturali, politici e
materiali, per la costruzione dell'identità europea. Il Presidente del
Consiglio ha detto stamane e io sono d'accordo con lui, che il Consiglio europeo
di Nizza e la Conferenza intergovernativa sono porte strette, attraverso le
quali dovremo entrare tutti, altrimenti incontreremo grandi difficoltà. Credo
che dobbiamo entrarvi tutti, ma dobbiamo farlo avendo inserito in via definitiva
dei diritti della Carta che stiamo scrivendo, come forma e forza istituzionale,
che diventerà l'anima - lasciatemi esprimere in questo modo - della futura
Europa. Credo che questa consapevolezza si stia cominciando a diffondere. Essa
riveste anche un altro significato, che intendo esplicitare ad alta voce: non
soltanto avere una cultura comune, un senso comune diffuso, ma anche disporre
degli strumenti per una Europa politica unitaria, per una politica estera e una
difesa comuni, per una sicurezza collettiva, che si costruiscono non in astratto
ed a priori, a prescindere dalla vita e dalla libertà delle persone, ma a
partire da una storia condivisa di diritti e libertà. Ritengo che su questo
dovremmo ragionare e a questa considerazione mi induce la passata esperienza dei
Balcani: credo che al di là delle differenze che pure in mezzo a noi si sono
manifestate in merito alle definizioni ed alla nostra azione, in quella
occasione abbiamo, però, ragionato insieme sul fallimento di una politica
estera europea che non era comune, il che non può essere più consentito.
Soltanto in questo modo si potrà affermare un modello europeo di pace, di
democrazia e diritti, che può diventare compiuto per tutti i cittadini e le
cittadine d'Europa, compresi quelli dei Balcani, così da avere la forza, ad
esempio, di partecipare a conferenze di pace e di occuparci anche di tali
questioni e non soltanto di quelle economiche. Credo che muoversi in questo modo
significhi anche altro: registrare un minimo comune denominatore, che può
essere utile per tenere tutti insieme, ma non accontentarsi solo di questo;
avere l'ambizione di guardare alto, di andare avanti, di spingere
coraggiosamente verso i diritti e le libertà di ultima generazione senza fare
distinzione tra i diversi titolari dei diritti umani, puntando
all'interdipendenza e all'indivisibilità dei diritti fondamentali della
persona. Qualche giorno fa sul quotidiano "Le Monde" l'Europa è stata
definita "mediocre"; credo che abbia ragione Stefano Rodotà nel
rispondere che la nuova Costituzione europea può rappresentare l'occasione per
uscire da questa mediocrità. Ragionare dei diritti umani significa anche
interrogarsi apertamente sulle forti differenze che esistono, perché le
resistenze sono note e sono state solo in parte evocate in apertura del
dibattito, anche per tentare di eluderle dalla nostra discussione. Oggi vi sono
molte resistenze, a partire dal mondo anglosassone, ad esempio contro
l'inserimento dei diritti sociali ed economici nella Carta. Credo invece non
solo che i diritti sociali ed economici, in un'idea di interdipendenza e di
indivisibilità dei diritti fondamentali della persona, debbano essere previsti
nella Carta, ma anche che vadano valorizzate le tradizioni più avanzate dei
sistemi di Welfare degli Stati europei. Ritengo che a tal fine sia necessario
ragionare sulle resistenze, ma anche cercare di vincerle intraprendendo un
lavoro culturale comune con i tanti che si trovano su questa stessa frontiera.
In estrema sintesi, discuterei meno di accordi franco-tedeschi o fra altri Paesi
e tenterei soprattutto di costruire un fronte comune per vincere le resistenze,
insieme agli esponenti della cultura più avanzata sul terreno dei diritti.
Credo che nella nuova Costituzione dobbiamo porre le basi per uno Stato sociale
europeo, che assicuri a tutti i suoi cittadini, senza distinzioni, i diritti
economici e sociali fondamentali: il diritto ad un'equa retribuzione, il diritto
di sciopero, il diritto alla casa, ad esempio, non potranno mancare nella nuova
Europa. Tra l'altro, il Ministro degli affari esteri francese, in apertura del
semestre di Presidenza, ha ribadito che la Carta dei diritti fondamentali in
corso di redazione costituirà un segnale politico importante, a patto di
prendere in considerazione non solo i diritti politici, ma anche quelli
economici e sociali dei cittadini. Tutto questo non ha soltanto un valore
simbolico (e per la mia cultura i valori simbolici sono molto importanti), ma
risponde ad un'esigenza giuridica primaria e non più rinviabile; quella di
specificare il patrimonio comune dei diritti inviolabili, delle garanzie
primarie e delle libertà fondamentali dei cittadini, per stare sul ragionamento
che ha sviluppato il Presidente del Consiglio, per tentare di capire e di
discutere sui contenuti concreti di questi poteri diffusi. Altrimenti, non
soltanto abbiamo poteri diffusi che non riusciamo a leggere e che sempre più
sono distanti, ma che portano avanti strategie e contenuti che si muovono in
altra direzione, come in larga misura sta avvenendo. Credo quindi che la nostra
discussione sia importante anche per contrastare quello che sta già avvenendo.
La nuova Costituzione europea, a mio avviso, non deve assolutamente andare - lo
abbiamo scritto nella mozione - al di sotto degli standard previsti dalle
singole costituzioni nazionali. Le singole costituzioni nazionali sono
importanti, la nostra Costituzione è importante, ma nel momento in cui ci
accingiamo a scrivere e stiamo lavorando alla nuova Costituzione europea,
dobbiamo essere in grado di andare al di là di esse. Vi è però la necessità
che la partecipazione democratica a questo processo sia reale. Noi oggi, a pochi
mesi da una prima tappa conclusiva di questo processo, ne discutiamo per la
prima volta nell'Aula del Senato; soltanto in questi giorni il dibattito si è
acceso sulle pagine dei nostri giornali; a me sembra che in larga misura i
cittadini del nostro Paese siano esclusi da questa discussione e che ad essi non
ne sia stata prospettata l'importanza. La sento, questa, come una contraddizione
stridente con quanto si è fatto nel nostro Paese. Non dimentico mai che nella
prima fase di questa legislatura, al di là delle differenze tra maggioranza ed
opposizione, i cittadini italiani sono stati chiamati a ragionare, ma anche a
contribuire materialmente e culturalmente ad un progetto, quello dell'Euro, la
moneta unica, come ad una grande missione che il nostro Paese si poneva non solo
perché per poter andare avanti rispetto ai suoi problemi nazionali, ma
soprattutto per dare un contributo forte alla costruzione di un'Europa fondata
sulla moneta. Abbiamo fatto questo in quegli anni; e ora che stiamo ragionando
di diritti, di libertà, delle questioni che a mio avviso hanno una priorità
non soltanto nella vita dell'oggi, ma soprattutto nella prospettiva e nel
futuro, non ne ragioniamo in modo allargato, non costruiamo partecipazione e
tutto rimane confinato in alcune sedi ristrette. Credo che il dibattito di oggi
sia importante per rompere questo silenzio, ma la sua importanza la potremo
misurare se, rotto il silenzio, ci sarà poi un lavoro concreto per rendere
questa fase una reale fase costituente, e non ci può essere una costituente
senza partecipazione. Avviandomi a concludere, voglio anche aggiungere che per
me l'Europa da costruire deve avere un volto umano: non solo deve essere frutto
di partecipazione collettiva, ma deve essere anche un'Europa laica, plurale e
differenziata, che non deve ignorare il Terzo mondo e soprattutto, l'altra
sponda del Mediterraneo, così vicina, e non solo materialmente, all'Europa. Non
deve caratterizzarsi, come tante volte è accaduto, per la chiusura egoistica -
l'eurocentrismo di questo si è nutrito - ma per la centralità della questione
dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Soltanto in questo modo potremo
contrastare tutti coloro che si oppongono all'idea di Europa in nome delle
identità nazionali e delle particolarità locali. Il Presidente del Consiglio,
concludendo stamani il suo intervento, ha usato un'immagine: quella di una
piramide. Essa è stata ripresa poco fa dal Presidente della Commissione affari
esteri, senatore Migone, ed è un'immagine che ha un suo fascino, che
sicuramente è molto evocativa anche nel suo simbolismo. Io però non dimentico
mai che per costruire le piramidi non ci sono voluti solo tanti mattoni, ma
soprattutto un lavoro intensissimo, faticoso e umile di migliaia e migliaia di
lavoratori ridotti a schiavi. Se quando ragioniamo di piramidi abbiamo presente
anche questo, possiamo forse capire in che modo oggi dovremmo evocare questa
immagine. A me piacerebbe molto evocarla in termini diversi, non parlare di
piramide o almeno parlare di una piramide rovesciata, in cui la base diventa la
parte fondamentale dalla quale partire per ridare non soltanto concretezza,
senso e sostanza a questa nostra idea di diritti, ma per rendere tutti i
cittadini europei forti e protagonisti di una nuova stagione di diritti.
(Applausi dai Gruppi DS e PPI). PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il senatore
Basini per illustrare la mozione n. 564. BASINI. Signor Presidente, onorevole
rappresentante del Governo, colleghi senatori, prendo la parola per illustrare
la mozione n. 564, del Gruppo di Alleanza Nazionale e per chiarire cosa pensiamo
dell'azione del Governo. Nella nostra mozione vogliamo mettere in evidenza non
solo gli aspetti sui quali siamo in dissenso con il Governo, ma anche quelli sui
quali concordiamo, che poi si riducono sostanzialmente ad uno: noi siamo
d'accordo con il presidente Amato sul fatto che se non si ritrova lo spirito
iniziale, europeo, con cui si procedette alla firma dei Trattati della Comunità
europea del carbone e dell'acciaio e, successivamente, a quella dei Trattati di
Roma, probabilmente la costruzione europea non solo non andrà avanti, ma
potrebbe anche tornare indietro. Questo condividiamo dell'analisi del Governo:
purtroppo, però, la nostra concordanza si ferma qui. Infatti, non basta
affermare - anche se è fondamentale - che dobbiamo allargare la Comunità
europea a quei Paesi che sono Europa, e mi riferisco a quelli dell'Europa
dell'Est; non basta neppure (sebbene, forse, sia la parte più pregevole del
discorso del professor Amato) affermare che dovremo poi porre dei limiti,
perché anche questo è fondamentale. A mio avviso, niente che sia Europa deve
restare fuori dalla nostra costruzione, ma aggiungo anche che niente che non sia
Europa deve entrarvi, per il motivo molto semplice che altrimenti non riusciremo
a crearla. È già molto difficile, infatti, fare una costruzione partendo da
una comunità solidale, con cultura comune; se poi inseriamo degli elementi
esterni a tale cultura comune, inevitabilmente succede che non abbiamo più una
concreta possibilità di proseguire in tale lavoro. Dicevo, però, che qui si
fermano le analogie. Rimprovero al Governo alcune cose, la prima delle quali è
la mancanza di iniziativa politica. Vedete, in Italia purtroppo, e non da oggi
soffriamo di una sindrome: lo scarso interesse per la politica estera, perché
riteniamo di contare poco in tale settore; il che, se si guarda alla politica
mondiale, è probabilmente vero ed anche giustificato dal fatto che di fronte a
colossi come gli Stati Uniti, la Russia e la Cina, per forza di cose l'influenza
del nostro Paese è limitata. Ma in Europa non è così, e soprattutto non è
mai stato così. L'Italia è stata fondamentale, infatti, per costruire il
nucleo iniziale. Il nostro Paese ha giocato un ruolo essenziale, prima con De
Gasperi e poi con Martino, nel percorso che ha portato non solo alla
realizzazione del Trattato della Comunità europea del carbone e dell'acciaio o
al Mercato comune: pensate solamente al fatto che l'assise preparatoria della
Conferenza di Roma, dove furono sottoscritti i Trattati, si svolse a Messina;
ricordo questo per sottolineare l'importanza che ebbe Gaetano Martino, e quindi
l'Italia, nel proseguire nella costruzione europea. C'è allora qualcosa che non
va se oggi siamo fuori dall'iniziativa di costruzione europea, ed è proprio
così. Non ho alcun dubbio, infatti, che l'Italia fa parte dei "Paesi
pionieri", ai quali si è riferito Chirac, se si dovesse decidere un
passaggio intermedio di un'Europa a due velocità, in attesa di avere regole che
consentano il suo funzionamento anche se l'Europa è allargata; è però
verissimo che non siamo stati presenti finora, e non lo siamo oggi, nella fase
dell'elaborazione, che in questo momento è tutta franco-tedesca. La mozione,
che per il mio Gruppo ha preparato il senatore Servello, e che mette in evidenza
questo punto fondamentale, dice cose vere, nel senso che noi non siamo presenti,
ed è la prima volta nella storia della costruzione dell'Europa che ciò accade,
non dimentichiamocelo mai, perché fino ad oggi non è mai stato così. Oggi
l'Italia non è tra i Paesi che pensano alla futura Europa: questo è il deficit
politico d'iniziativa che rimprovero al Governo. Devo poi constatare, perché è
la verità, che vi è anche un deficit di progettualità, che consiste nel non
rendersi conto del fatto - e mi fa piacere, pur nell'enorme differenza che
caratterizza i nostri discorsi, che la parola "confederale" sia stata
utilizzata anche dalla senatrice Salvato -, che vi sia uno spazio tra un'Europa
federale (che purtroppo, - e sottolineo purtroppo - oggi è ancora impossibile;
è soltanto un disegno da proiettare nel futuro) e l'Europa dei Governi, che
viene in buona sostanza adombrata dalla Francia. Parlo di un'Europa dei Governi
e non delle nazioni, perché sono cose diverse: in un'Europa delle nazioni
conterebbero i popoli e i Parlamenti nazionali; mentre nell'altro caso,
sarebbero solo i Governi europei a contare. Questa è la verità. Nell'ipotetica
Europa che viene adombrata, e non proposta, dalla Francia, ci sarebbe anche un
deficit di democrazia. Ripeto, la parola che condivido con la senatrice Salvato,
è "confederale". La sensazione che io, i colleghi Servello e
Pianetta, insieme agli altri senatori della Commissione, abbiamo avuto quando,
presieduti dal senatore Migone, abbiamo audito il ministro degli esteri tedesco
Fischer, è che si stia procedendo verso un'Europa che potrebbe avere già un
abbozzo di costruzione confederale, nel senso di avere una Camera dei popoli e
un Senato degli Stati. La condizione fondamentale però è una: - e questo punto
non è stato toccato, mentre occorreva farlo - che ci sia finalmente la reductio
ad unum di tutte le istituzioni europee. Cito per tutte la PESC, la politica
estera e di sicurezza comune, che non può essere un organo staccato dalla
Commissione: l'Europa non può essere bicefala. Stesso discorso per l'UEO,
l'Unione dell'Europa occidentale. Se vogliamo costruire l'Europa, le varie
realtà europee devono mettersi insieme. La seconda condizione è che questo
futuro "Governo europeo", indipendentemente dalla sua genesi, sia
responsabile di fronte al Parlamento europeo: questo è il punto discriminante.
Se invece il Governo europeo sarà responsabile solo di fronte ai Governi
nazionali, non solo non ci saremo mossi nella direzione della costruzione
dell'Europa, ma ce ne saremo allontanati. La genesi non è così importante,
perché in fondo se i Governi europei giocano il ruolo che da noi ha il
Presidente della Repubblica nel nominare il Governo, vi è la necessità che sia
così. Bisogna essere realisti: abbiamo la necessità di fare in questo modo;
l'importante è che questo Governo sia responsabile e possa essere sfiduciato
dal Parlamento europeo. Gli Stati manterranno la loro rappresentanza e la loro
forza attraverso il Senato degli Stati, mentre la Camera dei popoli
rappresenterà i popoli stessi. Credo che questo sia un punto di sintesi
possibile, utile, percorribile, ma soprattutto necessario. È mia opinione che
se non avremo un'Europa che sia almeno confederale o un'Europa che sia una, non
sparpagliata in dieci istituzioni diverse, noi non l'avremo proprio, e senza di
essa, credetemi, non ci sarà direttorio che tenga. Sarebbe un ben vano
esercizio da parte di alcuni Paesi pensare, senza l'Europa, di aver comunque
un'influenza negli affari mondiali. Nessuno l'avrebbe, e l'unico modo di averla
è di marciare in questa direzione. Anche perché - e mi avvio alla conclusione
- non possiamo far basare le nostre capacità di decidere e di incidere sulle
influenze politiche, che sono sempre momentanee (un Paese grande in un momento
storico magari non lo è più subito dopo), ma sulle regole. Se l'Europa si
darà delle regole in questa direzione, compiremo un atto importante per noi,
per i nostri figli e per i figli dei nostri figli, ma soprattutto (quelle che ho
enunciato sono necessità) perché l'Europa si faccia. (Applausi dai Gruppi AN e
DS). PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il senatore Bettamio per illustrare la
mozione n. 566. BETTAMIO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, nell'ascoltare
le parole del Presidente del Consiglio ho avuto impulsivamente due reazioni. Da
un lato, mi sono istintivamente schierato al suo fianco: quando parla della
grande vicenda che abbiamo davanti alludendo alla costruzione europea,
dell'Europa grande risultato della storia, oppure dell'inciviltà di un mercato
puramente economico, sento che il nostro cuore batte nella stessa direzione. È
difficile non essere d'accordo sui grandi princìpi enunciati dal presidente
Amato. Dall'altro, la mia reazione è di dover scindere i suoi personali
convincimenti - che sono anche i miei - dall'ottica con la quale il Governo da
lui presieduto, così come quello del suo predecessore, procede sulla via
dell'impegno italiano nell'ambito dell'Unione europea. Mi rendo conto di aver
usato un termine estraneo alla politologia, parlando di "ottica" e non
di "strategia" o di "politica" del Governo, ma l'ho fatto
proprio perché nell'azione del Governo italiano non esiste né strategia, né
politica nel procedere all'interno dell'Unione. Però, il procedere alla cieca
facendo appello ai grandi slanci ideali non è cosa inventata da questo Governo.
Il fatto è che l'Esecutivo è sostenuto dalla più eterogenea e contraddittoria
fra le coalizioni politiche europee e per questa allegra compagine l'emergenza
Europa e l'euro in particolare hanno avuto per molti mesi l'effetto di
mascherarne le proprie contraddizioni. Abbiamo tutti l'esperienza che parlare
d'Europa ha significato sviare il dibattito interno. Ma anche in questo caso
occorre essere prudenti: bisogna parlare d'Europa in senso stretto, perché ogni
volta che in Parlamento abbiamo ampliato il discorso al problema
dell'allargamento della NATO abbiamo dovuto far ricorso ai voti
dell'opposizione, e ogni volta che abbiamo accennato al Kosovo abbiamo rischiato
di perdere un pezzo di Governo. Dunque, l'Europa è servita, l'Europa è stata
utile. Quello che non abbiamo capito è quale Europa vuole il presidente Amato,
come vuole tradurre in concreta iniziativa italiana lo schema disegnato dal
ministro Fischer e cosa vuole fare per non essere emarginato dall'Unione che il
presidente Chirac sta portando avanti: badate bene, un'Unione a velocità
variabile e fortemente ancorata a rapporti intergovernativi, cioè - senatore
Migone - un vero e proprio direttorio fra Governi forti. A questa domanda di
fondo oggi non credo di aver sentito risposta. Eppure, è chiaro che per la
Germania e la Francia l'Europa non è più fatta di agricoltura, di sussidi, di
armonizzazione governativa. Europa oggi vuol dire moneta, politica estera,
politica di difesa, coordinamento delle economie, vuol dire affrontare il
problema della globalizzazione. Parigi e Bonn hanno accettato che questa sia la
nuova frontiera dell'Unione, ma non di delegarne la gestione ad organi
sovranazionali. A dispetto dell'apparente apertura comunitaria (come ho già
sentito affermare da qualche collega), anche Fischer, non a caso, ipotizza un
Parlamento europeo a due Camere, delle quali una sarà degli Stati: quindi un
forte freno nazionale. A mio giudizio, il disegno delle due velocità con Paesi
più forti e coordinati da princìpi intergovernativi anziché comunitari è
pericoloso perché significa procedere verso un concerto delle nazioni, nel
quale la nazione Italia si troverebbe a subire un danno politico e ad avere un
ruolo secondario, se non si dà, velocemente, una strategia e un progetto
politico. Ecco perché, cari colleghi, signor Presidente, noi crediamo che, da
oggi a dicembre - quando cioè il Governo francese concluderà a Nizza il
semestre di sua presidenza presentando una revisione del Trattato di Amsterdam
che, molto probabilmente, introdurrà una più puntuale disciplina dell'Europa a
due velocità -, l'Italia rischia di non essere inclusa nella velocità
superiore. La domanda su come vogliamo stare in Europa e su cosa vogliamo che
essa diventi non trova risposta né negli squarci lirici qui stamattina
delineati dal presidente Amato, né nella pur meritoria proposta di una
Costituzione europea, che a me sembra non prospettarsi come principale fattore
dell'identità europea - come auspicava il presidente Amato - ma rischiare,
purtroppo, di contenere ancor meno di quanto si trova nelle Carte costituzionali
dei Paesi membri. Distratto dalla diatriba del trattino tra il centro e la
sinistra e frenato dall'avere come forza politica di maggior riferimento
governativo un partito che ha sempre considerato l'Alleanza atlantica e la
Comunità europea baluardi malefici del capitalismo americano, il Paese sta
scoprendo che la nuova frontiera dell'Europa non parla più di sussidi ma di
politica. Il nostro timore è che continui la poesia del cuore politico
dell'Europa senza strategia a lungo periodo. Siamo sempre stati in prima linea
nel lanciare i grandi princìpi, ma rischiamo di essere ultimi nel doverli poi
applicare. Ed ecco perché, signor Presidente - e concludo -, nella mozione che
la mia parte politica ha presentato insistiamo molto nel chiedere al Governo un
atto di grande determinazione per entrare a far parte di quel nucleo di Paesi
europei in grado di accelerare la proposta e il processo di integrazione che
Francia e Germania stanno proponendo e pilotando. Se non avremo questa
determinazione, se continueremo a ubriacarci di poesia europea, a parlare di
frasi che certamente fanno sognare ma non danno nessun concreto contributo,
rischiamo di avere a lungo sognato e di essere poi costretti ad un brusco
risveglio. (Applausi dal Gruppo FI). PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il
senatore Provera per illustrare la mozione n. 567. PROVERA. Signor Presidente,
ho letto con piacere un'affermazione di Amato, contenuta nell'occhiello di un
lancio ANSA di stamane, che recita: "La realtà oggi non è più degli
Stati nazione". Ecco, la nostra mozione inizia proprio con l'affermazione
che "l'Europa degli Stati nazionali sta mostrando le sue contraddizioni che
rappresentano gli ostacoli di fondo al processo di integrazione europea".
L'Europa che si è costruita finora, e nella quale si sono raggiunti alcuni
risultati sotto il profilo economico e monetario, parte da questo vizio di
origine ed è ferma ad un punto morto proprio perché sono difficilmente
conciliabili la difesa degli interessi e delle prerogative nazionali da una
parte e la necessità di una più ampia integrazione istituzionale, e
soprattutto politica, tra gli Stati membri. Questo dilemma è difficilmente
superabile e spiega le differenti valutazioni che stanno affiorando, in ambito
europeo, sul futuro della Comunità. Da una parte alcuni chiedono un
allargamento ad altri Paesi per storia e per vocazione europei e altri, come
Francia e Germania - per bocca di Fischer e di Chirac - ripropongono un modello
di Europa a due velocità in cui, fatalmente, i loro Governi rivestirebbero i
ruoli di primi della classe. Tutti si rendono conto della situazione che vede
l'Europa come un gigante economico-finanziario che ha grandi potenzialità per
un ulteriore sviluppo ma che ad oggi è solo la risultante della somma algebrica
delle capacità economiche dei singoli Stati che lo compongono. Sull'altro lato,
questa Europa economica mostra un'assoluta debolezza politico-istituzionale che
non le consente di avere una voce adeguata ed uniforme sui grandi problemi
internazionali. Ci mancano gli strumenti politici e la volontà in settori
chiave come quelli della politica estera e della difesa e anche i risultati
ottenuti con l'unione monetaria saranno compromessi senza unità politica. Lo
stesso euro, frutto di una volontà politica di alcuni Paesi, si mostra debole
perché un'area monetaria - come ha scritto qualcuno - non può esistere senza
unità politica e, in particolare, senza una nazione politica ed economica unica
a sostegno della moneta. Le divergenze di vedute tra i diversi Governi sulle
tattiche e sulle strategie future dell'Europa riflettono ovviamente le
divergenze di interessi che spesso vengono camuffate dietro una unità di
intenti di facciata. Queste divergenze, comunque, indeboliscono di fatto la
nostra posizione sul piano internazionale, soprattutto nei confronti dei nostri
partner occidentali. Questo è tanto più importante quando sul tappeto esistono
problemi politico-strategici di grande rilievo, come quelli dei Balcani, del
Caucaso e dei rapporti con la Russia, alla luce del progetto americano di un
nuovo scudo antimissilistico. Tutti i Paesi membri sentono la necessità di
costruire una più solida unità politica ma tutti si rendono conto della
estrema difficoltà nel conseguirla. Recentemente, nella riunione dell'Unione
dell'Europa occidentale svoltasi il 5 luglio a Parigi, il signor Araud,
rappresentante permanente della Francia all'UEO, ha posto sul tappeto alcuni
problemi importanti quali, ad esempio, la costituzione di un nucleo di 60.000
uomini armati per i processi di peace enforcing e di peace keeping, ma
soprattutto ha confermato l'intenzione della Francia, presidente di turno, di
non voler intraprendere passi concreti per una maggiore integrazione europea
sotto il profilo politico ed istituzionale per l'estrema difficoltà che questa
avrebbe incontrato nel realizzarli. Questa è la realtà che dobbiamo affrontare
ed è evidente che tutto ciò lascia ampio spazio agli interessi
economico-finanziari in Europa. Purtroppo, nel migliore dei casi, tali interessi
sono rappresentati dalle esigenze dei singoli Stati e, nel peggiore dei casi,
dagli interessi egoistici delle multinazionali. Non è accettabile che si
consenta la creazione di colossi economico-finanziari che hanno bilanci annuali
di miliardi di dollari e il cui potere di condizionamento o di corruzione è
estremamente grande. È assolutamente necessario porre degli argini, dei paletti
politici, dal momento che l'Europa, nella nostra visione, non può prescindere
da una difesa vigile e costante degli interessi dei cittadini, della nostra
cultura e, soprattutto, di una tradizione di politica sociale attenta alle
classi più deboli. Questa politica di solidarietà è stata voluta e costruita
spesso con sacrifici e dure lotte e dobbiamo mantenerla contro gli egoismi del
mercato. Non è questo il modello di sviluppo che ci aspettiamo per l'Europa e
non crediamo che tale sviluppo si identifichi con le logiche di globalizzazione
a cui siamo davanti. Nella mozione che abbiamo presentato chiediamo al Governo
di opporsi a qualsiasi "direttorio" tra Paesi che preveda un'Europa a
due velocità. Consentire una situazione di questo tipo significherebbe
costruire di fatto una discriminazione tra Paesi membri e, inevitabilmente, i
primi della classe privilegerebbero i propri interessi, soprattutto quelli
commerciali, a scapito degli altri. D'altro canto chiediamo al Governo di
opporsi ad una logica di allargamento indiscriminato ad altri Paesi europei,
senza tenere conto delle condizioni minime per cui questi possano essere
accettati al di là delle loro lodevoli ambizioni europeiste. Questa logica è
ambiziosa ma fallace perché ritarderebbe ulteriormente il processo di
integrazione. Sappiamo bene che in qualsiasi società diventa difficile assumere
una decisione, seppure modesta, quando i soci chiamati a decidere sono in molti
e con interessi differenziati anche se legittimi. L'allargamento è impossibile,
a meno che non si modifichino le regole del consenso, e credo che già questo
sarà estremamente difficile da conseguire al momento attuale. Ci aspettavamo
dal Presidente del Consiglio un intervento più puntuale proprio su questo
soggetto, al di là delle visioni che ci ha illustrato nell'esposizione di
stamani. Noi crediamo che ogni sforzo, anche di immaginazione, debba essere
realizzato per identificare con gli altri partner obiettivi politici,
istituzionali e sociali anche piccoli, ma da realizzare in tempi brevi. La
condivisione è il primo requisito e le buone intenzioni dovrebbero rendere più
facile questo passo per giungere a costruire un'Europa che non sia un mercatone
o un'associazione di Stati nazionali, ma una vera casa comune dei popoli.
(Applausi dal Gruppo FI e del senatore Andreotti). PRESIDENTE. Ha facoltà di
parlare il senatore Bedin, il quale, nel corso del suo intervento, illustrerà i
documenti presentati dalla Giunta per gli affari delle Comunità europee. BEDIN,
relatore. Signor Presidente, onorevoli colleghi, caro Ministro e signor
Sottosegretario, desidero iniziare con una constatazione di carattere
procedurale che però è soprattutto di sostanza giacché intorno ad essa
svolgerò poi la gran parte delle considerazioni e del mio intervento. È la
prima volta che l'approfondimento che la Giunta per gli affari delle Comunità
europee del Senato fa sulla relazione del Governo in merito alla partecipazione
dell'Italia all'Unione europea viene proposta all'attenzione del Senato nel
corso di un dibattito destinato a dare indirizzi al Governo in materie
comunitarie. Ad esso si aggiunge anche una proposta che la Giunta sottopone
all'Assemblea del Senato relativamente al programma della Commissione europea
per l'anno 2000. Credo di dover ringraziare la Presidenza del Senato per aver
accolto questa nostra proposta. Ciò consente a questo ramo del Parlamento di
proseguire in quel cammino che insieme ad altri Parlamenti nazionali ed in
collaborazione con il Parlamento europeo abbiamo iniziato in questi anni con
l'obiettivo di ridurre il deficit democratico dell'Unione europea. A tale
riguardo raccolgo fin dall'inizio la preoccupazione espressa dai colleghi nella
Giunta per gli affari delle Comunità europee. I deludenti progressi sul
versante delle riforme istituzionali, dove appare lontana la realizzazione di un
vero governo europeo dell'economia, a fronte dell'accelerazione del processo di
integrazione economica e finanziaria, inducono a temere il rischio che prevalga
una visione dell'Europa quale mera area di libero scambio. Anche questo
dibattito serve dunque a raccomandare in via preliminare un forte impegno del
Governo per dare rinnovato impulso al processo di integrazione politica. Questo
dibattito consente poi al Senato di partecipare anche a quell'ammodernamento
degli strumenti di politica comunitaria che pure è iniziato in questi anni e di
cui proprio la relazione al nostro esame è un capitolo. Credo di dover dare
atto al ministro Letta prima, alla signora ministro Toia poi, ed infine al
ministro Mattioli, dell'impegno che stanno ponendo affinché l'azione del
Governo italiano sia più puntuale nei confronti dell'Unione europea. Al
riguardo va riscontrato un recupero rilevante nel recepimento delle direttive
comunitarie ed anche una diminuzione del contenzioso con l'Unione. Le previsioni
per la futura attività sono nel senso di un consolidamento dei risultati
conseguiti e di un ulteriore miglioramento e rafforzamento della posizione
italiana in ambito comunitario, anche grazie ai nuovi strumenti normativi ed
organizzativi, alcuni già in vigore e destinati a produrre i propri effetti a
partire da quest'anno. Al riguardo esprimo apprezzamento per i risultati
conseguiti, riconosciuti anche nella specifica graduatoria compilata dalla
Commissione europea e sottolineo l'opportunità offerta dall'istituzione di
strutture di monitoraggio per l'adempimento degli obblighi comunitari anche da
parte delle regioni e delle amministrazioni centrali. Nell'ambito della
riorganizzazione del Dipartimento per le politiche comunitarie dovrebbe
tuttavia, a nostro parere, essere formalizzata l'istituzione di uno specifico
ufficio per i rapporti con il Parlamento, con il compito di assicurare
l'adempimento degli obblighi di legge in merito alla trasmissione alle Camere
degli atti preparatori della legislazione comunitaria e della relativa
documentazione prodotta dalle Amministrazioni di settore. Torna qui un tema che
riguarda l'attività interna del Senato: mi riferisco allo status della Giunta
per gli affari delle Comunità europee. All'unanimità, i suoi componenti sono
convinti che l'adeguamento regolamentare alle condizioni della XIV Commissione
della Camera sia ormai improcrastinabile; anzi, mi permetto di aggiungere che
questo adeguamento è il minimo. Come è stato a suo tempo capace di innovare in
questa materia e di aprire la strada alle questioni europee, così oggi, alla
vigilia di una riforma costituzionale ed istituzionale europea e della revisione
della organizzazione del Governo nazionale, il Senato della Repubblica dovrà
essere protagonista nell'organizzazione istituzionale della partecipazione dei
cittadini italiani alla vita dell'Unione anche attraverso il Parlamento
nazionale. Questo esige, del resto, una dotazione di risorse umane ed
organizzative per le quali mi sento anche in questa occasione di insistere. Mi
sono soffermato, signor Presidente e onorevoli colleghi, su questi aspetti
istituzionali perché il tema che abbiamo di fronte è, nel suo complesso,
istituzionale e il presidente Amato ci ha offerto in mattinata una prospettiva
nella quale l'organizzazione delle istituzioni è essenzialmente una scelta
politica sul presente e sul futuro. Riguardo ai contenuti della relazione,
rinvio ovviamente alla relazione stessa che fa già parte degli atti
parlamentari. Mi limito ad alcune sottolineature che sono il frutto del lavoro
fin qui svolto dal Senato. La relazione sottolinea in apertura il successo
conseguito dall'Italia nel corso del 1999 nell'ambito di negoziati complessi
quali sono stati quelli per la definizione di Agenda 2000, indispensabili per
preparare l'Unione all'allargamento, ma sensibilissima da un punto di vista
interno, per le decisioni da assumere in materia di politica agricola comune, di
fondi strutturali, di strategie di preadesione, di saldi negativi o positivi che
ciascuno Stato membro paga o riceve dalla Comunità. La relazione precisa che
l'Italia non dovrà corrispondere importi addizionali fino al 2002. Sottolineo
al riguardo l'esigenza di pervenire ad una maggiore trasparenza nel processo di
formazione del bilancio comunitario in modo tale da avere un riscontro
sull'entità limitata delle risorse assegnate per il periodo 2000-2006 ad
importanti politiche comunitarie, come quella agricola, strutturale e per le
infrastrutture, pur apprezzando la previsione di una finalizzazione specifica
per la costa adriatica italiana, come indicato dalla 5ª Commissione del Senato.
Però il punto essenziale è quello dell'allargamento (lo sottolinea la
relazione): lega il passato, il presente e il futuro dell'Unione e non a caso il
presidente Amato ha costruito su questo processo la sua lettura del Consiglio
europeo di Feira e la prospettiva della partecipazione dell'Italia al Consiglio
europeo di Nizza. Volentieri diamo atto che prosegue costantemente il processo
di allargamento ad Est dell'Unione europea, basato su un'impostazione di
carattere inclusivo ed evolutivo da sempre sostenuta dall'Italia. In relazione a
questo processo, senza perdere di vista le priorità politiche, che
condividiamo, connesse tra l'altro al processo di stabilizzazione del continente
europeo, noi riteniamo che sarebbe opportuno inserire nell'ambito delle future
relazioni maggiori dati sui profili economici e finanziari, con riferimento
all'interscambio commerciale con ciascun partner candidato all'adesione e alle
valutazioni del Governo sul possibile impatto dell'ampliamento sui fondi
strutturali, sull'agricoltura e su altri settori economici e sociali
maggiormente sensibili. Ancora in tema di allargamento, credo vada sottolineata
l'esigenza non solo di una partecipazione attiva dell'Italia in sede
comunitaria, ma anche di un suo ruolo bilaterale. Dalla relazione si evince una
certa difficoltà dell'Italia - nonostante l'apprezzabile assegnazione di
progetti in Slovacchia, Lituania e Romania - ad assumere un ruolo di project
leader nei programmi di assistenza bilaterale nel quadro del processo di
allargamento, anche nei confronti di Paesi tradizionalmente a noi molto vicini.
Mancano inoltre sistematici rapporti di cooperazione con taluni di questi Paesi,
come si riscontra dal fatto che, per alcuni di essi, in luogo di programmi di
formazione e di scambio, si parli soltanto di conferenze o di seminari. Credo
che tale valutazione potrebbe indurre il Governo e lo stesso Parlamento a porre
maggiore attenzione alla tematica dell'assistenza tecnica, da parte del Governo,
e dell'assistenza giuridica e parlamentare, da parte del Senato, che in
prospettiva potrebbe rivelarsi un investimento politico e culturale di grande
rilievo. Il rafforzamento delle istituzioni è poi condizione indispensabile -
è stato affermato nel dibattito in corso e condividiamo tale valutazione - per
la conclusione dei negoziati di adesione. L'allargamento non è, infatti,
compatibile con l'attuale processo decisionale che prevede, in alcuni casi,
l'unanimità. È già stato detto che oltre alle pendenze di Amsterdam ci sono
altre questioni che vanno affrontate nella Conferenza intergovernativa. Ricordo
tra tutte quella della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. Non
mi soffermerò sui contenuti di questo documento; mi limito a sottolineare
positivamente la composizione dell'organismo chiamato a redigerla. Per la prima
volta è stato configurato un organismo, quale la Convenzione di Bruxelles, in
cui collaborano sullo stesso piano i rappresentanti della Commissione europea,
dei Governi, del Parlamento europeo e dei Parlamenti nazionali. Può essere,
questa, una procedura da seguire anche in altre occasioni di cammino dell'Unione
europea; in alcuni casi mi pare che essa sia addirittura preferibile alla stessa
attribuzione della competenza esclusiva al Parlamento europeo. Il tema
ricorrente della compartecipazione dei Parlamenti nazionali all'elaborazione di
decisioni che saremo poi chiamati a ratificare lo incontriamo nel denso capitolo
dedicato alla politica estera e di sicurezza e alle relazioni esterne, ma anche
in altri capitoli. Cito solo tre esempi: con il Consiglio europeo di Feira,
l'Unione ha finalmente deciso una strategia comune nei confronti dell'area
mediterranea intesa nel suo complesso. In tale contesto l'Italia potrà
esercitare un ruolo di spicco, grazie al rapporto privilegiato ed equilibrato
che intrattiene con tutti i Paesi della sponda meridionale. Sempre nel quadro
del partenariato euromediterraneo, particolare rilevanza assume anche la
definizione della Carta per la pace e la stabilità nel Mediterraneo, il cui
testo dovrebbe essere finalizzato per la IV Conferenza euromediterranea che si
terrà in Francia nell'autunno di quest'anno. In proposito richiamo l'attenzione
del Governo: credo sia utile che il Parlamento sia coinvolto e partecipi a
questo appuntamento. Quanto al tema della politica estera e di difesa sembrano
opportuni maggiori chiarimenti sulle prospettive dell'Unione dell'Europa
occidentale che, stando al Consiglio europeo di Colonia, dovrebbe essere
definitivamente integrata nell'Unione europea. Al riguardo, sarebbe utile
acquisire maggiori dettagli sulla possibilità di includere la clausola
sull'assistenza militare reciproca, di cui all'articolo 5 del Trattato UEO, in
un protocollo degli accordi comunitari, nonché avere informazioni sugli
strumenti di controllo parlamentare, nella prospettiva della soppressione
dell'Assemblea dell'UEO, così come indicato dai rappresentati parlamentari in
una recente riunione a Lisbona. Anche su un altro argomento mi pare utile
richiamare l'importanza del coinvolgimento del Parlamento italiano; mi riferisco
ai temi del terzo pilastro dell'Unione: la cooperazione di polizia e la
cooperazione giudiziaria in materia penale. L'articolo 3 della legge n. 209 del
1998, sulla ratifica del Trattato di Amsterdam, prevede la trasmissione dei
progetti degli atti riguardanti questi capitoli alle Camere. Credo che il
Governo farebbe cosa utile, dando applicazione a questo dispositivo di legge.
Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, onorevole Ministro, rinvio alla
relazione per l'illustrazione degli altri capitoli della partecipazione
dell'Italia all'Unione europea. Passo ora al secondo documento al nostro esame,
relativo al programma della Commissione europea, riducendo le osservazioni al
tema che mi sembra più attuale, quello del ruolo dei parlamentari nazionali
nella costruzione europea. Chiederei alla Presidenza di acquisire agli atti
della seduta il testo integrale della relazione per la parte concernente questo
documento. PRESIDENTE. La Presidenza acconsente, senatore Bedin. BEDIN. La
ringrazio, signor Presidente. Rispetto a questo secondo documento, siamo di
fronte ad una novità significativa: è la prima volta che il Parlamento
italiano discute il programma legislativo dell'Unione europea. C'è anche
un'altra novità: per la prima volta nella sua storia la Commissione europea non
ha presentato soltanto il programma legislativo dell'anno, cioè del 2000,
bensì un programma strategico per i prossimi cinque anni, che è anch'esso un
documento, anche se privo delle caratteristiche tipiche, mancando
dell'indicazione in allegato degli atti legislativi. Le due innovazioni
dimostrano come le istituzioni europee (tale - mi sia consentito - considero
anche il Senato italiano, alla pari delle altre Camere nazionali europee)
intendano rispondere con tempestività ad una esigenza che in questi anni non
abbiamo mai mancato di evidenziare e a cui abbiamo dedicato anche una specifica
indagine conoscitiva: la democrazia delle istituzioni comunitarie. Per questo
l'approccio con cui affrontiamo questo documento non è solo quello di un atto
di indirizzo al Governo (che del resto è previsto nella proposta della Giunta
all'Assemblea), ma quello di iniziare e progressivamente affinare procedure di
codecisione tra Commissione europea, Parlamento europeo, Consiglio europeo e
Parlamenti nazionali. Un approccio più istituzionale che procedurale, anche se
l'aspetto procedurale ha in questo momento una grande attualità e viene
arricchito - come ho detto all'inizio - anche dalla procedura posta in essere
oggi pomeriggio in quest'Aula. La partecipazione dei Parlamenti nazionali alla
primaria valutazione del programma della Commissione europea può costituire il
punto base della loro partecipazione alla formazione dell'ordinamento europeo.
Si tratta di un passo verso lo sviluppo della legittimità democratica
dell'Unione. Nell'attuale fase dell'Unione, il ruolo dei Parlamenti nazionali è
essenziale non solo per colmare il deficit democratico che caratterizza il
circuito istituzionale comunitario, ma anche per accrescere la legittimità
della rappresentanza degli interessi nazionali, senza tuttavia cedere ad una
logica di contrapposizione con lo sviluppo dell'integrazione europea. I
Parlamenti nazionali possono dare un efficace contributo alla mediazione tra
cittadini ed Unione europea: con la loro partecipazione al processo decisionale
comunitario, a partire dalla fase ascendente (ossia dalla fase di formazione
delle politiche e degli atti normativi comunitari), i Parlamenti nazionali, il
Senato italiano, possono offrire alla società che rappresentano un
"luogo" di confronto europeo più vicino agli interessi nazionali. Si
tratta di un'attività parlamentare alla quale dovrebbe corrispondere una
coerente iniziativa del Governo italiano. Ad esso il Senato chiede di farsi
promotore della definizione di un complessivo programma legislativo dell'Unione
europea, in cui il programma della Commissione si coordini con le priorità
della Presidenza di turno del Consiglio e con le indicazioni del Parlamento
europeo, in modo da delineare il fondamentale atto legislativo dell'Unione, in
grado di divenire il momento centrale per l'esercizio delle funzioni di
indirizzo e di controllo anche da parte dei Parlamenti nazionali. C'è un
secondo passo che l'esame dell'attuale documento richiede sia al Parlamento che
al Governo: attuare il protocollo del Trattato di Amsterdam sui Parlamenti
nazionali, in particolare per quanto riguarda la previsione che i Consigli
europei non possano decidere se non dopo un certo numero di settimane lasciate
per ciascun argomento ai Parlamenti nazionali; nel protocollo è contenuto un
invito a consultare il Parlamento nazionale. Il passo che insieme possiamo
cominciare a compiere è di rendere più stringente la consultazione del
Parlamento nazionale nella fase ascendente. Signor Presidente, nel programma
presentato dal presidente Prodi e dalla sua Commissione si rinviene un'autentica
novità, ossia la sottolineatura in ogni settore della politica comunitaria
degli aspetti riguardanti il servizio ai cittadini. Questa appare la priorità
predominante per la nuova Commissione europea, nell'intento di rimarcare che
tutta la costruzione comunitaria perderebbe di senso se non conducesse a reali
miglioramenti nella vita quotidiana dei cittadini. L'ambiente, la sanità e la
sicurezza alimentare sono i settori nevralgici per recuperare la fiducia dei
cittadini nella capacità dell'Europa di migliorare la loro vita. La Commissione
europea si ripropone non solo di preparare il nuovo programma di azione per
l'ambiente ed un libro bianco sulla responsabilità ambientale, ma anche di
rendere la tutela ambientale un'istanza trasversale, che tagli tutte le
politiche comunitarie, a cominciare da quella agricola. Credo che il Governo
italiano possa assumere l'iniziativa di far integrare le politiche di tutela
ambientale in una prospettiva unitaria, che favorisca l'armonizzazione delle
normative nazionali, con particolare riferimento alla protezione dei cittadini e
dei lavoratori dall'esposizione a fattori di rischio. Ho richiamato questi
punti, onorevole Presidente, perché essi sono contenuti nella proposta che la
Giunta per gli affari delle Comunità europee fa all'Assemblea e che per mio
tramite vi si chiede di approvare. Si tratta di una proposta che è stata
discussa e approvata all'unanimità dalla Giunta e quindi ha un valore politico
rilevante non solo nell'ambito della Giunta, ma anche per il fatto che essa
raccoglie molte delle indicazioni e delle osservazioni avanzate dalle
Commissioni di merito. Anche da questo punto di vista il documento merita un
voto nel senso che ho indicato precedentemente, e cioè come inizio di una
sperimentazione che consenta al Senato della Repubblica di essere protagonista
nell'Europa che vi è. È un'Europa - e concludo, signor Presidente, anche
perché credo di aver esaurito il tempo a mia disposizione - della quale mi
piace ricordare quanto affermava il presidente Amato questa mattina nel suo
intervento introduttivo, e cioè un'Europa che è certamente degli Stati e dei
cittadini che vi abitano oggi, ma che è già di tutti i cittadini che aspirano
ad entrarvi. Da questo punto di vista, credo che la riflessione sul nostro ruolo
sia importante. Uno dei temi in discussione è quello relativo al numero dei
parlamentari del Parlamento europeo. C'è un'indicazione perché essi comunque
restino in numero di 700: ciò ridurrà la loro rappresentanza territoriale, e
anche da questo punto di vista ritengo che da qui al momento in cui si
discuterà di tali riforme, dopo che si sarà conclusa la Conferenza
intergovernativa, il Senato italiano dovrà dare il suo contributo. La
ringrazio, signor Presidente. (Applausi dai Gruppi PPI e DS). PRESIDENTE.
Dichiaro aperta la discussione. È iscritto a parlare il senatore Marino, il
quale nel corso del suo intervento illustrerà anche l'ordine del giorno n. 1 e
l'interpellanza n. 1104. Ha facoltà di parlare il senatore Marino. MARINO.
Signor Presidente, i senatori del Partito dei Comunisti italiani ritengono che,
sia pure nella sua gradualità, il processo di allargamento e di integrazione
dell'Unione europea debba essere sostenuto dall'Italia con decisione e con
convinzione. Occorre cioè guardare al futuro tenendo aperta una prospettiva di
grande respiro, quella della federazione, certamente senza fughe in avanti, ma
nella coscienza che solo un obiettivo alto e ambizioso potrà far fare un passo
in avanti alla costruzione dell'Europa politica, dopo quella monetaria. Noi non
pensiamo solo alla costruzione di un mercato di 500 milioni di cittadini, ma ad
un'Europa sociale e politica, che garantisca soprattutto la pace, i diritti del
mondo del lavoro nel suo complesso, la collaborazione tra i popoli. È stato
raggiunto l'obiettivo della moneta unica, ma l'Euro, malgrado le iniziali
speranze, conserva una sua debolezza, dal momento che esso non poggia su una
base solida e istituzionale, né su di un'economia reale e unitaria. In
sostanza, manca ancora un Governo politico dell'economia, poiché quella europea
è tuttora una sommatoria di tante politiche economiche nazionali non
coordinate, spesso concorrenziali, se non a volte divergenti. Di qui l'esigenza
di rimuovere con maggiore rapidità le cause politiche, strutturali ed
istituzionali che frenano una maggiore espansione dell'economia europea e la
stessa costruzione dell'Europa politica. Ma se il Governo politico dell'economia
è ancora lontano, nel senso che è più difficile affrontare i nodi delle
politiche economiche dei diversi paesi, occorre invece, per riaffermare la
volontà di pace e di collaborazione delle Comunità europee, accelerare i
processi in atto volti a costruire linee di politica estera comune e di
sicurezza che non possono non comportare anche la creazione di strutture di
difesa autonoma sotto il controllo del Parlamento europeo e degli stessi
Parlamenti nazionali. Solo la costruzione progressiva di un sistema di difesa
europeo può in prospettiva comportare il superamento delle contraddizioni
derivanti dalla presenza sul territorio europeo di strutture di comando NATO. In
sostanza, l'autonomia dell'Europa e quindi il superamento della stessa NATO
possono essere raggiunti solo attraverso un processo, certamente lungo e
difficile, ma ineludibile di costruzione di un'Europa politica né antirussa,
né antiamericana. In questo mutato contesto del "dopo-muro" ed in
relazione ai problemi che il processo di globalizzazione senza regole
dell'economia pone, è sempre più avvertita l'esigenza di riaffermare la
centralità della politica rispetto a quella del mercato sul quale è stata
costruita l'Europa monetaria. Ecco perché, in questo processo che si è
avviato, signor Presidente del Consiglio, occorre operare senza incertezze e
senza riserve, sconfiggendo così le posizioni che tendono a frenare, se non a
contrastare, questa nuova fase di costruzione di un Europa sempre più politica.
In questo senso ogni esitazione improntata a "pragmatismo", ogni
sforzo di mediazione tra le diverse posizioni ancorché motivato da intenti pur
apprezzabili, volto a tenere insieme tutti i Paesi, anche i più restii
all'allargamento ad altri e ad una maggiore integrazione politica dell'Unione
europea, rischia di rivelarsi controproducente e comunque non funzionale agli
obiettivi di interesse generale e soprattutto a quello della pace in Europa e
nel mondo. Ci troviamo quindi di fronte ad un bivio. O avere più coraggio, come
lo stesso Presidente della Repubblica ci ha spronato a fare, oppure rischiare un
collasso, una crisi, dopo gli enormi sforzi finora fatti e certamente anche, non
ultima, dall'Italia. Noi Comunisti Italiani ci sentiamo impegnati a portare
avanti il processo di integrazione in un'Unione più larga, senza deludere
quindi le attese dei Paesi e dei popoli che chiedono l'ingresso nell'Unione
europea. Questo allargamento va sostenuto proprio per riaffermare la volontà di
pace e di collaborazione delle comunità europee. Certamente questo obiettivo,
questa grande meta pone problemi complessi dal punto di vista politico ed
istituzionale. In conseguenza del previsto allargamento della Unione europea (il
quale non può che costituire una decisione autonoma da parte della stessa
Unione) è stato paventato il rischio di un rallentamento del processo di
integrazione e di una possibile paralisi delle decisioni derivanti
dall'estensione dell'Europa a 25 Paesi. Il ministro Fischer ha il merito di aver
posto al centro della discussione, con la sua proposta di Federazione di
Stati-nazione, quello che potrà essere il futuro dell'Unione europea, la quale
deve poter vedere progressivamente crescere la sua forza unitaria non solo nel
campo economico-monetario, ma in molti altri campi, da quelli della politica
estera e della sicurezza sino a quelli che concernono i diritti e le garanzie
fondamentali dei cittadini. È indubbio che per affrontare i problemi
dell'allargamento della Unione europea e allo stesso tempo della "capacità
dell'azione europea" sia indispensabile affrontare e quindi regolare alcune
grandi questioni quali quelle della composizione della Commissione, del
superamento dell'attuale sistema di decisioni prese all'unanimità con il
passaggio a quello basato sul voto a maggioranza qualificata, della
"ponderazione del voto", e così via. Noi riteniamo, come il ministro
Fischer, che l'allargamento dell'Unione europea può essere compatibile con un
altro processo che consenta ad un Gruppo di stati membri di costituire una
avanguardia, un motore, che non tenda ad escludere nessuno, però, per andare
verso una più forte integrazione, in modo da fare da traino per gli altri
Paesi, in un processo costituente realisticamente percorribile in un percorso
istituzionale che porti, in prospettiva, alla Federazione. Fermo restando
l'attuale quadro istituzionale, Parlamento, Commissione, Consiglio - come
giustamente sostiene il ministro Dini - o anche quello in fieri, è possibile
realizzare cooperazioni rafforzate senza che queste diventino o possano essere
intese come un meccanismo di discriminazione. La stessa carta dei diritti dei
cittadini europei è un grande momento per dire quale Europa vogliamo e può
costituire l'embrione di una futura costituzione europea. L'Europa, già unita
dal punto di vista monetario, deve quindi operare in questa direzione con
maggior celerità, anche per concorrere autonomamente all'avvio di un processo
di democratizzazione della stessa ONU e del suo Consiglio di sicurezza, che deve
essere più rappresentativo degli attuali assetti internazionali e delle nuove
realtà statuali. Per affrontare i grandi temi della pace e della sicurezza
collettiva, per costruire l'Europa politica, occorre quindi procedere alla
modifica delle stesse istituzioni dell'Unione europea con coerenza e
determinazione, per andare oltre le dichiarazioni di principio e iniziare il
processo di costruzione dell'Europa politica in termini costituenti e non più
solo programmatici. Noi Comunisti italiani vogliamo che questo Governo assuma e
solleciti tutte le iniziative perché siano al più presto sottoposte ad una
approfondita analisi le proposte da più parti avanzate, al fine dell'adozione
delle riforme istituzionali necessarie alla costruzione di un'Europa politica
che abbia strutture in grado di prendere non solo decisioni di politica
economica o ambientale, ma anche di politica estera e di una propria difesa
autonoma, sotto il controllo del Parlamento europeo e di quelli nazionali al
fine di costruire un sistema di sicurezza collettivo e assicurare ai popoli
d'Europa, pace, autonomia e giustizia sociale. (Applausi dai Gruppi Misto-Com e
DS). PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Jacchia, il quale nel corso
del suo intervento illustrerà anche l'ordine del giorno n. 2. Ne ha facoltà.
JACCHIA. Signor Presidente, il discorso del nostro Primo Ministro è stato
appassionato e, per certi voli retorici, splendido. A me ha ricordato la prima
assemblea del Consiglio d'Europa, molti anni fa, quando si discuteva dell'Europa
e si volava alto. Erano presenti: Churchill, Adenauer, Schuman, De Gasperi e
Sforza. Ripeto, quando si discuteva dell'Europa si volava alto e ringrazio il
Presidente del Consiglio per la maniera con cui ha svolto il suo intervento.
Egli tuttavia mi consenta alcune osservazioni un po' critiche. Ha parlato dei
due corni del dilemma: l'Europa allargata e l'Europa di Paesi
"pionieri". Questi sono i veri aspetti chiave del problema.
Sull'Europa allargata il Presidente ha ammesso che una simile costruzione
include dei Paesi che non vogliono rinunciare alla sovranità. Con un bel volo
retorico ha ammonito: "guardiamo con la lungimiranza della storia". Ma
molti di quei Paesi, come lui stesso ha detto, hanno appena recuperato la
sovranità, e non vogliono rinunciarvi così presto. L'altro corno del problema,
il duetto, il terzetto, il quartetto, ha come conseguenza quella di perdere in
parte la sovranità. Il termine "cooperazione rafforzata" che ha usato
il Primo Ministro è una bella espressione ma è anche un eufemismo, perché in
realtà significa perdere il diritto di veto. Significa che se invece di un
duetto, siamo un quintetto, quattro possono decidere in un senso e il quinto
deve obbedire. Di questo abbiamo discusso per trent'anni nelle sedi di
Strasburgo e Bruxelles. Il nostro è un Paese tutto per l'Europa, con
percentuali impressionanti di votanti a favore. Quando poi però succede che su
un settore qualsiasi, per esempio su quello relativo agli allevamenti di
bestiame, ci sono delle disposizioni che penalizzano i agricoltori - questo
perché a Bruxelles nei decenni passati abbiamo condotto una pessima politica
agricola - gli allevatori paralizzano il Paese portando il bestiame nelle
strade. Loro non avevano capito che l'Europa non era e non è solo un beneficio,
ma anche un costo, ed è tale quando si devono pagare certi passaggi. Il
Presidente del Consiglio ha menzionato la Difesa. Sembra che nessuno si sia
accorto che pochi giorni fa alla Camera si è deciso di abolire il servizio di
leva in tempo di pace. Si tratta di una trasformazione epocale della nostra
difesa: ci siamo interrogati se va bene agli altri? Perché se entriamo nel
duetto, quartetto, o quintetto, dovremo conformarci alle loro decisioni. Due
settimane fa eravamo a Berlino con una delegazione della Commissione affari
esteri e abbiamo incontrato i membri della Commissione difesa del Bundestag, i
quali ci hanno chiesto se veramente avevamo intenzione di abolire la leva. La
Germania conserva una leva di circa 70.000 uomini. Io, in un ottica ottimistica,
ho risposto che il Senato non aveva ancora deciso, che poi si sarebbe visto.
Però, una decisione di questo tipo, se approveremo il relativo disegno di legge
al Senato - come è probabile - e gli altri componenti del terzetto, quartetto o
quintetto dicono che non gli va bene, ci può mettere in qualche difficoltà.
Ricordo quando, ragazzino, ero nell'équipe di Jean Monnet, il grande dibattito
sulla predisposizione di norme sull'industria: non le volevano perché i padri
fondatori dell'Europa erano liberisti, non volevano l'intervento dello Stato e
quindi sull'industria non bisognava intervenire. È stato così per trent'anni.
Se entriamo - e io non dico di no, per l'amor di Dio - nel duetto, nel terzetto
o nel quartetto, non sappiamo bene che conseguenze la rinuncia al diritto di
veto potrà avere sulle nostre attività industriali. Per quanto concerne la
concezione dell'Europa allargata, il Presidente del Consiglio ha ricordato che
ci vuole un confine. Questo è un punto molto importante di cui in questo Paese
non si discute mai, figurarsi se ne discute in quest'Aula: il confine. Se mi
consentite una diversione retorica, come quelle splendide del Presidente del
Consiglio: i grandi poeti e scrittori russi, da Turgenev a Dostoevskij,
interpretavano le paure, le speranze, le angosce il senso profondo dell'infinito
degli uomini e delle donne di tutta Europa. Erano la nostra coscienza. Dobbiamo
recuperarla. Allora, lasciamo completamente fuori i russi? Credo che il problema
del confine sia importante. Il dilemma resta comunque quello di scegliere tra
l'Europa a maglie larghe e il duetto, quartetto, quintetto. Devo sottolineare il
fatto che nel nostro Paese non si è preso abbastanza sul serio l'intervento del
presidente Chirac a Berlino. Con alcuni colleghi della Commissione affari esteri
ero nel Bundestag quando lanciò la sua proposta. Ebbene, il presidente Chirac,
con tutto il peso della sua autorità, parlava - ho qui il testo originale, che
non è stato emendato ed è stampato - per la prima volta dopo molti decenni
davanti ai rappresentanti della nazione tedesca e ha detto: "l'Allemagne et
la France (...). Elles seules, en forçant le cours des choses, pouvaient, en
Europe, lancer le signal du rassemblement (...). Elles seules peuvent accomplir
les gestes qui porteront l'Europe plus loin dans ses ambitions (...)".
Insomma è un discorso serio e impegnativo questo, fatto - ripeto - dal Capo
dello Stato francese davanti al Bundestag, che era felice di sentire quelle
parole. Poi ne abbiamo parlato con Joschka Fischer, il ministro degli esteri,
che è quello che ha lanciato la prima pietra. Lui ci spiegava i due corni del
dilemma e io gli ho chiesto come si poteva fare a metterli insieme. Lui mi ha
guardato dicendo: "wie?", ha ripetuto "ja, wie?", cioè:
come fare? Ma poi non ha dato nessuna risposta perché non ce l'aveva. Nel
nostro ordine del giorno non proponiamo certo di abbandonare la partita: siamo
europeisti e l'Europa con un gruppo di pionieri che vada più avanti è stata il
nostro sogno da quando con Spinelli andavamo nelle strade agitando la bandiera
verde dell'Europa Unita. Quali sono però i benefici e i rischi? Perché la
nazione non li conosce, la gente non li sa. Non ci sono solo benefici, ci sono
dei rischi. Chiediamo di fare un'analisi più approfondita: i vari Ministri
interessati, che hanno ottimi funzionari a coadiuvarli, effettuino un'analisi
costi-benefìci; il Ministro dell'industria si presenti qui per rispondere alle
domande dei parlamentari e fare chiarezza sulle conseguenze che deriverebbero da
un eventuale duetto, terzetto o quartetto. Ovviamente, questo dovrebbe
verificarsi per i più importanti Dicasteri, (Agricoltura, Difesa e così via).
Quindi, Presidente, ribadisco una proposta che non dovrebbe dispiacere, anche se
la sua realizzazione richiede un po' di tempo. Tutti i Ministri procedano ad una
analisi dei settori chiave di cui sono responsabili, uno per uno e, quindi, si
presentino in Assemblea (e non è una novità visto che si è già verificato in
Paesi a noi vicini) per rispondere ai parlamentari ciascuno nell'ambito di
propria competenza. La sintesi spetterà poi al Primo Ministro il quale, sulla
base degli elementi acquisiti, potrà esporre quali sono i benefìci e i rischi
conseguenti affinché la Nazione ne sia edotta. Solo se li conosce, si può
andare avanti tranquilli, mentre invece se non si accomunerà la Nazione alla
scelta, veramente storica, di uno o dell'altro corno del dilemma, si andrà
incontro ad enormi difficoltà.
Presidenza del vice presidente CONTESTABILE (Segue JACCHIA). Premesso ciò,
concludo dichiarando che il discorso del Primo Ministro è stato splendido.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Folloni, il quale nel corso del
suo intervento illustrerà anche l'interpellanza n. 1117. Ha facoltà di parlare
il senatore Folloni. FOLLONI. Signor Presidente, signor Presidente del
Consiglio, nel rivolgere a lei l'interpellanza, che intendo illustrare, ero
mosso da due intendimenti: avere da lei una spiegazione di quali siano i passi
nuovi nella costruzione dell'Europa di cui, anche attraverso la stampa, si sente
rumore e avere più chiaro come l'Italia, la Comunità nazionale se ne senta
pienamente partecipe e rappresentata. Innanzitutto, desidero esprimere la mia
prudente soddisfazione di fronte alle sue parole che chiariscono, almeno a me,
anche alcune nebulosità che avevano e hanno caratterizzato dichiarazioni e
interviste comparse in questi giorni, una prudente soddisfazione non solo per
l'avvenuto chiarimento ma per il contenuto delle stesse parole. Questa mattina
lei ha scelto un duplice profilo: volare alto e, al tempo stesso, assumere il
realismo dei piccoli passi; apprezzabile l'uno (il volare alto), apprezzabile
l'altro (i piccoli passi) quando gli obiettivi e i metodi con i quali
perseguirli siano chiari. Apprezzo, dunque, le sue parole con qualche prudenza e
potrei finire qui il mio intervento, senonchè la sua sollecitazione, in questo
volare alto rispetto al disegno compiuto della costruzione europea, mi induce ad
esprimere qualche considerazione. Anch'io (come lei, mi è parso) sono convinto
che nell'Europa allargata, etica, unita per ragioni culturali, storiche e,
sempre più, economiche, in un Europa senza i cinismi di convenienza che possono
esserci sia nell'allargare sia nello stringere, in un'Europa etica - dicevo -,
vi siano le risorse per affrontare alcune delle più grandi sfide del nostro
tempo; vi siano risorse culturali, umane, sfide per superare le quali non
basterà la logica dei puri fatti e non basterà solo l'utilitarismo più o meno
virtuoso che per taluno, ma non per me, muove la storia. Serviranno, al
contrario, un pensiero - e lei mi è parso indulgere all'idea di un pensiero
europeo oltre i confini dell'attuale Unione - e una politica. Dobbiamo risolvere
problemi considerevoli, di natura economica (il fisco) e di natura strutturale
(l'energia, l'acqua). Abbiamo problemi di natura culturale (il confronto con
l'Islam, i diritti umani nella società globale, la difesa e la pace, le
frontiere di sviluppo e di sottosviluppo). Sono lieto - e non è casuale - che,
presentandosi al dibattito in Senato, lei, signor Presidente del Consiglio,
abbia ringraziato questo ramo del Parlamento per l'esame del provvedimento che
interviene a lenire il baratro del debito estero dei Paesi più poveri. Non vi
è dubbio, signor Presidente, che ci sia bisogno sia di scalpellini che di
architetti, gli uni e gli altri sia vestiti della modestia di chi vede il muro
da costruire oggi, sia consapevoli di essere partecipi della costruzione più
grande. Lei ci ha ricordato l'anima comune dell'Europa anche oltre il confine
degli attuali Stati membri. Credo però che si debba essere pienamente
consapevoli del fatto che l'anima ha sempre bisogno di un corpo in cui abitare e
la politica ha bisogno della sua dignità, di una sua regalità, di una sua
sovranità che non è mai arbitrio ma capacità di governo dei processi sociali
ed economici in atto. Ritengo che dovremmo avere un po' più chiaro il disegno,
quello grande, e, al tempo stesso, i singoli muri attraverso i quali il disegno
può essere perseguito. Vedo ancora un rischio che mi sembra a lei non sfugga,
anche se questa mattina non lo ha sottolineato. Il rischio è quello che in
questo work in progress, nei piccoli passi, venga meno il ruolo che spetta alla
politica e prevalga la dinamica dei puri fatti e degli accadimenti, il cinismo
sull'etica. Ritengo, quindi, esista la necessità di rafforzare il ruolo
politico dell'Unione rispetto ai piccoli passi in corso. Da questo punto di
vista, non c'è dubbio che sarebbe necessario accelerare, nei processi di
redazione della Carta europea dei diritti, sull'assunzione di una forma di
cooperazione rafforzata e di passi decisi nella politica estera e di difesa
comune, assegnando inevitabilmente un più forte ruolo al Parlamento europeo,
signor Presidente del Consiglio, e dando più forte autorevolezza al Governo
dell'Unione anche oltre i Governi nazionali. In cinquant'anni abbiamo certamente
compiuto lo storico cammino che lei ha richiamato in quest'Aula, ma mi sembra
che i passi ulteriori necessitino di quella regalità di cui si vestono le
istituzioni, anche quelle democratiche, istituzioni nelle quali risiede la
funzione della politica, a meno che non si intenda lasciare ad altre potenze non
democratiche la funzione di governo della polis che, invece, spetta tutta e solo
alla politica. Avendo a cuore questo, chiedo a lei che il Governo italiano sia
consapevole di tale primato, e che dunque l'Europa costruisca la sua politica
come capacità di risposta alle dinamiche della società globale nella quale
l'Europa viene a maturazione. O lo farà l'Europa o non vedo - forse per mia
miopia, ma non penso - che altri potranno o vorranno farlo. In questo avverto la
necessità che i Parlamenti, quello nazionale e quello europeo, assumano nei
prossimi mesi un ruolo forte nel decidere le forme del pilastro politico che
l'Europa sta costruendo, iniziando dal confronto puntuale tra Governo e
Parlamento in ogni passo che verrà compiuto, perché l'uno e l'altro, Governo e
Parlamento, siano in questa costruzione al tempo stesso scalpellini solerti e
architetti. (Applausi dai Gruppi PPI e DS). PRESIDENTE. È iscritto a parlare il
senatore Russo Spena. Ne ha facoltà. RUSSO SPENA. Signor Presidente, credo
occorra anzitutto chiedersi, almeno dal punto di vista di Rifondazione
Comunista, in quale contesto si inserisca questo dibattito. Sono sufficienti
poche osservazioni sul punto, di cui è stato già detto ampiamente. Il
presidente Chirac, dinanzi al Parlamento tedesco, ha tenuto un discorso
certamente solenne, titolato da "Le Monde" del 28 giugno: "Per
una Costituzione europea", mentre il ministro degli esteri tedesco Fischer
ha rilanciato una prospettiva federalista per l'Europa. Il presidente Chirac
propone addirittura l'approvazione di un nuovo testo organico, cioè il nucleo
di una Costituzione comune, da sottoporre all'approvazione di tutti i popoli
dell'Unione europea. Tutto questo mentre - ed a me pare una contraddizione nel
contesto storico - in Italia si discute, devo dire in maniera molto modesta,
della sfida dell'onorevole Formigoni sulla devoluzione, della sfida dei
presidenti delle regioni nella loro concezione di un malinteso federalismo; e
anche la risposta dello stesso Presidente del Consiglio mi sembra in qualche
modo ammiccante. Io credo invece che giustamente il contesto europeo, e gli
interventi del presidente Chirac e del ministro Fischer, rimettano
costituzionalismo e federalismo in modo pressante, in senso alto, come
fondamenti della discussione sul futuro dell'integrazione europea. Certo che
permangono ambiguità, non vi è dubbio, a cominciare dal ruolo assegnato ai
cosiddetti Stati pionieri, soprattutto alla Germania e alla Francia, nel ritorno
dell'idea di un'Europa carolingia, che mi sembra ormai sconfitta storicamente.
Tuttavia a me interessa rilevare che viene sottolineato un punto forte, un
presupposto fondamentale, cioè il deficit democratico dell'Unione europea -
questo mi sembra il punto essenziale - e l'assoluta necessità di superarlo se
non si vuole correre il rischio di una disintegrazione dell'edificio europeo.
Non vi è alcuna struttura istituzionale, è bene prenderne atto, colleghi e
colleghe, che più dell'attuale Unione europea sia in qualche modo
antidemocratica, nel senso che la fonte di legittimazione democratica è molto
labile, anzi più "ademocratica", come mi sembra più preciso
definirla, con l'aggettivo usato da Dahrendorf. È tempo che non più i
banchieri, i finanzieri, i generali, i burocrati di Bruxelles e di Strasburgo
siano i padroni dell'Europa ma i Parlamenti ed i popoli. Qual è infatti
l'attuale legittimazione democratica dell'Europa? Il ministro degli esteri
tedesco Fischer è stato nettissimo: "Occorre una rivoluzione democratica
all'insegna di una vera e propria federazione, cioè di uno spazio politico
comune". Giustamente Fischer ricorda la non trasparenza dell'attuale
burocrazia e direzione europee e l'irresponsabilità politica della Banca
europea. In maniera fine, gustosa, egli aggiunge: "La sovranità monetaria
è stata trasferita ad una banca, il che dovrebbe essere un vero incubo per ogni
repubblicano". Non assistiamo solo alle sollecitazioni ed alle alte
provocazioni giuridico-istituzionali che ho finora ricordato del presidente
Chirac, del ministro Fischer o di altri, dirigenti politici e costituzionalisti.
Comincia a crescere, e questo è il secondo punto che vorrei ricordare, anche
una dimensione europea a livello sindacale, conflittuale, di protagonismo di
massa. Come ricordava qualche giorno fa il professor Bronzini in un suo scritto,
mi riferisco ad eventi fino a pochi mesi fa impensabili, alla speranza che
cammina sulle gambe di conflitti, di idee collettive e collettivamente agite: la
speranza di un'altra Europa, com'era scritto nello striscione che apriva qualche
giorno fa il gigantesco corteo per il processo al leader contadino Bovét, che
invocava appunto un'Europa solidale. Noi, all'interno di questo orizzonte,
crediamo non si debba ricadere in un formalismo giuridicista, in uno spirito
sostanzialmente economicista o comunque di prudenza eccessiva, che mi sembra
abbiano animato in qualche modo anche l'intervento del Presidente del Consiglio
questa mattina. Per stare alla metafora del presidente Amato, si rischia che il
muro che si sta costruendo non sia quello di una cattedrale (questo è il
punto), ma soltanto quello, ancora una volta, dell'edificio di una banca
centrale. La risposta del presidente Amato si muove sostanzialmente, a me pare,
nel solco della conservazione e della miope difesa dell'esistente, di un
esistente rispetto a cui o si fa uno scatto oppure si rischia il crollo stesso
della fiducia e dell'edificio che si sta costruendo. Il presidente Amato si
preoccupa del fantasma di un super Stato europeo, ma questa, ovviamente, è
un'allusione: oggi significa - noi crediamo - rafforzamento dei poteri della
rappresentatività del Parlamento e istituzione processuale, programmata di un
vero Governo, che non possano quindi più - Parlamento e Governo - essere solo
frutto di accordi fra Stati, ma figli di un nuovo patto che realizzi nella sua
pienezza il principio democratico, da un lato, e che garantisca direttamente al
cittadino europeo un complesso di diritti fondamentali non inferiore rispetto a
quello garantito dalle singole Costituzioni statali, dall'altro. Credo vi sia un
rovescio della medaglia. Se abbiamo il timore di affrontare la strada
dell'integrazione, del completamento democratico, però, presidente Amato,
dall'altra parte bisogna preoccuparsi - ovviamente è il nostro punto di vista -
del fatto che l'assenza, ad esempio, di una politica estera espone l'Unione
europea ad avventure belliciste che ci sono sembrate forsennate, come quella dei
Balcani, che minano all'interno l'attuale unità della stessa Unione europea, la
quale non è in grado poi di offrire alcuna soluzione di integrazione politica
ed economica a quegli stessi Balcani. Per esempio, l'assenza di una politica di
difesa comune autonoma ed indipendente, che è stata molto inquinata finora dal
dibattito, è figlia di rapporti di forza sfavorevoli rispetto alla NATO a
livello internazionale, e questi rapporti di forza fanno sì che il territorio
europeo diventi un campo di azione della NATO. Invece, è largamente estenuata
ogni concezione di politica della solidarietà della diplomazia, della
cooperazione, della mediazione culturale. Basti pensare che la politica di
cooperazione fra Unione europea e Mediterraneo è flebilissima, al di là delle
tante parole che si spendono, e in larga parte solo formale. Anche la politica
di accoglienza e di mediazione culturale è spesso disegnata, perfino da
convenzioni e trattati, come Schengen e Dublino, soltanto come politica di
ordine pubblico, quasi delineando un'idea, peraltro irreale, oltre che
sbagliata, di un'Europa bunker, di un'Europa blindata. Anche sul punto
importante - l'ultimo che vorrei ricordare - della Carta dei diritti
fondamentali, non si può essere reticenti. È in atto presso la Convenzione
nominata dal vertice europeo di Tampere uno scontro aspro sulla sua estensione
sino ai diritti socio-economici e ai diritti cosiddetti di terza generazione:
ambiente, privacy, informazione; diritti che non hanno un sicuro fondamento
nelle attuali norme comunitarie. Ora mi chiedo: cosa sostiene e sosterrà il
Governo italiano rispetto a questo tema? Qual è il valore giuridico della
Carta? Sarà essa inserita nei trattati ed avrà efficacia vincolante, come già
votato del resto dal Parlamento europeo? Citavo soltanto questi aspetti perché
è grande, a me sembra, il rischio che corre l'Unione europea se essa finirà
con l'essere - uso una vecchia espressione - "un gigante economico ma un
nano politico". È necessario, a volte, abbandonare prudenze, incertezze,
opportunismi e anche subalternità nei confronti degli Stati Uniti; vi sono
momenti storici in cui sono necessarie accelerazioni, teoriche e
politico-sociali. Colleghe e colleghi, siamo ora entrati in una fase storica
decisiva, rispetto alla quale o si progredisce verso una piena integrazione
democratica oppure si rischia un crollo o una mutilazione della costruzione
europea che è stata finora realizzata. PRESIDENTE. È iscritto a parlare il
senatore Servello. Ne ha facoltà. SERVELLO. Signor Presidente, onorevole
Presidente del Consiglio, onorevoli colleghi (per la verità, sparuti), devo
innanzitutto ringraziare il Presidente del Consiglio per la lezione di storia
europea che ci ha impartito e che ho seguito nella trasmissione televisiva a
circuito chiuso; una lezione impartita con il consueto garbo - non vi è da
dubitarne - e con la ricchezza di citazioni e di riferimenti che lo
contraddistinguono. Abbiamo avuto la sensazione di ritrovarci in un corso
universitario. L'esposizione del Presidente del Consiglio, nello sviluppo, non
può non trovarci d'accordo, così come siamo d'accordo sullo scenario
delineato, tra passato, presente e futuro, per quanto riguarda l'allargamento ad
Est dell'Unione. Come dissentire, d'altra parte, dall'osservazione riguardante
l'oppressione comunista sui popoli dell'Europa orientale? Secondo quanto mi è
stato riferito, mentre pronunciava queste parole di condanna abbiamo colto - mi
si lasci passare la battuta - una lievissima contrazione muscolare nel volto del
ministro Salvi che era seduto alla sua sinistra. Sulla storia siamo
essenzialmente d'accordo; sulle conclusioni che lei ne trae, anche in materia di
sovranità degli Stati, molto meno, ma questo tema merita un approfondimento
adeguato da rinviare ad altra occasione. Sul presente però lei è stato
estremamente evasivo: non ha dato alcuna concreta risposta ai problemi europei
sul tappeto, liquidando il nodo della cooperazione rafforzata come un congegno
che bisogna mettere a punto prevedendo un'astensione passiva per i meno veloci.
Onorevole Presidente, mi consenta di osservare che nelle democrazie moderne, una
volta venuto meno il condizionamento esercitato dai fattori ideologici, la
politica estera, nelle sue linee essenziali, impegna sia il Governo sia
l'opposizione; è quella che con espressione anglosassone viene chiamata
bipartisan. Non è certo questo il caso dell'Italia, per due ragioni in
particolare: perché nella composizione dei Governi di centro-sinistra
permangono tuttora presenze politiche fortemente ideologizzate, che generano
confusione, debolezza e contraddizioni; perché manca un progetto politico tale
da giustificare sia un dibattito adeguato sia il consenso delle opposizioni. La
navigazione a vista, di cui è maestro l'attuale ministro degli esteri Lamberto
Dini, assente in Aula ma autorevolmente rappresentato - non mi riferisco alla
navigazione a vista - dal sottosegretario Ranieri, è il metodo che viene
seguito in politica internazionale, con la conseguenza che, in più occasioni -
e l'ultima è quella europea - siamo finiti sulle secche, senza che il
volenteroso ed esperto equipaggio della nostra nave, i funzionari della
Farnesina, abbiano potuto far molto per evitare questo ed altri inconvenienti.
Com'è possibile, infatti, per questa maggioranza, formulare una politica estera
nazionale, condivisa quindi dall'opposizione, cioè dal Polo? Rifondazione
Comunista ha, infatti, spedito una sua costola al Governo ed è in forse se
appoggiare, attivamente o desistendo, il centro-sinistra nella prospettiva
elettorale. Non è un caso che il Parlamento italiano non sia stato investito di
un dibattito a seguito dei mutamenti intervenuti nella NATO con la Conferenza di
Washington del 1998, che prefigurano un cambiamento del ruolo, della strategia,
dello spazio geopolitico dell'Alleanza atlantica. Il fatto che tutto questo ci
trovi consenzienti, ritenendo che non vi sia alternativa di sicurezza alla NATO,
non giustifica la latitanza di questo e del Governo che l'ha preceduto. La
spiegazione è fin troppo ovvia e ci riporta alla questione di fondo: quale
organica e coerente politica estera può formulare un Governo di centrosinistra
la cui esistenza è condizionata dal voto di una formazione politica che
coerentemente si pone in antitesi a tutti i valori e gli obiettivi che sono
propri dell'Alleanza Atlantica? Le crisi balcaniche hanno evidenziato, talvolta
drammaticamente, questa paradossale situazione. Senza il sostegno
dell'opposizione di centrodestra, il Governo Prodi non sarebbe potuto
intervenire in Albania; senza il sostegno del Polo, il Governo D'Alema non
avrebbe potuto impegnare le nostre forze armate in Kosovo. C'è da restare
stupefatti quando, con non poca improntitudine, da parte di ex Presidenti del
Consiglio e di autorevoli esponenti della maggioranza si lascia intendere che
l'Italia rischierebbe l'emarginazione in Europa e incontrerebbe problemi nella
Nato qualora si verificasse la sconfitta delle sinistre e la vittoria del Polo.
Quel poco di coerente politica estera che i Governi di centro-sinistra sono
stati capaci di realizzare (a pare i velleitari e turistici conclavi della
"terza via", fino a New York) si deve proprio al senso di
responsabilità, un tempo si diceva di patriottismo, dei partiti di
centro-destra. Proprio in questi giorni lei, signor Presidente del Consiglio,
prendendo a pretesto il caso di Haider, in relazione all'accoglienza ricevuta a
Jesolo, non si è lasciata sfuggire l'occasione di avanzare il timore di una
prospettiva nazionale tipo Jesolo. Una sortita che non fa certo onore alla sua
riconosciuta intelligenza politica, ma che è rivelatrice di quanto siano
modesti gli argomenti che la sua parte può invocare nel dibattito sull'Europa.
Proprio Haider rappresenta, per il modo in cui la sinistra ha affrontato il
problema austriaco, la testimonianza di un fallimento e di un boomerang.
L'esponente politico austriaco, che peraltro ha offerto ai suoi avversari il
fianco ad una demonizzazione che va al di là dei suoi demenziali riferimenti
storici, rappresenta la spia di un malessere popolare in Europa che va capito ed
al quale deve essere trovato rimedio; è quanto mostra di comprendere un suo
predecessore, Romano Prodi, che su tale vicenda si sta muovendo con prudenza e
saggezza. Rifugiarsi nel passato per paura del presente è un grave errore
politico: Haider rappresenta un problema non per le sue farneticazioni, che fra
l'altro ha ritrattato, senza che per questo meriti l'assoluzione, ma perché
esprime delle preoccupanti manifestazioni di rigetto popolare verso un processo
di unificazione europea che sinora ha fatto solo la gioia dei banchieri (euro
permettendo), senza tenere nel debito conto la volontà di salvaguardare ed
affermare le identità ed i valori delle singole comunità nazionali. Signor
Presidente del Consiglio, siamo europei perché italiani e viceversa. Evitiamo,
quindi, il ricorso ad una demagogia che ben poco ha a che vedere con l'analisi
politica e che risente molto più dei calcoli di politica interna, nostra e
altrui. Evitiamo anche di parlare di precedenti austriaci in relazione al nostro
Paese e di rifugiarci dietro le spalle robuste di Chirac. Ognuno ha la sua
storia; quella della Francia annovera un presidente socialista di grande
levatura politica e morale ed uno degli artefici dell'unità europea, François
Mitterrand, che più volte è stato accusato di compromissione con la Francia di
Vichy e che onorava il monumento a Pétain, il che non ha fatto più il suo
successore gollista; per non parlare di quanto gli è stato attribuito dopo la
morte. Signor Presidente del Consiglio, restiamo, quindi, nel presente, per
valutare una debolezza dell'Italia in campo internazionale, che è proprio il
risultato della debolezza del quadro politico interno. È inutile vantarsi di un
credito internazionale elargito formalmente solo dai compagni esteri di cordata.
Le nostre Forze Armate con un lavoro egregio, nei Balcani in particolare, ci
hanno dato dei primati, ma non per questo il peso internazionale dell'Italia è
aumentato. Esiste un gap tra le nostre potenzialità nazionali e la capacità
del Governo di tradurle in prestigio e peso internazionale. A ben vedere, non
dovremmo sorprenderci più di tanto. Manca un progetto Italia, ma può il
centro-sinistra elaborarlo e presentarlo? Nelle condizioni in cui governa,
evidentemente no. Un progetto in questo senso, cioè la definizione degli
interessi e degli obiettivi che persegue il nostro Paese in campo
internazionale, ha come ovvio caposaldo l'Europa; ma gli ultimi avvenimenti
hanno evidenziato quanto l'Italia si trovi in difficoltà. La sortita di Chirac
sul gruppo di "pionieri" che dovrebbe imprimere una velocità
accelerata agli Stati dell'Unione che siano in grado di sostenerla ci ha
spiazzato, non si può negare. C'è voluto l'intervento autorevole del
Presidente della Repubblica, con la sua proposta di una Costituzione dei valori,
per rilanciare una partecipazione italiana ad un dibattito dal quale siamo stati
assenti. Tardivamente, e giocando come al solito di rimessa, lei, signor
Presidente del Consiglio, sente ora il dovere di spiegare alle Camere quello che
ha anticipato ai giornali, con non poche contraddizioni con quanto in parallelo
ha affermato il Ministro degli esteri del suo Governo. Appare evidente che
dobbiamo avere la capacità e la forza di restare nel convoglio di testa
dell'Unione, più esattamente a bordo della locomotiva franco-tedesca.
L'alternativa britannica non esiste: l'Inghilterra ha scelto una sua velocità
di crociera, rapportata alle sue tradizioni storiche, agli speciali legami con
il mondo anglosassone e con gli Stati Uniti in particolare, per cui la
particolarità della sua posizione non va confusa con quella degli altri Stati,
che per volontà o per impossibilità, non riescono a raggiungere il ritmo che,
almeno in teoria, vorrebbero Parigi e Berlino. La sponda inglese, che lei,
signor Presidente del Consiglio, vede con particolare simpatia è certamente
ospitale, ma non offre soluzioni ai nostri problemi. Non possiamo permetterci di
ripiegare sulla seconda velocità che il Presidente francese, tra l'altro alle
prese con le contestazioni dei suoi coabitanti politici, attribuisce a quei
Paesi che non sono in condizione di sostenere il ritmo accelerato
dell'integrazione. Ma l'Italia, nelle presenti condizioni, non è in grado di
imporre una sua adeguata presenza tra gli Stati pionieri. Questo non perché,
come sostiene il ministro Dini, c'è un calo della nostra competitività
economica, che certo è un segnale allarmante, negativo, ma perché questo
Governo non ha la forza ed il prestigio per farlo. Per cui, si rifugia nelle
scadenze istituzionali europee di autunno e di fine d'anno (il Comitato
intergovernativo e il Vertice), vista l'impossibilità di offrire all'Europa una
posizione italiana credibile ed autorevole, che per essere tale dovrebbe essere
condivisa da un'opposizione la quale da qui ad un anno, o anche prima, può
essere legittimata a rappresentare per mandato popolare gli interessi
dell'Italia in Europa. Ed è con questa ottica che il Presidente della
Repubblica parla di una Costituzione dei valori, cioè di un quadro, nella
prospettiva istituzionale, nel quale si riconoscano le forze politiche del
nostro Paese indipendentemente dal ruolo che loro viene attribuito dagli attuali
equilibri parlamentari; questo è bene non dimenticarlo. In questa proposta noi
riteniamo ci siano i punti irrinunciabili che delineano il percorso del processo
di unificazione del nostro continente, processo che, comprensibilmente, non è
né facile né rapido, ma sicuramente irreversibile. Una volta accettati i
valori costituzionali, la casa europea potrà essere costruita nei piani
successivi con realismo e attraverso la mediazione fra le diverse realtà che la
compongono. Noi crediamo in un'Europa delle nazioni, che non debba essere né
carolingia né atlantica, ma che tenga conto della molteplicità delle sue
componenti. Non si costruisce l'Europa negando gli europei. Ma questo non deve
impedire la ricerca di soluzioni sovranazionali, che rendano l'Unione una
realtà politica, e non solo economica; una realtà operante. Il prezzo che noi
dobbiamo pagare, e siamo disponibili a farlo, in termini di sovranità deve
essere compensato dalla consapevolezza che apparteniamo ad una comunità di
destino e non ad un'area di libero scambio. Perché - e qui sta uno dei nodi
principali dell'integrazione - sono passati cinquant'anni da quel maggio del
1950 che vide la nascita dell'Unione europea attraverso la costituzione della
Comunità del carbone e dell'acciaio. I sei paesi fondatori (ed il nostro ebbe
un ruolo attivo e di primo piano) oggi sono diventati quindici. Già questo
progressivo ampliamento pone tutta una serie di problemi istituzionali e di
funzionamento. Le norme che finora hanno regolato la vita dell'Unione (come ha
dimostrato il caso austriaco) sono decisamente superate. Le Commissioni
intergovernative si stanno occupando di individuare aggiornamenti e soluzioni,
che però devono essere valide non solo per il presente, ma per una prospettiva
che si proietta nell'arco dei prossimi dieci anni. Altri 14 Paesi, in
maggioranza dell'Europa Centro-Orientale, sono in lista di attesa per entrare a
far parte dell'Unione. Non è pensabile che possano farlo con le attuali
strutture: sarebbe la paralisi totale e l'Europa sarebbe unita solo da un
mercato comune. L'Unione di oggi deve essere modellata sulla prospettiva del
domani. Una prospettiva, sia chiaro, che poco si concilia con le utopie
federaliste che il ministro degli esteri tedesco Fischer propone con l'intento
di stemperare le diffidenze verso una Germania unita, che dall'allargamento
dell'Europa ad Est e dal rapporto preferenziale con la Russia trae nuova forza
ed influenza. Una prospettiva che deve tenere conto anche del rapporto
transatlantico, che nei fatti è meno idilliaco di quanto appaia. I commenti
della signora Albright al "pasticcio" europeo sono indicativi di una
riserva americana verso un processo di unificazione europea che viene gradito
negli Stati Uniti nella misura in cui non crea le condizioni per un
affrancamento dell'Europa dalla loro tutela, pur restando fermo il vincolo
dell'alleanza politica e militare. Ed è proprio su questo secondo terreno,
onorevole Presidente del Consiglio, che si misurerà, in base alla capacità
dell'Europa di dotarsi di un suo autonomo strumento di sicurezza e di
intervento, la disponibilità degli Stati Uniti ad un riequilibrio dei rapporti
con gli alleati del vecchio continente. La posizione della Gran Bretagna, che è
vitale per un'Europa della difesa, sarà indicativa delle scelte che matureranno
a Londra. L'obiettivo, onorevoli colleghi, è l'Europa reale e possibile, e non
quella teorica che poi resta una vana quanto inutile aspirazione. Dobbiamo
creare un'Unione che tenga conto dei problemi e delle diversità degli Stati che
oggi la compongono e che aumenteranno con l'ingresso di Paesi, alcuni dei quali
da dieci anni soltanto hanno riacquistato libertà che per essi è sinonimo di
sovranità. Questa proiezione a livello continentale del processo di
unificazione giustifica la tesi franco-tedesca di una Comunità a due velocità:
bisognerebbe parlare di tre velocità, con una locomotiva trainante costituita
da quegli Stati che hanno i mezzi e la volontà politica per farla funzionare;
Francia e Germania si sono candidate per farlo e, visto il defilarsi della Gran
Bretagna, hanno i titoli necessari. E l'Italia? C'è stato solo un cortese, ma
piuttosto ipocrita, riconoscimento di Chirac (che ho personalmente udito al
Reichstag), il quale, per inciso, ha silurato la nostra candidatura al Consiglio
di sicurezza dell'ONU: in questa locomotiva il posto che ci viene riservato,
purtroppo, è quello del fuochista, mentre agli altri tocca quello del
guidatore. Signor Presidente del Consiglio, lei ci ha illustrato un quadro della
posizione dell'Italia nei confronti del dibattito europeo in corso che su taluni
punti ci trova consenzienti. Nella sua analisi, però, manca l'esposizione delle
ragioni che hanno portato il nostro Paese in una situazione di obiettiva
difficoltà. E sono ragioni che, sia pure in parte, risalgono all'esistenza del
Governo che lei presiede: un Governo debole, privo di adeguata credibilità,
incapace finanche di difendere Romano Prodi. Gli attacchi che gli vengono
sistematicamente, e non occasionalmente, portati dalla stampa dei grandi Paesi
dell'Unione sono attacchi indiretti all'Italia, non bisogna dimenticarlo. Hanno
iniziato i tedeschi, si sono poi associati i francesi ed ora è il turno degli
inglesi. Prodi dà la sensazione di essere assediato, alla testa di una
Commissione che proprio una presidenza di quest'Italia rende più che mai debole
e vulnerabile, sotto la spinta del motore elitario franco-tedesco. Una
presidenza, a leggere la stampa inglese, modesta e mediocre per una Commissione
- invece - composta da personalità efficienti. Si spiega così il grido
d'allarme che proprio Prodi, spalleggiato dal commissario Monti, ha rivolto al
suo Governo, con un non tacito invito a reagire e a misurare il pericolo di
declassamento che ci minaccia. E a questo dobbiamo, in definitiva, la sua
presenza in quest'Aula, signor Presidente del Consiglio. Avevo più volte
sollecitato questo confronto ed è stato stabilito di farlo oggi. Mi dispiace
che si svolga nell'assenza quasi totale dei parlamentari. Con ogni probabilità,
è stato programmato in maniera involontariamente negativa. Mi dispiace anche
per la presenza del pubblico: si tratta di due rappresentanti del gentil sesso,
una delle quali tra poco si diplomerà all'Accademia delle Belle Arti di Brera a
Milano. Questo è lo spettacolo che viene dato e che l'opinione pubblica
recepisce come assolutamente deludente. In conclusione, signor Presidente del
Consiglio, la sua esposizione sulla nostra politica estera, riferita non solo al
contesto europeo, ma anche al più vasto scenario internazionale, nei confronti
del quale registriamo omissioni, evasioni e silenzi, non fa altro che confermare
quanto il suo Governo non sia all'altezza delle prove e delle necessità che
l'Italia deve affrontare. (Applausi dai Gruppi AN e FI e del senatore Zanoletti.
Congratulazioni). PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Gubert, il quale
nel corso del suo intervento illustrerà anche l'interpellanza n. 1122. Ne ha
facoltà. GUBERT. Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole Presidente
del Consiglio, un Parlamento ed un Governo nazionale non possono solo affermare
degli obiettivi, quali la riunificazione dell'Europa nell'Unione dopo la caduta
dei regimi comunisti o l'efficienza dei meccanismi decisionali delle comuni
istituzioni europee o il rafforzamento dei poteri delle istituzioni europee
attraverso processi di parziale e variabile collaborazione rafforzata tra gli
Stati membri. Essi devono analizzare la situazione e identificare le condizioni
alle quali gli obiettivi devono essere perseguiti, oltre che gli strumenti. Non
si può semplicemente affermare l'unità culturale dell'Europa a giustificazione
dell'inclusione dei Paesi dell'Est europeo senza affrontare il problema del
ruolo della Russia, europeo, asiatico e mondiale, e quello delle
differenziazioni delle economie, del costume democratico, dell'inespressa
esperienza nazionale dei Paesi dell'Est europeo, come il caso dei Balcani
insegna. Nella mia interpellanza ho posto il problema della gradualità di
inclusione degli altri Paesi secondo criteri da definire, ma il Presidente del
Consiglio ha solo parlato di questioni di larga massima. E che dire del caso
della Turchia, Paese a tradizione musulmana, diversa da quella cristiana dei
Paesi europei? Non si può semplicemente dire che occorre rivedere l'insieme
delle regole di assunzione delle decisioni prima di procedere ad ampliamenti,
senza cercare di penetrare nel problema delle modalità di composizione degli
interessi in senso lato di ogni collettività statuale e dei comuni interessi
europei. La regola dell'unanimità per le decisioni importanti è stata una
misura essenziale a garanzia della tutela di ogni popolo che si coinvolge
nell'Unione europea. Attenuarla vuol dire mettere ogni collettività,
soprattutto quelle piccole, nell'ansietà circa il proprio futuro, non più
nelle proprie mani. La recente esperienza europea a riguardo della libertà
politica dell'Austria, cui i Paesi dell'Unione hanno attentato e attentano, ha
reso i popoli più diffidenti, meno sicuri che la maggioranza degli altri Paesi
sappia fare uso corretto del proprio potere. Finché gli Stati e i popoli
dell'Europa dell'Est percepiscono e percepiranno la partecipazione all'Unione
come garanzia nei confronti di possibili ritorni dell'egemonia russa, tutto
potrà essere accettato da essi. Ma poi come sapranno conciliare i loro
interessi con quelli dei grandi Paesi dell'Unione? Già l'Italia in qualche
misura paga la scelta europea, dovendo, da posizioni di svantaggio, entrare in
competizione con sistemi economici europei forti ed efficienti, senza più il
paracadute della svalutazione della moneta. Quale il costo per i Paesi nei quali
gli svantaggi economici sono assai più forti? Lei, signor Presidente del
Consiglio, sicuramente conoscerà la situazione dei Paesi dell'Est europeo e, a
maggior ragione, quella della Turchia. E come essi supereranno le difficoltà
conseguenti? Entreranno poi in conflitto con l'Unione europea? Siamo certi che
in ogni caso sia utile estendere gli ambiti decisionali di competenza
dell'Unione, di fronte al proliferare di una normativa comunitaria minuziosa e
dettagliata che neppure gli Stati nazionali adottavano? Possibile che l'Unione
debba decidere in modo uniforme, di fronte alla grande varietà di culture e di
costumi, in materie diverse da quelle essenziali? Decide di tutto, persino sul
modo di produrre il formaggio, di uccidere per autoconsumo il coniglio che si è
allevato. In alcune istituzioni dell'Unione - la Corte di giustizia e la Corte
dei Conti - vale la regola dell'uguale potere decisionale del rappresentante di
ciascuno Stato membro; in altre, come nel Consiglio e nel Parlamento, il potere
decisionale e di rappresentanza è differenziato in ragione della popolazione
degli Stati, ma non in modo proporzionale, riconoscendo la soggettività di
ciascun popolo non solo in termini della sua dimensione.Siamo sicuri che
modificare le ponderazioni, assegnando più peso al criterio della dimensione
demografica, aiuti il processo di stabile crescita delle istituzioni europee? Il
modello di riferimento deve essere quello confederale, con pari diritti di ogni
Stato membro. Adottare, invece, meccanismi decisionali e di rappresentanza che
si avvicinano al modello dello Stato unitario è, a mio avviso, pericoloso e
contraddittorio con il principio di sussidiarietà, riconosciuto fondativo della
strutturazione politica dell'Unione europea. Nulla ha detto il Presidente del
Consiglio al riguardo. Come nulla ha detto circa la questione della
rappresentanza nell'Unione delle regioni, oggi ridotta ad un ruolo del tutto
secondario, nonostante in Stati come la Germania i Lnder siano titolari di
competenze di rilievo europee sottratte al Bund, nonostante che anche le regioni
italiane, specie quelle ad autonomia speciale, abbiano potestà legislative
direttamente rapportabili a decisioni dell'Unione senza la mediazione dello
Stato nazionale. Ancora, nulla ha detto il Presidente del Consiglio circa
un'altra questione sollevata nella mia interpellanza sul ruolo istituzionale da
riconoscere nell'Unione alle "regioni europee", di particolare
significato nelle aree di giuntura dei sistemi nazionali. In alcune di queste
aree la logica nazionalista ha spezzato comunanze antiche, culturali e di
interessi. Le "euroregioni" sono lo strumento per unire l'Europa là
dove gli Stati nazionali hanno creato fratture più grandi. Possibile che non si
voglia valorizzare una "regionalità" europea, che in generale può
rispondere alle esigenze di "macroregionalità" emerse anche in
Italia, non solo per le aree di confine? Non basta proporre obiettivi, occorre
scavare di più nelle condizioni in cui si opera e negli strumenti per
conseguirli, verificarne la compatibilità. L'Unione europea ha già realizzato
l'obiettivo di costruire un'area di libero scambio e di libera circolazione; ha
realizzato comuni regole per la gestione dei controlli dei confini esterni e per
garantire la libera concorrenza interna; ha realizzato quasi completamente una
moneta unica. Restano i problemi di un'unica politica estera e di un'unica
politica di difesa e di sicurezza. Non si voglia procedere troppo oltre; si
mantengano come ricchezza dell'Europa, signor Presidente, la molteplicità,
l'articolazione, la diversità, le autonomie. Non creiamo un'Europa a immagine
dello Stato nazionale, conferendo ad essa poteri di sovranità che invece - in
questo concordo con il Presidente del Consiglio - gli Stati nazionali in Europa
hanno perduto, ripartita tra vari livelli di organizzazione politica, da quello
comunale fino a quello mondiale. Non sia l'Europa solo luogo parziale della
società cosmopolita desiderata, forse, dalle multinazionali. Sia essa lo spazio
di una modernità diversa da quella del melting pot nordamericano, anche se più
proclamato che realizzato: una modernità nella quale la cultura non è solo il
culto del pragmatismo e dell'utilitarismo, nella quale la tolleranza delle
diversità non degenera nel relativismo gnoseologico ed etico, nella quale il
compito biblico del dominio della natura non degenera nella sua completa
artificializzazione, nella quale il pluralismo delle visioni del mondo non fa
trascurare il loro fondamento in una visione di vita greco-ebraico-cristiana,
patrimonio grande dell'Europa che altre civiltà non hanno avuto. Rendiamo,
signor Presidente, più unita l'Europa, ma facciamo in modo che essa resti
Europa. (Applausi del senatore Nava e della senatrice Pasquali). PRESIDENTE.
Comunico all'Assemblea che la replica del Presidente del Consiglio avrà luogo
nella seduta odierna. È iscritto a parlare il senatore Lorenzi. Ne ha facoltà.
LORENZI. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, onorevoli colleghi,
che benevolmente assistete a questa fase della discussione, intendo innanzi
tutto ringraziare il Presidente del Consiglio per lo stimolante discorso di
stamane: un intervento che ha avuto, indubbiamente, lo scopo di innescare e
introdurre nei senatori gli elementi necessari per approfondire e rendere
possibile un contributo a questo enorme problema che è davanti a tutti noi in
maniera ormai chiara. La parola chiave che ha usato il professor Amato è stata
naturalmente "allargamento". Di fronte a ciò, dobbiamo tutti prendere
coscienza della necessità di affrontare in termini di architettura globale il
problema dell'Europa, così come quelli dell'Italia federale e di tutte le altre
strutture federali (federazioni, confederazioni, che dir si voglia). Non è
pensabile infatti procedere in modo completamente indipendente senza causare non
solo reazioni ma anche un processo che può, in qualche modo, provocare
condizionamenti reciproci. Vorrei richiamare, come primo esempio, alcune
difficoltà che, in questo momento, sono ben presenti nell'attuale Europa o
nelle sue immediate vicinanze. La settimana scorsa mi trovavo a Friburgo dove ho
incontrato alcuni professori dell'Associazione Euroscience, che si riuniva per
l'assemblea biennale. In quella occasione, un professore dell'Ucraina mi ha
riferito che i professori universitari a Kiev percepiscono uno stipendio di 50
dollari al mese. È chiaro che con quello stipendio (quindi in un rapporto di
uno a trenta, uno a quaranta rispetto agli altri Paesi dell'Unione) qualche
problemino certamente esiste; e la situazione dei Paesi un po' più ad Ovest non
è certamente molto diversa. Vorrei ora richiamare un secondo esempio, con il
quale ho avuto modo di confrontarmi proprio in queste ore: la Russia. Anni fa il
Consiglio d'Europa ha svolto un grande dibattito sull'opportunità di estendere
al Consiglio stesso la partecipazione alla Federazione russa. In quella
occasione sono emerse alcune difficoltà e il dibattito si è prolungato; alla
fine, acquisito anche un consenso che è andato al di là dei confini europei,
si è addivenuti al voto di assenso alla partecipazione della Federazione russa
nel Consiglio d'Europa. Naturalmente la pregiudiziale era allora costituita
dalla tragedia della Cecenia, che purtroppo è in atto anche attualmente. In
base a dati ufficiali risulta che sono deceduti migliaia di militari russi e
anche tanti altri ceceni, anche se in questo caso non disponiamo di cifre esatte
ma possiamo immaginarle. Si tratta di un dato inequivocabile, che non possiamo
far finta di ignorare e che rappresenta un tipo di realtà, nell'Europa
allargata, sulla quale alcuni di noi si scontrano. Signor Presidente, mi ritengo
praticamente indipendente in questo Parlamento, vorrei tuttavia in questo
momento spezzare una lancia a favore di un partito, che si trova in difficoltà,
con il quale però non ho personalmente nulla a che vedere; mi riferisco al
Partito radicale transnazionale che, in questi giorni, è preoccupatissimo di
essere estromesso dal Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite
(ECOSOC), su richiesta esplicita della Federazione russa. Il 23 giugno, infatti,
un comitato delle organizzazioni non governative delle Nazioni Unite, però con
forti riserve di alcuni membri, ha proposto la sospensione per tre anni dello
status consultivo del Partito radicale transnazionale, perché in relazione alla
Cecenia è stato accusato di aver avuto delle aperture nei riguardi del signor
Ahyad Idigov, giudicato dalle autorità russe appartenente a una organizzazione
terroristica. Chiaramente, il Partito radicale transnazionale si difende
affermando che queste sono calunnie e diffamazioni. Il Partito, inoltre, viene
anche accusato di essere finanziato dalle organizzazioni del narcotraffico e
tutto ciò, ovviamente, rappresenta un caso emblematico e che assume un
significato piuttosto importante. Voglio leggere brevemente il testo della
richiesta: "rivolgiamo qui un pressante appello al Presidente e ai membri
dell'ECOSOC e dell'ONU affinché ribadiscano con forza e in linea con la Carta
delle Nazioni Unite e con la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo la
piena libertà di espressione delle organizzazioni non governative e, di
conseguenza, respingano la decisione di sospendere per tre anni la
partecipazione del Partito radicale transnazionale dai lavori delle Nazioni
Unite". Al di là di qualsiasi considerazione di merito, politica, di parte
o meno, credo che il tema della democrazia e della libertà che caratterizza la
realtà europea nelle sue varie espressioni debba essere tutelato in pieno,
adottando un'iniziativa capace di dare voce a questi valori. Ebbene, dobbiamo
affrontare problemi di altro genere relativi all'architettura globale
dell'Europa. Ringrazio i colleghi che hanno espresso suggerimenti in merito
all'alternativa tra federazione e confederazione. È necessario fare chiarezza:
se ci si orienta verso una "unificazione stretta", la federazione
sembra essere la soluzione più adeguata; se andiamo, invece, verso un
allargamento più flessibile e aperto, capace di salvaguardare le sovranità,
per quanto ridefinite, chiaramente si deve accogliere la soluzione della
confederazione. Sempre con riferimento all'Associazione Euroscience, cui ho
accennato prima, esistono settori in cui il modello europeo sta già avendo in
qualche modo una sua eco indiscutibile. Mi riferisco in particolare al settore
scientifico e a tal proposito, signor Presidente, mi è piaciuto definire tale
Associazione "il partito della scienza". Forse è il caso che questa
volta si sollevi un'alzata di scudi della cultura con la "c" maiuscola
nel mondo del 2000, in modo tale che la promozione non rimanga semplicemente
tale ma diventi anche una presa d'atto e di coscienza delle forze culturali
reali che nel mondo forniscono un contributo al progresso e alla soluzione di
molti problemi. Con queste affermazioni non intendo minimizzare assolutamente
l'importanza di altri comparti. La cultura deve tornare ad essere unita e,
soprattutto, senza confini. A questo punto, il tema di un'Europa che si allarga
nel settore scientifico trova indubbiamente più facile considerazione. Signor
Presidente del Consiglio, ho voluto accennare a questi argomenti per fornire a
lei uno spunto, dal momento che alcune considerazioni in merito investono
l'Europa. Ad esempio, dobbiamo prendere atto del fatto che l'Europa ha un ruolo
relativamente eccezionale nella scena globale, dobbiamo riconoscere che le
scienze che oggi dominano il mondo moderno si sono sviluppate nella civiltà
occidentale europea e non in altre parti del mondo, come nei Paesi arabi, nelle
Indie o in Cina. Per quale motivo la scienza moderna si è sviluppata in Europa?
C'è una ipotesi che mi sembra molto più di una teoria; è un qualcosa di
suffragato, sta emergendo ed è condensato in un libriccino brevissimo titolato:
"L'Europe et la science" di David Cosandey, estratto di un volume
assai più corposo titolato: "Le Secret de l'Occident". Ebbene, la
tesi contenuta in questo scritto, piuttosto interessante e originale è che lo
sviluppo tecnologico e scientifico ha avuto luogo in Europa perché lì vi è
stata stabile divisione politica. Tale divisione è stata fonte di una
competizione (purtroppo anche di guerre) che in qualche modo ha incentivato le
capacità intellettuali più spinte dell'inventiva e, quindi, ha prodotto il
miracolo del boom scientifico-tecnologico in Europa. Mi piace fare questo
riferimento perché esso si può trasporre ad un'altra area, assai più
ristretta: l'Italia. Si dà il caso che il grande sviluppo culturale che vi è
stato in Europa sia avvenuto essenzialmente nell'Italia caratterizzata delle
divisioni politiche stabili. Questo boom è il Rinascimento e si dà il caso che
poco meno di mille anni fa l'Italia avesse la struttura che ben conosciamo,
proveniente dalle divisioni feudali; la struttura delle città marinare, poi
degli staterelli, che è stata fino al secolo scorso la realtà politica
dell'Italia. Ecco cosa ha innescato tanto progresso. Se tanto mi dà tanto,
forse sarà bene fare attenzione a calcare la mano sulle unificazioni forzate,
capaci di omogeneizzare e di cancellare qualsiasi possibilità di confronto, o
di mitigarle, certo, sembra al fine di assicurare la pace universale. Questa
può benissimo essere assicurata senza bisogno di arrivare a tanto. Si può
competere senza arrivare alla guerra, vi sono tanti altri terreni per farlo (le
scienze, come dicevo prima, sono uno, il comparto economico un altro), tanti
altri settori dove si può svolgere la competizione. Questo è il punto che ho
voluto portare alla sua attenzione, signor Presidente del Consiglio, dato che
lei recentemente (mi aggancio alle sue dichiarazioni ufficiali) ha annunciato
una grossa apertura, che ha prodotto uno scoop. D'altronde ormai la politica è
fatta solo di scoop, tutto il resto non conta. Lei è un professore e dà il
giusto valore alle cose, tuttavia il palcoscenico della politica è troppo
importante per il consenso ed allora si va avanti così. Tuttavia ci può essere
valore anche nelle esternazioni mass-mediali di grande respiro. Lei ha dato
grande peso e valore al termine devolution; ha detto: in Italia dobbiamo fare la
devolution. Ritengo questa un'esternazione abbastanza sbagliata nel momento in
cui, forse per la prima volta, vi è realisticamente la possibilità di
istituire un'Assemblea costituente. Invece no, diamo una piccola concessione,
dal centro andiamo verso la periferia, facciamo qualche rinuncia, cediamo
qualche pezzetto di sovranità, ma non troppi e soprattutto non troppo definiti.
Questo si intuisce. Vi è la necessità di una nuova Costituente; può benissimo
darsi che non la si voglia fare però non si osa dirlo: noi non vogliamo la
Costituente perché non vogliamo cedere pezzi di sovranità in modo chiaro. Non
la si vuole, ed allora si corre ai ripari con queste evoluzioni. Siamo arrivati
a questo punto; abbiamo la grande opportunità di eleggere, la prossima
primavera, insieme al Parlamento una Costituente, che potrebbe anche essere un
po' annacquata, pazienza, l'importante però sarebbe istituirla in modo da
affidarle il mandato della revisione della Carta costituzionale. Perché le dico
questo, signor Presidente del Consiglio, nel contesto della discussione
sull'Europa? Perché chiaramente tutti i problemi sono collegati; non si può
pensare di riformare un Paese, o più Paesi messi insieme, senza avere ancora
risolto il problema della grande riforma federale italiana. È chiaro che i
problemi sono tutti collegati. Ci deve essere una chiara coscienza della
complessità della struttura. Volevo proporle un suggerimento: invece di
ricorrere al termine devolution, se proprio lo vuole usare (tanto per fare un
po' di humour, se me lo consente; lo so che l'ambiente è serio e non si
dovrebbe, però ci provo lo stesso), ho provato a pensare al termine
"fevolution", perché ricorda il federalismo, evoluzione verso il
federale attraverso le strutture federali che si possono produrre? Quindi
"fevolution" come processo bottom-up, anziché devolution che è un
processo top-down, per usare termini che ci rimandano agli insegnamenti
universitari informatici di tanti anni fa. Nel discorso globale, per il nostro
Paese e per l'Europa è importante prendere coscienza della necessità di
partire con le carte in piena regola, attraverso un processo di revisione
costituzionale capace di immetterci in quello più grande ed importante
dell'Europa. Per fare ciò è chiaro che dobbiamo decidere come entrare in
questo processo. Parliamo sempre di Nazioni Unite, ma sappiamo bene che il tempo
delle nazioni nel senso risorgimentale del termine è finito; ormai il concetto
di federazione al posto di nazione indubbiamente rende molto più l'idea.
L'esempio delle repubbliche federali, come ce ne sono tante, induce a pensare a
federazioni. È questo l'auspicio che può essere portato avanti per l'Italia.
In conclusione (effettivamente il mio intervento è stato lungo e non voglio
esagerare), credo si dovrebbe prendere atto che dobbiamo assolutamente
realizzare questa Europa, con una struttura definita ma aperta, che in qualche
modo sia in linea con le strutture delle altre federazioni che vi partecipano.
È stato anche detto nelle settimane e nei mesi passati che l'Europa è qualcosa
di diverso: non è da considerare come un'unione, come una potenza; l'Europa è
un'idea e come tale non può essere esclusiva. Vorrei altresì ricordare che
l'Europa è la vera patria degli attuali cittadini europei, ma anche di tutti
quegli altri che in essa hanno le loro radici storiche, culturali ed affettive.
Quindi, come tale, la costruzione europea che dovremo realizzare dovrà tener
conto di tutto ciò in termini aperti e soprattutto capaci di mettere in atto
un'architettura politica razionale ed utilizzabile dal meccanismo dinamico che
si dovrà innescare. Signor Presidente, credo che dobbiamo prendere atto di una
difficoltà: oggi il Parlamento europeo è eletto in primo grado; noi abbiamo un
Parlamento nazionale di primo grado. La confederazione, nella mia concezione,
dovrebbe portare dei rappresentanti di secondo grado: un po' quello che avviene
nel Consiglio d'Europa, dove i parlamentari sono nazionali e vengono eletti dai
colleghi parlamentari. Se non vogliamo amplificare al massimo le strutture
(questo vale dai comuni, alle province, alle regioni, alle macroregioni, alle
nazioni-federazioni), dobbiamo prendere atto che è sufficiente pensare a dei
rappresentanti di primo grado e ad altri di secondo grado, che in qualche modo
possano costituire un anello di congiunzione e contribuire all'economicità del
sistema politico rappresentativo. Il discorso è anche questo: la federazione ha
rappresentanti di primo grado; la confederazione, secondo me, dovrebbe
comportare rappresentanti di secondo grado. Quindi, di fronte all'attuale
Parlamento europeo, ci potrebbero essere dei problemi nel momento in cui si
dovesse decidere per un tipo o l'altro di struttura. Certo, il problema è
completamente aperto e stiamo provando a dare il nostro contributo; l'auspicio
generale è che i rappresentanti del Governo italiano e dei Governi degli altri
Paesi europei possano pervenire ad una soluzione foriera dei migliori risultati.
Ringrazio per l'attenzione e per il tempo che mi è stato concesso. PRESIDENTE.
È iscritto a parlare il senatore Papini. Ne ha facoltà. PAPINI. Signor
Presidente, signor Presidente del Consiglio, onorevoli colleghi, intervengo con
soddisfazione, a nome dei senatori dei Democratici-l'Ulivo, nel dibattito aperto
dalla comunicazioni del Presidente del Consiglio sulle prospettive di riforma
istituzionale della Comunità europea, ritenendo che la discussione prenda le
mosse da una specifica richiesta avanzata dai Democratici - in particolare
dall'onorevole Monaco, presidente del nostro Gruppo parlamentare alla Camera -
volta a fornire al Governo una chiara indicazione sulla prospettiva europea da
adottare nella propria azione politica. Per chiarezza di esposizione sarò breve
e mi limiterò a sottolineare i punti della sua relazione, signor Presidente del
Consiglio, che trovano la nostra piena condivisione, nonché ad evidenziare gli
aspetti che possono essere utili a rimuovere gli equivoci che potrebbero
derivare dalla contemporanea lettura della stampa odierna: l'Italia deve
esprimere un'accelerazione, non una frenata. Noi condividiamo l'idea che
l'allargamento è una grande vicenda e che grande è l'occasione offerta dalla
Conferenza intergovernativa per rafforzare le nostre istituzioni, affinché
un'Europa allargata possa essere - cito testualmente le sue parole - un'Europa
più integrata. Condividiamo con lei l'idea che si deve modificare l'odierno
assetto istituzionale, diversamente si corre il rischio di perdere - sono ancora
le sue parole - quell'impulso e quelle prospettive di un'Europa politica che
sono il cuore vero, l'anima vera dell'Europa. Ugualmente condividiamo il senso
alto delle sue parole, quando ci invita a vivere questa fase della storia
d'Europa come un momento di riunificazione europea, come la prima affascinante
parte del futuro europeo; ed è questo l'elemento che vogliamo sottolineare, se
mai è possibile, con più forza rispetto alle sue parole. Dobbiamo continuare a
disegnare una prospettiva dell'Europa che sappia rivolgersi al cuore degli
europei, perché certamente europeo è il sentimento prevalente nel cuore degli
italiani. Questa prospettiva non può che essere quella ambiziosa di un'Europa
compiutamente politica, informata al modello federale, dotata di organi di
Governo che godono di investitura democratica. Nel momento in cui ci avviamo ad
una fase che sarà anche negoziale, l'Italia non può certo allinearsi alle
posizioni dei Paesi più conservatori: lo impedisce il sentimento più profondo
degli italiani, lo impedisce il ruolo che l'Italia ha sin qui svolto nella
costruzione dell'Europa. Lei, Presidente Amato, ci ha segnalato con realismo che
la Conferenza intergovernativa è una porta stretta, non priva di pericoli, ma
ha affermato altresì che, al di là della porta, vi è un'idea di Governo. Per
noi Democratici è, se possibile, ancor più di un'idea: è un Governo, il
Governo dell'Europa democraticamente legittimato. In questo senso ci
riconosciamo nella valutazione che ha spinto perfino il Presidente della
Repubblica ad indicare come via maestra quella di una Costituzione europea; una
Costituzione europea che, al di là delle forme che vorremo adottare per
rispettare la storia dell'Europa, sancisca i diritti, definisca le istituzioni
democratiche e porti ai cittadini europei la certezza di un soggetto unitario
riconosciuto e riconoscibile. Infine, signor Presidente, condividiamo senza
incertezze il richiamo da lei fatto alle parole del presidente Romano Prodi,
quando questi segnala come un pericolo da prevenire ed evitare che, nell'avviare
meccanismi di cooperazione rafforzata, vi possa essere chi si sente di serie A e
chi di serie B. Concludo richiamandomi ancora una volta al suo intervento, per
aggiungere una considerazione: la cattedrale è cosa diversa da un muro, non
perché si chiama cattedrale ma perché evoca ed esprime una prospettiva che va
oltre i muri e oltre la cattedrale stessa. PRESIDENTE. È iscritto a parlare il
senatore Scalfaro. Ne ha facoltà. SCALFARO. Signor Presidente, onorevoli
colleghi, signor Presidente del Consiglio, ho chiesto la parola in questo
ambiente familiare, dove il dialogo ha maggiori possibilità, di cui però non
abuserò, avvertendo la necessità di esprimere solidarietà al suo discorso e
di rinnovare ancora una volta, nella mia lunghissima esperienza, la fede
nell'Europa. Poiché avevo alcuni impegni ho seguito la seduta dal mio ufficio e
vi ho prestato molta attenzione; ho ascoltato anche degli elogi, che condivido:
il suo discorso è volato alto e ci ha portato su temi molto elevati. Onorevole
Presidente del Consiglio, dal mio punto di vista credo che il suo discorso,
essendo stato di pensiero, di ampiezza politica e di strategia, meriti un
titolo, che non dovrebbe essere eccezionale: è stato un discorso politico e di
questo la ringrazio. Non siamo molto abituati, infatti, anche in queste Aule, ad
ascoltare discorsi di tale natura. Un discorso politico ha anche, entro alcuni
limiti, il tono di un certo distacco, perché quanto più il politico è capace
di uscire dalle contingenze immediate - e per un Presidente del Consiglio può
essere difficile - tanto più il suo discorso vola alto e diviene politico, di
sintesi, di pensiero. Di tutto ciò la ringrazio. Condivido il contenuto del suo
discorso nelle linee fondamentali e pertanto non entro nei particolari, tema
che, dal mio punto di vista, deve essere giustamente lasciato agli attuali
politici di prima linea: essendo entrato nel 55º anno di attività politica la
mia linea è molto diversa. Per la mia età e per la mia esperienza ho avuto
l'avventura di conoscere taluni Profeti dell'Europa. Non è male, in certi
momenti, "risciacquare" un po' tali pensieri; allora abbiamo bevuto
alla fonte della fede di questi uomini, della loro grande speranza, della loro -
diciamolo pure - utopia; è un termine che mi piace poco, perché porta con sé
sempre una sorta di equivoco, come se si riferisse ad un sognatore che cammina,
se non nelle nuvole, certamente senza meta. Non è così, basterebbe avere
ascoltato De Gasperi parlare d'Europa, come è capitato a noi, ai tempi
dell'Assemblea costituente; sentirlo parlare di una realtà che non c'era, se
non nelle speranze, se non in una fede profonda, senza che vi fossero
istituzioni di alcun genere, ma ricercata per una ragione, per uno scopo: la
pace. Sta terminando un secolo che ha grondato lacrime e sangue quanto
pensabile, da ogni parte. Guai a non aver presente sempre, in ogni tappa,
piccola o grande che sia, qual è la finalità: la Pace!
Presidenza del presidente MANCINO (Segue SCALFARO). Mi limito ad un cenno
come esempio: si parla di Europa a più velocità, pensiero che non mi attira di
certo; lei, signor Presidente del Consiglio, ha citato questo concetto, ma
correggendolo fortemente con impostazioni molto diverse. Lo cito solo per
sottolineare che questo è un tema, ma mi domando: chi lo pone, valuta se tale
tema volga alla pace o se invece può turbarla, può essere inutile, può essere
un portatore di nulla? Una volta si poteva fare filosofia sul tema della pace in
Europa. In un'interruzione lei ha ricordato che siamo tra popoli amici, è vero,
ma qualcuno di noi, con più o meno esperienza, pensava mai, anche nelle
giornate più grigie, che ci sarebbe stata guerra guerreggiata in questa Europa
alle soglie del 2000? Che si sarebbero sganciate bombe a non finire su una
capitale europea? Pensavamo mai di arrivare a questo punto per chiudere questo
disgraziato secolo? Allora questo tema è dominante; e la pace è tema politico.
Perché la pace è anzitutto un diritto connaturato all'uomo: l'uomo ha diritto
alla pace. Quando guardiamo queste sfilate interminabili e spaventose di
profughi, con bambini e donne (bambini che forse non so a che età potranno per
caso sapere che cos'è un territorio, un posto fermo, una casa!) bambini che
conoscono solo il fuggire da una guerra, non importa che motivo abbia, se le
etnie o non so quale altra causa, ma è guerra che uccide. Diritto alla pace; e
l'uomo, e ciascuno di noi nelle nostre responsabilità, e lei, Presidente del
Consiglio, certo, ciascuno di noi, in tutto il nostro passato e oggi, abbiamo il
dovere, se ci crediamo, di operare per la pace, ad ogni costo. Per questo è
nata la grande speranza e la grande idea: per la pace. E d'altra parte, quando
si parlava di Comunità - oggi si parla di Unione - unione, comunità, sono
termini che sanno di pace. Perché se si vive in comunità, perché se si è
uniti, uniti non formalmente, sostanzialmente, è termine che ha una ricchezza
umana enorme. L'unione è per la pace, e se c'è l'unione, è pace. L'abbiamo
vissuto, e non ci può passare dalla mente; eravamo in Aula a Montecitorio
quando giunse la notizia che era nata la Comunità del carbone e dell'acciaio.
Forse le pagine dei miei libri del ginnasio superiore e del liceo, che
indicavano la serie delle guerre per il carbone e per l'acciaio, l'Alsazia e la
Lorena, erano ancora fresche di lettura. Noi giovani abbiamo festeggiato: ci era
parso che si capovolgesse il mondo. Quella che fu ragione di guerra, diventava
Comunità. La Democrazia Cristiana, nella quale ho avuto l'onore di vivere e di
professarne i princìpi per tanti anni e nei quali princìpi credo fortemente,
mandò, se ben ricordo (o credo di ricordare: mi appello alla memoria del
senatore Andreotti) l'onorevole Giacchero, forse anche altri, ma questi mi è
rimasto impresso. Giacchero era un giovane ufficiale degli alpini, tornato
largamente minorato nel fisico dal fronte di guerra ed eletto nelle file della
Democrazia Cristiana. Noi lo abbiamo festeggiato con commozione, perché un
giovane che tornava dal fronte fortemente minorato andava là dove incominciava
una Comunità di pace. Poi, il Mercato comune, con le attese dell'Inghilterra e
quindi il suo ingresso; poi la moneta, sulle cui oscillazioni ogni tanto si
discute; ma la moneta, la quale dietro non ha una forza politica, ha una serie
di Stati, vorrei dire una associazione, un'unione di Stati... Noi facciamo
l'elogio, ogni tanto, del dollaro. Non c'è una gran debolezza (!!) dietro al
dollaro, perché ci sono gli Stati uniti, "uniti" sul serio. E pure è
stata una grande conquista, un grandissimo passo, non c'è dubbio, anche questo
per la pace. Ma questa Europa ha sete di politica, ne ha bisogno per vivere. Si
è parlato, anche qui oggi, del suo allargamento e ne è stato fatto un cenno di
sintesi che condivido. Ma ricordo soprattutto quando, nelle responsabilità che
ho avuto fino a non molto tempo addietro, recandomi nei Paesi dell'ex impero
sovietico la richiesta dei Capi di Stato, dei Ministri e a volte anche della
gente, con la quale si scambiava qualche parola in alcune riunioni, era:
"Ma l'Italia ci aiuta? Ci aiuterà ad entrare in Europa?". C'è questo
stranissimo discorso di chi è nell'Europa per ragioni geografiche da sempre,
che chiede di essere nell'Europa, che bussa per essere riconosciuto europeo! Lo
dicevo da parlamentare, l'ho detto nella responsabilità e lo ripeto oggi: la
traiettoria che può arrivare ad un traguardo serio è che la realtà geografica
coincida con una realtà politica; e ciò per una ragione modestissima, che la
geografia è lievemente più forte di tutte le nostre argomentazioni politiche!
Certo, c'è il problema dell'integrazione. Non vi è dubbio. Il grande problema
umano, che viene di volta in volta discusso, va guardato globalmente per questa
Unione europea di chi viene da altre terre (sembra quasi da altri mondi) e
chiede spazio di vita e di lavoro di cui c'è indispensabilità; e ancora in
queste ultime ore sono state citate grandi cifre al riguardo. C'è bisogno
dell'unificazione politica. Ogni passo che può essere fatto per l'Europa
politica è un passo per la pace, perché tutto ciò che è stato fatto - che è
di importanza enorme ed è costato non poco - non è sufficientemente forte per
dire "no" alla guerra. Einaudi disse "l'economia è ancella della
politica", dando chiaramente a questo termine il suono e il contenuto di
ancilla, serva, schiava della politica. È un tema che ha ancora radici profonde
e indispensabilità di essere riconosciuto. Dirò allora soltanto questo: ogni
passo che viene fatto perché l'Europa diventi realtà politica è benedetto da
Dio; perché è per l'uomo, per i diritti della persona, per l'uguaglianza tra
gli uomini e per la pace agli uomini e tra gli uomini ogni passo che viene
compiuto in questa direzione. Certo che, per poter trovare una linea comune di
politica estera o di difesa, occorre l'umiltà dei popoli. I popoli ce l'hanno:
non sempre ce l'abbiamo noi, che li interpretiamo. L'umiltà di essere capaci di
accettare questa unione, dove ad un certo punto l'io non si spegne, ma si esalta
in una valutazione che riguarda tutti e che esce con una voce comune, più
forte, più autorevole e importante per la pace. Questo volevo ripetere ancora
una volta nel momento in cui dico grazie per il suo discorso e rivolgo un
augurio a lei e al Governo di portare avanti il progetto e di trovare sullo
stesso la più larga adesione. Oggi mi è parso di sentire delle voci, anche dai
banchi delle opposizioni, che in parte almeno si sono espresse in tal senso.
Questo mi sembra un passo di civiltà molto utile per l'Europa; perché occorre
soprattutto crederci. La forza dei Profeti che ho citato all'inizio stava nel
credervi fortemente e nell'essere disposti a pagarne il prezzo. Oggi a ciascuno
di noi viene chiesto di credere fino in fondo in questo servizio all'uomo e di
pagarne il prezzo. (Applausi dai Gruppi PPI, DS, UDEUR, Misto-Com e Misto-DU e
dei senatori Boco e Dondeynaz. Molte congratulazioni). PRESIDENTE. È iscritto a
parlare il senatore Boco. Ne ha facoltà. BOCO. Signor Presidente, ringrazio il
Presidente del Consiglio non solo per questo dibattito, ma anche per una parte
degli aspetti cui il senatore Scalfaro ha accennato. Onorevole Presidente del
Consiglio, lei ha fatto un discorso politico - e per questo la ringrazio - cui
farò riferimento alla fine del mio intervento, preannunciandole una volontà di
confronto e forse di non condivisione di alcuni passaggi di un'importantissima
intervista pubblicata oggi su un quotidiano. Desidero ringraziarla anche per
questo, per la stessa intervista, che metterò da parte, perché la ritengo
molto importante. Veniamo ora a questo dibattito in senso più generale, prima
di trarne le implicazioni politiche. Parto da questa affermazione, e cioè che
dopo un lungo tempo di stagnazione, con un dibattito che si sviluppava solo
all'interno di élite culturali, si torna finalmente a discutere del futuro
dell'Europa, del grande progetto europeo, che così bene ripercorreva il
senatore Scalfaro. Gli interventi autorevoli delle ultime settimane, innescati,
lo sappiamo bene, dalle parole e dalle proposte del ministro degli esteri
tedesco, Joschka Fischer, hanno dato impulso a nuove e profonde riflessioni sul
ruolo dell'Europa, sulla sua dimensione politica, su quali meccanismi
istituzionali essa dovrà affrontare il nuovo millennio. Noi Verdi diciamo,
finalmente! Non è un caso, infatti, che sia stato un Verde a rilanciare il
dibattito e la riflessione. Noi non eravamo contrari alla costruzione dell'area
Euro, della moneta unica, della banca centrale. Se vi è una forza in Europa
che, pur attraverso confronti serrati al proprio interno, sfumature e
riflessioni plurali, ha creduto e crede forse più convintamente, dovrei dire
forse più fanaticamente di altri, nella costruzione della comune casa europea,
nell'Europa dei diritti e dei cittadini, quelli siamo noi Verdi. Permettetemi di
ricordarlo, e mi scuso con voi di questa arroganza, ma sin dall'inizio abbiamo
detto che cominciare dall'unione monetaria è come cominciare a costruire una
casa (che è un termine simile a quello che lei ricordava nella sua metafora)
dal tetto e non dalle fondamenta. Nonostante questo, voglio ricordare che
l'Europa dei mercati ci va stretta non per una ragione demagogica, ma perché
c'è sempre il rischio che un cammino che comincia senza passione può portare a
grandi delusioni. Ma siamo attenti anche all'evoluzione positiva che hanno avuto
le nostre critiche, che ritengo, in parte, superate. Abbiamo ora gli strumenti -
istituzioni, risorse, economia comune - per unire il vecchio continente in una
grande democrazia. Abbiamo un nuovo turno di negoziati: la Conferenza
intergovernativa è cominciata il 14 febbraio per riformare i Trattati
dell'Unione e predisporre l'allargamento a compiti rilevantissimi. Si lavora
alla redazione della Carta europea dei diritti fondamentali, che è il primo
passaggio dall'Europa dei mercati all'Europa dei cittadini e dei diritti.
Purtroppo, però, l'impressione, soprattutto dopo il Consiglio europeo di Feira,
è che non ci sia il forte impulso, da più parti auspicato, ai lavori della
Conferenza intergovernativa. Non vi è stato in quella sede il confronto serrato
che il Parlamento europeo e la Commissione richiedevano su temi importanti,
quale, ad esempio, quello del passaggio alla regola del voto a maggioranza
qualificata, che conosciamo bene e che molto è stato dibattuto fino ad oggi. Ma
io ci aggiungo anche altre critiche, altre preoccupazioni forse è più corretto
dire. Infatti, il Consiglio europeo non ha affrontato nell'ordine del giorno
punti indispensabili, quali l'inclusione della Carta dei diritti fondamentali
nel Trattato, il cambiamento del metodo della revisione del Trattato, la
definizione di un processo che porti al progetto di una Costituzione europea.
Voglio sottolineare che esiste l'assoluta necessità di estendere nel Consiglio
il voto a maggioranza qualificata, ma associato alla codecisione del Parlamento
europeo. Tutto questo produce la stagnazione di cui avevo parlato all'inizio del
mio intervento e assenza di progressi. Temiamo che quell'Europa politica, che
taluni sostenevano sarebbe arrivata automaticamente dopo la moneta unica, appaia
bloccata nuovamente, esattamente come era avvenuto ad Amsterdam. Fischer aveva
cercato di smuovere queste acque stagnanti: solo una Federazione europea, con un
Governo e un Parlamento che legiferi, basata su una Costituzione, può
assicurare un futuro di pace e di stabilità all'Europa. Su questo ci deve
essere una grande mobilitazione per realizzare un centro di gravità, una
federazione aperta ai paesi che lo vorranno.Le proposte di Fischer possono avere
grandi limiti; ne voglio evidenziare alcuni, perché su tutto dobbiamo avere una
posizione vera senza però avere forti certezze: la scarsa rilevanza da lui
attribuita all'elezione diretta del Parlamento, l'ambiguità sul Governo europeo
(Consiglio o Commissione?), il ruolo dell'attuale Conferenza intergovernativa
nel disegno europeo, come la Carta dei diritti fondamentali si inserirebbe nella
futura Costituzione. Forse, di queste ambiguità possono avere approfittato i
pragmatici di turno, ma ora l'occasione di questo round di negoziati non può
andare persa. L'idea, che anche fra i pragmatici incomincia a circolare, per
evitare i conflitti seri tra gli Stati membri, di far slittare tutto ad un'altra
riunione nel 2004, è sbagliata e metterebbe in pericolo la credibilità
dell'Unione stessa nei confronti degli Stati candidati. Per questo, come Verdi,
chiediamo che l'Italia si faccia promotrice di una iniziativa che, coinvolgendo
i Paesi a noi più vicini, definisca gli obiettivi irrinunciabili che in questa
fase dobbiamo porci. Signor Presidente del Consiglio, le proporrò due temi, due
ipotesi di intervento - una tecnico-pratica - e solo alcuni titoli: fine del
vincolo di voto all'unanimità nel Consiglio, pieni poteri legislativi al
Parlamento europeo, introduzione della Carta dei diritti fondamentali nel
Trattato con valore giuridicamente vincolante e definizione delle tappe
ulteriori di un processo costituente che deve uscire dalle stanze chiuse della
diplomazia internazionale ed arrivare al cuore dei popoli e dei cittadini
europei. La seconda riflessione, signor Presidente, - e chiuderò su questo -
parte dal cuore, da quel suo discorso e dall'articolo di oggi. Su questo vorrei
provare a chiarire un concetto. Nell'articolo di stampa oggi, in una parte
centrale della sua riflessione, lei parla di preoccupazione per l'impazienza. La
preoccupazione che - lei dice - io, politico, devo evitare che si infranga con
questa impazienza l'attuale processo di unificazione. Lo capisco e le propongo
questa mia modesta ma convinta contestazione, Presidente. Lei ha richiamato il
sogno della cattedrale; non contesto la cattedrale o la casa, l'accetto: accetto
il grande valore del muratore e dello scalpellino che lavora per la costruzione!
E quando si costruisce un grande progetto comune abbiamo il dovere di guardare
l'interesse comune. Presidente, la mia preoccupazione è la seguente: esiste
oggi un dibattito vero - in cui lei si è inserito politicamente con forza - fra
chi può essere portatore di impazienza, fra chi, come Francia e Germania, con
due posizioni molto diverse ma che andranno unite solamente se avranno come
motore una convinta centralità franco-tedesca, che trovo preoccupante, che
contesto e che considero, ma non voglio dirlo, pericolosa. Ad ogni modo,
partendo da una posizione puramente federalista verso gli Stati Uniti d'Europa
(Joshcka Fischer che mette al primo punto un presidente eletto dagli europei) o
una posizione francese, che si basa sul presupposto di un'elezione del
presidente da parte degli Stati, si evincono due modi di entrare nel dibattito
che dicono: velocizziamo il processo, corriamo! Lei pone questa riflessione:
attenti, perché la velocità può essere controproducente! Vi è poi un altro
passaggio che mi ha colpito nella sua intervista; laddove lei afferma che
l'Europa è sempre stata questo e cioè integrazione tra Stati che non hanno
l'impressione di subire diktat dall'alto. Mi avvio comunque alla conclusione del
mio intervento, chiedendo scusa per aver cambiato tono. Ebbene, Presidente,
prendo spunto dalla sua frase, ma con questi diktat stiamo danneggiando
l'Europa; la lentezza e l'assenza di coraggio stanno danneggiando l'Europa. In
certi momenti della vita bisogna ragionare su ciò che è importante. È vero
che serve sempre un compendio fra saggezza, tranquillità e capacità di
rispettare le cose, ma, presidente Amato, colleghi, i cittadini europei stanno
ricevendo alcune cose dall'Europa. Stiamo costruendo un'Europa che sta perdendo
quell'afflato che non è mistico ma che è fatto di grandi valori, del dibattito
che il presidente Scalfaro ha ricordato. In che cosa lo stiamo trasformando? In
un'Europa - cito ovviamente in modo provocatorio alcuni moduli europei - in cui
il lardo di Colonnata e il formaggio di Fossa sono fuori legge. In un'Europa
dove abbiamo trovato nemici e con il letame non si possono più fertilizzare i
campi: l'Europa è anche questo! E anche quell'Europa che ricordava il
presidente Scalfaro che, nel silenzio, non ha saputo rispondere a Sarajevo e a
Mostar e che nel silenzio continua a non rispondere ai ceceni: un'Europa che ha
abbandonato l'Africa completamente. L'Europa che aveva una sovranità politica
transeunte, portata dal periodo coloniale, ha risposto in Africa con
l'operazione Tourquoise voluta dai francesi, che mise una pietra tombale sul
rapporto di giustizia fra Europa e Africa. Quest'Europa sta costruendo danni e
la mia preoccupazione è che l'assenza del coraggio sia più pericolosa,
Presidente, dell'osare. È vero che possiamo perdere e mettere in discussione
qualcosa, ma vedo e vivo nella mia generazione, non avendo avuto la possibilità
di vedere la storia svolgersi e avendo dovuto solo modestamente cercare di
studiarla. Ho visto i danni dell'assenza di coraggio nella Società delle
Nazioni, la debolezza che oggi è propria dell'ONU e mi domando: quale Europa
lasciamo alle generazioni future? Quella senza cuore, quella che non ha questo
coraggio? Oppure è il tempo di fare uno scatto in avanti? Per questo motivo,
signor Presidente del Consiglio, considero molto importante il suo intervento al
quale, ovviamente, non voglio tentare di mettere il cappello di una politica
italo-inglese - mi permetta di non farle torto, perché ovviamente non ho dubbi
che non sia così -. Cerco solo di interpretare e di rilanciare un passaggio:
esiste certamente la preoccupazione di non perdere quell'euroscetticismo che in
parte pervade non tanto l'Inghilterra - conosciamo la sua posizione - quanto le
convinzioni spagnole o quelle di altri Stati, ma se l'Italia non avesse il
coraggio di essere un Paese locomotore e se la estraessimo da un treno che sia
propulsione per la costruzione, noi arrecheremmo un grande danno all'Europa
tutta. Potrà poi seguire il dibattito. Rilevo un coraggio nella proposta
confederativa alla Fischer ma non è questo il punto. Io non ho da vendere un
prodotto migliore o da chiedere un paese europeista da sempre. Signor Presidente
del Consiglio, invito lei, che con tanta profondità è intervenuto in merito, a
non affrontare i problemi con la paura di perdere il disegno complessivo, a
cercare di non subire un danno che in questo momento sta colpendo le fondamenta
di questa costruzione. Esiste sempre il grande dubbio su quale sia la cosa
migliore da fare. Ritengo opportuno individuare un compendio tra la pazienza,
l'ascoltare ed anche il coraggio, perché noi dobbiamo vedere il pantano che sta
colpendo le ultime conferenze. Parliamo di secondo e di terzo pilastro da troppo
tempo ma non riusciamo ad attuarli. Lei ha ragione, signor Presidente del
Consiglio, quando ricorda che c'è una porta sola dalla quale dobbiamo passare
in quindici e dobbiamo forzarla altrimenti perdiamo tutto. Non confido su altro.
Sono certo però che questo dibattito, al quale in questo momento il Senato non
partecipa numeroso, accompagnerà la costruzione europea nei mesi e negli anni
prossimi. La discussione ormai è stata aperta; dovremo spalancare questi
spiragli e queste porte. Anche l'Italia dovrà affrontare il problema ed io sono
convinto che dovrà farlo in modo molto diretto. Signor Presidente del Consiglio
voglio ringraziarla di questo e del suo articolo che io conserverò perché
sarà sempre una base per una discussione. Mi auguro che il nostro dibattito sia
in grado di offrire qualcosa a tutti noi e spero anche che si individui non dico
la giusta soluzione - che sicuramente non esiste - ma almeno la ricerca della
soluzione migliore. Auspico, infine, che questo sia l'inizio di un buon lavoro
per tutti noi e, ovviamente, in maggior misura per lei. (Applausi dai Gruppi
Verdi, DS e PPI). PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Cusimano. Ne ha
facoltà. CUSIMANO. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, signora
Ministro per i rapporti con il Parlamento, colleghi senatori, l'odierna
discussione sulla politica dell'Unione europea passata e futura, che ha per base
la proposta della Giunta per gli affari delle Comunità europee ricavata sulle
comunicazioni della Commissione europea recanti il programma di lavoro per
l'anno 2000 e obiettivi strategici 2000-2005, assume una particolare valenza per
la presenza del Presidente del Consiglio al quale finalmente e direttamente
possiamo presentare il grido di dolore, documentato, dell'agricoltura italiana
alla quale dedicherò interamente il mio intervento. In primis, debbo
onestamente dichiarare che non nutro molte speranze di riuscire a fare breccia
nel cuore e nelle mente di un Presidente del Consiglio che, presentando il
Documento di programmazione economico-finanziaria per il 2001-2004, ha dedicato
solamente tra righe all'agricoltura, anzi all'intero sistema agricolo,
alimentare e forestale. Ma è comunque mio dovere, quale rappresentante
dell'opposizione e uomo del Sud, esporle, signor Presidente del Consiglio, la
reale situazione in cui versano i produttori agricoli italiani e quelli del mio
Mezzogiorno in particolare. Come ho avuto modo di sottolineare in Commissione
agricoltura, contrariamente al parere del relatore espresso in quella sede, non
vi è stato alcun successo dell'Italia nel corso del 1999 e se vi è stato lo è
stato solo sulla carta o vanificato nelle conseguenze pratiche, e la
responsabilità di ciò ricade sul sistema Italia e quindi sul suo Governo,
signor Presidente del Consiglio. Sta di fatto che la situazione, settore per
settore, è la seguente, così come denunziato dai produttori agricoli e dalle
loro organizzazioni. Inizierò dalle carni bovine. In proposito la
Confagricoltura denunzia come, a distanza di sette mesi dalla emanazione dei
regolamenti comunitari, solo il 17 marzo scorso sia stato pubblicato il primo
decreto ministeriale applicativo delle norme di competenza nazionale per la
gestione dei premi PAC. Si è ancora in attesa di un secondo decreto che
definisca le modalità e le procedure per la presentazione delle domande di
premio da parte degli allevatori. Altrettanto grave, sempre ad avviso della
Confagricoltura, è la situazione dell'anagrafe bovina. La Confederazione
ricorda che tutti i capi bovini devono essere registrati in anagrafe per poter
ottenere i premi PAC. Sta di fatto che ad oggi risultano iscritti soltanto tre
milioni di capi a fronte di un patrimonio nazionale bovino di oltre sette
milioni e mezzo di capi. Quanto alle quote latte, è vero che abbiamo ottenuto
600.000 tonnellate in più (384.000 tonnellate dal 1º aprile 2000 e 216.000
tonnellate dal 1º aprile 2001), ma il settore è in pieno caos. Da più parti
si chiede che il Governo chiarisca cosa intende fare per le due campagne che
vanno dal 1997 al 1999, scoperte dagli aumenti. In proposito sempre la
Confagricolutura ritiene "assurdo che i tre anni non siano stati
sufficienti a ricostruire un quadro di certezze giuridiche, nonostante due
Commissioni di indagine governative, leggi e regolamenti"; mentre la
Federagroalimentare chiede lo sblocco degli importi trattenuti dalle cooperative
nella loro veste di acquirente, sollevandole dagli adempimenti di sostituto
d'imposta nei casi di ritardi loro non imputabili; chiede inoltre la
possibilità di restituire ai produttori le somme trattenute (ormai si va verso
la sesta annata). Circa gli agrumi, le importazioni a tasso zero concesse
dall'Unione europea hanno provocato una crisi gravissima. La parola è alla CIA
che, dopo aver stigmatizzato le lentezze burocratiche "che non hanno ancora
permesso l'avvio del piano agrumicolo nazionale", denunzia anche il
fallimento dello straordinario provvedimento governativo di ritiri AIMA per
aiuti all'estero. Secondo la CIA si è creata una disparità basata sulla
discrezionalità da parte delle singole imprese sulle quantità effettive di
prodotto da accettare per il conferimento. È rimasta altresì nell'ambiguità
la questione del prezzo. Su questi errori procedurali dell'AIMA "non di
meno il Ministero ha la responsabilità di aver promesso recentemente
l'assegnazione di altri dieci miliardi, senza però aver dato seguito con la
relativa pubblicazione del decreto sulla Gazzetta Ufficiale. È uno stanziamento
che resta per ora inattivo, come peraltro è ancora fermo quello promesso dalla
regione siciliana, relativo ad ulteriori dieci miliardi ma anch'esso privo di un
decreto applicativo che lo renda fruibile". Visto che siamo in tema di
ortofrutticoli, la Confagricolutura denunzia la crisi del settore che non è
soltanto di quest'anno, ma che è ormai endemica. Tra le cause indica la
mancanza di un'adeguata tutela dei nostri prodotti dalle importazioni dai paesi
terzi e da carenza di una disciplina uniforme a livello europeo sul tempo di
pagamento. Come se non bastasse, c'è in ballo la riforma dell'OCM e le notizie
che giungono da Bruxelles non sono affatto incoraggianti, tanto che le
organizzazioni professionali agricole hanno subito avanzato critiche e
preoccupazioni. La Confagricoltura esprime la preoccupazione e la delusione
degli imprenditori agricoli italiani per le anticipazioni circolate in materia,
con particolare riferimento a pomodori ed agrumi. In caso di conferma, saremmo
di fronte ad un nuovo duro colpo al processo di riequilibrio a favore delle
produzioni mediterranee. La Coldiretti non è da meno. Risulta particolarmente
penalizzante (dice la Confederazione), tra gli elementi di preoccupazione,
l'eliminazione del prezzo minimo del pomodoro e non risulta comprensibile,
inoltre, la decisione di ridurre solo per gli agrumi al 5 per cento del prodotto
commercializzato dalle organizzazioni dei produttori le quantità oggetto del
ritiro. La CIA esprime un netto dissenso sull'erogazione di un unico aiuto
indifferenziato, che avrà ripercussioni negative sulla qualità del prodotto.
Per gli agrumi, la CIA sottolinea che lo strumento del ritiro non può essere
ulteriormente decurtato ed infine si dichiara nettamente contraria alla
limitazione dell'aiuto finanziario ai fondi operativi delle organizzazioni dei
produttori, fissato al 3 per cento della produzione commercializzata. Quanto al
vino, il recente congresso degli enologi ha messo in luce i pericoli per
l'Italia di perdere i contributi europei (in questo caso anche per i ritardi
dovuti all'emanazione dei regolamenti applicativi da parte della Commissione
europea), perché l'Italia non ha completato l'inventario dei vigneti, condicio
sine qua non per ottenere i contributi. Solo ora Pecoraro Scanio si è deciso ad
intervenire. Per quanto riguarda l'olio, il blocco operato dall'Unione europea
sulla legge per il made in Italy e l'assurda attribuzione della provenienza non
al luogo di produzione ma al frantoio (regolamento n. 2815 del 1999) hanno
danneggiato non poco la produzione italiana. Siamo al secondo anno di
applicazione dell'OCM transitoria che si protrarrà sino alla prossima campagna
del 2000-2001. Ora dovrà arrivare la nuova OCM, ma il mondo agricolo è
fortemente preoccupato per le notizie che arrivano dalla Commissione. Intanto,
che fine ha fatto il piano olivicolo nazionale? A proposito di bietole e
zucchero, subito dopo l'estate è in programma la presentazione della proposta
per la nuova OCM del settore bieticolo-saccarifero. Sembra scontata una
riduzione delle quote di produzione in conseguenza della piena applicazione
dell'Uruguay Round (diminuzione delle restituzioni all'esportazione) e
dell'incremento produttivo che si è registrato a livello mondiale. La filiera
italiana ha già messo a punto una propria posizione basata sulla difesa della
quota A, con una riduzione della quota B, meno garantita. Ma soprattutto il Sud
rischia la chiusura degli stabilimenti e la fine della coltura senza gli aiuti
di sostegno che l'Unione europea vorrebbe sopprimere. Una cosa invece già certa
- e penalizzante - è la nuova OCM per il riso. Unanime è il coro di proteste
per il testo della riforma, adottato il 7 giugno scorso dalla Commissione
europea. Cosa dice, in sintesi, la proposta della Commissione europea? Il riso
sarà integrato nella normativa generale per i seminativi. Di conseguenza, il
pagamento compensativo all'ettaro per i produttori sarà erogato moltiplicando
65 euro-tonnellate per le rese in cereali, così come fissato nei piani di
realizzazione dei singoli Stati membri. Verrà inoltre applicato il set aside
obbligatorio del 10 per cento. È prevista anche la soppressione dell'intervento
con la possibilità di ricorrere allo stoccaggio privato per far fronte ad
eventuali crisi di mercato. Per i produttori italiani, in particolare, appaiono
inaccettabili la soppressione dell'intervento, il set aside obbligatorio e un
aumento limitato dei pagamenti diretti all'ettaro, nell'incertezza di quello che
sarà stabilmente il livello tariffario sulle importazioni dai Paesi terzi. Una
manifestazione unitaria a Vercelli, venerdì scorso, ha sottolineato che il
settore del riso sta attraversando un periodo di forte crisi a causa
dell'aumento consistente delle importazioni per effetto delle concessioni
dell'Uruguay Round e l'espansione della produzione in alcuni Stati membri.
Attualmente le importazioni di riso superano le 500.000 tonnellate, pari al 30
per cento della produzione comunitaria, e circa il 40 per cento avviene a
tariffa zero o agevolata. Questo il quadro, non certo completo, dei guai che la
politica dell'Unione europea ha provocato all'agricoltura italiana, e non ho
citato soltanto l'agrumicoltura, che pure mi sta profondamente a cuore e che
vivo ogni giorno tra i miei concittadini della provincia di Catania che, come
quelli delle altre provincie agrumicole, sono ridotti a reddito zero per le
importazioni senza tasse di 650.000 tonnellate di agrumi (esattamente il 65 per
cento della produzione siciliana) concesse - lo sottolineo ancora una volta -
dall'Unione europea ai Paesi rivieraschi del Mediterraneo. E su questa strada
purtroppo si continua; è di questi giorni la notizia della richiesta di mandato
negoziale, avanzata dalla Commissione europea, per la revisione dei protocolli
agricoli degli accordi con il Marocco, la Tunisia e Israele. Si ipotizza, come
ricorda la Confagricoltura, una ulteriore e pesante riduzione della preferenza
comunitaria, con particolare riferimento ai pomodori, all'olio di oliva e
all'ortofrutta. Signor Presidente, unisco la mia richiesta a quella del mondo
agricolo affinché il rinnovo degli accordi euromediterranei, come di altri
accordi con Paesi del terzo mondo, venga sospeso sino alla conclusione del
Millennium Round. Del resto, quanto sopra è in linea con il parere espresso
dalla 9ª Commissione agricoltura del Senato e ringrazio il senatore Bedin per
aver voluto accettare la mia proposta di inclusione nel parere che al punto 3,
relativamente alla partecipazione dell'Unione europea e dell'Italia alla
trattativa sul commercio mondiale, ritiene indispensabile, in primo luogo,
l'opportunità che, in relazione alla stipula di accordi bilaterali tra l'Unione
europea e i Paesi terzi, sia prevista una sospensione dei negoziati finché non
si chiudano le trattative in corso relative all'organizzazione mondiale del
commercio e al Millennium Round. In secondo luogo, la conferma dell'impegno del
Governo a valutare attentamente le ricadute sul comparto agricolo degli accordi
commerciali dell'Unione europea con i Paesi terzi, in particolare per quanto
riguarda il settore agricolo, in coerenza con gli impegni assunti con gli
strumenti di indirizzo, approvati dall'Assemblea del Senato nella seduta del 4
febbraio 1999. Per sua scienza e conoscenza, signor Presidente del Consiglio, le
ricordo che il documento di cui sopra è una risoluzione, presentata dal Polo e
approvata dall'Assemblea del Senato all'unanimità con il parere favorevole del
Governo, che, tra l'altro, afferma di impegnare il Governo a non considerare la
possibilità di stipula di accordi internazionali e di nuovi accordi stilati
direttamente dalla Comunità europea, che prevedano importazioni di prodotti
dell'ortofrutta (in particolare agrumi) sino a quando non sarà superata la
crisi nazionale del settore; e a sottoporre al parere della Commissione
parlamentare agricoltura, in via preventiva, le ipotesi di accordi
internazionali che interessino la commercializzazione di prodotti agricoli da e
per la Comunità economica europea, con particolare riferimento ad accordi che
prevedano l'immissione di prodotti agricoli extracomunitari nei mercati
dell'Unione europea. Sono anche grato al senatore Bedin per aver messo in
evidenza, sempre nel parere della 9ª Commissione del Senato, l'esigenza di
trasferire risorse finanziarie dagli aiuti all'industria agli aiuti diretti ai
produttori agricoli, esigenza sostenuta da sempre da parte di Alleanza
Nazionale. Purtroppo debbo constatare che l'attenzione dedicata ai temi di cui
sopra è scomparsa o si è molto attenuata nella proposta della Giunta per gli
affari delle comunità europee, dove si parla specificatamente di agricoltura
solo nei punti 6 e 8. Al numero 6 si propone di impegnare il Governo ad
affrontare in modo tempestivo ed efficace le sfide che investono i settori
dell'agricoltura e della pesca in conseguenza del processo di globalizzazione,
considerando, oltre i settori riportati nel programma legislativo per il 2000,
anche il comparto agrumicolo e dell'ortofrutta e ponendo particolare attenzione
alle ricadute sull'agricoltura degli accordi commerciali con i Paesi terzi e dei
negoziati sul commercio mondiale. Al punto 8, si impegna il Governo a
sollecitare, nel quadro della politica di tutela dei consumatori, l'adozione di
norme più precise sulla garanzia d'origine e della qualità del prodotto, con
particolare riferimento alla protezione delle indicazioni geografiche e delle
denominazioni d'origine, nonché alla organizzazione di alcuni mercati, tra cui
quello dell'olio d'oliva. Considerazione ed impegni che ci trovano consenzienti,
ma che riteniamo insufficienti per garantire i produttori italiani, a nome dei
quali, riteniamo a pieno titolo, manifestiamo la nostra contrarietà alla
politica fin qui seguita dall'Unione europea in agricoltura e a quella che si
profila all'orizzonte, grazie anche ad una presenza debole e rinunciataria,
quando non assenteista, dei Governi di centro-sinistra succedutisi in questi
anni. (Applausi dal Gruppo AN). PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore
Andreotti. Ne ha facoltà. ANDREOTTI. Signor Presidente, signor Presidente del
Consiglio, colleghi, spesso, specialmente in Commissione, ci lamentiamo perché
l'Assemblea dedica non molto tempo alla politica esterna (uso questo aggettivo
perché la politica comunitaria non è politica estera), però di fatto molti
colleghi, anche fra quelli che si lamentano, quando invece, come oggi, ciò
avviene, con un'ampia relazione del Presidente del Consiglio e del senatore
Bedin, a nome della Giunta per gli affari delle Comunità europee e con
interventi dei rappresentanti dei vari Gruppi, sono impegnati altrove. Spero
comunque che si possa realizzare quanto è stato chiesto al Ministro degli
affari esteri: dedicare, presso il Ministero o in uno dei due rami del
Parlamento, un'intera giornata per discutere in profondità, insieme alle due
Commissioni affari esteri ed ai parlamentari italiani al Parlamento europeo,
tutta la tematica oggetto della conferenza intergovernativa sulla riforma
istituzionale. Questa proposta mi sembra più utile di quanto auspicato poco fa
da un collega che ha suggerito di svolgere un dibattito Ministero per Ministero,
invitando, cioè, i singoli Ministri a discutere con il Parlamento gli aspetti
dell'influenza, sul proprio settore, delle modifiche che la conferenza
intergovernativa può portare; a mio parere si determinerebbe un calendario non
concepibile e quindi forse la mia proposta, più pragmatica, può essere utile.
Ho sottoscritto la mozione che è stata stilata dal senatore Migone, presidente
della 3ª Commissione, che ne è il primo firmatario, e pertanto posso limitarmi
a pochissime considerazioni. Quando discutiamo questi problemi ci muoviamo
sempre su una duplice linea: da un lato, dobbiamo prendere atto di tutto quello
che vorremmo fosse fatto o fosse stato fatto di più; dall'altro, però, non
dobbiamo dimenticare mai - come ha poc'anzi ricordato il presidente Scalfaro -
tutto quello che si è realizzato, il cammino compiuto. È vero, alcune volte
l'Unione, come tutte le strutture, può volare alto, mentre altre volte deve
volare basso, ma servono entrambe queste metodologie. In alcuni momenti vorremmo
che si riprendesse un volo alto; esemplificando, in questi giorni, seguiamo con
attenzione il nuovo incontro di Camp David, per valutare se si trova una via di
uscita dalla stretta del prossimo mese di settembre in merito ai problemi dei
palestinesi: non possiamo, però, evitare di guardare con una certa nostalgia
all'intensità con cui una volta l'allora Comunità si occupava di questi
problemi. Nella dichiarazione di Venezia del 1980, proposta dai ministri
Genscher e Colombo, la Comunità per prima fissò la necessità di una
soluzione, attraverso un negoziato, del problema palestinese: era il periodo in
cui Arafat veniva ancora considerato un terrorista, non aveva il visto per
recarsi in America, alla sede delle Nazioni Unite, e non vi era neanche una
concordia generale tra le forze politiche italiane. Dopo essere venuto qui a
Roma nel 1982, in occasione della Conferenza dell'Unione interparlamentare,
finalmente si sbloccò la situazione, e successivamente non solo ha ottenuto il
visto, ma gli Stati Uniti, sulla base della preparazione fatta ad Oslo, hanno
assunto una parte attiva sulla questione palestinese. Nessuno nega che questa
attività degli Stati Uniti sia indispensabile; credo però che l'Unione europea
non debba dimenticare il passato, non per rivendicare primogeniture, ma per
rivendicare quello che è un suo ruolo indispensabile, complementare, se si
vuole, a quello degli Stati Uniti, per la soluzione di questo problema che
certamente non vede, come tale, una soluzione vicina. Vorrei anche rispondere al
senatore Cusimano, che ha parlato dei problemi dell'agricoltura, sottolineando i
danni arrecati all'agricoltura italiana dalla politica comunitaria. Dobbiamo
riconoscere che senza la politica comunitaria l'agricoltura italiana, in un
libero mercato, sarebbe in assoluto in condizioni molto più difficili, e questo
credo che nessuno possa obiettivamente contestarlo, anche se qualche volta,
certo, ci sono alcuni aspetti che non fanno piacere. Non a caso è rimasto fermo
per mesi e mesi, anzi, forse per più di un anno, il provvedimento di ratifica
dell'Accordo che l'Unione - perché oggi è l'Unione che stipula gli accordi
esterni - aveva concluso con il Marocco. Ma ciò è un po' strano rispetto al
fatto che in Parlamento la mattina ci commuoviamo tutti per i Paesi che sono
indebitati; Paesi che una volta si chiamavano sottosviluppati, mentre adesso
siamo più gentili e li chiamiamo in via di sviluppo. Dobbiamo coerentemente
guardare al complesso di questi rapporti. Un'altra breve osservazione. Dopo una
stagione che è stata a lungo caratterizzata da quello che si chiamava
"europessimismo", abbiamo registrato invece la volontà di entrare
nell'Unione, e di fatto l'accrescimento da sei a quindici Paesi di questa
realtà sta a significare che si tratta di qualcosa di positivo. C'è solo da
fare un'osservazione, non per bloccare il processo di allargamento, ma per
rendersi bene conto, e prendere quindi le misure necessarie e i
controbilanciamenti, di che cosa questo significherà. Con una certa abilità è
stato, direi, scavalcato lo schema esistente prima dell'arrivo di Prodi, secondo
cui c'erano Paesi in anticamera ma vicini, Paesi in anticamera un poco più
lontani e Paesi ancora fuori dell'anticamera: adesso si sono messi tutti sullo
stesso piano. Questo ha consentito, anche grazie all'adesione della Grecia, di
inserire tra questi Paesi aspiranti anche la Turchia, con tutti i problemi che
ciò comporta. Ipotizziamo che si arrivi davvero a questa forte aggiunta
numerica, territoriale e qualitativa di Paesi: che succederà degli altri? Noi
ci siamo preoccupati in passato che la Comunità non apparisse un qualcosa di
chiuso, tant'è vero che ci sono molti documenti della stessa Comunità con cui
si reagiva a chi la considerava una fortezza: ma per reagire, significa che
c'era qualcuno che di fatto la pensava così. Sotto questo aspetto anche
quell'aggettivo che è orrendo, e che noi usiamo, di "extracomunitari"
ha qualcosa di spocchioso, di disumano, e veramente vorrei che fosse cancellato
dal nostro vocabolario corrente. Ma tra quegli altri Paesi ci sono quelli dei
Balcani, i quali difficilmente raggiungeranno le condizioni obiettive per essere
considerati tali da poter aspirare ad un ingresso nella Comunità. E sono
proprio quei Paesi dove, in particolare, l'esistenza di etnie plurime ha creato
e sta creando i problemi che tutti conosciamo. Ma c'è di più. Qual è la
posizione, direi filosofica, che si assume nei confronti della Russia? La
questione non è di oggi, e ciò vale anche per l'allargamento della NATO. Non
entro nel merito del problema, ma quando si parla in connessione con i problemi
del rafforzamento dell'Unione, del capitolo della difesa e della sicurezza esso
andrebbe discusso a fondo. Tra l'altro, per progettare bene un programma di
sicurezza devo sapere da chi prevedo che tale sicurezza possa essere posta in
discussione. Sono state prese delle decisioni (il G7 è diventato G8, c'è il
partenariato per la pace e così via), ma questo problema sorge, e, visto che
non è un problema da risolvere domani mattina, nel momento in cui si pensa
veramente a questa dilatazione della Comunità non possiamo non porcelo. Non è
un paradosso: o si ritiene che anche la Russia (mi riferisco a quella europea)
possa far parte di una Unione, certamente nell'ambito di una revisione anche
delle regole di carattere generale, oppure dobbiamo non abbandonare il timore
che possa esserci da parte di una Russia che consideri negativamente questo
processo di vario allargamento un tentativo, per esempio, nei confronti di
alcuni Paesi (non la Svizzera, che non vuole entrare nell'Unione europea, ma di
quelli che volendo entrare non possono farlo) di creare una specie di gruppo di
"Paesi non allineati" (come si chiamavano una volta, che poi non erano
allineati solo parzialmente). La terz'ultima osservazione riguarda la questione
delle due velocità. Non è un fatto nuovo. Già dai tempi del "rapporto
Tindemans" si discuteva delle due velocità. Guardiamo al problema,
distinguendo le condizioni di fatto da quella che invece deve essere
un'enunciazione di politica di carattere generale. In effetti, esistono già due
velocità: ci sono Paesi che sono nella moneta unica, altri che rientrano nel
Trattato di Schengen. Ciò già esiste e non è di per sé un fatto nuovo.
Però, stiamo attenti. Vi è un articolo della nostra Costituzione che non
dobbiamo mai dimenticare. L'articolo 11 recita: "L'Italia (...) consente,
in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità
necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le
Nazioni". Non è una enunciazione che possa consentirci, anche nell'ambito
dell'Unione - a mio avviso - di accettare non qualcosa di già fatto (questo non
determina un allarme di carattere particolare) ma una concezione nuova che possa
contemplare l'esistenza di Paesi di Serie A o di Paesi di Serie B. Lo dico non
perché questo sistema è cattivo, se noi non facciamo parte della Serie A, ma
perché è un modo sbagliato - secondo me - di concepire l'avanzamento della
Comunità: che sia fatto pure a piccoli passi, per gradi, ma c'è sempre stato
questo problema, che, del resto, si pone. Prima il collega Jacchia ha ricordato
una frase, che certamente è piuttosto inquietante, anche presa alla lettera,
del discorso al Bundestag del presidente Chirac, che diceva: Noi soli, noi
Francia, noi Germania. Ricordo che, in una di quelle sere in cui si tenevano
riunioni con ospiti stranieri, intervenne il governatore della banca tedesca
Tietmeyer per parlare della non ancora sicura all'epoca, ma quasi imminente,
decisione sulla moneta unica. Alla domanda di un collega, il senatore Caputo,
che gli chiese: quanti Paesi fossero necessari perché la moneta unica potesse
decollare, egli rispose: "Due certamente: il mio e la Francia". Per
ospitalità, avrebbe anche potuto aggiungere un terzo Paese. Ora, però, queste
concezioni dobbiamo respingerle. D'altra parte, in un momento in cui la Francia
indebolì la sua presenza comunitaria e rimase fuori dal tavolo, noi avemmo
tutti pazienza e aspettammo che si ricredesse. La Francia poi ritornò al tavolo
comune. Quindi, non dobbiamo preoccuparci troppo di questioni che, qualche
volta, possono avere anche un senso di politica interna oltre che di carattere
più generale. Sotto questo aspetto, e ho pressoché finito, deve essere
impostata bene - e nella mozione del collega Migone che, come ho detto, anch'io
ho firmato, ciò viene fatto - la questione che è sul tappeto, ossia quella
dell'unanimità del diritto di veto. Stiamo attenti, perché finora, tutto
sommato, ciò non ha mai portato a grandi difficoltà. C'è stato, sì, qualche
momento in cui non si è potuto camminare insieme. L'esempio più tipico è
quello della Carta sociale, che non si poté adottare come documento della
Comunità, perché il Governo inglese, allora presieduto dalla signora Thatcher,
riteneva che i problemi sociali fossero problemi nazionali e non comunitari,
anche se poi nel merito probabilmente la loro legislazione era già abbastanza
avanzata. Non abbiamo avuto altri momenti di difficoltà, quindi - ripeto -
bisogna meditare bene sull'argomento, vedere cosa questo significhi e come possa
essere strutturato, in modo che non rappresenti poi una mina che potrebbe avere
gravissime conseguenze. La penultima osservazione riguarda le conferenze
intergovernative in corso, le cui conclusioni, naturalmente, necessitano delle
ratifiche di tutti i Paesi. Sotto questo aspetto, bisogna stare molto attenti a
non creare motivi di reazione popolare in alcuni Paesi. Non ho difficoltà a
dire che mi sembra, per esempio, che l'atteggiamento del nostro Governo sia
stato molto più prudente di quello di altri Paesi nei confronti di una
situazione difficile che c'è in Austria, situazione che va ben analizzata.
(Applausi del senatore Gubert). Questo perché in fondo era stato chiesto ad un
partito di appoggiare un Governo dall'esterno, ma poi non lo ha fatto. Io non
discuto, tuttavia mi sembra un problema molto delicato. In proposito, ricordo
l'amarezza e la reazione che noi avemmo quando nel 1976, non in sede
comunitaria, ma in sede più ampia, ricevemmo una diffida, oratore il
cancelliere Schmidt, da parte di quattro Governi, quello americano, quello
inglese, quello tedesco e quello francese, a non cambiare politica e a non
accettare quel che ormai era deciso ed inevitabile, per evitare un tracollo
generale della nostra nazione - diciamolo in termini propri - cioè il voto dei
comunisti. Di questo si trattava. Dopo alcuni mesi, lo stesso cancelliere
Schmidt fece una dichiarazione in cui ricordò quel momento che diede una grande
amarezza al nostro Governo. Non vorrei che si creassero degli equivoci; la
regola della Comunità, e oggi dell'Unione, è quella di un'assoluta integrità
nei confronti delle regole democratiche degli ordinamenti (nessuno pensò che
potesse entrare la Spagna di Franco nell'Unione europea); questo è assoluto,
bisogna però stare molto attenti circa eventuali interferenze nelle vicende di
un Paese. Ultima osservazione. Ricordiamoci che non esiste solo l'Unione
europea; esiste anche una struttura molto importante, l'Organizzazione per la
sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE), che non ha molta vivacità, che è
rimasta sempre in un binario in un certo senso di serie minore; che nacque,
però, dall'Atto di Helsinki nel 1975 e che anche adesso rappresenta una
struttura nella quale sono presenti tutti i Paesi dell'Europa. E anche l'anno
scorso, nella riunione dei Capi di Stato e di Governo ad Istanbul, si parlò
anche della creazione di una polizia europea, che se tra l'altro, ci fosse
stata, avrebbe evitato il coinvolgimento, anche giuridicamente un po' equivoco,
della NATO in problemi come quelli che sono stati poi affrontati. Il presidente
Scalfaro prima ha ricordato le origini di questa realtà europea. Oggi possiamo
avere una grande soddisfazione, lasciatemelo dire. Ogni tanto si parla del
passato come qualcosa che deve essere dimenticato. C'è invece qualcosa di
solido, e sono le cose più importanti di questo passato che dobbiamo
rivendicare. Dobbiamo riconoscere positivamente che man mano si è accresciuto
il consenso nei confronti di quello che all'inizio fu un grave punto di
contraddizione: la Comunità sembrava un elemento di ostilità rispetto ad una
determinata concezione non solo internazionale ma anche di carattere interno. Il
fatto che oggi tutti domandino, anzi, di fare di più, rappresenta non
un'effimera soddisfazione, ma la constatazione che sulle cose essenziali la
nostra Nazione sa al momento giusto - magari qualche volta con due o tre
velocità - trovare una concordia, e questo non può che essere di grande
soddisfazione.(Applausi dai Gruppi PPI, DS, UDEUR, FI e Misto-Com e dei senatori
Lorenzi, Gubert, Jacchia e Papini). PRESIDENTE. È iscritto a parlare il
senatore Manzella. Ne ha facoltà. MANZELLA. Signor Presidente, signor
Presidente del Consiglio, colleghi, credo sia giusto il rilievo ambientale
appena fatto dal presidente Andreotti. Oggi, però, è ugualmente una buona
giornata parlamentare, per la semplice ragione che questo nostro dibattito è la
prosecuzione, attenta e coerente, della grande discussione che si è aperta,
dappertutto in Europa, sul futuro dell'Unione, sulla sua ragione sociale, sui
suoi stessi confini. Ci siamo, cioè, inseriti in una discussione politica
corale che già di per sé attesta l'esistenza di quello spazio pubblico
europeo, che molti ancora si ostinano a negare contro molte evidenze, forse
perché ben capiscono - e temono - che quello spazio è l'elemento fondante
originario di qualsiasi processo costituzionale democratico. Da questo punto di
vista, si può dire, insomma, che questo dibattito europeo, nel suo stesso denso
svolgimento, stia già realizzando la sua prospettiva principale (com'è quasi
destino nella nostra società della comunicazione). E, tuttavia, di per sé, un
dibattito di ingegneria istituzionale, qual è quello attuale prevalente, non
esaurisce la visione sui fini d'Europa. Cioè la riflessione su quelle politiche
fondamentali per la cui attuazione si devono predisporre strumenti, procedure,
modelli istituzionali. È su questi orizzonti concreti che si devono coagulare
attenzione e passione dei popoli d'Europa. Sono solo queste vicine frontiere che
possono battere in breccia le forti retroguardie dei nazionalismi, le
comprensibili resistenze sulle configurazioni istituzionali nazionali. Quali
sono queste politiche? Vi è innanzitutto la prospettiva di fare dell'Unione il
soggetto capace di parlare al mondo in nome di un intero continente, portandone
avanti il punto di vista geopolitico, il punto di vista geoeconomico. Questo
sarà possibile solo con la riunificazione dell'Europa; con l'estensione della
cittadinanza europea ai popoli dell'Est; con la ricomprensione dei Balcani nel
perimetro dei diritti e della pax europea. Lei lo ha detto, signor Presidente
del Consiglio, questo non è un male cui porre rimedio: ma una necessità e
un'opportunità da sfruttare con riforme istituzionali che abbiano, come intima
causa giuridica e politica, l'integrazione e non la sospettosa separatezza. I
problemi essenziali di costruire partenariati, leali e credibili, con la Russia
e gli Stati Uniti devono essere tenuti presenti, ma non come freno a questa
necessità primaria. Vi è poi il vincolo di fare dell'Unione - come già dicono
i trattati - una koiné di libertà e di diritti fondamentali condivisi. La
felice intuizione del vertice di Colonia di affidare questo compito ad un organo
straordinario comprensivo di tutte le anime dell'Unione - quella sovranazionale,
quella nazionale, quella intergovernativa - dovrebbe dare a questa Carta una
base di legittimazione piena e indiscussa. Dico dovrebbe perché molte sono le
resistenze che nascono dal timore che la creazione di un nucleo costituzionale
classico - regolatore del rapporto tra cittadini e potere pubblico europeo -
possa ancora di più esaltare questo e logorare l'idea dello Stato nazionale,
prestatore di protezione di ultima istanza dei diritti fondamentali. Su questo
terreno, signor Presidente del Consiglio, l'impegno del nostro Governo ai
vertici europei di Biarritz e di Nizza dovrà essere deciso: sia per l'adozione
di una Carta comprensiva delle varie generazioni di diritti sia per stabilirne
quel grado di efficacia compatibile con l'attuale stato delle giurisdizioni
europee. A Nizza, signor Presidente, a quel che dicono i navigatori di internet,
si prepara un concorso di associazioni varie e agguerrite, interessate alla
difesa dei diritti, una specie di Seattle. E il Governo italiano deve essere
pronto a rispondere se non alle prevedibili rumorose manifestazioni, certo a
quel fondo esigente di questa idea di Unione costituzionale, popolarmente
espressa. Vi è, infine, e come riassuntivo delle altre politiche di fondo, il
vincolo di risposta della politica europea ai nuovi poteri apolitici e apatridi
del mondo; i poteri che non conoscono frontiere né nazionali né continentali.
Sono: il potere vertiginoso della scienza che sta oltrepassando, nel bene e nel
male, le frontiere della vita. Il potere della concentrazione dei mezzi di
comunicazione, in intrecci strumentali e produttivi che sempre più schiacciano
ogni diversità culturale, ogni esigenza di ascolto pluralistico. Il potere del
capitale "mordi e fuggi", capace di desertificare vocazioni
produttive, insediamenti lavorativi, gradualità di sviluppi territoriali. Sono
queste le nuove prepotenze del mondo cui deve far fronte una tranquilla potenza
europea con la sua capacità di ricostruzione e di difesa del suo modello
sociale, con la sua capacità di innovazione scientifica e produttiva, con la
sua capacità di decisioni politiche di riequilibrio. Signor Presidente, è per
queste politiche concrete e per le altre che ad esse sono consequenziali che
servono la saldezza istituzionale europea e una trama di sviluppo delle nostre
istituzioni, per le quali - convengo con lei, signor Presidente del Consiglio -
è certo opportuna la distinzione dei tempi. Vi è un primo tempo.
L'appuntamento di Nizza è pregiudiziale a tutto il resto. Se fallisce tale
appuntamento, noi, come Mercuzio, stiamo parlando di niente. A Nizza il capitolo
maggiore, accanto a quello delle capacità decisionali, è certo quello delle
"cooperazioni rafforzate", quelle cooperazioni che non vanno confuse
con i nuclei duri e le avanguardie, semplicemente perché questi sono figli di
quelle, nel senso che gli "avanguardisti" potrebbero essere solo quei
Paesi membri che partecipano a tutte le cooperazioni rafforzate
"normali", per così dire. Quindi, possiamo ammettere un'avanguardia
di risultati, non un'avanguardia di risulta, un'avanguardia di destino. Le
cooperazioni normali rafforzate però sono, devono essere difese come ordinari
strumenti di integrazioni funzionali dell'Unione, anticipate nel tempo da un
gruppo di Stati. Non è una rottura, ma una accelerazione. È l'opposto esatto
della frammentazione dell'Unione. Per questo motivo è consigliabile che a Nizza
l'accento non vada posto soltanto sulla necessità di superare gli attuali e
insopportabili vincoli al meccanismo di apertura di quelle cooperazioni. È
necessario che l'accento vada posto su regole di funzionamento interno di questo
tipo di cooperazioni. E in queste regole, due sono le norme fondamentali: la
norma dell'apertura permanente dei gruppi a più forte integrazione - che siano
perciò gruppi di inclusione e non di esclusione - e la norma del rispetto del
quadro istituzionale unico di cui parla l'articolo 3 del Trattato dell'Unione.
Parlamento, Commissione, Corte di giustizia, Consiglio devono costituire il
quadro in cui si inseriscono sia le avanguardie, sia le retroguardie, sia il
gruppo di centro. Attenzione però: il governo delle diversità è il destino
inevitabile dell'Europa riunificata, anche per via dei periodi transitori di cui
lei ha parlato, signor Presidente del Consiglio, o dei due tempi di cui ha
parlato il senatore Migone. Allora, se con le cooperazioni rafforzate si fa
flessibile la struttura interna dell'Unione, dovrà corrispondere un eguale
grado di flessibilità nel funzionamento delle istituzioni di governo
dell'Unione. Già oggi ha assunto questo assetto a geometria variabile il
Consiglio dei ministri economici, cioè Ecofin ed Euro 12, che sono formazioni
che convivono nella diversità monetaria. C'è poi il secondo tempo, signor
Presidente, in cui si annidano le difficoltà culturali a concepire un
ordinamento senza Stato e una Costituzione senza Stato, così come l'Unione
europea si va lentamente costruendo. Si tratta di un impasto non ancora
identificato, per parafrasare Jacques Delors, in cui l'intergovernativo non è
il male assoluto, come il comunitario non è il bene assoluto, se è vero che
l'intergovernativo ha gli scatti di genialità e di rottura che ha avuto a
Colonia, a Tampere, a Lisbona e persino a Feira (se appena appena si legga il
documento sulla difesa comune adottato in quella sede) e se è vero che il
comunitario può dar vita ad un pasticcio come quello che Governo e Commissione
hanno combinato assieme ai tempi della crisi Santer. Signor Presidente del
Consiglio, mi consenta di esprimere due osservazioni che prendono spunto non
tanto dal suo discorso pronunciato stamani quanto dal generale dibattito che si
è aperto nello spazio pubblico europeo e al quale anche lei autorevolmente ha
partecipato sulla stampa internazionale. La prima osservazione riguarda
l'impossibilità di una concezione completamente lenticolare, per insiemi
separati dell'Unione. Vi è, vi deve essere fra questi insiemi, fra queste
cooperazioni, fra queste politiche un tessuto connettivo fatto di princìpi e di
piloni che sorreggono la rete di questo mai visto ordinamento. E questa
organizzazione di insieme è ciò che l'articolo 3 del Trattato chiama
"quadro istituzionale unico". Oltre che alla flessibilità strutturale
dell'Unione, alla sua diversificazione interna, è bene quindi che noi guardiamo
soprattutto alla capacità di flessibilità delle istituzioni di quadro:
Parlamento, Corte di giustizia, Consiglio dei ministri, Commissione. Credo che
l'approccio giusto debba essere questo. Le polemiche indirizzate al presidente
Chirac, in nome delle prerogative della Commissione, su quella sua idea di un
"segretariato" dell'immaginato "gruppo pioniere", sembrano,
ad esempio, fuori luogo. Nessuno vieta che sia la Commissione stessa a fornire
quel "segretariato", così come è la Commissione a fornire già oggi
la base strumentale di quella cooperazione rafforzata che si chiama Euro-12, su
cui sta crescendo - dopo le ultime iniziative, apparentemente di ordinaria
amministrazione, della Presidenza francese - un vero nucleo di governo
economico, con le competenze di autentica "programmazione liberale"
che il Vertice di Lisbona ha assegnato all'intera Unione. La seconda
osservazione riguarda le idee di federalismo e di costituzione. Sarebbe davvero
strano e innaturale che cinquant'anni di Unione europea, l'unica vera storia di
successo del costituzionalismo del Novecento - e qui condivido quanto, con
giusto orgoglio, hanno ricordato i presidenti Scalfaro e Andreotti - avessero
lasciato immutate quelle due idee gemelle partorite dalla concezione di Stato.
In realtà quelle idee sono profondamente mutate nella coscienza comune,
nell'esperienza giuridica che ogni giorno facciamo nell'Unione. Dove viviamo
già una vita federale ed una vita costituzionale, che abbiamo il dovere di
assecondare nella loro novità, nella loro fertilità istituzionale. E tuttavia
noi di quelle idee simbolo, della loro carica emotiva, della loro capacità di
chiamata abbiamo ancora bisogno. E poiché ogni bisogno politico è anche
realtà, noi non possiamo non dirci "federalisti", consapevoli
dell'intensità semantica del processo federativo, come unica forma moderna
dell'unità, secondo l'intuizione di Daniel Elazar. Noi non possiamo rinunciare,
così come ha fatto il Presidente della Repubblica a Lipsia, a chiedere una
"costituzione europea": non solo nel senso di riordino
"cartista", secondo l'eccellente lavoro dell'Istituto universitario
europeo di Firenze, ma anche come mito che parla ancora nei classici termini di
costruzione del potere pubblico europeo e, insieme, di limitazione di quel
potere in nome delle comunità di destino - gli Stati, le regioni, i comuni - e
dei cittadini europei che le popolano. (Applausi dai Gruppi DS, PPI, UDEUR e
Verdi e dei senatori Jacchia e Scalfaro. Congratulazioni). PRESIDENTE. Dichiaro
chiusa la discussione. Ha facoltà di parlare il Presidente del Consiglio dei
ministri. AMATO, presidente del Consiglio dei ministri. Signor Presidente, la
mia sarà una replica - spero breve - in questa giornata che ritengo utilissima
per il Paese e non soltanto per i presenti. Non ha importanza se siamo in tanti
o in pochi; in genere si è in pochi, senatore Andreotti, in questi dibattiti,
ma conta lo spirito che li anima, le idee che vi circolano, la passione che si
suscita, i propositi che vengono enunziati. L'Italia ne aveva bisogno e, quindi,
sono grato al Senato. Di sicuro l'iniziativa del Governo sarà rafforzata; di
sicuro - credo - ci siamo capiti di più, anche perché, se mi permettete un
paragone irriverente, siamo coloro che vivono d'Europa, non molto diversi da
quegli specialisti di settore nell'area dell'assistenza sociale che sono in
genere intolleranti di chiunque faccia la stessa cosa con criteri diversi dai
loro. Noi in qualche modo, come tutti coloro che hanno passione per qualcosa,
partecipiamo anche di questa sorta di integralismo della propria bussola. Ma
l'importante è che questa bussola vi sia; l'importante è che quelli che sono
qua siano coloro che da anni hanno l'Europa tra le proprie bussole. A volte
l'abbiamo in modo diverso, ma ciò che conta è che la vogliamo costruire, che
vogliamo abbia un'anima e una sostanza politica. A volte chiamiamo le stesse
cose con nomi diversi, perché ciascuno di noi è affezionato ad un nome, ad una
storia, ad una interpretazione della storia. Io eviterei le discussioni in
termini di principio. Mi attirano, perché tante volte ho sentito chiamare la
prudenza "mancanza di coraggio". Suggerirei una rilettura di
Machiavelli che, nel modo forse più realistico, aiuta a distinguere tra queste
due virtù o non virtù (non lo so, ora non voglio entrare nel merito). Ma non
vi è dubbio che, appunto, a volte è questione di pazienza e quest'ultima non
è assenza di disegno. Come diceva giustamente il senatore Manzella, c'è un
prima e c'è un dopo. Io dalla politica ho imparato che il tempo ha una
dimensione cruciale, non inferiore a quella della bontà delle idee nel renderle
praticate anziché predicate. Vi è il dilemma-non dilemma, che ho cercato io
stesso stamani di mettere davanti alla vostra attenzione, citando non me stesso
ma Enrique Baron Crespo: scalpellini o architetti, avendo concluso che lo
scalpellino deve avere il disegno e che il disegno ha bisogno dello scalpellino.
Su questo siamo tutti d'accordo, poi ci sarà chi si sente più scalpellino e
chi più architetto; è un problema di mansionario. Non potrei fare altro che
andare a grandi citazioni. Ho usato più volte una citazione di Altiero
Spinelli. L'altro ieri ne ho fatta leggere una a sua figlia in modo astuto;
gliel'ho messa davanti, con il nome dell'autore nella pagina dietro, quindi lei
prima ha letto l'intera citazione, poi ha scoperto che era di suo padre. Era uno
scritto di Altiero Spinelli del 1979, "La mia idea di Europa". Eravamo
in tempi che ancora dovevano partorire il coccodrillo; quindi, non era uno
Spinelli calante, ma ancora vigoroso, che però aveva già una lunghissima
esperienza di Europa. In quella occasione egli affermava che l'Europa che stiamo
costruendo è il punto d'incontro tra l'utopia dei federalisti ed il pragmatismo
degli uomini di Stato. L'utopia dei federalisti si sarebbe tradotta in niente
senza il pragmatismo degli uomini di Stato ed il pragmatismo degli uomini di
Stato non sarebbe andato da nessuna parte senza quell'utopia. Nel suo bellissimo
discorso di Lipsia, il presidente Ciampi, nel dire che la forza di un'idea può
essere inarrestabile, può trasformare miraggi in ben definite mete, ha subito
dopo citato Schuman e De Gasperi. Questi ultimi dicevano che l'Europa si farà
per realizzazioni concrete, creando intanto una solidarietà di fatto. Allora,
fermiamoci su questo ed evitiamo di dividerci fra di noi su chi tira più da una
parte o dall'altra. Entrambe le parti sono coessenziali, lo sappiamo, e ci
saranno coessenziali agli appuntamenti che abbiamo davanti. Di fronte a noi c'è
un ordine del giorno di una Conferenza intergovernativa che è già fissato, è
quello, non è destinato a mutare nei prossimi mesi e cambiamenti maggiori
potranno avvenire se esso sarà esaurito. Quell'ordine del giorno ha a che fare
con il passaggio nelle aree, le più numerose possibili, dal voto unanime al
voto a maggioranza; con il diverso assetto della Commissione; il voto ponderato
in Consiglio dei ministri; la procedura senza veto di alcuno per l'immissione
nelle cooperazioni rafforzate aperte; il destino di una Carta dei diritti, che
nel frattempo sarà stata scritta, e poi forse anche altro. Il presidente Chirac
a Feira ha voluto che togliessimo dal comunicato la previsione secondo cui la
Conferenza intergovernativa avrebbe lavorato in base al rapporto della
Presidenza, quale veniva consegnato per l'appunto a Feira, al fine di avere
maggiore libertà. Naturalmente, non appena il Presidente francese ha avanzato
questa richiesta, altri hanno osservato che ciò significa essere più liberi in
entrambe le direzioni, cioè in senso più ampio ed in senso più ristretto, e
ovviamente così è rimasto stabilito. In tal modo il futuro della Conferenza
intergovernativa è stato sganciato dal nutrito ordine del giorno che era stato
già definito. Ciò richiede da parte nostra un impegno a difenderne i contenuti
più ampi e ad avere una posizione forte e lungimirante su ciascun contenuto.
Sarà questa la posizione dell'Italia, assunta nella consapevolezza delle
affermazioni che sono state svolte in questa sede e delle quali vi ringrazio. Mi
ha fatto piacere ascoltarle perché credo molto all'Europa allargata come
un'Europa che riunifica se stessa anche se, al di là di questo passaggio,
dovremo poi discutere senza ipocrisia il problema del confine esterno
dell'Europa. Avrà pur da esserci, infatti, un confine esterno che si arresti
probabilmente prima della Corea del Sud, della Corea del Nord e della Malesia.
Al momento non abbiamo il coraggio di affrontare questo tema; c'è un prima e un
dopo, lo affronteremo dopo aver discusso delle questioni sulle quali si appunta
per ora la nostra attenzione. È importante condividere il senso
dell'allargamento: un'Europa allargata ha bisogno per ciò stesso di maggior
integrazione politica e ha bisogno di tutte le sue ispirazioni. Vi ringrazio di
aver rifiutato la banalizzazione di imputare al Presidente del Consiglio la
preferenza di un determinato asse piuttosto che di un altro. Non è proprio
così; ho sempre pensato che, se l'Europa si integra politicamente in più
direzioni, dobbiamo far sì che a tale integrazione partecipi il più possibile
anche il Regno Unito. Non è bene per l'Europa che il Regno Unito si sganci
dall'Europa stessa. Naturalmente la Gran Bretagna ha i suoi problemi, tende ad
arrivare in ritardo rispetto ai progressi dell'Unione e non vi è ragione di
aspettarla di volta in volta; vi è ragione a sollecitarla ad entrare quando,
per una serie di motivi, la locomotiva europea si è messa in moto e il treno è
già in corsa. È importante, per la concezione dell'Europa e per le sue
prospettive, evitare che il Regno Unito sia marginalizzato, anche nel nostro
stesso interesse. Il Regno Unito ha sempre esercitato nella storia un ruolo
innovativo rispetto all'Europa e in Europa, ed è un ruolo - è bene esserne
consapevoli - che può aiutare anche noi. Il problema non è costruire un asse.
È ancora possibile un'Europa che, allargandosi, viva sempre di una iniziativa
franco-tedesca? È una domanda legittima che - viva Dio - dobbiamo porci prima
di affrontare l'interrogativo sul confine dell'Europa. Ho il massimo rispetto
dell'asse franco-tedesco, che nella storia d'Europa ha assolto ad un ruolo
fondamentale. L'Europa non sarebbe nata senza la speciale relazione tra Francia
e Germania, figlia della diffidenza reciproca; relazione speciale che non è
nata da particolare amicizia, ma caso mai dal problema opposto e che per proprio
in ragione dell'esistenza del problema opposto ha indotto i due Paesi a cercare
in passato l'intesa reciproca in nome della pace, come ha affermato giustamente
il presidente Scalfaro. È verissimo quanto è stato ricordato in questa sede
circa il significato storico della CECA, embrione della nostra unità
istituzionale futura, che ha creato una comunità basata sulle miniere di
carbone e sulla produzione di acciaio, che avevano rappresentato il motivo
principale di due guerre. Su questo la storia successiva ha costruito una serie
di episodi nei quali dobbiamo, alla Francia ed alla Germania, i passi avanti che
l'Europa è venuta compiendo: dobbiamo a loro se si riempì la sedia vuota
lasciata da De Gaulle e se dopo la rottura degli accordi di Bretton Woods, con
lo sganciamento dall'oro del dollaro e quindi con la fluttuazione generalizzata
delle monete, nacque il serpente monetario prima e il sistema monetario europeo
poi, che sono la premessa di uno dei capitoli di unità europea più
spettacolare che siamo stati capaci di costruire. Pertanto è grande il rispetto
che ho e che merita l'asse franco-tedesco, che indiscutibilmente c'è stato. Non
penso che su quest'asse, però, possa continuare a costruirsi il futuro di
un'Europa destinata a diventare più larga e non più composta soltanto dalla
Mitteleuropa ed a comprendere Paesi nordici che ormai ne fanno parte; casomai -
loro sì - guardano più al Regno Unito che non alla Francia ed alla Germania.
L'Europa ha adesso un Sud molto forte, rappresentato da Grecia, Italia, Spagna e
Portogallo, che hanno loro interessi a cooperazioni rafforzate verso l'altra
sponda del Mediterraneo: per noi Paesi del sud Europa, infatti, il rapporto con
quell'area è forse più importante che non per altri. Vi è, infine, tutto
l'Est europeo, che ha bisogno di qualcosa di più largo. Chiaramente, fra le
posizioni che ho sentito simpatizzo maggiormente con quella del ministro
Fischer, ma la questione è, non per viltà, ma per prudenza, che oggi ho
all'ordine del giorno la Conferenza intergovernativa, con le sue porte strette:
io le voglio attraversare. Confido che, attraverso le cooperazioni rafforzate
che - se ci riusciamo - potremo costruire, daremo vita ad elementi che io chiamo
federali. Arriverà il momento che un passo successivo dovrà essere apertamente
promosso. Sono riuscito, per ora privatamente - non sto annunciando, quindi,
un'iniziativa o un risultato del Governo - a convincere amici britannici che il
modo migliore per controllare i confini esterni dell'Unione è costituire una
forza di polizia di confine multinazionale europea. L'ho detto e l'ho scritto
non tanto per liberare l'Italia dalle accuse che a volte mi vengono rivolte in
merito ad una capacità della polizia di confine che taluni giudicano
inadeguata, per i tanti chilometri di costa che dobbiamo difendere, ma pensando
ai Paesi che stanno per entrare nell'Unione, che hanno le polizie più deboli e
tecnicamente meno preparate di tutto il contesto europeo, ai quali affideremo,
una volta che saranno entrati, i confini dell'Unione, ossia i nostri. Non è
forse meglio, a garanzia di tutti, che quei confini siano presidiati da una
forza di polizia multinazionale federale europea? È una proposta che potrà
facilmente essere presentata ed approvata una volta che una cooperazione
rafforzata nel settore della sicurezza comune, del terzo pilastro, avrà
attraversato la porta stretta di Nizza e potrà avere evoluzioni ulteriori, fra
l'altro - badate - non soltanto in chiave di controllo, ma anche di garanzia del
diritto d'asilo. L'Europa minaccia di apparire una fortezza nei Paesi
dell'Europa centrorientale perché nell'ansia che abbiamo messo di rivelarci
all'altezza dell'accordo di Schengen e di garantire la sicurezza del confine
esterno, si chiudono le porte dell'Europa tanto ai clandestini quanto a chi
chiede asilo e ne ha diritto. Una delle violazioni più gravi dei diritti umani
di cui noi ci rendiamo corresponsabili è quella di vedere sbattuti fuori dai
confini, insieme a clandestini che spesso sono espressione di organizzazioni
criminali e che giustamente vengono tenuti fuori, cittadini di altri Paesi che
sono dei rifugiati, anzi dei rifugiandi, ai quali si nega questo status,
respingendoli ai confini esterni. Quindi c'è anche un problema di
professionalità di polizia; ma questo lo volevo citare esclusivamente come
esempio di passi che dobbiamo compiere avendo presente, certo, l'insieme e
avendo presenti anche le resistenze di cui noi stessi ci possiamo rendere
corresponsabili tutte le volte che facciamo passi avanti. Forse il presidente
Andreotti ha ragione nel dire che la procedura ipotizzata dal senatore Jacchia
può essere un po' lenta da realizzare in un'Aula parlamentare, quella cioè di
far venire un Ministro alla volta perché metta bene a fuoco costi e benefici di
una maggiore integrazione settore per settore; ma, insomma, è anche vero che
l'integrazione genera maggiore integrazione, e poi noi una volta restituiamo
quote latte, una volta restituiamo quote gasolio, ma certo è che questi
problemi tutti noi li abbiamo. Per non parlare della non restituzione della
lingua, perché ci avviamo tutti verso questa maggiore integrazione. La Germania
è in testa nel proporre un federalismo in lingua tedesca, e la nostra
controproposta è che vengano utilizzate tutte le lingue dell'Unione. Questo
garantirebbe naturalmente ai traduttori una certezza di lavoro futuro
nell'Unione europea, quale che debba esserne la sua forma giuridica. Quindi,
l'attenzione a non gettare il cuore oltre l'ostacolo, perché a volte questo
serve soltanto a misurare l'altezza dell'ostacolo più che a superarlo, è
sempre bene mantenerla. C'è un problema di educazione collettiva, di cultura
collettiva, di far quadrare interessi ed interesse superiore. L'Europa ha
vissuto i suoi grandi momenti negli anni passati tutte le volte che conflitti
tra interessi nazionali, anziché essere risolti attraverso pure compensazioni
di interessi nazionali, sono riusciti a realizzarsi mediante una soluzione
europea. Allora gli interessi nazionali hanno trovato la loro composizione non
in un "uno a uno", ma nella creazione di qualcosa che spostava la
dimensione e gli equilibri in sede europea. La CECA è il primo straordinario
esempio di questo modo di risolvere i conflitti. Ebbene, cerchiamo di saperlo
fare: con le mucche, con il gasolio, con le lingue, con le politiche agricole
comuni. Via via che lo faremo, verrà naturalmente il tempo in cui ci
accorgeremo che il demos europeo c'è; e a quel punto il demos europeo vorrà le
sue istituzioni. (Applausi dai Gruppi DS, PPI, UDEUR, Verdi, Misto-Com e
Misto-CR. Congratulazioni). PRESIDENTE. Mi sia consentito ringraziare il
Presidente del Consiglio, perché con la sua introduzione e la sua presenza in
Aula ha consentito di svolgere un dibattito molto elevato. Il ringraziamento va
anche a tutti coloro che hanno presentato mozioni, interpellanze ed hanno
ravvivato il dibattito. Rinvio il seguito della discussione ad altra seduta.
SENATO DELLA REPUBBLICA XIII LEGISLATURA 887ª SEDUTA PUBBLICA RESOCONTO
STENOGRAFICO MARTEDÌ 18 Luglio 2000 (Antimeridiana)
Presidenza del presidente MANCINO
Seguito della discussione congiunta su: Comunicazioni del Presidente del
Consiglio dei ministri sul Consiglio europeo di Feira e sulle prospettive di
riforma istituzionale della Comunità europea connesse mozioni; (Doc. LXXXVII,
n. 7) Relazione della Giunta per gli affari delle Comunità europee sulla
partecipazione dell'Italia all'Unione europea (Doc. XVI, n. 14) Proposta della
Giunta per gli affari delle Comunità europee sulle comunicazioni della
Commissione europea recanti il programma di lavoro della Commissione per l'anno
2000 e obiettivi strategici 2000-2005 nonché svolgimento di interpellanze su
materie connesse Approvazione delle mozioni 1-00559 e 1-00562 (Nuovo Testo).
Reiezione della mozione 1-00567 Approvazione della proposta della Giunta per gli
affari delle Comunità europee PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito
della discussione congiunta sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei
ministri, sulle connesse mozioni 1-00559, 1-00562, 1-00564, 1-00566 e 1-00567,
sul Documento LXXXVII, n. 7, e sul Documento XVI, n. 14, nonché lo svolgimento
delle interpellanze 2-01104, 2-01117 e 2-01122 su materie connesse. Ricordo che
nella seduta del 13 luglio scorso, dopo l'intervento del Presidente del
Consiglio dei ministri e l'illustrazione delle mozioni e degli ordini del
giorno, nonché dei Documenti presentati dalla Giunta per gli affari delle
Comunità europee, si è svolta la discussione e ha quindi avuto luogo la
replica del Presidente del Consiglio dei ministri. Invito pertanto l'onorevole
Ministro degli affari esteri a pronunziarsi sulle mozioni e sugli ordini del
giorno presentati. DINI, ministro degli affari esteri. Signor Presidente,
abbiamo esaminato con grande cura le mozioni che sono state presentate. Sebbene
esse contengano delle diversità nelle loro premesse, mi pare che questo
Parlamento abbia dimostrato ancora una volta come sui temi dell'Europa le forze
politiche presenti siano animate da un idem sentire. In linea di massima, il
Governo esprime un orientamento favorevole alle mozioni presentate, anche se in
alcuni casi dovrò presentare una valutazione più mirata su singoli passaggi.
Riguardo alla mozione 1-00559, presentata dal senatore Migone e da altri
senatori, il Governo esprime parere favorevole. Il parere è ugualmente
favorevole sulla mozione 1-00562, presentata dalla senatrice Salvato e da altri
senatori. Il Governo non si oppone al dispositivo della mozione 1-00564,
presentata dal senatore Servello e da altri senatori, anche se non può
condividere interamente quanto contenuto in premessa. Lo stesso vale per la
mozione 1-00566, presentata dal senatore Pianetta e da altri senatori: per
quanto riguarda il dispositivo, il Governo non ha obiezioni. Abbiamo invece
delle riserve nell'accogliere la mozione 1-00567, presentata dal senatore
Castelli e da altri senatori, in quanto essa non sembra indicare una piena
disponibilità per quanto riguarda l'allargamento dell'Unione europea, che
invece il Governo ritiene essere un fatto politico di fondamentale importanza
per il futuro, e quindi non è favorevole a questa mozione. Per quanto riguarda
l'ordine del giorno n. 800, presentato dal senatore La Loggia e da altri
senatori, il Governo lo accoglie. Quanto all'ordine del giorno n. 1, a firma del
senatore Marino ed altri, il Governo esprime parere favorevole e non ha alcuna
difficoltà in proposito. L'ordine del giorno n. 2, presentato dal senatore
Jacchia ed altri, prevede invece un meccanismo di consultazione del Governo con
il Parlamento in più fasi, che appare difficile e complesso. Naturalmente il
Governo di per sé non si opporrebbe, ma preferisce rimettersi alla decisione
del Presidente del Senato circa il modo in cui i lavori devono essere condotti e
quindi anche su come discutere in Parlamento della materia in esame. PRESIDENTE.
Passiamo alla votazione delle mozioni. VERTONE GRIMALDI. Domando di parlare per
dichiarazione di voto. PRESIDENTE. Ne ha facoltà. VERTONE GRIMALDI. Signor
Presidente, signor Ministro, avrei preferito parlare di fronte al Presidente del
Consiglio, non perché non abbia la stima che devo per il Ministro degli esteri,
ma perché in parte dedicherò il mio intervento a quanto riferito dal
presidente Amato nella seduta di giovedì scorso. Ovviamente annuncio il voto
favorevole alla mozione n. 559, che ho sottoscritto. Vorrei, tuttavia, fare
alcune considerazioni sul modo in cui in Italia ci stiamo interessando alla
costruzione europea. Premetto che la politica estera di un Paese non è fatta
soltanto dal Ministero degli affari esteri o dal Governo, ma dal Paese intero.
Da questo punto di vista l'Italia è in ritardo: infatti, non esiste un
interesse diffuso per i problemi di politica estera. A tale proposito, bisogna
ringraziare Monti che, con l'articolo sul "Corriere della Sera", ha
suscitato un dibattito che spero prosegua e diventi sempre più analitico e
preciso. Per quale motivo voglio parlare del discorso del presidente Amato?
Perché mi sembra che abbia fatto considerazioni utilissime sul terreno
dell'indicazione concreta; egli ha però rivendicato il diritto di navigare a
vista nella costruzione europea, cercando di dimostrare che sa anche navigare a
visioni. Ci sono capacità di vedere e capacità di avere visioni, che non
sempre coincidono. Il presidente Amato mentre mi sembra che abbia detto cose
molto condivisibili per quanto riguarda il processo reale della costruzione (a
tale proposito, mi pare che anche il ministro Dini, mettendo in rilievo
l'esigenza di aumentare il grado di competitività del Paese, abbia seguito la
stessa strada), ha poi invece ricoperto questa visione con una coltre un po'
nebulosa e quasi vertiginosa di considerazioni sul futuro. Ora, l'esigenza di
navigare a vista viene dalla complessità del tema che ci è proposto e dalla
porta stretta - il presidente Amato ha parlato, appunto, di "porta
stretta" - che è necessario varcare perché non si chiuda il processo di
costruzione europea. Come sappiamo, la porta stretta dipende dalla renitenza di
alcuni Paesi all'allargamento e soprattutto dalla mancanza di entusiasmo per
tutto ciò che va oltre l'integrazione puramente mercantile dell'Europa. Il
Regno Unito non è entusiasta, per esempio, dell'allargamento, ma non solo: non
sembra avere l'intenzione - almeno finora non l'ha manifestata - di rinunciare
all'unanimità del voto o di arrivare alla ponderazione dei voti e a tutte le
riforme che la Presidenza del Consiglio francese si appresta ad introdurre, che
invece avranno bisogno del suo assenso. Questa è la ragione per cui il
presidente Amato ha parlato del Regno Unito, cercando di evitare un isolamento
che potrebbe aggravare la posizione e rendere non varcabile la soglia. Aggiungo
al Regno Unito anche la Spagna, paese che ha beneficiato grandemente dei
vantaggi legati all'unificazione europea, ma che in questo momento, avendo
ricostruito un rapporto finanziario, politico, economico e culturale con
l'America del Sud, sente moltissimo il richiamo di tale area, almeno quanto il
Regno Unito sente quello dell'America del Nord. La renitenza della Spagna
all'allargamento, dovuta a motivi economici più che noti, e l'attrazione subita
dalla dimensione oceanica dei suoi interessi rischiano di rendere l'Italia un
po' isolata nel Mar Mediterraneo, che potrebbe diventare una frontiera anziché
una linea di sviluppo. In tale visione si spiegano perfettamente le
preoccupazioni del presidente Amato non solo in relazione all'esigenza di non
perdere questi due Paesi, importantissimi per la costruzione europea, ma anche -
in questo caso però non condivido le sue preoccupazioni - sul direttorio
franco-tedesco, su cui a mio avviso si insiste troppo, perché non è la fonte
dei rischi di emarginazione del nostro Paese. Approvata, dunque, fino in fondo
la linea concreta espressa dal Presidente del Consiglio (che ha fornito la
chiave di lettura del suo intervento con il famoso paragone fra il muratore che
costruisce il muro senza sapere cosa fa, il muratore che lo eleva sapendo di
contribuire alla costruzione della cattedrale ed il progettista che fa il
disegno sui "lucidi" senza pretendere di realizzarlo), desidero
esprimere qualche considerazione sulle sue estrapolazioni visionarie. A tale
proposito, mi rammarico, ma non sono del tutto convinto che abbia trovato il
tono giusto, perché, scavalcando il processo di costruzione europea, ha dato
una visione - è il caso di usare questa parola - del processo di
globalizzazione che non tranquillizza, in quanto la sovranità che si perderebbe
passando ai livelli superiori, poiché evapora, evaporerebbe soltanto in Europa,
mentre probabilmente rimarrebbe negli Stati Uniti, in Russia, in Cina e in
Giappone. Il fatto che la sovranità non sia più uno strumento utilizzabile in
Europa (perché saremmo in fase posthobbesiana, ossia dopo lo Stato assolutista)
significa forse che insieme alla sovranità dobbiamo anche perdere la dimensione
democratica, legata finora ai contenitori rappresentati dagli Stati? Sono
perfettamente consapevole che gli Stati nazionali non hanno più il potere - che
avevano - di controllare processi importantissimi: a maggior ragione, bisogna
trovare un contenitore più vasto che, mettendo sotto controllo i processi
economici, finanziari e tecnologici, ci permetta di esercitare la democrazia
attraverso la sovranità. Il Presidente del Consiglio ha parlato anche del
rischio legato al concetto hobbesiano di sovranità; ricordo però a tutti che,
dopo Hobbes, vi è stato Locke, che ha tolto al Leviatano tutti gli aspetti più
truculenti e temibili. Se si toglie alla sovranità la capacità di controllare
questi processi, cadiamo nel Medioevo. Nell'intervista concessa a Barbara
Spinelli e pubblicata su "La Stampa", il Presidente del Consiglio ha
fatto un elogio del Medioevo che non condivido affatto, almeno dal punto di
vista dei criteri con i quali valutiamo la democrazia. Il Medioevo è stato,
infatti, un'epoca in cui il potere centrale dell'impero era debole, mentre era
fortissimo il potere periferico delle baronie. Un esempio storico può essere
proposto in questa sede: l'Inghilterra si è salvata dalla dissoluzione
anarchica, che ha prevalso invece in Sicilia - erano normanni i baroni siciliani
come quelli inglesi - proprio perché, dopo la perdita della sovranità statuale
da parte di Giovanni Senza Terra, espropriato dai baroni che hanno rivendicato
con la Magna Charta il diritto di fare i propri comodi nei feudi, Enrico III ha
ristabilito la sovranità dello Stato. Ciò ha avviato, se volete, l'assolutismo
di Hobbes, cui è però seguita la democrazia di Locke, mentre in Sicilia è
rimasta la baronia da cui è nata la mafia. Allora, la sovranità avrà mille
difetti, ma non è dal suo esercizio che derivano in questo momento i pericoli
che Amato ha riassunto nel concetto di demos totalitario. In questa fase della
nostra cultura, vi sono tutte le premesse del demos totalitario, cioè del
conformismo di massa. Esse però non dipendono dalla sovranità, bensì da tre
poteri della cui regolamentazione Montesquieu della cui regolamentazione non si
è occupato perché all'epoca non esistevano. Questi poteri, che attendono
tuttora una regolamentazione, sono il potere tecnologico, il potere finanziario
e il potere mediatico, il quale ultimo amministra i primi due in termini tali da
far temere la nascita di un totalitarismo nuovo, che non promana dagli Stati
bensì dal conformismo di massa. Direi quindi che i pericoli per la democrazia,
così come i pericoli del nazionalismo e del razzismo, provengono da molte parti
e sarebbe sbagliato, a mio avviso, attenderli disponendo i cavalli di Frisia in
direzione delle posizioni storicamente responsabili di questi processi di
degenerazione culturale. Sarebbe ingenuo cioè aspettarsi dichiarazioni
antisemite, nazionalismi e militarismi sfrenati, senza accorgersi che il
razzismo sta facendo nuovamente ingresso nella cultura occidentale dopo la
legittimazione democratica, o meglio liberal, delle etnie. È dal culto delle
minoranze che proviene un pericolosissimo razzismo - e tralascio l'accenno ad
Haider - che non è legato alla persistenza degli Stati nazionali, bensì alla
loro dissoluzione, come abbiamo visto in Jugoslavia. Per quanto i processi di
globalizzazione possano essere considerati positivamente e per inciso, è stato
estremamente positivo anche il processo di industrializzazione iniziato alla
fine del '700, ma non bisogna ignorare che esso ha determinato le più grandi
turbolenze della storia, ed è probabile che ciò accada anche per la
globalizzazione. La visione globalizzata del mondo conduce ad uno strano
paradosso: i marinai e i governanti hanno sempre saputo che si governa la nave,
o il Paese, ma non il mare. Ebbene, la pretesa di governare il mare si sta
insinuando, come apprendiamo dai giornali, in posizioni ottimistiche sulla
"mano invisibile" del mercato che non mi sembra possibile né giusto
condividere. A tale proposito, se si affondano le navi, cioè la sovranità, e
si spera di poter governare il mare, occorre avere consapevolezza del fatto che
il mare è governato dalle onde, le quali sono a loro volta governate dai venti,
e che i venti vengono da caverne, come narra la mitologia greca, spesso ignote.
(Applausi dai Gruppi Misto-RI, DS, UDEUR e Misto-DU, dai banchi del Governo e
dei senatori Basini e Valentino. Congratulazioni). PRESIDENTE. Colleghi, vorrei
ricordare che siamo in fase di dichiarazioni di voto; non è opportuno riavviare
la discussione. Vanno rispettati i tempi imposti dal Regolamento, ma vanno
osservati anche quelli dell'ascolto. RUSSO SPENA. Domando di parlare per
dichiarazione di voto. PRESIDENTE. Ne ha facoltà. RUSSO SPENA. Signor
Presidente, non riprenderò i temi che il Gruppo di Rifondazione Comunista ha
già trattato durante la discussione ma, in sede di breve dichiarazione di voto,
non posso nascondere la preoccupazione, l'amarezza e anche l'irritazione per un
dibattito cui abbiamo partecipato con passione ma che in effetti, pur avendo
compreso interventi molto alti, è mancato di tensione emotiva. Mi sembra
infatti che la discussione si sia svolta sostanzialmente, in questa sede, a
"carte truccate", mentre si è trattato l'argomento in modo più
esauriente sulle pagine dei giornali. Il dibattito svoltosi in quest'Aula
parlamentare ha marcato profonde divisioni e diversità di opinioni su un tema
fondamentale per il futuro del nostro Paese e per quello dell'Europa, fatto che,
a mio avviso, è stato del tutto sottovalutato, e ciò si può constatare anche
dalla scarsa partecipazione ad esso. In questo senso, volendo noi segnalare
questo deficit di tensione emotiva e di partecipazione collettiva alla
discussione, ci asterremo nella votazione delle mozioni, anche perché il
dibattito si è svolto in un contesto europeo forte e teso. Le parole solenni di
Chirac, il quale ha denunziato il grave deficit democratico dell'Europa, hanno
scosso Governi e popoli europei con riferimento all'idea di una Costituzione
europea. Le parole del ministro degli esteri tedesco Fischer e dello stesso
Schroeder, che hanno alluso all'Europa come ad uno spazio politico federalista,
ci ammoniscono sulla doppia deriva della subalternità assoluta ai poteri
economici e della disintegrazione dell'edificio europeo se non si costruisce da
subito una fonte di legittimazione democratica e di sovranità popolare. In
questo senso il Ministro degli esteri tedesco - voglio ricordarlo - è stato
nettissimo: ha detto che "occorre una rivoluzione democratica". In un
altro passo del suo intervento, egli ha giustamente ricordato la non trasparenza
dell'attuale burocrazia e della direzione europea e le irresponsabilità
politiche della Banca europea. Chiudendo questa parte del suo discorso, egli ha
infatti ricordato che "la sovranità monetaria è stata trasferita ad una
banca, il che dovrebbe essere un vero incubo per ogni repubblicano e per ogni
democratico". Il presidente Amato, invece (mi dispiace che non sia presente
perchè farò una critica aspra ed ho notato che sull'argomento vi sono accenti
diversi anche nell'ambito dello stesso Governo), sembra sognare per l'Europa un
ritorno all'anno Mille. "Il Medioevo è bellissimo", ha esclamato
estasiato in una sua intervista importante ed impegnata. "Non aveva
sovrani, non aveva Stato", egli ha aggiunto. Siccome non mi sembra proprio
che il presidente Amato abbia voluto evocare una risposta di tipo anarchico o
propria di alcuni filoni della sinistra comunista relativamente all'idea
dell'estinzione dello Stato, mi sembra piuttosto (come diceva il senatore
Vertone Grimaldi, di cui condivido le argomentazioni) che egli abbia voluto dare
una risposta premoderna ai fautori della Costituzione europea. Il presidente
Ciampi ha colto il pericolo nel suo alto intervento, che non mi sembra invece
sia stato evidenziato nel dibattito; o, per lo meno, questa contraddizione è
stata in parte occultata, mentre era opportuno che ciò non accadesse, perché
in tal modo il dibattito stesso è stato incapace in questo momento di superare
una defatigante e lunghissima rincorsa elettorale, contraddistinta da un
marcamento reciproco, invece di investire e di scegliere le priorità
progettuali e le accelerazioni politiche ideali con uno scatto di volontà
collettiva del Parlamento. Colleghe e colleghi, il Presidente del Consiglio in
effetti parla di un'Europa senza democrazia: questo è ciò che noi pensiamo. È
un fatto enorme, non una presa di posizione culturale. Stiamo parlando di un
Presidente del Consiglio che discute del futuro dell'Europa; alcuni segretari
della maggioranza, a mezza bocca, lo hanno criticato, ma a questo si sono
limitati. Le destre lo hanno per lo più applaudito. A questo punto, forse, la
discussione meriterebbe una sede più ampia: si dovrebbe prevedere addirittura
un dibattito sulla fiducia nelle due Camere. Perché le destre applaudono?
Perché le posizioni di Amato sono in sintonia, questo sì, con i processi
economici e finanziari reali - ecco il punto -: quelli che sono in atto sui
mercati finanziari, visibili nello strapotere della Banca centrale europea e in
cui la politica è ridotta a semplice funzione tecnica. È lo scenario di cui si
preoccupano - appunto - Chirac, Fischer e anche Ciampi, a me pare. A questo
scenario il presidente Amato propone di conformare la costruzione europea. Mi fa
piacere che già il senatore Vertone Grimaldi abbia usato l'argomento che mi ero
appuntato e che sto per usare anch'io, e lo farò sinteticamente: non è
l'abbandono dello Stato Leviatano di Hobbes, come sostiene appunto il presidente
Amato, ma l'affossamento di Locke, cioè del tratto fondativo della modernità
(dello Stato moderno), che è il problema della legittimazione democratica del
potere. In Amato, quindi, non c'è nuova democrazia, ma il ritorno al Medioevo
come fine della democrazia, come sua estenuazione, accompagnata dai processi
reali, economici, finanziari e militari, e dunque, la legge del più forte, su
tutti i punti: dal terreno militare a quello ambientale, a quello sociale, a
quello dell'immigrazione e della mediazione interculturale, a quello, appunto
(lo abbiamo visto ieri), dei prodotti alimentari geneticamente modificati, su
cui è aperta una grande questione di deficit democratico europeo. Noi, invece,
come Rifondazione Comunista, ci battiamo (l'abbiamo detto più volte nei
convegni internazionali e con la nostra iniziativa politica, come pure in questa
Aula) per un'Europa "altra", che sappia coniugare cooperazione
euromediterranea, cittadinanza transnazionale, Carta dei diritti sociali come
fondamento dialettico della questione più ampia che è aperta in Europa: quella
democratica, per l'appunto. Mi pare quindi che dal dibattito debbano emergere
una grande preoccupazione per il deficit democratico e la necessità di
coniugare l'iniziativa politica del Parlamento e del Governo italiano con la
questione democratica, che si ripropone fortemente in Europa. Questa mi sembra
sia la critica maggiore che va rivolta all'intervento del Presidente del
Consiglio. MARINO. Domando di parlare per dichiarazione di voto. PRESIDENTE. Ne
ha facoltà. MARINO. Signor Presidente, innanzitutto desidero esprimere
l'apprezzamento dei Comunisti Italiani per il fatto che il Governo ha accolto il
nostro ordine del giorno; intendo inoltre esprimere apprezzamento per come ha
operato il presidente Migone, che ci ha spinti a svolgere questa discussione.
Credo vada apprezzato da tutti anche quanto è stato recepito, nella replica del
presidente Amato, della discussione svoltasi, non solo in termini di passione
politica, ma anche di sostanza, circa gli obiettivi da perseguire. Certamente ci
siamo capiti di più e l'ha detto lui stesso nella replica. Il presidente Amato
ha citato lo Spinelli del 1979, facendo riferimento alla necessità di trovare
sempre un punto d'incontro tra utopia e pragmatismo. Vorrei tuttavia ricordare,
innanzitutto a me stesso, che si tratta - per l'appunto - dello Spinelli del
1979, cioè di una fase storica completamente diversa e ampiamente superata da
quanto è successo nell'ultimo ventennio. Certamente si pone la questione dei
tempi in politica, che non sfugge nemmeno ai presentatori delle mozioni e degli
ordini del giorno. Credo, però, che vada ribadito che dalla discussione
svoltasi sembra che nessuno voglia limitarsi a creare un mercato di 500 milioni
di cittadini e un'unione doganale. Ritengo invece (quanto meno esaminando la
mozione n. 559, il cui primo firmatario è il senatore Migone, la mozione n.
562, sottoscritta anche da noi e la cui prima firmataria è la senatrice
Salvato, il nostro ordine del giorno n. 1 e l'ordine del giorno n. 800, il cui
primo firmatario è il senatore La Loggia) che tutti si voglia spingere verso
un'Europa sociale e politica che assicuri soprattutto pace e collaborazione tra
i popoli. Ribadiamo che solo un obiettivo alto e ambizioso può spingere in
avanti la costruzione europea, sia pure nella sua gradualità. Il presidente
Amato ha parlato di prudenza. Bisogna sempre ponderare se una posizione più
decisa smuova di più resistenze che persistono o se la prudenza sia più
convincente nei confronti di chi è restio alla costruzione di un'Europa aperta
a tutti i Paesi che vogliono entrarvi e che abbia una sua Costituzione: una
Costituzione che, come sostiene lo stesso Presidente della Repubblica, individui
le sfere di competenza e di responsabilità per gli Stati e le regioni. Il
Senato, alla luce della discussione intervenuta, ha chiaramente indicato la
scelta di questo obiettivo: ambizioso, ma insieme realistico e, comunque,
ineludibile. Il Senato si è poi apertamente espresso in direzione
dell'allargamento e della più ampia integrazione dell'Europa: infatti, nella
migliore delle ipotesi la prudenza, sia pur machiavellica, è senz'altro una
virtù in politica, ma è anche vero che un suo eccesso può portare indietro.
Invece, bisogna guardare avanti se si crede nella costruzione dell'Europa
politica e soprattutto in un'Europa autonoma ed emancipata, con una sua politica
estera ed una sua politica di difesa e di sicurezza. Qui non si tratta di
privilegiare un asse franco-tedesco. Si tratta invece, per l'Italia, di
scegliere una linea strategica che conduca, sia pur nella necessaria gradualità
e percorrendo un iter costituzionale realisticamente attuabile, ad una
federazione e alla Costituzione europea, di cui la Carta dei diritti dei
cittadini europei non può che costituire il nucleo essenziale. In sostanza, la
discussione che si è svolta non è stata, a nostro avviso, improntata a
dichiarazioni retoriche, bensì all'indicazione di una scelta senza esitazioni
ed incertezze, perché compito primario della politica è sciogliere con una
scelta dubbi e perplessità. FOLLONI. Domando di parlare per dichiarazione di
voto. PRESIDENTE. Ne ha facoltà. FOLLONI. Signor Presidente, onorevoli
colleghi, credo che questo dibattito sia stato utile e dimostri, signor
Ministro, che il confronto parlamentare approfondisce, affina e rende più
consapevole l'europeismo, che l'Italia ha da sempre proclamato. Mi sembra che
questo sia un risultato positivo, al di là dei diversi atti di indirizzo che ci
accingiamo a votare. Nella prospettazione fatta dal Presidente del Consiglio di
questo passaggio, strategico, importante e decisivo ai fini della costituzione
di un'Unione europea, devo dire che anche a me non tutto è chiaro, ma forse
sarebbe difficile il contrario. Chiari sono gli intenti europeisti e confermano
i sentimenti condivisi dall'Italia, un po' più fumosi sono i passi che ci
attendono e tali rimangono anche dopo il dibattito. Anch'io sono convinto che i
pericoli non verranno da nuove e forti istituzioni europee, se saremo in grado
di costruirle, ma, come ha ricordato bene il collega Vertone Grimaldi, dalle
derive mediatiche, dalle oligarchie economiche e dalle visioni onnipotenti della
tecnologia. In questa mia dichiarazione di voto ribadisco la necessità di
recuperare un primato alla politica. Ciò non può che avvenire dando forma e
sacralità alle nuove istituzioni europee, ai Parlamenti come ad un governo
dell'Europa, anche seguendo in parallelo la strada della cooperazione rafforzata
nella forma aperta, che in questa sede il Presidente del Consiglio ci ha
illustrato, ma senza esitare sulla necessità di decidere le forme forti per le
nuove istituzioni sovrastatuali. C'è infine da recuperare da questo dibattito -
e in tal senso il senatore Jacchia, io ed altri colleghi abbiano presentato un
ordine del giorno - un richiamo (qualcuno lo ha fatto in maniera diversa dalla
nostra, ma mi pare sia un richiamo condiviso) alla funzione parlamentare
all'interno delle singole nazioni e al ruolo del Parlamento nell'edificio
europeo che andiamo costruendo. Dunque, mentre assicuro un voto favorevole alla
mozione n. 559, alla quale chiedo di aggiungere la mia firma, così come
all'ordine del giorno n. 800 del senatore La Loggia, insisto, signor Ministro,
sull'ordine del giorno che abbiamo presentato, che più che un impegno è un
invito al Governo. Se l'Aula del Senato lo voterà, come lei ha detto sarà
infatti compito del Presidente del Senato invitare i singoli rappresentanti del
Governo a confrontarsi, materia per materia, sulle questioni di cui è bene,
signor Ministro, che l'Italia, attraverso il Parlamento, sia consapevole: si
sappia con chiarezza cosa accade compiendo quei passi che ritengo necessari sui
diversi versanti del vivere sociale, della vita economica di questo Paese, della
difesa, di tante decisioni per le quali era prima sovrano questo Parlamento, la
cui sovranità un po' alla volta si va ora trasferendo a nuove istituzioni
sovranazionali. D'ONOFRIO. Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà. D'ONOFRIO. Signor Presidente, onorevole Ministro,
quando ci troviamo a discutere le questioni dell'integrazione europea si
registrano due fatti: lo stato del consenso politico interno all'azione del
Governo, chiamato ad agire in senso favorevole all'integrazione, e le ragioni
dei Gruppi politici che sono contrari. Il Gruppo del CCD, come ha detto più
volte dal 1993, cioè dalla fine della cosiddetta prima Repubblica, ad oggi,
guarda in modo molto positivo al processo di integrazione europea. Registriamo
con particolare favore l'ampliarsi del consenso politico interno alle diverse
fasi di tale processo. Abbiamo visto con favore il passaggio all'Unione europea
e di quest'ultima abbiamo lamentato - direi in modo abbastanza corale - le
insufficienze istituzionali. La nuova fase che si è aperta nel corso degli
ultimissimi anni e soprattutto in questo 2000 dovrà sciogliere due nodi. Uno di
essi sarà difficilissimo da sciogliere entro quest'anno (abbiamo chiesto e
chiediamo al Governo di fare quello che l'Italia può fare a tale proposito): mi
riferisco al passaggio ad un'integrazione più politica e meno interstatuale di
quanto sia stato fino ad ora. Ciò comporta una modifica della Commissione,
della sua nascita, della sua composizione, dei suoi poteri; una sostanziale
fuoriuscita dalla regola della compresenza di commissari nominati dai rispettivi
Governi e Stati con la conseguenza di avere una Commissione politicamente ibrida
dal punto di vista degli schieramenti politici che nel Parlamento europeo vanno
più chiaramente definendosi. In questa nuova fase riteniamo e abbiamo ritenuto
che l'unità politica che si realizza nel corso del processo di integrazione
europea possa avvenire anche al di là degli schieramenti politici che nei
Governi nazionali sostengono questo o quel Governo, anche - come abbiamo
dimostrato nel Parlamento europeo - al di là degli schieramenti politici
alternativi che in quella sede sono caratterizzati in un certo senso
dall'appartenenza alle aree del centro-destra e del centro-sinistra. Questa
prima considerazione mi sembra importante, perché attiene alle difficoltà
della fase attuale, quali il passaggio molto complicato - nel quale abbiamo
appreso con particolare soddisfazione le parole dette dal capo dello Stato
Ciampi a Lipsia - caratterizzato dal tentativo del superamento della pura
interstatualità del processo di integrazione verso forme più autenticamente di
sovranità europea. Si tratta di una questione sostanziale sulla quale vorremmo
che il Governo italiano facesse di più. Il CCD ha ritenuto opportuno
sottoscrivere l'ordine del giorno n. 800 (che reca la firma, fra gli altri, mia
e dei colleghi La Loggia, Maceratini e Castelli), che spinge il Governo italiano
a caratterizzare politicamente il processo di integrazione più di quanto non
sia finora avvenuto. Signor Ministro, poiché si tratta di un passaggio
fondamentale della polemica politica in atto in Europa e in Italia, è
importante che l'ordine del giorno - che come ripeto reca, fra le altre, le
firme dei senatori La Loggia, Maceratini, Castelli e mia - esordisca con un
primo punto (e non è una conquista banale) che impegna il Governo "ad
adottare ogni iniziativa coerente con la fondamentale scelta europeistica
dell'Italia, che è stata, sin dal Trattato di Roma del 1957, protagonista
principale del processo di unificazione europea, anche politica". Non è
una questione banale; ha rappresentato motivo di divisione politica in Italia e
in Europa e stiamo concorrendo a costruire le basi politiche interne per un
processo di integrazione politica europea. Non è - ripeto - una questione
banale nei confronti di un'alleanza, quella del centro-destra, che ripetutamente
viene messa in discussione sulla stampa internazionale, da parte di taluni
Governi esteri e, improvvidamente, anche dai governanti italiani. Ebbene sì,
signor Ministro, improvvidamente taluni governanti italiani ritengono l'alleanza
di centro-destra inidonea a governare un Paese nel processo di integrazione
politica europea. Respingiamo queste affermazioni faziose e infondate con le
quali ci si illude di poter costruire una sorta di cordone sanitario europeo
attorno al centro-destra. Sono affermazioni che i governanti italiani dovrebbero
fare con molta più prudenza: mi riferisco al Presidente del Consiglio dei
ministri e ai segretari dei partiti che formano la maggioranza di Governo. Sono
affermazioni che mi auguro il Ministro degli affari esteri, al termine del
dibattito qui in Senato, concorra a far rientrare. Si tratta di questioni
politiche di straordinaria importanza e non vorremmo ancorare la nostra azione
soltanto alle lucide e serene parole del Capo dello Stato, che ha affermato e
afferma la pari legittimità democratica non solo all'interno dei Gruppi
politici (il che rientra evidentemente e soltanto nel rispetto del voto
elettorale), ma anche nel processo di costruzione europea. Vorremmo che dal
dibattito odierno si eliminasse quella sorta di ripetitività che lo
caratterizza (come è peraltro dimostrato anche dall'esigua presenza di senatori
in Aula) e che si affermasse il carattere straordinariamente politico del nostro
ordine del giorno. Signor Ministro degli affari esteri, le chiedo formalmente di
riferire al Capo del Governo che non è più accettabile l'affermazione di
inidoneità del centro-destra ai fini del processo di integrazione europea. In
tal senso, presentiamo un ordine del giorno che spinge il Governo italiano a
fare di più: altro che far di meno! Vi è poi il terzo punto del nostro ordine
del giorno, che ha rappresentato motivo di polemica: allargamento dell'Unione ad
Est e forza euromediterranea nel processo d'integrazione in atto. In tale punto
affermiamo una linea che riteniamo essere di equilibrio europeistico
complessivo. I punti di approdo dell'integrazione europea non possono essere
messi in discussione quando si affermano le necessità o della centralità
mediterranea o dell'apertura ad Est. L'equilibrio del processo di sviluppo
dell'integrazione europea ha rappresentato, dal 1957 ad oggi (e pochi più del
Ministro degli affari esteri lo sanno), il costante tentativo di non mettere mai
in discussione l'acquisito in funzione del nuovo. L'integrazione europea è un
processo storico di straordinaria importanza, nel quale la tensione prima tra le
spinte tedesca, italiana e francese e poi tra la spinta britannica e quella
spagnola furono composte ad unità; l'avvento dell'euro ha rappresentato un
punto di approdo di straordinario rilievo. Noi vorremmo che le decisioni
dell'allargamento ad Est e del ruolo euromediterraneo dell'Unione fossero
contemporaneamente e contestualmente tenute presenti dal Governo italiano, nella
logica della continuità dell'ispirazione ideale. Crediamo in tal modo di fare
cosa utile all'Italia e a questo Governo, nonostante le gravi affermazioni che
il Presidente del Consiglio adopera nei nostri confronti. Riteniamo che la
nostra azione di oggi al Senato, cioè la votazione dell'ordine del giorno e
degli altri strumenti che il Governo ritiene accettabili, rappresenti una
discontinuità rispetto alle affermazioni, anche recenti, delle più alte
cariche del Governo italiano. Per questo motivo, nel ringraziarla per aver
espresso un parere favorevole sull'ordine del giorno, le chiediamo formalmente,
signor Ministro, di rappresentare le ragioni di questo nostro rammarico ma anche
del desiderio di andare oltre. (Applausi dal Gruppo CCD). LORENZI. Domando di
parlare per dichiarazione di voto. PRESIDENTE. Ne ha facoltà. LORENZI. Signor
Presidente, signor Ministro, onorevoli senatori, naturalmente la dichiarazione
di voto non può che essere espressa in modo congiunto sulle comunicazioni del
Presidente del Consiglio e sulle mozioni al nostro esame. Preso atto che le
dichiarazioni del presidente Amato si sono sviluppate in due momenti piuttosto
articolati nella giornata di giovedì e che nelle stesse è emersa indubbiamente
un'impronta dettata dall'"europrudenza", come una determinazione non
indifferente alla richiesta di allargamento ai Paesi dell'Est, ritengo che
quanto sostenuto dal Presidente del Consiglio renda indubbiamente molto facile
un'adesione a questa impostazione certamente prudente. Al tempo stesso, dal
presidente Amato sono state fatte citazioni che vorrei ricordare brevemente; mi
riferisco alle parole dei due grandi statisti Schuman e De Gasperi:
"L'Europa si farà per realizzazioni concrete". Tale citazione ripresa
dal Presidente del Consiglio ci induce a considerare quanto sarà importante la
realizzazione dell'Europa sul piano concreto. Ebbene, al di là delle polemiche
che oggi leggiamo sulla stampa in ordine alle biotecnologie, esistono imprese
importanti che aspettano un impegno unitario dell'Europa, questo sì, in un
campo in cui l'Europa fino a questo momento è stata assente. Mi riferisco, in
particolare, al comparto dello spazio, sottovalutato, che oggi come oggi offre
un'incredibile possibilità di sviluppo. Basti pensare che dal settore spaziale
provengono più di 30.000 applicazioni; una fra tutte - tanto per citarne una
famosa - è la risonanza magnetica che, come sappiamo, ha una importanza
determinante nel campo della medicina. Dobbiamo quindi procedere su obiettivi
concreti in modo da far sì che l'Unione europea possa articolarsi proprio sul
concreto. Al tempo stesso però esistono problemi di altro genere, soprattutto
quelli relativi alla questione dell'allargamento ai Paesi dell'Est tra i quali -
lo ricordiamo - si è sviluppato un anelito non interrotto e avanza una continua
richiesta. Vorrei citare una dichiarazione del leader polacco Jeremek, il quale
afferma: "Non spezzate il nostro sogno, quello che ci ha guidati dalla
lotta al comunismo verso l'Europa democratica". Questi Paesi si aspettano
molto e attendono un nostro contributo. Ci troviamo ora in sede di votazione
delle mozioni, in merito alle quali vorrei esprimere una breve valutazione.
L'importante mozione n. 559, presentata dal senatore Migone e da altri, è
indubbiamente condivisibile in moltissimi punti e tale condivisione ovviamente
mi riguarda. Vorrei però richiamare l'attenzione di questa autorevole Assemblea
su un aspetto che non è stato rilevato da me ma dal senatore Andreotti nella
seduta di giovedì. Mi riferisco alla questione della crucialità
dell'unanimità del diritto di veto. Nella mozione del senatore Migone ad un
certo punto si chiede chiaramente l'impegno all'abolizione del diritto di veto.
Ebbene, credo che non possiamo non prendere atto delle considerazioni del
presidente Andreotti, il quale ha messo in guardia dal rischio che ciò
comporterebbe. Premesso che l'esperienza passata è stata sempre abbastanza
positiva, vorrei far notare come sia chiaro che l'obiettivo verso il quale ci
dirigiamo, che sarà quello della federazione europea o della confederazione
europea, condiziona di gran lunga questo tipo di atteggiamento. Si dà il caso,
infatti, che la federazione sia soggetto singolare, mentre la confederazione per
sua definizione è un soggetto plurale, costituito da più voci. L'abolizione
del diritto di veto comporterebbe chiaramente il passaggio dalla concezione
confederale, che attualmente è in fieri, ad una concezione più unitaria e
quindi di tipo federale. Dobbiamo inoltre prendere atto dei problemi connessi
con la rappresentatività parlamentare, perché un allargamento, che
necessariamente avverrà, comporterà anche la scelta di come aggregare i nuovi
Paesi: se ad esempio si aspettasse da una legislatura all'altra per fare entrare
i nuovi Paesi, ciò comporterebbe chiaramente degli step di cinque anni, mentre
se la rappresentanza non fosse diretta, di primo grado, ma di secondo grado,
naturalmente il processo di allargamento potrebbe avvenire molto più
rapidamente. Questa è una considerazione che avevo già ripreso giovedì
scorso, ma che ho voluto meglio precisare oggi. In conclusione, signor
Presidente, queste considerazioni mi pongono di fronte alla mozione del senatore
Migone con un atteggiamento di condivisione di tanti punti, ma anche di critica
su quest'altro punto, così chiaramente abolizionista del diritto di veto.
Ritengo pertanto di esprimere la mia astensione su tale mozione, mentre rimango
sulla posizione del ministro Dini sulle altre mozioni e sono contrario a quella
del senatore Provera, che si dimostra indubbiamente coerente con l'attuale
posizione del Gruppo della Lega Nord. MAZZUCA POGGIOLINI. Domando di parlare per
dichiarazione di voto. PRESIDENTE. Ne ha facoltà. MAZZUCA POGGIOLINI. Signor
Presidente, signor Ministro degli esteri, colleghi e colleghe, nell'esprimere
piena adesione alla relazione qui svolta dal presidente Amato e voto favorevole
alle mozioni di maggioranza, intervengo a nome dei senatori dei
Democratici-L'Ulivo, per esprimere la nostra soddisfazione per l'interesse e
l'elevatezza del dibattito sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei
Ministri in merito alle prospettive di riforma istituzionale della Comunità
europea, arricchite dalla relazione e dalla proposta della nostra Giunta per gli
affari delle Comunità europee sul lavoro svolto e sugli obiettivi strategici
fino al 2005. È stato un dibattito ricco, sentito e partecipato da tutte le
forze politiche (ho appena ascoltato il senatore D'Onofrio), il che dimostra una
prospettiva di unitarietà della posizione politica del Parlamento italiano da
parte della maggioranza e in larga misura dell'opposizione in relazione alla
politica europea. Questo è un bene: non tutti i Paesi europei, infatti, possono
vantare questa felice circostanza. Per parte nostra, i Democratici ritengono di
aver stimolato, con una specifica richiesta dell'onorevole Monaco, presidente
del Gruppo parlamentare alla Camera, l'esigenza del Governo di garantirsi una
chiara indicazione parlamentare sulla propria azione politica in Europa.
Prendiamo atto, quindi, dell'avanzato stato di elaborazione di una Carta dei
diritti dei cittadini europei elaborata da una convenzione mista, composta da
rappresentanti governativi e da parlamentari dei singoli Paesi membri, ma anche
da alcuni europarlamentari. Questo documento costituisce il primo passo concreto
verso una Conferenza intergovernativa che operi la trasformazione dei diversi e
successivi trattati europei in una vera e propria Costituzione europea, che
porti quindi ad una Europa dei popoli fondata sui diritti dei cittadini. Questo
è il fine che noi con forza auspichiamo e tale obiettivo politico (sottolineato
dagli interventi delle massime autorità italiane, primo fra tutti il presidente
Ciampi) mi sembra di coglierlo in tutte le mozioni presentate dalle diverse
forze politiche all'attenzione del Governo. Restano aperti alcuni problemi che
potremmo definire prevalentemente tecnici, se è vero che siamo tutti d'accordo
sull'obiettivo finale. Gli organi istituzionali che guidano il processo di
costituzionalizzazione europea devono essere rappresentativi di tutte le
componenti politiche e sociali della grande famiglia europea ed il Parlamento
italiano deve essere informato dettagliatamente sullo svolgimento dei lavori per
poterli seguire con attenzione. Se, e soltanto se, l'allargamento dell'Unione
europea alla partecipazione di nuovi Stati membri dovesse condurre
all'imprescindibile esigenza di ricorrere ad un processo di integrazione a due
velocità, i Democratici saranno favorevoli a che un'avanguardia di nazioni
possa fare da volano per la realizzazione di una politica di graduale coesione,
ma - sottolineo - è un'ipotesi, quella delle due velocità, che vorremmo
vivamente non si dovesse realizzare. Sottolineiamo l'importanza di dare
soluzione all'importantissima questione di una politica comune di sicurezza e di
difesa da realizzarsi nel rispetto delle esigenze complessive della NATO e delle
altre politiche internazionali che coinvolgono i singoli Stati e l'Unione stessa
nel quadro della politiche istituzionali dell'ONU. Mi permetto, inoltre, di
esprimere una valutazione dubitativa sull'opportunità di operare, anche nel
settore della politica di difesa, con il metodo delle due velocità in ambito
PESC e del progetto di difesa europea. Sono queste alcune della preoccupazioni
che esprimiamo al Governo, proprio nel momento in cui formuliamo l'auspicio che
un'Europa allargata possa essere - come ha detto il presidente del Consiglio
Amato - un'Europa più integrata nel delicato processo che stiamo vivendo, ma è
anche un processo esaltante di riunificazione europea, prima importante tappa di
un nuovo futuro dell'Unione. Infine, non posso che richiamarmi alle parole del
presidente della Commissione europea Romano Prodi, il quale si esprime per una
limitazione dell'uso istituzionale del sistema della cooperazione rafforzata,
che potrebbe creare disparità tra i Paesi membri di un'Europa allargata sul
piano della rappresentatività e della dignità. Ma anche questo rimane
soprattutto e prevalentemente un problema tecnico, se si condivide l'obiettivo
che i Democratici L'Ulivo - e spero l'intero Parlamento - vogliono indicare al
Governo: andare avanti con forza per la costruzione di un'Europa dei popoli che
l'Italia ha sempre sognato sin dal Trattato di Roma, conquistandosi il ruolo di
precursore, di innovatore tra i Paesi dell'Unione europea. MISSERVILLE. Domando
di parlare per dichiarazione di voto. PRESIDENTE. Ne ha facoltà. MISSERVILLE.
Signor Presidente, onorevole rappresentante del Governo, colleghi del Senato, il
Gruppo UDEUR si riconosce nella mozione a firma del presidente Migone, del
senatore Andreotti ed altri ed è mia intenzione spiegare brevemente le ragioni
di tale adesione. Non v'è dubbio, da un punto di vista storico, che il processo
di unità europea abbia subìto un'accelerazione, una svolta e una
qualificazione più importanti dopo la caduta del muro di Berlino. Fino a quella
data, fino al 1989, l'Europa era divisa in due blocchi, uno dei quali
rappresentava per l'altro un miraggio di unità che sembrava impossibile ed
irraggiungibile. La caduta del muro di Berlino e la conseguente caduta dei
regimi totalitari protetti da quella struttura di carattere
storico-difensivistico hanno comportato una diversa visione dell'unità europea.
Ciò ha avuto come conseguenza un allargamento del numero dei Paesi che
intendono aderire all'originario Trattato di Roma e che vogliono far parte
dell'Europa, soprattutto con una visione utilitaristica che, in qualche modo,
dobbiamo ridimensionare e riqualificare per avere un processo integrativo che
abbia delle solide fondamenta morali. La mozione presentata dal presidente
Migone e dal senatore Andreotti mi sembra colga il punto centrale del problema.
Finora l'unità europea è stata imposta dall'alto, è andata avanti per
adesioni successive e in questo sforzo di allargamento ha perso di vista le
finalità iniziali del Trattato di Roma, ossia conseguire una struttura
federalistica di adesione continentale, che avesse delle sue regole, un suo
fondamento, una sua Costituzione ed una sua validità storico-morale. La mozione
citata sottolinea la mancanza di un'azione politica dell'Unione europea con tali
caratteristiche e rileva anche una sorta di prevaricazione da parte dei Paesi
economicamente più forti ai danni di quelli economicamente meno forti,
costretti ad accettare l'Europa così com'è, senza poter esprimere alcuna
critica e senza poter apportare alcun contributo costruttivo. Mi pare che tutto
questo presenti un'intima contraddizione con la richiesta di abolizione del
diritto di veto. Tale diritto - su cui credo il Senato debba riflettere - è una
forma di difesa per Paesi che altrimenti subirebbero in maniera indiscriminata e
arrogante la preponderanza di quelle entità territoriali che hanno dalla loro
la forza economica e, soprattutto, una maggiore anzianità nella costruzione
dell'Europa. L'adesione a tale visione è, dunque, condizionata ad alcune
critiche che vanno rivolte in questa direzione; per il resto siamo completamente
d'accordo, anche perché l'UDEUR ha una visione europeistica ben precisa: non
per nulla la denominazione estesa del nostro Gruppo parlamentare è Gruppo
Unione Democratici per l'Europa. Abbiamo sempre avuto come finalità, come punto
di arrivo, come aspetto essenziale della nostra formazione politica
l'integrazione europea e la necessità che questa sia conseguita attraverso
regole di partecipazione e di democraticità, che devono essere osservate e
garantite per mezzo di un'autentica Carta costituzionale europea. Il Trattato di
Roma e i successivi, gli organi di governo e di rappresentanza dell'Europa
devono essere in qualche modo collegati e programmati con una Carta fondamentale
ed è in questa direzione che riteniamo il Governo debba impegnarsi, proprio per
evitare che si verifichino prese di posizione che non possono essere tollerate
dagli Stati membri dell'Europa. La recente polemica sulla preponderanza,
asserita o prospettata, della Francia e della Germania nella costruzione
europea, in base ad argomenti economici, che hanno dalla loro la forza dei
numeri, è possibile soltanto perché manca una Carta costituzionale europea,
alla quale noi facciamo riferimento, della quale chiediamo la realizzazione,
verso la quale desideriamo che il Governo nazionale diriga i suoi sforzi, in una
visione europeistica nuova e storica, che abbia soprattutto una sua dignità, un
suo spessore ed una sua forza morale. Preannuncio pertanto il voto favorevole
del mio Gruppo alla mozione che ha come primi firmatari i senatori Migone ed
Andreotti, alla quale chiediamo di poter apporre la nostra firma. (Applausi dal
Gruppo UDEUR e del senatore Agostini. Congratulazioni). ELIA. Domando di
parlare per dichiarazione di voto. PRESIDENTE. Ne ha facoltà. ELIA. Signor
Presidente, signor rappresentante del Governo, le comunicazioni del Presidente
del Consiglio del 13 luglio hanno dato luogo ad un dibattito tra i più elevati
di questa legislatura. Ne siamo grati al Presidente della 3ª Commissione,
senatore Migone e al Presidente della Giunta per gli affari delle Comunità
europee, senatore Bedin; debbo inoltre sottolineare gli interventi veramente
cospicui dei senatori Scalfaro, Andreotti e dello stesso senatore Bedin.
Preannuncio il voto favorevole del mio Gruppo alla mozione Migone, Andreotti ed
altri. Mi farò eco di un documento che ho potuto conoscere a Bruxelles in sede
di Commissione affari costituzionali, nelle riunioni, convocate dal presidente
Napolitano, con i rappresentanti dei Paesi candidati e con esponenti delle
Commissioni affari costituzionali dei Parlamenti nazionali. Di particolare
rilievo mi appare il testo presentato dal ministro francese Moscovici, che
presiede il Consiglio dei ministri nella sezione degli affari generali.
Moscovici ci ha invitati tutti al famoso découplage, cioè alla dissociazione
dei momenti della prima fase, quella che precede Nizza, dalle fasi ulteriori,
distinguendo il prima e il dopo. Si tratta ora di passare, con decisione
unanime, all'adozione di riforme che la Conferenza intergovernativa sta
elaborando per risolvere sia i problemi lasciati aperti dal Trattato di
Amsterdam sia quelli inseriti successivamente all'ordine del giorno, in
particolare la cooperazione rafforzata. Non fate i castelli in Spagna,
altrimenti Perret lascia cadere a terra il suo latte, l'Europa si blocca e la
porta stretta diventa chiusa. Non spaventate i nordici e gli atlantici, pensate
al dovere - anzi al piacere - dell'allargamento, che è poi una riunificazione
dell'Europa. Su questo punto abbiamo ricevuto, nel discorso del Presidente del
Consiglio, le indicazioni più eloquenti e più suggestive; ma il senso del
discorso di Moscovici era di fare attenzione alle contributions visionnaires.
Egli si riferiva chiaramente alle visioni di Joschka Fischer, di Chirac e del
nostro presidente Ciampi; visioni pericolose perché possono intralciare il
cammino verso un esito positivo della Conferenza di Nizza. Al contrario - penso
di esprimere non già un'opinione personale bensì quella degli appartenenti al
mio Gruppo - noi crediamo che una troppo meccanica separazione tra il primo e il
secondo tempo, tra il prima e il dopo, possa danneggiare sia il compito
dell'oggi che la missione del domani. Se non mostriamo una fortissima
determinazione ad andare avanti nella costruzione dell'Europa con chi condivide
il progetto, senza farci bloccare da chi vorrà stare fermo, rischiamo di
chiudere la partita rimasta aperta ad Amsterdam con una conclusione al ribasso
che lascerebbe scontenti innanzitutto i nostri amici dell'Est. Era presente a
Bruxelles, al Parlamento europeo, alla riunione alla quale ho partecipato, il
presidente Mazowieski, il quale è intervenuto dicendo: "Siamo noi i primi
interessati a che l'Europa sia forte, altrimenti ci interesserà di meno".
Egli intendeva parlare dell'Europa politica. Se le cose stanno così, credo che
anche la riunificazione con i Paesi dell'Est sia un motivo di più perché le
visioni abbiano un principio di avveramento fin dal negoziato per Nizza, perché
non c'è una separazione netta e meccanica tra questi due momenti: più siamo
determinati a procedere nella costruzione dell'Europa, più faremo prevalere in
sede intergovernativa la sostituzione del principio della maggioranza
qualificata al principio della unanimità. Del resto, nel discorso di Chirac al
Bundestag ci sono delle espressioni estremamente significative. Chirac afferma
che i Paesi dell'Europa dell'Unione hanno scelto di esercitare in comune una
parte della loro sovranità e che essi continueranno a farlo perché questo è
il loro interesse. Questa espressione lievemente criptica dell'esercizio in
comune delle sovranità è in realtà chiarita dagli esempi che fa Chirac. Egli,
come esperienza di sovranità esercitata in comune, porta l'esempio dell'Euro,
della Corte europea, delle decisioni a maggioranza qualificata. Esclude, cioè,
il principio dell'unanimità da questo esercizio in comune delle sovranità.
L'unanimità è il veto attribuito a Paesi membri dell'Unione ed è proprio
l'esperienza storica polacca che ci dissuade dall'adottare (o dal lasciaregli
troppo spazio) il principio di veto. Venendo al discorso di Joschka Fischer a
Berlino, come si fa ad ignorare la novità di questa impostazione se la
confrontiamo con la sentenza del Tribunale costituzionale tedesco sull'Accordo
di Maastricht del 1993? Una sentenza in cui in sostanza si legava strettamente
l'attuazione del principio democratico all'esistenza degli Stati nazionali:
veniva fuori da quella motivazione un collegamento quasi indissolubile tra
democrazia e Stato nazionale. Un autore che mi è caro come amico ma soprattutto
come europeista lucido e appassionato ad un tempo, Federico Mancini, ci ha
lasciato un testamento politico molto forte, pubblicato nel "Mulino"
del 1998 e fortunatamente riprodotto ora nella rivista "Istituzioni del
federalismo". Egli vedeva in quella sentenza scritta dal giudice Kirchhoff
- uso le sue parole - "il Volk metafisico che gode di "esistenza
eterna" teorizzato da Savigny nel 1840, reinventato da Gierke alla fine del
secolo e reso più sinistro da Carl Schmitt nel 1927". Questo netto
distacco da parte di un esponente tedesco, che aveva fatto leggere al
Cancelliere in precedenza il suo discorso, anche se pronunciato per formula
convenzionale a titolo personale, questa impostazione di Joschka Fischer mi pare
costituisca un invito a superare nettamente quella convinzione e quel
pregiudizio che la democrazia si possa realizzare solo negli Stati nazionali.
Questa convinzione, che serpeggia molto più diffusamente di quello che a prima
vista si possa pensare, questa impostazione non dobbiamo mantenerla. Dobbiamo
immaginare ordinamenti sovranazionali, con una Costituzione democratica, come ci
ha indicato nel suo alto indirizzo a Lipsia il presidente Ciampi, una
dissociazione tra Stato-nazione e regime democratico che ci rende più liberi.
Non è vero che la democrazia si identifichi con gli Stati nazionali. Non è
vero che non possiamo avere un tipo di federalismo perché il livello superiore
concentrerebbe tutti i poteri. È il contrario. Nel vero federalismo c'è forte
distribuzione di attribuzioni (qualcuno ha parlato di divisione di poteri di
sovranità). Credo che anche l'ostacolo delle lingue è smentito dalla realtà
attuale. Abbiamo Stati federali come il Canada, il Belgio, il Sudafrica dal
1994, l'India dal 1947, che assommano esperienze religiose e linguistiche di
tipo diverso. Allora perché bloccarci, perché fermarci alle vecchie
impostazioni proprie del diritto internazionale, anziché del diritto
comunitario? Mi avvio alla conclusione del mio intervento. Il nostro problema è
rendere democratica l'Unione, il che significa anche renderla federale nel senso
in cui il livello superiore del federalismo non espropria il livello inferiore.
Il Ministro degli esteri francese, Hubert Védrine, ha messo l'accento sulla
difficoltà di fare l'integrazione in Europa rispetto a quella statunitense,
perché negli Stati Uniti non c'erano gli Stati-nazione che ci sono in Europa.
È vero: c'è questa difficoltà ulteriore; questo però non significa che non
possano conciliarsi le identità nazionali con quell'appartenenza alla comunità
sovranazionale, all'unione più alta in cui è soprattutto il principio della
lealtà, del patriottismo costituzionale verso l'Europa che solo può salvarci
nell'epoca della globalizzazione. In questo compito la Commissione presieduta da
Romano Prodi ha una funzione rilevantissima e necessaria, come il Parlamento:
non ci devono essere direttori. Noi siamo in grado di assicurare che l'Europa
non compirà quell'abuso di confini di cui si sono resi rei in passato gli Stati
nazionali. Non solo le funzioni, ma anche il potere politico vero troveranno
delle sedi al di sopra degli Stati-nazione presi singolarmente. Proprio
l'esperienza dei Paesi dell'Est ci insegna a non disperdere atomisticamente
questo potere. Il nuovo costituzionalismo non deve essere né statalistico né
atomistico: deve essere in grado di sostenere anche ideologicamente questo
sforzo per la costruzione dell'Europa. La cooperazione rafforzata, evitando
peraltro l'Europa del self service o l'Europa à la carte da cui ci ha messo in
guardia Delors, è l'avvenire prossimo da attraversare per giungere alle mete
più lontane. Mai come in questo momento ci sentiamo eredi e debitori di quel De
Gasperi che volle inserire nel Trattato della Comunità europea di difesa
l'Europa come ordinamento politico. È questa l'ora dei meditati ardimenti per
far crescere l'Europa democratica dei nuovi cittadini. (Applausi dai Gruppi PPI,
UDEUR e del senatore Provera e DS. Congratulazioni). PROVERA. Domando di parlare
per dichiarazione di voto. PRESIDENTE. Ne ha facoltà. PROVERA. Signor
Presidente, dichiaro subito il voto favorevole del mio Gruppo alle mozioni nn.
567, 564 e 566, presentate rispettivamente dai Gruppi Lega Forza Nord Padania,
Alleanza Nazionale e Forza Italia, mentre dichiaro il voto contrario, pur
condividendone alcuni punti, alla mozione n. 559, avente come primo firmatario
il senatore Migone. Vorrei fare alcune considerazioni partendo dal discorso che
il presidente Amato ha fatto nel corso del suo intervento di giovedì scorso,
quando ha voluto illustrare la sua idea, la sua visione, di quel che dovrebbe
essere l'Europa del futuro prossimo, purtroppo, però, senza chiarire fino in
fondo con quali mezzi politici egli intenda realizzarla. Alcune sue affermazioni
sono condivisibili (come quando ha parlato dell'esigenza di un'Europa più
integrata), altre auspicabili ("Grande vicenda è l'allargamento", e
ancora: "L'Europa è l'Europa allargata"), ma omette di spiegare come
questi due obiettivi siano compatibili e con quali strumenti raggiungibili. In
discussione generale abbiamo detto che questa logica di allargamento è
ambiziosa, comprensibile, ma fallace perché potrebbe ritardare ulteriormente il
processo di integrazione. Lo ripetiamo: quando gli Stati membri chiamati a
decidere sono molti, con interessi differenti, ogni decisione diventa difficile,
a meno che non venga accettato e messo in atto un sistema di voto che possa
prescindere dall'unanimità. Cosa che non sembra né facile, né prossima.
Purtroppo il presidente Amato non è entrato nel merito di questo aspetto, ma
sarebbe interessante che lo facesse. L'allargamento non è cosa semplice, anche
alla luce di quanto dice testualmente Amato, ossia: "Per alcuni Stati
l'unione totale è un'ipotesi auspicabile, ma altri vogliono mantenere
l'identità nazionale e le relative prerogative". Ma se questa differenza
sostanziale non è stata ancora superata nell'attuale gruppo dei Quindici, come
è pensabile di allargare facilmente l'Unione a nuovi Stati membri? Non basta,
come il Presidente ha detto, "aver conosciuto persone in Polonia ed in
Ungheria più europeiste di me". Gli Stati e la loro adeguatezza all'Europa
sono cosa ben diversa dai singoli ed esistono regole e criteri per l'accesso
alla Comunità europea di cui bisogna tener conto e che ne garantiscono la
stabilità e il futuro. Condividiamo la condanna per l'inciviltà di un'Unione
puramente economica, ma l'Europa attuale è in massima parte un'entità
economica, che peraltro sta acquisendo rapidamente i difetti del centralismo e
della burocrazia cacciati faticosamente dagli Stati nazionali, perlomeno da
alcuni. Il presidente Amato ha sottolineato la necessità di una politica comune
dell'immigrazione, omettendo di chiarire come sia compatibile con i ricorrenti
ritocchi delle quote di accesso proposti dal suo Governo e con le sanatorie che
rappresentano un vero e proprio premio alla clandestinità a discapito degli
immigrati onesti. Il presidente Amato ha anche accennato - purtroppo, solo
accennato - alla politica di difesa europea ed ha indicato un nucleo di 60.000
uomini come primo passo verso questo traguardo. Purtroppo non si sa ancora chi
finanzierà questa forza armata e in quale misura, da quanti uomini e di quali
nazioni sarà composta. Ma a parte questo, non mi sembra che sia possibile
definire questa futura forza rapida di intervento come politica di difesa comune
europea, che è tutt'altra cosa. Essa infatti implica, come sappiamo,
un'integrazione istituzionale, una comunanza di interessi, una comune politica
estera che non esistono e non esisteranno per tempi lunghissimi. Questa è la
realtà. Qui mi associo alla citazione di Moscovici che ha fatto il senatore
Elia, secondo la quale dobbiamo rifuggire dagli entusiasmi sentimentali: la
politica si fa con altro, la politica è concretezza. E allora, fatte queste
premesse, ossia che non esiste ancora una comune politica estera, una comunanza
di interessi e un'integrazione istituzionale, ci chiediamo: al servizio di chi
sarà questa forza armata, destinata - attenzione - non solo a missioni di peace
keeping ma anche di peace enforcing? Al servizio di quale Europa? Quella
integrata o quella politica, che non ci sono? Vorremmo risposte precise dal
Governo. Ancora: è stato fatto un riferimento - anche se brevissimo -
all'assenza di guerra sul nostro continente, dimenticando il Kosovo. Non deve
più succedere che i nostri soldati vengano mandati a combattere una guerra non
dichiarata e in questo modo. La prerogativa di mandare i nostri giovani a
rischiare la vita e a farsi ammazzare non è del Governo, , ma del Parlamento e
del Presidente della Repubblica. E l'intervento in Kosovo è stato deciso senza
neppure un dibattito parlamentare e violando ripetutamente la Carta
costituzionale. Colgo l'occasione per chiedere al presidente Amato di fare
quello che non ha fatto il suo predecessore D'Alema: ponga in quest'Aula, al
confronto parlamentare, la questione del nuovo concetto strategico della Nato,
questa nuova filosofia di intervento che di fatto ha stravolto il trattato
firmato a Washington dal nostro Paese nel 1949. È grave che il governo D'Alema
abbia aderito a questa nuova alleanza, non più meramente difensiva, senza
"discussione, senza dibattito parlamentare, senza sentire il Paese. Penso
che, indipendentemente dagli schieramenti - anche a sinistra - saremo in molti
ad apprezzare questa sua sensibilità. Concludo, ribadendo la nostra opposizione
al riconoscimento di un qualsiasi direttorio in cui Germania e Francia,
inevitabilmente, sarebbero più uguali degli altri, per dirla alla Orwell. Nei
fatti già lo sono ma codificarlo sarebbe un errore perché inevitabilmente
verrebbero discriminati i Paesi esclusi. I pericoli che l'Europa ha davanti sono
il condizionamento dei suoi interessi da parte dell'alleato atlantico, stante la
nostra debolezza politica, e l'egemonia nell'ambito dell'Unione da parte di
Paesi forti non solo economicamente, quali Germania e Francia. Evitare questi
rischi dipende da noi e dalla validità delle iniziative politiche che sapremo
prendere. (Applausi dal Gruppo LFNP). SERVELLO. Domando di parlare per
dichiarazione di voto. PRESIDENTE. Ne ha facoltà. SERVELLO. Signor Presidente
del Senato, lei mi consentirà, come del resto penso mi consentano i colleghi,
di indirizzare personalmente il mio intervento al presidente Amato, che
purtroppo questa mattina è soltanto presente in spirito in Aula. Ma è presente
in spirito anche il Ministro degli esteri (seppure autorevolmente rappresentato
dal sottosegretario Ranieri), il quale ha ritenuto di fare un'apparizione
fugace, dopodiché rimaniamo in solitaria compagnia del Sottosegretario. Mi
rivolgo dunque al signor Presidente del Consiglio, per dire: non so se lei sia
nello sci così abile come lo è, a quanto dicono, nel tennis. Certo è che
nella sua replica ai nostri interventi ha rilevato una notevole abilità nello
slalom: ha aggirato tutti gli ostacoli, ha compiuto tortuose e veloci discese,
non si è privato di alcuni arditi salti. Ma questa esercitazione sportiva, non
priva della vivacità intellettuale che costituisce una sua indubbia virtù,
rappresenta quella fuga dalla realtà che sembra caratterizzare il suo Governo.
E, per quanto questo possa apparire in contraddizione con quel pragmatismo che
le viene generalmente riconosciuto, nei fatti lei evade i problemi. Li evade o
li liquida, ricorrendo all'arguzia, alle battute, alle citazioni, dotte e non,
ma non dà risposte nel merito, non entra nel vivo delle critiche, giuste o
sbagliate che siano, che le sono rivolte. Ostenta un sentimento di superiorità
intellettuale che altro non è che il paravento dietro il quale nasconde,
malamente, la gran difficoltà che lei ha, e con lei lo schieramento politico
che sostiene il suo Governo, ad esporre un coerente programma di politica
estera. La debolezza del Governo che lei presiede, senza la legittimazione del
consenso popolare, ma solo grazie ad una precaria aritmetica parlamentare, è
tale da impedirle un serio confronto con l'opposizione di centro-destra. Ma è
con questa opposizione, sino a quando starà seduto su quella poltrona, che lei
deve fare i conti e, considerando la natura e la composizione della maggioranza
che lo sostiene, deve augurarsi di non trovarsi nella situazione dei suoi
predecessori, Prodi e D'Alema, alle prese con emergenze internazionali, perché,
in questo caso, dovrebbe fare le valigie con molto anticipo sulle sue
previsioni; a meno che non faccia ricorso al nostro sostegno, come hanno fatto
coloro che l'hanno preceduta. La sua fortuna, quindi, è che non si trova nella
spiacevole situazione di dover esporre un programma di politica estera coerente
ed organico e, ancor di più, che non deve fare scelte che manderebbero in
frantumi la precaria coalizione che lo sostiene. Il dibattito sull'Europa,
onorevoli colleghi, nei termini in cui si sta sviluppando, se non l'espone a
pericoli, comunque rivela le debolezze della sua azione di Governo e la
confusione che regna a sinistra, al punto che Prodi e Monti sono stati costretti
a indirizzarle un grido d'allarme; su questo punto non ha dato alcuna risposta,
come per tutto il resto. L'onorevole Veltroni, segretario del partito che
costituisce il suo principale sostenitore, rivendica alla sinistra italiana,
alla classe dirigente dell'Ulivo, il merito di alimentare un dibattito
sull'Europa che, a suo dire, non solo è ad alto livello, ma si scontra con il
"silenzio assordante" della destra. Se questa è una democrazia
parlamentare, quanto andiamo dicendo in questa e nell'altra Camera, al di là
degli interventi sulla stampa che sembrano essere più importanti di quelli
nelle sedi istituzionali, sta a testimoniare che la nostra voce si fa sentire.
Non è ascoltata da chi ostenta una sordità strumentale. Quel che noi, a nostra
volta, vediamo e sentiamo, è una babele a sinistra e al punto tale che lei, sia
nell'esposizione che nella replica, ha cercato di accontentare tutti:
federalisti e intergovernativi, pragmatisti e demagoghi. Si è rifugiato dietro
le larghe spalle del Presidente della Repubblica, tessendo gli elogi di una
proposta che chiaramente la lascia indifferente ma che le offre la scappatoia
per non prendere posizione. Infatti, anche nella replica abbiamo ascoltato una
serie di puntigliose messe a punto, piuttosto che la traccia di un disegno
nazionale dei nostri interessi, anche in Europa. Se il suo intervento era stato
una lezione universitaria, la sua replica è stata un'elencazione notarile delle
scadenze che attendono, anche sul piano internazionale, il processo di
unificazione europea. Qual è il nostro contributo? Una parolina: aperta. La
"cooperazione rafforzata" che Francia e Germania, prima con
l'intervento del ministro degli esteri tedesco Fischer e poi con il discorso di
Chirac al Reichstag, intendono realizzare al fine di aumentare la velocità
dell'Unione, deve avere un correttivo: quel riferimento ad una cooperazione
aperta, appunto, che dovrebbe consentire al nostro Paese di non restare sulla
scaletta della locomotiva franco-tedesca. Il grande dibattito italiano cui fa
riferimento Veltroni e che, per la verità, in quest'Aula ha avuto un'eco più
che modesta, è caratterizzato dalle contraddizioni e dalla genericità degli
interventi degli esponenti del centro-sinistra. Abbiamo sentito e letto prese di
posizione discordanti. È difficile trovare un filo conduttore comune tra quanto
afferma lei, signor Presidente del Consiglio, il suo Ministro degli esteri e
autorevoli esponenti del centro-sinistra. Rutelli, il quale punta alla sua
poltrona, afferma che il Governo vola basso, molto basso; che non ha il coraggio
(il sindaco di Roma fa riferimento al federalismo) di fare scelte coerenti e
coraggiose. Il suo pragmatismo, che per alcuni versi esprime delle valutazioni
sulle quali si può convenire, è poco in sintonia con le molte voci dello
stonato coro di centro-sinistra. Veltroni fa riferimento ai francesi per trovare
conforto nel giustificare la molteplicità delle posizioni che emergono
all'interno della sinistra italiana a proposito dell'Europa. Ma il dibattito in
Francia è di ben altra levatura e spessore. Védrine e Chévenement,
rispettivamente ministri degli esteri e dell'interno, dissentono, in parte, con
Jospin e polemizzano con Chirac, dibattendo una visione dell'Europa non fatta di
distinguo e di sintesi all'italiana tra opposti punti di vista. In Francia la
tesi maggioritaria è che lo Stato-nazione non è né in liquidazione né che
deve essere sacrificato in funzione di un'utopia di massimo integrazionismo e di
federalismo. Lo stesso Chirac ha frenato sul federalismo e fa una scelta più
elitaria nella prospettiva dell'Unione che non in quella di un'integrazione ad
oltranza e generalizzata. C'è una marmellata europeista della sinistra italiana
nella quale troviamo di tutto: dal federalismo all'elezione popolare del
presidente della Commissione, dal desiderio di salire sulla locomotiva
franco-tedesca, rivolgendo uno sguardo angosciato al vagone britannico che
viaggia a velocità ridotta, all'Europa intergovernativa. Dalla sinistra, sempre
per la voce di Veltroni, lei, signor Presidente del Consiglio, sta più
defilato. Vengono impartite lezioni di europeismo a una destra che, a suo
giudizio, "non capisce"; la gratifica di "euroscetticismo";
mette sullo stesso piano, quanto alla più generale analisi europea, il
laburista Blair ed il conservatore Aznar; dà pagelle di profitto in relazione
alle presenze alle sedute del Parlamento di Strasburgo. Come tutti i neofiti,
Veltroni eccede in entusiasmo e diligenza. L'Europa lui e la sua parte l'hanno
scoperta con un certo ritardo. Diciamolo pure senza giri di parole: l'hanno
lungamente e tenacemente avversata. E se è giusto e legittimo accettare, o
subire, le lezioni della storia e trarne le conseguenze, non è consentito che
ci si arroghi il diritto ad insegnare agli altri come si è buoni europei. A
questo punto s'impone qualche meditazione sul cosiddetto euroscetticismo,
un'espressione che è elargita da sinistra con l'intento di confinare in una
specie di megaghetto con l'accusa di un nuovo reato, leso europeismo, coloro che
della unificazione del nostro continente hanno una visione realistica che tiene
conto dei vari fattori geopolitici e storici che costituiscono la realtà degli
Stati nazionali. Da una parte c'è una demagogica utopia, che spazia dal
federalismo a varie e niente affatto chiare forme di sovranazionalità;
dall'altra, c'è il desiderio e la volontà di un'Europa unita ma da realizzarsi
nell'ambito del possibile, secondo gli imperativi della storia, le ragioni dei
popoli, le realtà geopolitiche e sociali. Siamo d'accordo che una maggiore
spinta in avanti sulla strada dell'unificazione consente dì mettere all'attivo
qualche progresso in più. Stiamo attenti però a non inseguire un'utopia
perché alla fine rischiamo di creare, nella prospettiva di un'Unione da
quindici a trenta, una costruzione fragile, priva di collante e che
difficilmente reggerà l'urto del mutare dei tempi e delle situazioni. È
evidente che il processo di integrazione di per sé ha implicato, sta implicando
e implicherà una perdita di parte delle singole sovranità. Non potrebbe essere
altrimenti. Gli Stati nazionali però rappresentano una realtà che è
utopistico considerare superata. L'Europa non va confusa con gli Stati Uniti,
nati da un'omogeneità di comuni origini etniche, religiose e storiche. E alla
sua frontiera orientale, signor Presidente del Consig1io, sta faticosamente
rinascendo una potenza russa che, questa volta, può svolgere un ruolo di grande
equilibrio ma che rappresenta una realtà con la quale fare i conti. Pensare che
il problema nel futuro si risolva attraverso i lavori della Conferenza
intergovernativa è estremamente riduttivo. La Conferenza deve mettere a punto
tra l'autunno e la fine dell'anno - come sosteniamo nella mozione e nell'ordine
del giorno da noi presentati - le possibili riforme istituzionali, per quanto
riguarda la regolamentazione del voto, sbloccando il meccanismo paralizzante
dell'unanimità, i poteri e la composizione della Commissione, i termini della
"cooperazione rafforzata", promossa da Francia e Germania, il
riequilibrio del rapporto peso nazionale - inteso anche in senso demografico - e
potere all'interno del Consiglio. Se i lavori si concluderanno positivamente,
sarà fatto un nuovo passo in avanti. Ma la prospettiva europea è più
complessa e articolata, e lo sarà di più man mano che procederà il processo
di ampliamento che, sia chiaro, ci trova convinti sostenitori. È realistico
però pensare che una comunità di Nazioni che si dovrà estendere da Istanbul
(includendo 64 milioni di musulmani) a Narvik, coprendo uno spazio geografico
sterminato, possa trasformarsi, per volontà di vertice più che per consenso
popolare, in un superstato centralizzato che dovrebbe annullare le singole
realtà nazionali? È realisticamente pensabile una tale prospettiva?
Evidentemente no. Paradossalmente, ma non tanto, nel momento in cui abbiamo
compiuto la giusta scelta - favorita dal crollo del comunismo e dell'Impero
sovietico - di far coincidere l'Europa politica ed economica con quella
geografica, abbiamo allontanato la prospettiva dell'integrazione rafforzata.
Possibile con sei nazioni, difficile con quindici, obiettivamente complicata con
trenta. Siamo ben lontani dalle premesse storiche che hanno dato vita alla
Comunità e poi all'Unione. Si trattava di riconciliare, dopo due suicide guerre
intereuropee, Francia e Germania. Ci siamo riusciti al punto che ora questi due
Paesi sono la locomotiva del processo di integrazione. Con le nuove realtà
emerse con la fine della guerra fredda, il quadro ovviamente è cambiato e si è
dilatato. Non illudiamoci però che basti una riforma dei meccanismi
istituzionali per realizzare, nei prossimi dieci anni, una vera comunità di
destino tra le Nazioni del vecchio continente. Ci vuole molto di più dell'Euro,
delle locomotive e delle Conferenze intergovernative. Ci vuole un'idea
trainante, una scelta di cultura e di civiltà in un mondo che, alla ricerca ad
oltranza del profitto, non ha saputo ancora sostituire le ideologie con valori
entusiasmanti. La Costituzione, intesa come carta dei diritti e dei doveri, a
cui fa riferimento il Presidente della Repubblica, è già una positiva
indicazione sulla strada giusta. E mi avvio a concludere. Non illudiamoci che
l'Europa che stiamo disegnando e che, a nostro giudizio, deve dotarsi degli
strumenti istituzionali adeguati alla prospettiva di un destino comune stia
superando l'interesse nazionale e sia matura per una pur progressiva ed
ulteriore rinuncia di sovranità. Il Presidente del Consiglio ritiene che
l'evoluzione storica erode dal basso inevitabilmente il concetto e l'esercizio
della sovranità senza dover ricorrere a forzature dall'alto. C'è però in
questa e nelle altre interpretazioni una voluta sottovalutazione e deformazione
della realtà. Gli interessi nazionali non sono affatto scomparsi. Soltanto si
stanno trasferendo all'interno dell'Unione, dove, dietro lo schermo della
volontà integrazionista, si esercitano influenze, strategie, disegni che
rispondono alle singole realtà nazionali. Più esattamente agli interessi degli
Stati a maggior peso: Francia, Germania, Gran Bretagna, per parlare dei paesi
trainanti. Essi portano all'interno dell'Unione la logica dei loro interessi
nazionali, attenti che non prevalgano quelli degli altri. Presentare l'Europa
unita, dove quindici nazioni, e nel prossimo decennio trenta, sono unite per un
atto di fede europeista, è una pura ipocrisia. Così come non può essere
ignorato il fatto che l'interesse nazionale degli Stati Uniti, pur adattato alla
particolarità del rapporto transatlantico e al sistema di alleanze che ci
unisce, fa valutare con prudenza agli americani il nostro processo di
unificazione. Con la non nascosta volontà che l'Europa, invece di cominciare a
Brest (De Gaulle voleva che finisse a Vladivostok) cominci a Boston. L'Europa
possibile, che deve scongiurare l'incombente pericolo della sua trasformazione
in una vasta area di libero scambio, deve essere il punto d'incontro tra gli
Stati che la compongono. Certo, con rinunce di sovranità. Ma non il suo
annullamento. Quella federalista, allo stato delle cose, è un'utopia che serve
a giustificare molte inadempienze e una notevole confusione di idee e di
propositi. Le istituzioni di Bruxelles vanno certamente rafforzate, il loro
funzionamento va reso più agile e rispondente alle necessità dell'ampliamento.
L'idea di un'avanguardia che imprima una velocità di crociera più sostenuta
non va respinta, a condizione che l'Italia possa avere il suo posto e non in
posizione subalterna. Questo, per la verità, dipende molto più da noi che non
dai nostri partner. Non si costruisce, onorevoli colleghi, l'Europa con la
demagogia, ma partendo dalla identità dei suoi popoli e dalle realtà nazionali
in cui si riconoscono e che rappresentano pietre indispensabili per costruire un
edificio comune. C'è un risveglio, se vogliamo anche eccessivo, dei
particolarismi nazionali e regionali: l'Ulster ed il Paese Basco stanno ad
insegnare qualcosa, che va capito ed interpretato. In definitiva, la costruzione
europea, se è la risultante della volontà politica delle sue classi dirigenti,
in particolare di quelle dei paesi più attivamente impegnati, non può essere
legittimata che dalla volontà popolare. Rigenerare in chiave moderna la Nazione
per costruire l'Europa possibile ed auspicabile: questa è la sfida che ci
attende. È illusorio pensare che la strada dell'Unione possa essere tracciata
annullando la storia, la civiltà, le particolarità dei popoli che la
compongono. Ed è pericoloso inseguire i modelli di multietnicità e
multiculturalità, all'interno degli Stati, quando vanno oltre la convivenza
civile, la dignità dei singoli e delle comunità, la salvaguardia dei diritti.
Con la pretesa di spingersi troppo avanti, onorevoli colleghi, per convinzione,
utopia o demagogia, si rischia, in tutti i campi, di danneggiare piuttosto che
favorire la causa che si vuole, o si pretende di servire. (Applausi dai Gruppi
AN e FI. Congratulazioni). PIANETTA. Domando di parlare per dichiarazione di
voto. PRESIDENTE. Ne ha facoltà. PIANETTA. Signor Presidente, onorevole
Ministro, onorevoli colleghi, è stato detto che nessuna generazione può
scegliersi a piacimento le sfide che la storia gli mette di fronte. La nostra
generazione non è esente da questa regola per quanto concerne l'Europa. Per i
Paesi che ne fanno parte e per quelli che ne faranno parte in avvenire, il
futuro dipenderà dalle decisioni che saranno definite alla Conferenza
intergovernativa e dal successivo breve periodo, di grande transizione, nel
quale l'Europa stabilirà le sue istituzioni e le sue frontiere. Dobbiamo essere
consapevoli che l'Unione europea è in una fase molto delicata; consapevoli
peraltro che la costruzione dell'Europa è un processo del tutto singolare nella
storia mondiale. L'Euro comprende 11 dei 15 Paesi e ha caratteristiche
prettamente federali in un contesto di istituzioni anche intergovernative e solo
in parte federali. L'esito dei tre referendum - quello danese a settembre,
quello inglese e l'eventuale austriaco - potrebbe creare una qualche tensione o
tendenza di disomogeneità. Allora, oggi più che mai, sono necessarie visioni
ampie, pragmatismo e molta convinzione nell'Europa; visioni e pragmatismo devono
sostenere parallelamente integrazione politica ed allargamento. L'albero
dell'Europa, per essere rigoglioso e forte e per poter svolgere anche
un'importante funzione di equilibrio nel mondo, deve estendere le proprie radici
sia orizzontalmente che in profondità e vivere della linfa legittimante dei
cittadini. La legittimazione che si manifesta con una magna charta, con una
Costituzione europea contenente princìpi e diritti fondamentali,
l'organizzazione e le competenze delle istituzioni: per noi è questa la strada
maestra da imboccare. Per questo motivo, esprimiamo grande apprezzamento e
condividiamo il discorso di Lipsia del Presidente della Repubblica.
"Un'Europa regolata da una nuova Costituzione che dica con chiarezza quali
sono le decisioni che devono essere assunte a livello europeo, a livello dei
singoli Stati, delle singole regioni, dei singoli comuni": sono parole
pronunciate dal presidente Silvio Berlusconi il 27 maggio 1999. "Ci siamo
dati una moneta unica", prosegue il Presidente, "ma questa moneta non
è solo uno strumento per il commercio e per i pagamenti, è anche un simbolo
per l'Europa che deve diventare più forte, più coesa, un'Europa politica che
proprio per dare a tutti i suoi cittadini pace, difesa e sicurezza nel tempo
deve esprimere se stessa come un unico. Deve potersi confrontare con il resto
del mondo come unica entità. Un'Europa che possa percorrere la strada
dell'integrazione sino ad essere un'entità politica": così conclude il
presidente Berlusconi. Abbiamo grande fiducia nell'Europa, una fiducia che non
può non essere anche reciproca. Abbiamo sempre espresso grande e convinta
fiducia nell'Europa, e non comprendiamo né condividiamo la freddezza e quella
sorta di scetticismo celato sotto forma di atteggiamento paziente o di prudenza
- come dice il Presidente del Consiglio invocando Machiavelli - del Governo
italiano verso i punti nodali e propulsivi che vanno al di là delle necessarie
discussioni tecnico-diplomatiche: atteggiamenti che non rispecchiano
assolutamente la sempre dichiarata disponibilità e determinazione europeista
dei cittadini italiani. È un atteggiamento - ripeto - che ci preoccupa, come
pure preoccupa altri all'esterno e all'interno di quest'Aula, considerando gli
interventi ascoltati. Ci battiamo per un'Europa che sia forte dei princìpi di
sussidiarietà, della sovranità popolare, della sicurezza e della difesa
comune, della solidarietà interna ed esterna. Crediamo e ci identifichiamo in
un'Europa maggiormente istituzionalizzata e che, forte di questa saldatura,
possa essere, l'Europa, il fulcro culturale, civile, sociale di un'area ancora
più vasta di pace e di stabilità, di equilibrio, di un grande Occidente;
un'area non arroccata in se stessa e non contro qualcuno, rivolta alla
collaborazione esterna perché il destino dell'umanità non si gioca mai
sull'isolamento ma nella interdipendenza con gli altri: ed è anche questa una
funzione dell'Europa. Dicevo all'inizio che la sfida che abbiamo di fronte
prevede alcune decisioni in tempi rapidi, quali quelli della Conferenza
intergovernativa di Nizza del dicembre 2000. Dobbiamo allora accelerare anche
noi, incoraggiati dalle dichiarazioni della Presidenza francese, che a Nizza ha
affermato di non accettare conclusioni minimaliste. I problemi che dobbiamo
risolvere sono dunque i seguenti: l'estensione del voto a maggioranza
qualificata, che deve essere regola; la riponderazione del voto; la composizione
della Commissione; l'abolizione del diritto di veto per costruire cooperazioni
rafforzate; il numero dei parlamentari europei; la rappresentatività della
Corte di giustizia; la Carta dei diritti fondamentali e la sua Costituzione.
Sono argomenti decisivi per la Conferenza di Nizza e l'Italia, li deve
affrontare non solo come ha fatto fino ad ora, con competenza diplomatica, ma
anche con più peso e più determinazione politica, perché il peso politico
italiano relativo dipende anche dalle contraddizioni e dalle eterogeneità del
suo Governo. Il Presidente del Consiglio indirettamente le evidenzia, ma non ne
trae conclusioni coerenti; infatti egli evoca e ricorda che: "Una parte
viva della storia e della cultura europea - direi gli esclusi di Yalta - solo
perché ha avuto la disgrazia del comunismo non può sentirsi dire alla fine
della disgrazia che non è parte dell'Europa". Il Presidente del Consiglio
coordina una compagine governativa con il comunismo, che alimenta quella
politica pervasa da ambiguità, da opportunismi, da posizioni irrisolte. Qui sta
il punto: la tendenza a non voler sciogliere il nodo dei rapporti etici,
giuridici, culturali; la tendenza a cancellare senza chiarire. È fuorviante
dire "la disgrazia del comunismo" se non si opera di conseguenza e
anziché il necessario chiarimento liberatorio si tende a tenere insieme tutto
in modo contraddittorio. Dobbiamo invece attivare e contribuire a svolgere
questi chiarimenti liberatori per costruire efficacemente l'Europa, e l'Europa
allargata: area omogenea di democrazia, sviluppo, pace - com'è stato
autorevolmente espresso in quest'Aula in occasione del dibattito - e tale da
prevenire nuove saldature di nazionalismo e di neocomunismo. Anche in politica
estera, che è politica interna dell'Europa, o "politica esterna",
come suggerisce il presidente Andreotti, questo Governo esprime tutta la sua
debolezza e la sua incapacità di offrire un suo contributo originale e
determinate, come è sempre stata la tradizione di nostri illustri statisti che
hanno interpretato le convinte istanze europeiste del nostro popolo e che hanno
saputo dare un indirizzo estremamente qualificato alla costruzione dell'Europa.
Oggi non è più così sufficientemente forte, con questo Governo. Ci sono molte
dichiarazioni, anche fatte con impegno personale lodevole, ma che non incidono,
non costruiscono e soprattutto non sono considerate. Faccio queste affermazioni
con grande delusione per aver constatato direttamente, anche recentemente, che
non c'è il contributo concreto, costruttivo, determinante dell'Italia per la
costruzione della nuova Europa, per una visione dell'Europa che è parte
integrante del nostro futuro. Altri stanno proponendo, discutendo e forse anche
decidendo preliminarmente. Altri stanno affrontando le sfide che impone la
storia. In questo caso la sfida è il futuro dell'Europa. Ripeto, non le stiamo
affrontando adeguatamente da parte di questo Governo. Mi riferisco alle proposte
che incidono, alle decisioni che concorrono ad individuare e plasmare le
direttrici ed i cammini dell'Europa: l'Europa dei cittadini europei e l'Europa
degli Stati-Nazione che compongono e caratterizzano l'essenza e l'identità
complessiva dell'Europa nell'ambito delle competenze e delle competizioni
mondiali. Mi riferisco alle tensioni costruttive e alle visioni prospettiche
dell'Europa; è qui che non ci siamo ed invece è qui che siamo chiamati
all'impegno e alle decisioni: istituzionali, organizzative, strategiche.
Dobbiamo prendere atto di ciò che recentemente si sono detti, a distanza di
pochi giorni, Fischer e Chirac. La Francia e la Germania si sono chiamate a
giocare un ruolo decisivo in questa fondamentale tappa della costruzione
dell'Unione europea, vale a dire la sua integrazione politica e l'allargamento
verso l'Est europeo. Sono decisioni di portata storica, da discutere e
concordare. A Fischer risponde Chirac: rafforza e sottolinea più volte la
funzione di motore propulsore per lo sviluppo dell'Europa del binomio
franco-tedesco. Sono i Paesi pionieri cui possono aggregarsi anche altri Stati.
Coglie l'occasione per affermare che Francia e Germania costituiscono il motore
fondamentale dell'integrazione europea; veri Paesi pionieri attorno a cui dar
luogo ad un gruppo dei Paesi per un miglior coordinamento della politica
economica, per un rafforzamento della politica di difesa e di sicurezza e per
una più grande sicurezza alla lotta alla criminalità, per coltivare sentimenti
di identità e di appartenenza europea in un'Unione ancora più democratica, con
un maggiore coinvolgimento e partecipazione popolare, fino alla Carta dei
diritti fondamentali ed alla Costituzione europea. Questo Governo alimenta
invece delusioni: la delusione dell'Italia euromediterranea - è sufficiente
ascoltare i lamenti dei Paesi della sponda sud del Mediterraneo -, la delusione
dell'Italia nell'area balcanica, dove stiamo gestendo con debolezza e confusione
i nostri interventi, e non mi riferisco sicuramente all'impegno e alla dedizione
delle nostre forze operanti in quell'area. Ora, non ci deve essere la
"delusione Europa". L'ideale europeo è popolarissimo nella nostra
opinione pubblica: siamo il Paese in cui è minore l'incidenza di posizioni
critiche sull'Europa. Abbiamo una "finestra" di pochi mesi prima
dell'allargamento; dobbiamo usare questo tempo con l'Italia in prima fila per
conseguire un'integrazione, la più ampia possibile, di Paesi europei. Questo
Governo non si assuma la responsabilità - perché l'Italia, come dice il
Ministro degli esteri, perde competitività e teme il pericolo di non tenere il
passo con gli altri, e quindi, dico io, è debole - di essere tiepido, di non
far vincere la sfida europea che la storia ha posto di fronte alla nostra
generazione. Vogliamo dare con grande determinazione una spinta propulsiva;
prendiamo atto in tal senso che il Governo ha accolto l'ordine del giorno
presentato dalla Casa delle libertà e non insistiamo per la votazione della
nostra mozione. (Applausi dai Gruppi FI e AN. Congratulazioni). NOVI. Domando di
parlare per dichiarazione di voto, in dissenso dal mio Gruppo. PRESIDENTE. Ne
prendo atto e le do la parola. NOVI. Signor Presidente, il mio dissenso verte
soprattutto sulla valutazione del mio Gruppo circa il documento presentato dalla
maggioranza. La mozione della maggioranza risente infatti di tre filoni di
pensiero: quello neofederalista-giacobino della componente post-comunista, che
storicamente avversò l'Europa di Schuman e di De Gasperi; il filone che
potremmo definire orleanista-scettico del ministro degli esteri Dini e, infine,
il filone che potremmo definire tecnocratico. Quest'ultimo si richiama
all'impostazione di un libro, poco letto in Italia ma che ha rappresentato
moltissimo nella cultura dell'occidente, intitolato "La rivoluzione dei
tecnici", di James Burnham, edito da Mondadori nel 1946. L'autore, un ex
trotzskista, si sofferma sul potere senza volto della tecnocrazia. Il documento
della maggioranza risente delle ambiguità, delle diversità e delle
contraddizioni esistenti all'interno della maggioranza stessa. Si può
affrontare con un documento ambiguo e con posizioni contraddittorie il crinale,
che definirei epocale, di questa fase storica? Credo che la risposta sia
negativa. La crisi della politica ha portato alla democrazia delle leadership,
democrazia senz'anima in cui il leader governa con lo staff anziché che con
l'Esecutivo. Ora viviamo la crisi della statualità e, come alla crisi della
politica sono conseguite forme di democrazia della leadership che contraddicono
le forme tradizionali, così la crisi della statualità porta ad un potere senza
volto. È stato già sperimentato: nel momento in cui gli Stati hanno ceduto la
sovranità monetaria, nel momento in cui si verifica la crisi di un aspetto
della statualità, ecco che la funzione della Banca centrale europea spesso
deborda nella politica. E il Presidente del Consiglio si fa portatore di
un'impostazione nostalgica non del Medioevo ma della monarchia merovingia del
Medioevo e di quello che essa ha significato, la monarchia dei "re
fannulloni". La visione del Presidente del Consiglio è... (Commenti del
senatore Vertone Grimaldi) Collega Vertone Grimaldi, questa è storia. È una
visione che si richiama a questa impostazione e allora mi chiedo se un'area
politica come la nostra, che si rifà alla grande tradizione europeista degli
Schuman e dei De Gasperi, non abbia il diritto di accentuare invece la funzione
e la visione storica dell'Europa. Signor Presidente, a Bruxelles, come ha
ricordato il presidente Elia, ma anche a Strasburgo, sono emerse contraddizioni
non indifferenti. Quando è intervenuto il ministro degli esteri tedesco Fischer
si sono avute impostazioni e approcci diversi. Le contraddizioni sono emerse
soprattutto da parte degli Stati che hanno fatto richiesta di adesione alla
Comunità europea; essi si sono interrogati soprattutto sulle finalità e sulle
funzioni delle cooperazioni rafforzate. La Conferenza intergovernativa ed il
Trattato di Nizza dovranno dare una risposta sulle cooperazioni rafforzate e sul
loro ruolo. Esse sono strumenti per nuovi e più stretti legami politici fra
quanti, all'interno dell'Europa, sono disposti ad accelerare il passo. Ci sono
però dieci nuovi Stati che premono alla porta dell'Europa e che intravedono
nello strumento della cooperazione rafforzata un elemento penalizzante per la
loro presenza e per la loro identità in Europa, ma l'Unione europea, nello
stesso tempo, rischia anche di diventare una piccola ONU, con processi
decisionali paralizzati dal diritto di veto. Il rimedio a queste contraddizioni
è stato individuato nello strumento della cooperazione rafforzata, ma c'è un
rapporto del Fondo monetario internazionale che pone delle questioni che non
possono essere ignorate e non si comprende perché la maggioranza nel suo
documento non ne abbia tenuto conto. È vero ed innegabile che Eurolandia
rappresenta un grosso volano di sviluppo e porta con sé la riduzione dei costi,
più concorrenza, più crescita, più investimenti. Però quando si verifica uno
shock asimmetrico, quando si verifica una crisi non generalizzata all'interno di
essa, i Paesi che come l'Italia non hanno accelerato i loro processi di
modernizzazione non possono ricorrere allo strumento della svalutazione
competitiva che ha aiutato invece proprio l'Italia ad uscire per esempio dalla
crisi del 1992. PRESIDENTE. Senatore Novi, la prego di concludere. NOVI. Sì,
signor Presidente, concludo. Lo strumento della cooperazione rafforzata si muove
nell'ambito di quella che fu la visione europeista di Schuman e di De Gasperi,
oppure esso rischia di generare un'Europa a due o a tre velocità? Questa è la
domanda che si sono posti molti Paesi dell'Unione europea ed è la domanda che
si pongono anche i rappresentanti degli Stati - come quello rumeno e quello
polacco - che puntano a diventare membri dell'Unione europea. (Applausi dal
Gruppo FI. Congratulazioni). MIGONE. Domando di parlare per dichiarazione di
voto. PRESIDENTE. Ne ha facoltà. MIGONE. Signor Presidente, ci troviamo di
fronte ad un piccolo paradosso parlamentare per cui, per ragioni di evidente
cortesia, chi pronunzia la dichiarazione di voto per il Gruppo più consistente
dovrà parlare meno di uno dei dissenzienti da uno dei Gruppi di minoranza.
PRESIDENTE. Senatore Migone, la informo che il senatore Novi è intervenuto per
sei minuti. Poiché per il dissenso è prevista una procedura dal nostro
Regolamento, alla quale faccio riferimento, non credo che possano essere
avanzati rilievi in merito. Semmai, avrei potuto fare un'altra osservazione al
senatore Novi, in quanto, non votando il suo Gruppo la mozione n. 559, il cui
primo firmatario è il senatore Migone, non c'era bisogno di intervenire in
dissenso dal suo Gruppo. MIGONE. In ogni caso, si tratta di piccolezze. Data
l'ora, dunque, mi esprimerò per proverbi, anche se sono profondamente sentiti,
signor Presidente. Innanzitutto dobbiamo avere ben presente, dobbiamo essere
autoconsapevoli di un fatto importante: in questo momento un ramo del Parlamento
esercita il suo diritto-dovere di indirizzo nei confronti del Governo. In altre
parole, una discussione molto importante che si è sviluppata in Europa ed anche
in Italia nel corso dell'ultimo mese arriva ad una definizione (evidentemente
provvisoria, come tutte le definizioni politiche), che ha un suo profondo senso
dal punto di vista istituzionale. Non dimenticandomi delle responsabilità
istituzionali di cui sono investito, devo anche dire che ho letto con favore
l'ordine del giorno n. 800, presentato dall'opposizione, e ho trovato nei
princìpi generali esposti in tale ordine del giorno un terreno di convergenza
che rafforza la posizione italiana e del nostro Parlamento per quanto attiene
alle responsabilità europee. Credo che quando si scende più nel merito, quando
si leggono gli altri documenti, c'è ancora una discussione aperta che deve
continuare e deve essere ulteriormente approfondita per garantire al nostro
Paese il massimo dell'efficacia in presenza di una fase indubbiamente
importantissima che, se non costituente, ci auguriamo pre-costituente
dell'unione e di un'entità europea. Per quanto riguarda l'intervento del
Presidente del Consiglio, ritengo estremamente importante il punto dal quale
egli è partito: infatti, ha rivendicato all'allargamento dell'Unione europea la
dignità politica e morale della riunificazione dell'Europa divisa per quasi
cinquant'anni dalla guerra fredda. In altre parole, l'allargamento non è una
concessione alle richieste di questo o di quel candidato, la cui idoneità deve
essere continuamente verificata, ma un fatto politico globale che corrisponde
agli interessi dell'Unione come è attualmente costituita. Non è stato detto -
ma lo dico qui - che il Presidente del Consiglio ha così ripreso uno degli
elementi qualificanti con cui il presidente della Commissione, Romano Prodi, si
è presentato al Parlamento europeo dopo la sua elezione. Riteniamo questo un
fatto qualificante, nel momento in cui il presidente Prodi è spesso fatto
oggetto di polemiche in qualche maniera strumentali: giudizi sul suo operato che
in realtà sono affermazioni di carattere politico, forme di euroscetticismo
più o meno mascherato da un punto di vista tecnico. Credo però che il
ragionamento sull'allargamento, per non rimanere retorico, nel senso nobile del
termine, debba trovare una qualche attuazione. È per questo che, nella mozione
da me presentata insieme con altri colleghi, si chiede che sia presa seriamente
in esame l'opportunità di un'adesione accelerata per quanto riguarda gli
aspetti di politica europea di sicurezza e difesa da parte degli Stati candidati
all'Unione, anche prima che si siano realizzate le condizioni per loro la piena
adesione alla stessa. Ciò è possibile perché non c'è un patrimonio acquisito
che debba essere amministrato e in qualche maniera assimilato. In questo modo
poi si riconoscerebbe la politicità del processo in atto. So che questa è una
battaglia dura e difficile, che ci sono delle posizioni, anche sui tempi,
consolidate nelle discussioni del Consiglio, ma credo che questa sarebbe
un'iniziativa qualificante per l'Italia, che fin dall'inizio non ha mai posto in
alternativa l'obiettivo dell'integrazione con quello dell'allargamento. La
seconda e ultima osservazione che vorrei fare attiene alla questione delle
sovranità. Il Presidente del Consiglio ha manifestato nei confronti della
sovranità uno scetticismo che condivido, per quanto riguarda gli Stati
nazionali (essi infatti non sono oggi in grado di influenzare o di condizionare
decisioni a livello globale e questa è una delle ragioni, forse la più
importante, per cui è necessaria l'unità europea), solo che lo stesso
Presidente del Consiglio ha esteso questo scetticismo a un soggetto europeo.
Bisogna fare attenzione, perché possiamo anche fare previsioni da questo punto
di vista, ma dobbiamo sapere che sovranità a livello globale esistono. Esiste
quella degli Stati Uniti d'America, quella della Cina e, con le difficoltà che
sappiamo, anche quella della Russia. Ma su questo, nella dialettica della
discussione che c'è stata con il Presidente del Consiglio, mi pare si sia
registrato un avvicinamento, una maggiore comprensione da parte di tutti. È per
questo che l'Italia mantiene la sua vocazione federalista e non si preoccupa,
anzi vede positivamente il fatto che, a livello europeo, ormai esplicitamente ci
si ponga non solo il problema della porta stretta della Conferenza
intergovernativa che si concluderà a Nizza, ma di quello che sta al di là
della porta: la costruzione del muro e quella della cattedrale. E nulla di male
se il Parlamento italiano comincia a porsi il problema del disegno di questa
cattedrale. (Applausi dai Gruppi DS, PPI, Misto-Com, UDEUR, Misto-RI, Misto-SDI
e Verdi). PRESIDENTE. Metto ai voti la mozione 1-00559, presentata dal senatore
Migone e da altri senatori. È approvata. Comunico che è pervenuto alla
Presidenza un nuovo testo della mozione 1-00562, su cui invito il rappresentante
del Governo a pronunciarsi. RANIERI, sottosegretario di Stato per gli affari
esteri. Signor Presidente, esprimo parere favorevole. PRESIDENTE. Metto ai voti
la mozione 1-00562 (Nuovo testo), presentata dalla senatrice Salvato e da altri
senatori. È approvata. Chiedo al senatore Servello se insiste per la votazione
della mozione 1-00564. SERVELLO. Come ho anticipato nel corso del mio precedente
intervento, avendo il Governo accettato in particolare il dispositivo di questa
mozione, nonché l'ordine del giorno n.800, non riteniamo di insistere per la
votazione. Tale posizione, peraltro, è in sintonia con quello che abbiamo fatto
or ora, non partecipando alla votazione della mozione di cui è primo firmatario
il senatore Migone, smentendo pertanto il dissenso del collega Novi. PRESIDENTE.
Chiedo ai presentatori se insistono per la votazione della mozione 1-00566.
PIANETTA. Signor Presidente, non insistiamo per la votazione. PRESIDENTE. Chiedo
ai presentatori se insistono per la votazione della mozione 1-00567. PROVERA.
Signor Presidente, insisto per la votazione. PRESIDENTE. Metto ai voti la
mozione 1-00567, presentata dal senatore Provera e da altri senatori. Non è
approvata. L'ordine del giorno n. 1, essendo stato accolto dal Governo, non
verrà posto in votazione. Sull'ordine del giorno n. 2 il rappresentante del
Governo si è rimesso al Presidente del Senato. Vorrei far rilevare ai
presentatori che, per evitare un voto contrario dell'Assemblea, sarebbe
opportuno rimettersi egualmente e sempre al Presidente del Senato, il quale,
quando ne venisse avanzata richiesta, non avrebbe difficoltà, sentiti i
Capigruppo, di volta in volta, ad ascoltare anche i Ministri dei singoli
settori. Cercherei, però, di evitare una votazione contraria, che
pregiudicherebbe anche un'ipotesi di tal genere. Detto questo, chiedo ai
presentatori se insistono per la votazione dell'ordine del giorno n. 2. FOLLONI.
Signor Presidente, il nostro ordine del giorno era volto ad impegnare più il
Senato che il Governo, al quale si chiedeva di partecipare ad incontri che
dobbiamo decidere noi. Aderiamo volentieri al suo invito a rivolgerci a lei, di
volta in volta o complessivamente, per le motivazioni che ci inducono a chiedere
un esame materia per materia di ciò che accade nel percorso che ci conduce
all'unificazione europea. Pertanto, non insistiamo per la votazione. PRESIDENTE.
Avendo il Governo accolto l'ordine del giorno n. 800, lo stesso non verrà posto
in votazione. Invito il rappresentante del Governo a pronunciarsi sulla proposta
della Giunta per gli affari delle Comunità europee. RANIERI, sottosegretario di
Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, esprimo parere favorevole.
PRESIDENTE. Metto ai voti la proposta della Giunta per gli affari delle
Comunità europee (Doc. XVI, n. 14). È approvata.
DOCUMENTI DI SEDUTA
Mozioni
(1-00559) (14 giugno 2000) Approvata MIGONE, ANDREOTTI, VERTONE GRIMALDI,
BOCO, LAURIA Baldassare, MANZELLA, LAURICELLA, ROBOL, TAPPARO. - Il Senato,
premesso: che la caduta del muro di Berlino ha consentito la riunificazione
dell'Europa e ha posto le condizioni per lo sviluppo della sua stabilità
democratica e della capacità di autogoverno e, quindi, per la sua maggiore
incidenza a livello globale; che a tali condizioni hanno corrisposto
realizzazioni importanti, ma ancora parziali, come la moneta comune - vera e
propria prerogativa di sovranità - e il delinearsi di una politica estera e di
sicurezza, dotata di una difesa capace di affrontare le nuove sfide della
sicurezza collettiva e di rafforzare ed equilibrare il rapporto di alleanza
transatlantica; che riveste straordinario rilievo politico e morale
l'allargamento dell'Unione, a cui partecipano in prima linea i paesi principali
vittime della guerra fredda; sull'accelerazione di tale processo si fonda la
speranza di un'Europa pacifica e democratica, capace di prevalere sulle attuali
tensioni nelle zone circostanti l'Unione; che tuttavia tali sviluppi, che
possono e devono rafforzare il disegno di un'Europa unita a cui il nostro paese
ha contribuito in maniera decisiva fin dalle origini, determinano l'urgenza del
rafforzamento democratico di strutture capaci di sostenere la crescita
dell'Unione; che la stesura di una carta dei diritti europei che consenta una
vera e propria costituzionalizzazione dei trattati, l'avvio di una Conferenza
intergovernativa che non può limitarsi a completare l'opera del Trattato di
Amsterdam, autorevoli voci (a cominciare da quella del Ministro degli affari
esteri della Repubblica federale tedesca) postulano un'Unione sempre più
stretta tra i popoli - fondata su diritti di cittadinanza - che conduca ad una
vera e propria Federazione degli Stati europei, nel rispetto del principio di
sussidiarietà; che nello stesso tempo non è più sostenibile che
all'unificazione monetaria non corrisponda un vero e proprio governo
dell'economia, l'allargamento dell'Unione non trovi riscontro nel rafforzamento
delle sue istituzioni, il processo di integrazione non sia sottoposto alle
decisioni e al controllo democratico di adeguati organismi parlamentari, la
trasformazione dei rapporti con gli alleati di Oltreoceano, determinata dalla
crescita del contributo europeo alla comune sicurezza, non sia accompagnata da
un'adeguata ridefinizione delle responsabilità che ne derivano, la crescita dei
diritti di cittadinanza non trovi riscontro in istituzioni semplificate e
trasparenti, capaci di governare l'amministrazione comunitaria; che si ribadisce
la storica vocazione federalista dell'Italia, primo interesse nazionale, che si
esprime in un'Europa libera, democratica e pacifica; che si ritiene, infine, che
le difficoltà e le resistenze attuali potranno solo essere risolte attraverso
il rilancio dell'ispirazione originaria del disegno europeo in modo da superare
veti incrociati e minimalismo negoziale, se necessario attraverso la
riconvocazione, da parte degli Stati fondatori, di una Conferenza di Messina
aperta a tutti coloro che ne condividano il significato originario, impegna il
Governo: ad essere fedele a tali premesse, in una visione ambiziosa ed allo
stesso tempo realistica della Conferenza intergovernativa, sostenendo tutte
quelle riforme funzionali al processo d'integrazione europea e impegnandosi
affinché le stesse vengano realizzate entro la fine di detta Conferenza,
fissata nel mese di dicembre 2000; ad adoperarsi affinché, oltre ai tre
problemi irrisolti dal Trattato di Amsterdam (composizione e struttura della
Commissione, riponderazione del voto, estensione del voto a maggioranza
qualificata) ed alle cosiddette questioni connesse (composizione e funzionamento
di altri organi dell'Unione), il mandato della Conferenza sia esteso alle
cooperazioni rafforzate, alle modifiche istituzionali a seguito
dell'approfondimento della politica di difesa ed alla Carta dei diritti
fondamentali; ad agire affinché in un'Europa allargata anche una minoranza di
Stati, se autorizzata dalla maggioranza, possa, nel rispetto dei Trattati,
andare avanti prima di altri, restando aperta a tutti quegli Stati membri che
non abbiano potuto o voluto parteciparvi fin dall'inizio; intorno a questa
avanguardia di Stati potrà costituirsi un nucleo aggregato, un centro di
gravità, che, nel rispetto del quadro istituzionale unico, conduca alcuni Stati
verso strutture maggiormente integrate che potrebbero favorire la realizzazione
di quei progetti legati ad una visione federativa europea; ad impegnarsi, in un
tale contesto, per alleggerire le condizioni previste nel Trattato per ricorrere
a siffatte cooperazioni, in particolare abolendo il diritto di veto, riducendo
il numero minimo di Stati necessario per realizzare le cooperazioni rafforzate e
abrogando la condizione secondo la quale la cooperazione rafforzata deve essere
utilizzata "in ultima istanza"; ad adoperarsi affinché venga
realizzata l'integrazione nei Trattati di una Carta dei diritti fondamentali che
legittimi l'Unione nei confronti dei cittadini e dia contenuto concreto alla
cittadinanza europea, nucleo essenziale della futura costituzione europea; a
sostenere, per quanto concerne la politica europea di sicurezza e difesa, la
creazione nell'ambito del Consiglio di nuovi organi e strutture politiche e
militari per dotare l'Unione degli apparati decisionali necessari per la
gestione delle capacità militari nelle situazioni di crisi, nel rispetto del
quadro istituzionale unico, e a far recepire nei Trattati i progressi nella
politica di sicurezza e difesa, prevedendo veri e propri parametri comuni,
rispondenti alla nuova natura delle sfide alla sicurezza, con particolare
riguardo ai cosiddetti compiti di Petersberg; a prendere in esame l'opportunità
di un'adesione accelerata a tali finalità e strutture (PESC e difesa europea)
da parte dei paesi candidati che abbiano già soddisfatto i criteri di
democrazia e di diritti umani previsti dall'Unione, in attesa che si realizzino
le condizioni per la piena adesione all'Unione; in stretto rapporto con il
Parlamento, a predisporre proposte di controllo parlamentare europeo e
nazionale, per quanto attiene alla medesima PESC e alla difesa europea; a
realizzare, in prospettiva, l'obiettivo della semplificazione, ristrutturazione
e riorganizzazione delle disposizioni dei Trattati al fine di realizzare un
quadro sistematico dei princìpi fondamentali, degli organi, della suddivisione
dei poteri, del processo decisionale, della gerarchia delle norme, distinto
dalle disposizioni relative alle singole politiche settoriali; a sostenere le
proposte tese a considerare regola il voto a maggioranza qualificata nell'ambito
delle procedure decisionali dei Trattati, onde salvaguardare la capacità
decisionale dell'Unione europea e il carattere sovranazionale del processo di
integrazione, nella prospettiva dell'allargamento; ad adoperarsi, quanto alla
struttura e composizione della Commissione, affinché vengano adottate quelle
modifiche necessarie a mantenere l'efficacia, l'autonomia, l'indipendenza e la
collegialità della Commissione, motore del processo di integrazione, guardiana
dei Trattati e garante dell'interesse comune; a sostenere, con riferimento alla
riponderazione del voto in seno al Consiglio dell'Unione europea, proposte di
modifiche che assicurino una maggiore legittimità democratica ed una più alta
rappresentatività delle decisioni del Consiglio, evitando un ulteriore
arretramento della posizione relativa degli Stati più popolati, del tutto
ingiustificata secondo ogni parametro, politico, statistico e demografico.
(1-00562) (29 giugno 2000) Approvata in un nuovo testo SALVATO, BRUNO GANERI,
DANIELE GALDI, CAMERINI, BETTONI BRANDANI, D'ALESSANDRO PRISCO, DE ZULUETA,
PELELLA, BONFIETTI, BERNASCONI, DE MARTINO Guido, MASULLO, RUSSO, BUCCIARELLI,
PAGANO, MORANDO, FORCIERI, CARPINELLI, SMURAGLIA, CARCARINO, FERRANTE, CAPALDI,
CONTE, MARINO, MARCHETTI. - Il Senato, premesso: che è ormai in fase avanzata
il processo di costituzionalizzazione europea; si è infatti da mesi insediata
una Convenzione ad hoc che ha il compito di redigere la Carta dei cittadini
europei; che tale Convenzione è composta da 62 membri: 16 europarlamentari, 30
parlamentari in rappresentanza dei 15 paesi dell'Unione europea, 15
rappresentanti dei governi europei ed uno della Commissione dell'Unione europea;
che i lavori della Convenzione sarebbero già in dirittura di arrivo e sarebbe
già pronta una bozza, seppur provvisoria, di articolato; che il programma dei
prossimi mesi di lavoro della Convenzione prevede che a fine giugno vi sia
l'audizione di esperti in materia di diritti umani, a luglio una riunione
informale per l'esame del testo completo, a settembre una riunione plenaria
formale per l'esame del testo definitivo ed entro ottobre la stesura definitiva
della Carta; che il Consiglio europeo del prossimo dicembre in Francia, a
chiusura del semestre francese di presidenza dell'Unione, dovrà individuare in
via definitiva i diritti fondamentali da inserire nel testo, dovrà scegliere
quale forma e quale forza istituzionale dovrà avere la Carta e quale il sistema
di enforcement; che il percorso di costituzionalizzazione europea costituisce un
momento decisivo per il rafforzamento della coesione interna dell'Unione europea
su una base comune di diritti e garanzie; che la previsione di una Carta dei
diritti dei cittadini europei non deve tradursi in una mera sommatoria dei
diritti già previsti nelle Costituzioni nazionali; che i diritti civili e
politici devono avere pari dignità rispetto ai diritti culturali, sociali ed
economici nel rispetto del principio della interdipendenza e
dell'indivisibilità dei diritti umani già codificato dalla Nazioni Unite; che
la Carta, affinché possa costituire un passo in avanti sul versante dei
diritti, deve avere efficacia vincolante per gli Stati, oltre che prevedere
effettive forme di giustizia; che affinchè un processo di
costituzionalizzazione sia tale è necessario che vi sia ampia partecipazione
democratica alla sua realizzazione e che ai Parlamenti nazionali ed al
Parlamento europeo non sia conferito un ruolo di mera ratifica, impegna il
Governo: a riferire sugli esiti dei lavori della Convenzione in Senato prima che
si giunga alla stesura finale dell'articolato della Carta dei diritti dei
cittadini europei; ad assicurare una partecipazione effettiva delle
rappresentanze parlamentari al processo di costituzionalizzazione europea; a
fare quanto è possibile affinché sia data pari dignità a tutti i diritti,
civili, politici, economici, sociali e culturali; ad intraprendere ogni
inziativa utile affinché alla Carta dei diritti dei cittadini europei sia
conferita piena efficacia vincolante e sia quindi recepita nel Preambolo del
nuovo Trattato o vada a costituire protocollo ad hoc posto alla firma degli
Stati dell'Unione.
(1-00562) (29 giugno 2000) (Nuovo testo) Approvata SALVATO, BRUNO GANERI,
DANIELE GALDI, CAMERINI, BETTONI BRANDANI, D'ALESSANDRO PRISCO, DE ZULUETA,
PELELLA, BONFIETTI, BERNASCONI, DE MARTINO Guido, MASULLO, RUSSO, BUCCIARELLI,
PAGANO, MORANDO, FORCIERI, CARPINELLI, SMURAGLIA, CARCARINO, FERRANTE, CAPALDI,
CONTE, MARINO, MARCHETTI. - Il Senato, premesso: che è ormai in fase avanzata
il processo di costituzionalizzazione europea; si è infatti da mesi insediata
una Convenzione ad hoc che ha il compito di redigere la Carta dei cittadini
europei; che tale Convenzione è composta da 62 membri: 16 europarlamentari, 30
parlamentari in rappresentanza dei 15 paesi dell'Unione europea, 15
rappresentanti dei governi europei ed uno della Commissione dell'Unione europea;
che i lavori della Convenzione sarebbero già in dirittura di arrivo e sarebbe
già pronta una bozza, seppur provvisoria, di articolato; che il programma dei
prossimi mesi di lavoro della Convenzione prevede a settembre una riunione
plenaria formale per l'esame del testo definitivo da sottoporre al Consiglio
europeo di Biarritz ed entro ottobre la stesura definitiva della Carta; che il
Consiglio europeo del prossimo dicembre in Francia, a chiusura del semestre
francese di presidenza dell'Unione, dovrà individuare in via definitiva i
diritti fondamentali da inserire nel testo, dovrà scegliere quale forma e quale
forza istituzionale dovrà avere la Carta e quale il sistema di enforcement; che
il percorso di costituzionalizzazione europea costituisce un momento decisivo
per il rafforzamento della coesione interna dell'Unione europea su una base
comune di diritti e garanzie; che la previsione di una Carta dei diritti dei
cittadini europei non deve tradursi in una mera sommatoria dei diritti già
previsti nelle Costituzioni nazionali; che i diritti civili e politici devono
avere pari dignità rispetto ai diritti culturali, sociali ed economici nel
rispetto del principio della interdipendenza e dell'indivisibilità dei diritti
umani già codificato dalla Nazioni Unite; che la Carta, affinché possa
costituire un passo in avanti sul versante dei diritti, deve avere efficacia
vincolante per gli Stati, oltre che prevedere effettive forme di giustizia; che
affinchè un processo di costituzionalizzazione sia tale è necessario che vi
sia ampia partecipazione democratica alla sua realizzazione e che ai Parlamenti
nazionali ed al Parlamento europeo non sia conferito un ruolo di mera ratifica,
impegna il Governo: a riferire sugli esiti dei lavori del Consiglio europeo di
Biarritz prima che si giunga alla stesura finale dell'articolato della Carta dei
diritti dei cittadini europei; a fare quanto è possibile affinché sia data
pari dignità a tutti i diritti, civili, politici, economici, sociali e
culturali; ad intraprendere ogni inziativa utile affinché alla Carta dei
diritti dei cittadini europei sia conferita piena efficacia vincolante e sia
quindi recepita nel Preambolo del nuovo Trattato o vada a costituire protocollo
ad hoc posto alla firma degli Stati dell'Unione.
(1-00564) (6 luglio 2000) Non posta in votazione SERVELLO, MACERATINI,
BASINI, MAGLIOCCHETTI, DANIELI, PALOMBO, PELLICINI, CUSIMANO, MANTICA, PEDRIZZI,
PACE, MARRI, BATTAGLIA, BEVILACQUA, BONATESTA, BORNACIN, CURTO, DEMASI, BOSELLO,
BUCCIERO, CARUSO Antonino, CASTELLANI Carla, COLLINO, COZZOLINO, DE CORATO,
FISICHELLA, FLORINO, MAGGI, MAGNALBÒ, MEDURI, MONTELEONE, MULAS, PASQUALI,
PONTONE, RAGNO, RECCIA, SILIQUINI, SPECCHIA, TURINI, VALENTINO, ZAMBRINO. - Il
Senato, premesso: che il processo di integrazione europea è entrato in una
nuova fase; che è in atto un dibattito a tutto campo sulle prospettive
istituzionali e politiche dell'integrazione; che il Presidente francese Chirac
ha recentemente, in un discorso a Berlino, delineato l'esigenza di un nocciolo
duro, franco-tedesco, per imprimere una nuova e più sostenuta velocità al
processo di integrazione; che Chirac, con l'evidente avallo della Germania, che
non a caso non si è dissociata, delinea una prospettiva di Unione a due
velocità, affidando all'avanguardia (i "pionieri") costituita da
Francia e Germania la guida del convoglio europeo; che il quadro delineato dal
Presidente francese apre una serie di problemi e di interrogativi riguardanti
sia le prospettive dell'Unione nel suo insieme sia il ruolo particolare del
nostro paese; che si sta determinando una nuova situazione, con la Gran Bretagna
che esita a varcare il Rubicone dell'integrazione, che rimette in discussione,
nella sostanza, metodi e politiche sino a qui perseguite nel processo di
allargamento; che l'esclusione, in parte volontaria ed in parte imposta dalla
dinamica del progetto franco-tedesco, della Gran Bretagna rischia di
compromettere i progetti riguardanti l'identità di Difesa europea, nell'ambito
della quale l'Inghilterra svolge un ruolo più che importante; che nella
prospettiva di un ulteriore allargamento dell'Unione si pongono tutta una serie
di problemi ai quali sinora la conferenza intergovernativa non ha trovato
risposta; che la Commissione di Bruxelles e il Parlamento di Strasburgo
rischiano di essere ricondotti ad una funzione non di governo ma notarile; che
siamo in presenza - sia alla luce dei progetti esposti da Chirac circa una
Costituzione europea, sia delle idee del Ministro degli esteri tedesco, Fischer,
che delinea un futuro federale per l'Europa - di una situazione che rimette in
discussione i Trattati sinora sottoscritti, sollecitando di fatto una revisione;
che il Presidente della Commissione Prodi ed il commissario Monti hanno messo in
guardia il nostro paese circa i rischi della condanna ad un ruolo subalterno
nella prospettiva delineata a Berlino; che l'Italia è prigioniera di una
contraddizione che da una parte la porta a favorire il processo integrazionista
e, dall'altra, a constatare che tale processo non può essere realisticamente
attuato a livello dei quindici, nella prospettiva trenta, paesi, ma da un nucleo
trainante, franco-tedesco, nucleo nell'ambito del quale noi potremmo entrare
solo con un ruolo minore; che anche su un più vasto orizzonte internazionale
c'è l'esplicito appoggio francese alla candidatura al seggio del Consiglio di
sicurezza dell'ONU, che penalizza l'iniziativa italiana per un seggio europeo,
impegna il Governo ad assumere ogni iniziativa politica adeguata alle nuove
realtà dell'Europa per evitare che l'Italia, paese che con il Trattato di Roma
ha dato l'avvio al processo di unificazione, possa essere relegata ad un ruolo
subalterno.
(1-00566) (11 luglio 2000) Non posta in votazione PIANETTA, PORCARI,
MAGGIORE, BETTAMIO, ASCIUTTI, AZZOLLINI, BALDINI, GERMANÀ, RIZZI, TRAVAGLIA,
VEGAS. - Il Senato, premesso: che il processo di integrazione europea sta
avvenendo attraverso la messa in atto di iniziative istituzionali,
organizzative, economiche, sociali quale l'unificazione monetaria, la politica
europea di sicurezza e cooperazione, l'istituzione di una forza comune europea,
la libera circolazione delle persone e delle merci; che tale integrazione potrà
essere ulteriormente rafforzata attraverso iniziative istituzionali più
marcatamente federaliste, come pure di diritto, con la Carta dei diritti dei
cittadini europei; che nei prossimi 3-5 anni è programmato l'allargamento
dell'Unione europea ad altri paesi che ne hanno fatto richiesta e che pertanto
si rende necessaria una modifica del funzionamento degli organismi comunitari e
della rappresentanza in essi degli Stati facenti parte dell'Unione; che
recentemente il Ministro degli esteri tedesco ha lanciato la proposta di una
Europa più marcatamente federale, caratterizzata da un Parlamento costituito da
un ramo eletto direttamente dai cittadini europei con più potere rispetto a
quello attuale e da un secondo ramo espressione del Parlamento nazionale con un
Primo Ministro eletto; che il Presidente della Repubblica francese, in occasione
di un suo storico intervento a Berlino davanti al Bundestag, ha proposto
un'iniziativa vicina a quella del Ministro degli esteri tedesco cogliendo
l'occasione per affermare che la Francia e la Germania costituiscono il motore
fondamentale dell'integrazione europea, veri paesi pionieri attorno a cui dar
luogo ad un gruppo di paesi per un miglior coordinamento della politica
economica, per un rafforzamento della politica di difesa e di sicurezza e una
più grande sicurezza nella lotta alla criminalità; che l'Italia, paese
fondatore dell'Unione europea, ha sempre fino ad ora partecipato con
convincimento allo sviluppo dell'integrazione europea apportando il suo
contributo politico, sociale, economico con competenza e convinta
partecipazione; che alla prossima conferenza intergovernativa, che con la
presidenza francese si svolgerà a Nizza alla fine di quest'anno, ci sarà
l'occasione per dare concretezza alle iniziative di cooperazione rafforzata che
potranno essere messe in atto prima dell'allargamento ad altri paesi, impegna il
Governo a mettere in atto con grande determinazione tutte le necessarie
iniziative politiche, economiche, istituzionali finalizzate a dare il suo
proprio specifico contributo per far parte del nucleo dei paesi europei in grado
di accelerare il processo di integrazione al pari di Francia e Germania, tenendo
conto anche del particolare ruolo che in ambito europeo l'Italia può svolgere
in ordine alla problematica euromediterranea.
(1-00567) (11 luglio 2000) Respinta PROVERA, CASTELLI, WILDE, PREIONI, COLLA,
GASPERINI, ANTOLINI, STIFFONI, MORO. - Il Senato, preso atto: che l'Europa degli
Stati nazionali sta mostrando le sue contraddizioni che rappresentano gli
ostacoli di fondo al processo di integrazione europea; che tali contraddizioni
sono di natura istituzionale, politica ed economica e riguardano, da una parte,
la difesa degli interessi e delle prerogative nazionali, e dall'altra le
esigenze indifferibili di maggiore integrazione politico-istituzionale tra gli
Stati membri; che le proposte di alcuni governi, che ambiscono ad un
allargamento rapido del numero degli Stati membri, appaiono difficilmente
conciliabili con le esigenze di governabilità dell'attuale Unione, sempre più
simile a un gigante economico e a un nano politico; che l'estrema povertà di
strumenti politici, con conseguente impossibilità di significative capacità
decisionali, è particolarmente evidente nei settori della difesa e della
politica estera ma sta anche compromettendo i risultati ottenuti con l'unione
monetaria; che il dibattito sul futuro politico-istituzionale dell'Unione
europea si è riacceso ultimamente dopo le proposte del Ministro degli esteri
tedesco Fischer e del Presidente francese Chirac che hanno riproposto il modello
dell'Europa a due velocità; osservato: che le divergenze di vedute e di
interessi tra i governi dei maggiori paesi europei indeboliscono di fatto la
posizione europea nei confronti dei partner occidentali mentre sono sul tappeto
problemi politico-strategici di grande rilievo, come ad esempio quelli
rappresentati dalla situazione balcanica e caucasica e quelli connessi al
progetto americano di un nuovo scudo antimissilistico, apertamente osteggiato
dalla Russia; che il signor Araud, rappresentante permanente della Francia
all'UEO, nella riunione del 5 luglio a Parigi, ha confermato che la
realizzazione di passi concreti, sotto il profilo politico-istituzionale, nel
processo di integrazione europea esigerà tempi lunghissimi; considerato che
tutto questo lascia ampio spazio in Europa agli interessi economico-finanziari
delle multinazionali o di singoli Stati e poco spazio alla difesa degli
interessi dei cittadini, delle nostre tradizioni culturali e di una politica
sociale attenta alle classi più deboli, impegna il Governo: ad opporsi a
qualsiasi "direttorio" tra paesi che preveda un'Europa a due
velocità, in quanto facilmente suscettibile di indurre una discriminazione tra
paesi membri e privilegiare gli interessi, soprattutto commerciali, dei
componenti di tale "direttorio"; ad opporsi ad una ambiziosa, quanto
fallace, logica di allargamento troppo rapido dell'Unione a paesi europei che
non abbiano ancora i requisiti minimi per un loro inserimento nell'ambito
comunitario, con conseguenti ulteriori ritardi nel processo di integrazione; a
concentrare gli sforzi perché vengano identificati, privilegiati e conseguiti
obiettivi politici, istituzionali e sociali, condivisi da tutti gli Stati
membri, indispensabili per la costruzione di un'Europa casa comune dei popoli.
Ordini del giorno
Non posto in votazione. Accolto dal Governo Il Senato, premesso che: nel
mutato contesto politico europeo ed in relazione ai problemi che il processo di
globalizzazione, senza regole, dell'economia pone è sempre più avvertita
l'esigenza di riaffermare la centralità della politica rispetto a quella del
mercato, sul quale è stata costruita l'Europa monetaria, ma soprattutto di
riaffermare la volontà di pace e di collaborazione delle comunità europee
attraverso la costruzione dell'Europa politica; per la costruzione di un'Europa
politica, anche in relazione al nuovo ordine mondiale del "dopo-muro",
occorre accelerare il processo in atto volto a costruire linee di politica
estera comune, che non può non comportare anche la creazione di strutture di
difesa autonoma sotto il controllo del Parlamento Europeo e degli stessi
parlamenti nazionali; solo la costruzione progressiva di un sistema di difesa
europeo può in prospettiva comportare il superamento delle contraddizioni
derivanti dalla presenza sul territorio europeo di strutture di comando NATO, di
cui molti paesi europei fanno parte, incompatibili con il principio della difesa
autonoma; l'Europa, già unita dal punto di vista monetario, deve operare in
questa direzione con maggiore celerità anche per concorrere autonomamente
all'avvio di un processo di democratizzazione della stessa ONU e del suo
Consiglio di Sicurezza che deve essere più rappresentativo degli attuali
assetti internazionali e delle nuove realtà statuali; per affrontare i grandi
temi della pace e della sicurezza collettiva in Europa occorre tuttavia
procedere alla modifica delle stesse istituzioni dell'Unione europea con
conseguente revisione dei trattati di Maastricht e di Amsterdam per andare oltre
le dichiarazioni di principio ed iniziare il processo di costruzione dell'Europa
politica in termini costituenti e non più solo programmatici; considerato che:
in conseguenza del previsto allargamento della UE (che comunque non può che
costituire una decisione autonoma da parte della stessa Unione) è stato
paventato il rischio di un rallentamento del processo di integrazione e di una
possibile paralisi delle decisioni derivante dall'estensione dell'Europa a 25
paesi; secondo lo stesso Ministro degli esteri tedesco Joschka Fischer, per
affrontare i problemi dell'allargamento dell'Unione europea e nello stesso tempo
quello della "capacità dell'azione europea" è indispensabile
regolare alcune grandi questioni quali quelle della composizione della
Commissione, del superamento dell'attuale sistema di decisioni prese
all'unanimità con il passaggio a quello basato sul voto a maggioranza
qualificata, della "ponderazione del voto" eccetera; inoltre, secondo
il ministro Fischer, l'allargamento dell'Unione europea potrebbe essere
compatibile con un altro processo che consenta ad un gruppo di Stati membri di
costituire una avanguardia per andare ad una più forte integrazione, in modo da
fare da traino in un percorso istituzionale che porti ad una Federazione di
Stati europei; le proposte del ministro Fischer o altre che pure sono in campo
comportano comunque una revisione dei trattati vigenti, impegna il Governo: ad
assumere e sollecitare tutte le iniziative perché siano al più presto
sottoposte ad una approfondita analisi le proposte da più parti avanzate al
fine dell'adozione delle riforme istituzionali necessarie alla costruzione di
un'Europa politica, che abbia non solo strutture in grado di prendere decisioni
di politica economica e di politica ambientale, ma anche di politica estera e di
una propria difesa autonoma sotto il controllo dei Parlamenti al fine di
costruire un sistema di sicurezza collettivo. 9.1-00559, 562, 564, 566, 567.1
Marino, Marchetti, Bergonzi, Albertini, Caponi, Manzi
Non posto in votazione Il Senato, sottolineando: che la possibile costruzione
dell'Unione europea di un nucleo duro di paesi "pionieri"
dell'integrazione, prospettata recentemente dal Presidente della Repubblica
francese e dal Ministro tedesco Fischer, comporta benefici e rischi non ancora
sufficientemente valutati e discussi nel nostro paese; considerando: che gli
sforzi ed i sacrifici necessari a permettere l'inserimento dell'Italia nel
novero ristretto dei predetti paesi "pionieri", così come la scelta
alternativa di restarne al di fuori, avrebbero delle profonde implicazioni sulla
politica interna ed estera nazionale; ritenendo: che occorra pertanto analizzare
una per una le conseguenze delle scelte alternative in settori strategici come
l'industria, la politica estera, agricola, di difesa, eccetera; ritenendo:
altresì che l'opinione pubblica italiana debba essere messa a conoscenza dei
benefici e dei sacrifici che ciascuna soluzione comporta e quindi che l'intera
Nazione vada accomunata alle decisioni che verranno prese, invita il Governo: a
discutere in Parlamento in due fasi - la prima, in separate sessioni, con la
partecipazione dei singoli Ministri interessati a ciascuna; la seconda, di
sintesi e decisiva, alla presenza del Presidente del Consiglio dei ministri -
costi e benefici connessi alle alternative opzioni politiche tra le quali
l'Italia dovrà scegliere. 9.1-00559, 562, 564, 566, 567.2. Jacchia, Folloni,
Biasco, Palombo, Tarolli, Corrao, Agostini, Andreolli, Robol, Zilio, Mazzuca
Poggiolini , Gubert
Non posto in votazione. Accolto dal Governo Il Senato, udite le dichiarazioni
del Presidente del Consiglio e il successivo dibattito, in vista della prossima
Conferenza Intergovernativa di Nizza, impegna il Governo: 1) ad adottare ogni
iniziativa coerente con la fondamentale scelta europeistica dell'Italia, che è
stata, sin dal Trattato di Roma del 1957, protagonista principale del processo
di unificazione europea, anche politica; 2) a mettere in atto con determinazione
le necesssarie iniziative politiche, istituzionali e sociali finalizzate a
fornire lo specifico contributo dell'Italia per accelerare il processo di
integrazione; 3) ad assumere ogni iniziativa tendente a rendere compatibile con
il processo di integrazione in atto l'azione di allargamento dell'Unione ad Est
e il potenziamento del ruolo mediterraneo della Unione Europea medesima.
9.1-00559, 562, 564, 566, 567.800 La Loggia, Maceratini, Castelli, D'Onofrio,
Servello, Porcari, Pianetta, Mantica, Bettamio, Tarolli, Provera, Biasco, Basini
Interpellanze
(2-01104) (20 giugno 2000) MARINO, MARCHETTI, BERGONZI, ALBERTINI, CAPONI,
MANZI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri. - Premesso: che nel mutato
contesto politico europeo ed in relazione ai problemi che il processo di
globalizzazione, senza regole, dell'economia pone è sempre più avvertita
l'esigenza di riaffermare la centralità della politica rispetto a quella del
mercato, sul quale è stata costruita l'Europa monetaria, ma soprattutto di
riaffermare la volontà di pace e di collaborazione delle comunità europee
attraverso la costruzione dell'Europa politica; che per la costruzione di
un'Europa politica, anche in relazione al nuovo ordine mondiale del "dopo
muro", occorre accelerare il processo in atto volto a costruire linee di
politica estera comune, che non può non comportare anche la creazione di
strutture di difesa autonoma sotto il controllo del Parlamento europeo e degli
stessi Parlamenti nazionali; che solo la costruzione progressiva di un sistema
di difesa europeo può comportare il superamento delle contraddizioni derivanti
dalla presenza sul territorio europeo di strutture di comando NATO, di cui molti
paesi europei fanno parte, incompatibili con il principio della difesa autonoma;
che l'Europa, già unita dal punto di vista monetario, deve operare in questa
direzione con maggiore celerità anche per concorrere autonomamete all'avvio di
un processo di democratizzazione della stessa ONU e del suo Consiglio di
sicurezza che deve essere più rappresentativo degli attuali assetti
internazionali e delle nuove realtà statuali; che per affrontare i grandi temi
della pace e della sicurezza collettiva in Europa occorre tuttavia procedere
alla modifica delle stesse istituzioni dell'Unione europea con conseguente
revisione dei trattati di Maastricht e di Amsterdam per andare oltre le
dichiarazioni di principio ed iniziare il processo di costruzione dell'Europa
politica in termini costituenti e non più solo programmatici; considerato: che,
in conseguenza del previsto allargamento dell'Unione europea (che comunque non
può che costituire una decisione autonoma da parte della stessa Unione), è
stato paventato il rischio di un rallentamento del processo di integrazione e di
una possibile paralisi delle decisioni derivante dall'estensione dell'Europa a
25 paesi; che, secondo lo stesso Ministro degli esteri tedesco, Joschka Fischer,
per affrontare i problemi dell'allargamento dell'Unione europea e nello stesso
tempo quello della "capacità dell'azione europea", è indispensabile
regolare alcune grandi questioni quali quelle della composizione della
Commissione, del superamento dell'attuale sistema di decisioni prese
all'unanimità con il passaggio a quello basato sul voto a maggioranza
qualificata, della "ponderazione del voto", eccetera; inoltre, secondo
il ministro Fischer, l'allargamento dell'Unione europea potrebbe essere
compatibile con un altro processo che consenta ad un gruppo di Stati membri di
costituire una avanguardia per andare ad una più forte integrazione, in modo da
fare da traino in un percorso istituzionale che porti ad una Federazione di
Stati europei; che le proposte del ministro Fischer o altre che pure sono in
campo comportano comunque una revisione dei trattati vigenti, gli interpellanti
chiedono di sapere se il Governo non ritenga di assumere e sollecitare tutte le
iniziative perché siano al più presto sottoposte ad una approfondita analisi
le proposte da più parti avanzate al fine dell'adozione delle riforme
istituzionali necessarie alla costruzione di un'Europa politica, che abbia
strutture in grado di prendere decisioni non solo di politica economica e di
politica ambientale, ma anche di politica estera e di una propria difesa
autonoma sotto il controllo dei Parlamenti al fine di costruire un sistema di
sicurezza collettivo.
(2-01117) (11 luglio 2000) FOLLONI, JACCHIA. - Al Presidente del Consiglio
dei ministri e al Ministro degli affari esteri. - Considerato: che ad un anno di
distanza dalle ultime elezioni europee, sotto la Presidenza dell'onorevole
Romano Prodi, l'Europa si prepara a compiere nuovi passi verso l'integrazione
politica; che è in fase di avanzata redazione la bozza di Costituzione europea
mentre si parla ormai di una forma federativa tra gli Stati; che dal 26 gennaio
2000 è pronto un progetto di riforma delle istituzioni europee redatto dalla
Commissione e il cui esame è stato avviato sotto forma di negoziato
intergovernativo; che l'Italia è paese che tra i primi ha promosso le politiche
che dai trattati di Roma in poi hanno condotto all'attuale Unione, che è
necessario che i nuovi passi avvengano nel rispetto dei principi d'uguaglianza
di diritti e doveri tra tutti i cittadini dell'Unione e con piena consapevolezza
da parte di tutte le comunità nazionali; che è in questo contesto che con
diverse iniziative nelle sedi di alcuni Parlamenti dell'Unione sono iniziati
dibattiti che prefigurano nuovi assetti e nuovi ruoli per diverse nazioni, gli
interpellanti chiedono di conoscere: quale sia la posizione dell'Italia in
merito: all'ipotesi di Costituzione europea in avanzata fase di studio, che
fissa i diritti di cittadinanza all'interno dell'Unione; all'ipotesi di
superamento del diritto di veto tra i paesi dell'Unione; alla creazione di un
esercito europeo; ai tempi e ai modi di costruzione del Pilastro politico;
all'ipotesi di cooperazione rafforzata; con quali iniziative il Governo italiano
promuoverà con i partner europei un confronto sui passi strategici che l'Unione
si appresta a compiere; considerata poi la necessità che nessun passo venga
compiuto senza previo confronto parlamentare, se il Governo non ritenga di
promuovere regolari e ripetuti confronti con le Commissioni affari esteri di
Senato e Camera alla vigilia di ogni vertice europeo.
(2-01122) (12 luglio 2000) GUBERT. - Al Presidente del Consiglio dei Ministri
e al Ministro degli affari esteri. - Premesso: che l'Unione europea e gli stati
nazionali che ne fanno parte stanno affrontando il problema della
semplificazione delle procedure decisionali dell'Unione, ritenute indispensabili
soprattutto in previsione dell'allargamento dell'Unione ad altri paesi; che tra
i meccanismi di semplificazione previsti vi sono l'allargamento dell'ambito
decisionale non sottoposto al requisito dell'unanimità di voto e la
ponderazione del voto in rapporto alla popolazione di ciascuno stato; che il
modello istituzionale fin qui adottato ha consentito l'adesione all'Unione di
stati di dimensione assai diversa senza che tale adesione sia da essi percepita
né dai maggiori né dai minori come fonte di possibile minaccia ad interessi
importanti della collettività che essi politicamente esprimono; che le regole
dell'unanimità e dell'uguale potere di voto di ciascun stato membro non hanno
impedito alle istituzioni europee di progressivamente rafforzarsi, imponendo, al
contrario,una più paziente ricerca di soluzioni condivise, e quindi più
facilmente realizzabili; che il pericolo che tali regole possano in futuro
compromettere il buon funzionamento dell'Unione europea può essere meglio
controllato se il processo di allargamento dell'Unione verrà realizzato in modo
graduale non solo in relazione al numero di paesi, ma anche al grado di
inclusione di ciascun paese nell'Unione; che il modello confederale, basato
sull'uguaglianza di ciascun stato componente, è quello che meglio si presta,
nell'attuale situazione, a comporre la tutela degli interessi delle
collettività statuali con il perseguimento degli interessi comuni, e che tale
modello risulta, tra l'altro, il modello preferito dalla popolazione italiana,
come risulta da indagini affidabili recenti; che le recenti vicende dei rapporti
tra Austria e altri paesi dell'Unione dimostrano l'assoluta importanza della
regole dell'unanimità nelle decisioni comuni di rilievo quale meccanismo di
garanzia a tutela di un singolo paese, grande o piccolo, di fronte a tentazioni
della maggioranza degli altri di travalicare i poteri che i trattati e gli
accordi assegnano all'Unione in funzione di interessi di parte; che la natura
federale di alcuni stati dell'Unione e lo stesso regionalismo in altri vedono un
ruolo attivo di entità politiche di livello regionale nell'intrattenere
rapporti diretti con la stessa Unione; che l'attenuazione della portata dei
confini statali interni all'Unione a seguito del progredire della portata
dell'Unione stessa ha messo in maggiore evidenza interessi comuni di regioni
confinanti di stati diversi, con la formazione di "regioni europee"
che li esprimono anche politicamente, il sottoscritto interpella il Presidente
del Consiglio e il Ministro degli affari esteri per sapere: - quali siano le
proposte di revisione delle regole decisionali dell'Unione che il Governo sta
sostenendo in sede europea e nei rapporti bilaterali; - in quale modo le
proposte di revisione di tali regole tutelino, oltre alla rapidità decisionale
dell'Unione, gli interessi importanti di ciascuna collettività statale
nell'ipotesi che questi confliggano con quelli della maggioranza dei paesi
dell'Unione; - quali siano gli ambiti decisionali per i quali, secondo il
Governo, dovrebbe permanere la regola di garanzia dell'unanimità dei decisori;
- se il modello istituzionale di riferimento proposto per l'Unione sia quello
confederale, oppure altri quali quello dello stato unitario o quello dello stato
federale; - se siano ritenuti efficaci e positive revisioni delle istituzioni
comunitarie che prevedano la ponderazione del voto di ciascuno stato membro in
relazione alla sua popolazione, alterando uno dei principi fondativi
dell'uguaglianza del voto; - quali siano i criteri proposti per l'allargamento
dell'Unione a nuovi paesi e se essi prevedano gradualità di inclusione; - quali
siano le proposte circa una più forte rappresentanza istituzionale delle
regioni nell'Unione; - quali siano le proposte circa la strutturazione
dell'Unione in euro-regioni, con particolare riferimento a quelle
transconfinarie; - se non intenda il Governo, prima di ciascun vertice europeo,
promuovere appositi confronti in sede parlamentare.
(Doc. XVI, n. 14) Proposta della Giunta per gli affari delle Comunità
Europee sulle comunicazioni della Commissione Europea recanti il programma di
lavoro della Commissione per l'anno 2000 e obiettivi strategici 2000-2005
Proposta della Giunta per gli affari delle Comunità Europee sulle
comunicazioni della Commissione Europea recanti il programma di lavoro della
Commissione per l'anno 2000 (com (2000) 155 def.) e obiettivi strategici
2000-2005 (com (2000) 154 def.)
Approvata
La Giunta, viste le comunicazioni della Commissione europea recanti il
programma di lavoro per l'anno 2000 (com (2000) 155 def.) e gli obiettivi
strategici 2000-2005 (com (2000) 154 def.) del 9 febbraio 2000; tenuto conto dei
pareri delle Commissioni di merito sulle suddette comunicazioni; vista la
risoluzione del Parlamento europeo sul programma legislativo annuale della
Commissione per il 2000 approvata il 16 marzo 2000; viste le conclusioni dei
Consigli europei di Lisbona, del 23 e 24 marzo 2000, e di Santa Maria da Feira,
del 19 e 20 giugno 2000; vista la Relazione della Giunta per gli affari delle
Comunità europee sulla relazione del Governo sulla partecipazione dell'Italia
all'Unione europea (Doc. LXXXVII, n. 7-A); viste le relazioni della Giunta per
gli affari delle Comunità europee su "Legittimità democratica e riforma
delle istituzioni dell'Unione europea" (Doc. XVI, n. 9), presentata il 20
maggio 1999, e su "Il Consiglio europeo di Helsinki e la Conferenza
intergovernativa sulle riforme istituzionali" (Doc. XVI, n. 12), presentata
il 6 dicembre 1999; vista la risoluzione della Giunta per gli affari delle
Comunità europee sulla redazione della Carta dei diritti fondamentali
dell'Unione europea (Doc. XXIV, n. 15), approvata il 15 marzo 2000 e tenendo
conto dell'esigenza di tutelare adeguatamente i cosiddetti diritti di nuova
generazione - che si manifestano in conseguenza di fenomeni quali lo sviluppo
delle biotecnologie e delle tecnologie dell'informazione e l'individuazione di
nuovi fattori di pericolo per la salute umana e l'equilibrio ecologico - emersa
nel corso dell'indagine conoscitiva sullo stesso tema svolta congiuntamente
dalla Giunta e dalla XIV Commissione della Camera dei deputati; visto il
Contributo adottato al termine della Conferenza degli organismi specializzati
negli affari comunitari ed europei (COSAC) dei Parlamenti dell'Unione europea
che si è tenuta a Lisbona il 29 e 30 maggio 2000; esprimendo apprezzamento per
la presentazione, per la prima volta, da parte del Governo alle Camere del
programma legislativo della Commissione europea, che costituisce il presupposto
di un più efficace e sistematico coinvolgimento del Parlamento nella fase
preparatoria del procedimento normativo comunitario; sottolineando come il
coinvolgimento dei Parlamenti nazionali nella fase ascendente del diritto
comunitario, da un lato, e la presentazione di un programma di
"legislatura" da parte della Commissione europea, dall'altro,
rispondano all'esigenza di rafforzare la legittimità democratica del quadro
istituzionale dell'Unione europea; ricordando le iniziative intraprese dalle
Commissioni affari europei di alcuni Parlamenti dell'Unione e, in particolare,
la Tavola rotonda promossa a Roma il 5 e 6 novembre 1998, incentrate
sull'esigenza di dare applicazione al principio di sussidiarietà anche
attraverso il coinvolgimento dei Parlamenti nazionali nell'esame del programma
legislativo della Commissione europea; sottolineando che, con l'entrata in
vigore del Trattato di Amsterdam, per la prima volta nell'ordinamento
comunitario è stato ufficialmente riconosciuto il ruolo dei Parlamenti
nazionali, prevedendo che il Consiglio non proceda all'esame dei progetti di
atti legislativi comunitari prima di sei settimane dalla loro presentazione onde
consentire alle suddette Assemblee di esprimersi; auspicando che in futuro sia
possibile definire un complessivo programma legislativo dell'Unione europea, in
cui il programma della Commissione europea si coordini con le priorità della
Presidenza di turno del Consiglio e con le indicazioni del Parlamento europeo,
in modo da delineare il fondamentale atto di programmazione legislativa
dell'Unione, in grado di divenire il momento centrale per l'esercizio delle
funzioni di indirizzo e di controllo anche da parte dei Parlamenti nazionali;
sollecitando pertanto l'attuazione del Protocollo sui Parlamenti nazionali
allegato al Trattato di Amsterdam, recepito in particolare dall'articolo 3 della
legge 16 giugno 1998, n. 209, che prevede la trasmissione alle Camere dei
progetti di atti legislativi comunitari e dei relativi atti di indirizzo, quali
"libri bianchi" e "libri verdi" della Commissione europea,
nonché dei progetti di atti normativi inerenti alla cooperazione giudiziaria e
al terzo pilastro; esprimendo apprezzamento per la sottolineatura posta nel
programma legislativo della Commissione e nella sua comunicazione sugli
obiettivi strategici per il 2000-2005 per i tema del rafforzamento della
democrazia e della tutela dei diritti dei cittadini e dei consumatori, visti non
più quale capitolo settoriale bensì quale elemento fondante delle politiche
dell'Unione europea; esprimendo apprezzamento, quindi, per le iniziative
prefigurate dalla Commissione e connesse all'esigenza di migliorare e accelerare
la risposta dell'Europa ai problemi che incidono sulla vita quotidiana dei
cittadini, in particolare in materia di ambiente, sicurezza alimentare, diritti
dei consumatori, giustizia e sicurezza e trasporti; preso atto del contributo
della Commissione al dibattito sulle riforme istituzionali necessarie per
affrontare l'allargamento, ivi incluse quelle riforme organizzative e di
funzionamento che non necessitano di una revisione dei trattati; considerando
l'esigenza di attribuire all'Europa una voce più forte sulla scena mondiale,
per partecipare alla guida della costruzione della nuova economia globale e per
rafforzare la pace, la democrazia ed il rispetto dei diritti umani nel
Continente e nel mondo, attraverso l'attuazione delle misure già definite e
l'introduzione delle disposizioni istituzionali eventualmente necessarie;
condividendo l'iniziativa del Governo di candidare Parma quale sede
dell'istituenda agenzia per la sicurezza alimentare, che recepisce la precedente
proposta della Giunta in merito all'opportunità di ospitare la suddetta agenzia
in Italia; sottolineando l'esigenza di un crescente coinvolgimento delle Camere
e delle Commissioni permanenti nella definizione della posizione italiana in
merito alle principali iniziative legislative comunitarie, con particolare
riferimento a quelle citate nel programma legislativo della Commissione,
concernenti, fra l'altro, gli interventi per la sorveglianza epidemiologica, il
controllo dei medicinali, la sicurezza del sangue, la lotta all'AIDS, alla
tossicodipendenza e all'alcolismo, il libro bianco sulla sicurezza alimentare e
l'istituzione dell'autorità alimentare europea ivi delineata, la modificazione
del quadro normativo inerente agli organismi geneticamente modificati, le misure
per la realizzazione di uno spazio aereo europeo unico, regolato da un'agenzia
comune per la sicurezza aerea, e per favorire il riequilibrio delle modalità di
trasporto, gli sviluppi della comunicazione della Commissione sulla dimensione
mediterranea dei trasporti e dell'energia, le misure connesse alla realizzazione
di uno spazio comune di libertà, sicurezza e giustizia, con particolare
riguardo alla disciplina sull'immigrazione e sul diritto di residenza dei
cittadini comunitari all'interno dell'Unione e alla cooperazione di polizia
nella lotta alla criminalità organizzata e nel contrasto all'immigrazione
clandestina, le iniziative connesse alla società dell'informazione e il seguito
della Comunicazione "eEurope",
propone all'Assemblea di impegnare il Governo:
1) ad adoperarsi nel quadro della Conferenza intergovernativa per: inserire
nelle trattative sulle riforme istituzionali, oltre ai tre nodi lasciati
insoluti dal Trattato di Amsterdam - ridefinizione della composizione della
Commissione, riponderazione del voto nel Consiglio ed estensione del voto a
maggioranza qualificata - i temi della semplificazione della procedura di
cooperazione rafforzata, dell'applicazione di forme di cooperazione rafforzata
al settore della politica estera e di sicurezza comune, dell'introduzione della
elaboranda Carta dei diritti fondamentali nei trattati o in un protocollo
allegato, dell'adeguamento delle disposizioni sulla politica estera e di difesa
e dell'istituzione di una vera politica economica comune, che assecondi e
accompagni l'integrazione monetaria; prevedere misure di coordinamento,
applicative delle disposizioni previste dalla citata Carta dei diritti
fondamentali, fra gli organismi giurisdizionali dell'Unione europea e quelli del
Consiglio d'Europa; considerare l'applicazione del voto a maggioranza
qualificata come norma, con la contestuale estensione della procedura di
codecisione con il Parlamento europeo, circoscrivendo il ricorso all'unanimità
alle decisioni di natura costituzionale, in materia di difesa o che richiedano
la ratifica dei Parlamenti nazionali; introdurre tutte le disposizioni
necessarie per assicurare un efficace funzionamento delle istituzioni
comunitarie in un'Unione allargata ad un numero di Paesi pressoché doppio
rispetto agli attuali Stati membri; creare i presupposti affinché, ove
ricorrano le condizioni per una risistemazione dei trattati, la Carta dei
diritti fondamentali possa divenire l'elemento fondante di una Costituzione
europea; informare tempestivamente ed esaurientemente le Camere di tutti i più
significativi sviluppi delle trattative sulla revisione dei trattati e
sottoporre il nuovo accordo alla ratifica solo dopo l'espressione di un parere
conforme da parte del Parlamento europeo sugli esiti dei lavori della Conferenza
intergovernativa; 2) a porre la massima attenzione a tutte quelle riforme delle
istituzioni e delle politiche comunitarie che, pur non richiedendo modifiche dei
trattati, acquisiscono valenza strategica per la positiva riuscita del processo
di ampliamento dell'Unione, con particolare riferimento all'organizzazione della
Commissione e del Consiglio ed agli sviluppi della politica di coesione
economica e sociale, della politica agricola e della cooperazione giudiziaria e
negli affari interni; al riguardo la Commissione europea potrebbe essere
incaricata di svolgere studi specifici da sottoporre anche all'attenzione delle
Camere; 3) ad assecondare l'iniziativa della Commissione europea di costituire
un'agenzia per la sicurezza alimentare proseguendo gli sforzi per ottenere di
stabilirne la sede in Italia nonché per sottolineare la stretta connessione fra
sicurezza alimentare, tutela dei consumatori e valorizzazione e tutela dei
prodotti alimentari di qualità; 4) a dare sollecita attuazione, di conseguenza,
agli orientamenti contenuti nel libro bianco sulla sicurezza alimentare anche
con la definizione di princìpi di sicurezza, di regole di rintracciabilità e
di procedure di controllo sulla produzione alimentare ed a ricercare, in questo
quadro, una soluzione in merito al problema della rintracciabilità del latte in
polvere; 5) a sostenere e promuovere le misure volte ad affermare la tutela
dell'ambiente ed il miglioramento della qualità della vita dei cittadini quali
elementi trasversali di tutte le politiche dell'Unione, ad iniziare da quella
agricola; 6) ad affrontare in modo tempestivo ed efficace le sfide che investono
i settori dell'agricoltura e della pesca in conseguenza del processo di
globalizzazione, considerando, oltre ai settori riportati nel programma
legislativo per il 2000, anche i comparti agrumicolo e dell'ortofrutta e ponendo
particolare attenzione alle ricadute sull'agricoltura degli accordi commerciali
con Paesi terzi e dei negoziati sul commercio mondiale; 7) ad assumere
l'iniziativa di far integrare le politiche di tutela ambientale in una
prospettiva unitaria che favorisca l'armonizzazione delle normative nazionali,
con particolare riferimento alla protezione dei cittadini e dei lavoratori
dall'esposizione a fattori di rischio quali, ad esempio, quelli derivanti dai
campi elettromagnetici; 8) a sollecitare, nel quadro della politica di tutela
dei consumatori, l'adozione di norme più precise sulla garanzia dell'origine e
della qualità del prodotto, con particolare riferimento alla protezione delle
indicazioni geografiche e delle denominazioni d'origine, nonché
all'organizzazione di alcuni mercati, tra cui quello dell'olio d'oliva; 9) a
sollecitare un miglioramento, con modifiche in senso restrittivo, del quadro
normativo entro il quale si collocano le possibilità di utilizzazione degli
organismi geneticamente modificati, proseguendo nel contempo il ricorso contro
la direttiva 98/44/CE sulla protezione giuridica delle invenzioni
biotecnologiche; 10) a porre particolare attenzione al raccordo fra politica
nazionale dei trasporti e strategia europea per le grandi infrastrutture,
tenendo conto dell'importanza della mobilità ai fini della qualità della vita
dei cittadini; al riguardo appare utile un'azione italiana per riequilibrare le
modalità di trasporto anche in relazione ai profili della sicurezza dei
trasporti e del possibile impatto ambientale delle diverse forme di
comunicazione; 11) ad intensificare le misure di informazione dei consumatori e
di lotta alla contraffazione nella prospettiva dell'introduzione delle banconote
denominate in euro; 12) a sostenere le decisioni volte ad enucleare una
capacità politica e militare dell'Unione per la gestione delle crisi,
attraverso strumenti che garantiscano il controllo parlamentare, nella
prospettiva di una chiara definizione del percorso che condurrà
all'integrazione dell'Unione dell'Europa occidentale (UEO), nell'Unione europea;
13) ad informare esaurientemente il Parlamento degli sviluppi che seguiranno
all'adozione, al Consiglio europeo di Feira del 19 e 20 giugno scorsi, della
strategia dell'Unione per il Mediterraneo, in vista del Vertice dei Capi di
Stato e di Governo euromediterranei che si terrà nel corso del semestre di
Presidenza francese e che dovrebbe condurre alla definizione della Carta per la
pace e la stabilità; 14) a sostenere gli obiettivi richiamati nel documento
programmatico presentato dalla Commissione al Consiglio europeo di Lisbona, del
23 e 24 marzo 2000 - in relazione alla tutela del modello sociale europeo nel
contesto delle azioni per lo sviluppo dell'occupazione, per la riforma dei
mercati del lavoro, dei beni e dei capitali e per valorizzare il capitale umano
attraverso la formazione e la ricerca - evitando però che gli interventi di
riforma del mercato del lavoro ivi prospettati si risolvano in un abbassamento
delle garanzie per i lavoratori; 15) a promuovere lo stanziamento di risorse
adeguate per realizzare un effettivo spazio europeo per la ricerca con il lancio
del sesto programma-quadro; 16) ad assegnare ai temi dell'occupazione, della
protezione sociale, delle pari opportunità quella priorità necessaria a
significare ai cittadini europei che non si vuole solamente l'Europa del
capitale finanziario e che potranno essere tanto più affrontati quanto più
procederà armoniosamente la costruzione del mercato unico; 17) a prevedere,
nell'ambito della riorganizzazione del Dipartimento per il coordinamento delle
politiche comunitarie della Presidenza del Consiglio dei ministri, l'istituzione
di uno specifico Ufficio per i rapporti con il Parlamento, con il compito di
assicurare l'adempimento degli obblighi di legge in merito alla trasmissione
alle Camere degli atti preparatori della legislazione comunitaria e della
relativa documentazione prodotta dalle Amministrazioni di settore; 18) a dare
esecuzione al Protocollo sui Parlamenti nazionali allegato al Trattato di
Amsterdam procedendo alla trasmissione alle Camere di "libri verdi",
"libri bianchi" ed altre comunicazioni, nonché delle proposte
legislative della Commissione europea e delle proposte relative alle misure da
adottare a norma del Titolo VI del Trattato sull'Unione europea, in conformità
con l'articolo 14 della legge 24 aprile 1998, n. 128 e con l'articolo 3 della
legge n. 209 del 1998.
Doc. XVI, n. 14
(Doc. LXXXVII, n. 7-A) Relazione della Giunta per gli affari delle Comunità
europee sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea
Relazione della Giunta per gli affari delle Comunità europee
(relatore Bedin)
concernente la
Relazione sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea
Onorevoli Senatori. - Attuando le modifiche introdotte dalla legge
comunitaria 1998, legge 5 febbraio 1999, n. 25 - che hanno ulteriormente
innovato la precedente Relazione semestrale, già modificata dalla legge
comunitaria 1995-1997, legge 24 aprile 1998, n. 128, trasformandola in relazione
annuale - la Relazione sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea (UE),
esamina indirizzi e risultati perseguiti dal Governo italiano nel 1999 con brevi
cenni inerenti alle prospettive per l'anno in corso, prendendo in considerazione
tutti e tre i pilastri dell'azione comunitaria. A tale riguardo la Giunta
osserva con preoccupazione come i deludenti progressi sul versante delle riforme
istituzionali, dove appare lontana la realizzazione di un vero governo europeo
dell'economia, a fronte dell'accelerazione del processo d'integrazione economica
e finanziaria, inducano a temere il rischio che prevalga una visione dell'Europa
quale mera area di libero scambio. La Giunta raccomanda pertanto, in via
preliminare, un forte impegno del Governo per dare rinnovato impulso al processo
di integrazione politica. L'azione comunitaria del Governo italiano si è
arricchita nel 1999 di uno strumento essenziale come il decreto legislativo di
riordino della Presidenza del Consiglio dei ministri, che affida ad una
struttura interna del Primo Ministro, ai sensi dell'articolo 3 del decreto
legislativo 30 luglio 1999, n. 303, il compito di ricondurre ad unità la
posizione del Governo italiano sui vari tavoli negoziali relativi alla fase
ascendente del diritto comunitario. La Relazione evidenzia al riguardo come in
tale modo si conferisca organicità e sistematicità all'azione italiana a
Bruxelles in questo settore, dove talvolta l'azione dei delegati del Governo
risultava non sufficientemente incisiva. La Relazione sottolinea altresì il
successo conseguito dall'Italia nel corso del 1999 nell'ambito di negoziati
complessi quali la definizione dell'Agenda 2000 - indispensabile per preparare
l'Unione all'allargamento, ma sensibilissima da un punto di vista interno, per
le decisioni da assumere in materia di politica agricola comune, fondi
strutturali, strategia di pre-adesione, saldi netti negativi o positivi che
ciascuno Stato membro paga o riceve dalla Comunità - e la necessità di
procedere all'individuazione, in tempi rapidi, di un nuovo Presidente della
Commissione, ponendo termine alla fase di debolezza istituzionale a seguito
delle dimissioni della Commissione Santer, trattativa che, grazie anche
all'azione della Presidenza tedesca, ha condotto alla nomina di Romano Prodi. 1.
L'Agenda 2000 La Relazione rileva il significativo successo italiano al vertice
europeo di Berlino del 1999, con aumento delle quote latte e dei fondi
strutturali, l'inserimento dell'Abruzzo nell'Obiettivo 1 e la modulazione del
processo di sostituzione del criterio dell'IVA con quello del Prodotto nazionale
lordo (PNL) nel calcolo delle risorse proprie da versare alle casse comunitarie.
La relazione precisa, peraltro, che l'Italia non dovrà corrispondere importi
addizionali fino al 2002, bensì fruirà immediatamente di maggiori incassi, ma
non quantifica il maggiore esborso per l'Italia derivante dalla riforma del
sistema delle risorse proprie (che si baserà sul pagamento di un quota più
strettamente correlata al Prodotto interno lordo - PIL). La 5ª Commissione, nel
parere trasmesso alla Giunta il 16 marzo, rileva l'esigenza di pervenire ad una
maggiore trasparenza nel processo di formazione del bilancio comunitario e
riscontra l'entità limitata delle risorse assegnate per il periodo 2000-2006 ad
importanti politiche comunitarie, come quelle agricola, strutturale e per le
infrastrutture, pur apprezzando la previsione di una finalizzazione specifica
per la costa adriatica italiana. 2. Allargamento Prosegue costantemente il
processo di allargamento ad Est dell'Unione europea, basato su di
un'impostazione di carattere inclusivo ed evolutivo, sempre sostenuta
dall'Italia. Eliminata la distinzione tra candidati ins (Cipro, Estonia,
Polonia, Repubblica Ceca, Slovenia e Ungheria), e pre-ins (Bulgaria, Lettonia,
Lituania, Malta, Repubblica slovacca e Romania), si procede ora sulla base del
"principio di differenziazione", che permetterà di condurre i
negoziati con modalità, tempi e ritmi diversi in funzione del grado di
preparazione dei singoli candidati Nel febbraio 2000 sono stati lanciati i
negoziati per l'adesione dei nuovi Paesi candidati ins. La Commissione europea
auspica che sia possibile indicare su quali capitoli dell'acquis potrebbero
iniziare i negoziati del primo semestre 2000, pur se, in applicazione del
principio di differenziazione tra i sei nuovi candidati fin dall'inizio del
negoziato, tali capitoli saranno diversi da Stato a Stato. Continuerà la
discussione su tutti i temi non ancora affrontati con i nuovi Paesi ins, il
capitolo istituzionale e l'attenzione si concentrerà su quelli che, nella
valutazione generale, richiederanno l'esame più approfondito: agricoltura,
libera circolazione delle persone, politiche di coesione. L'Esecutivo
comunitario prevede che non vi sarà un'apertura automatica e sistematica di
capitoli su cui i negoziati di adesione sono già stati provvisoriamente chiusi.
La decisione di riaprire un capitolo con un candidato sarà presa "caso per
caso" in funzione dell'evoluzione dell'acquis dal 31 marzo 1998 e del
rispetto degli impegni di attuazione che la Commissione ha l'incarico di
controllare. La Turchia sarà trattata in un quadro a parte sulla base della
proposta della Commissione al Consiglio per il partenariato di pre-adesione. In
relazione allo sviluppo del processo di allargamento, senza perdere di vista le
priorità politiche - connesse tra l'altro al processo di stabilizzazione del
Continente europeo - la Giunta ritiene che sarebbe opportuno inserire
nell'ambito delle future relazioni maggiori dati sui profili economici e
finanziari, con riferimento all'interscambio commerciale con ciascun partner
candidato all'adesione e alle valutazioni del Governo sul possibile impatto
dell'ampliamento sui fondi strutturali, sull'agricoltura e su altri settori
economici e sociali maggiormente sensibili. 3. Riforme istituzionali Revisione
dei criteri di ponderazione del voto nel Consiglio, estensione del voto a
maggioranza e nuove dimensioni e composizione della Commissione saranno
affrontati della Conferenza intergovernativa (CIG) in corso. Il Governo italiano
ha sempre sostenuto che il rafforzamento delle istituzioni è condizione
indispensabile per la conclusione dei primi negoziati di adesione.
L'allargamento non è, infatti, compatibile con l'attuale processo decisionale,
che prevede in alcuni casi l'unanimità. Dovranno tuttavia essere affrontate
anche le altre questioni connesse, la cui soluzione dovrebbe complessivamente
consentire un migliore funzionamento dell'impianto istituzionale definito dai
Trattati in un'Europa allargata: la semplificazione delle procedure per avviare
una cooperazione rafforzata nel primo e nel terzo pilastro, l'introduzione della
flessibilità nel secondo (per permettere agli Stati che vogliano andare avanti
per primi, di farlo anche nel campo della politica estera e di difesa), le
modifiche dei Trattati ritenute necessarie in materia di politica di difesa e
l'integrazione nei Trattati della promulganda Carta dei diritti fondamentali
dell'Unione europea. Nel corso del 2000, il Governo afferma che continuerà a
sostenere riforme ambiziose, ma realistiche dei Trattati che consentano
all'Unione di far fronte all'allargamento senza smarrire la propria identità,
con la consapevolezza che le nostre passate proposte (come ad esempio la
procedura di codecisione) costituiscono oggi parte imprescindibile dell'acquis
comunitario, pur essendo state inizialmente osteggiate. In merito alle riforme
istituzionali si ricorda che la Giunta ha già svolto un'audizione congiunta con
la Commissione affari esteri del Ministro degli affari esteri sulla Conferenza
intergovernativa, ha approvato una risoluzione sulla Carta dei diritti
fondamentali (Doc. XXIV, n. 15) nonché, nel 1999, ha adottato due relazioni
connesse all'argomento su iniziativa, rispettivamente, dei senatori Tapparo, in
merito alla questione della legittimità democratica e la riforma delle
istituzioni comunitarie (Doc. XVI, n. 9), e Bedin, sul Consiglio europeo di
Helsinki in vista della Conferenza intergovernativa (Doc. XVI, n. 12). Al
riguardo la Giunta si ripropone di avviare in altra sede l'esame di un documento
più specifico sulla CIG. In materia istituzionale la Giunta sottolinea altresì
l'importanza delle trattative sull'elaborazione della citata Carta dei diritti
fondamentali sia perché, per la prima volta, per la sua redazione è stato
configurato un organismo, quale la Convenzione di Bruxelles, in cui collaborano
sullo stesso piano i rappresentanti della Commissione europea, dei Governi, del
Parlamento europeo e dei Parlamenti nazionali, sia nella prospettiva che tale
documento contribuisca a riavvicinare i cittadini alla costruzione europea e
costituisca, quando vi saranno le condizioni, l'elemento fondante di una futura
Costituzione europea. Al riguardo la Giunta rileva come tale tema sia stato
oggetto di un'indagine conoscitiva, svolta congiuntamente con la XIV Commissione
della Camera, nel corso della quale è emersa l'esigenza di tutelare
adeguatamente i cosiddetti diritti di nuova generazione, che si manifestano in
conseguenza di fenomeni quali lo sviluppo delle biotecnologie e delle tecnologie
dell'informazione e l'individuazione di nuovi fattori di pericolo per la salute
umana e l'equilibrio ecologico. 4. Assistenza tecnica Gemellaggi nell'ambito del
PHARE, rapporti bilaterali, seminari di breve durata organizzati dalla struttura
TAIEX sono le formule più significative dell'assistenza tecnica ai Paesi
candidati all'adesione. Il programma "Assieme in Europa", in
particolare, è volto a creare un legame diretto con questi Paesi. Nell'anno in
corso proseguirà tale progetto con una serie di attività di formazione ed
assistenza a funzionari dei Paesi candidati. Sono previsti seminari con
rappresentanti di Polonia, Malta, Lituania e Slovenia. È programmato inoltre un
seminario di specializzazione aperto a tutti i Paesi candidati, organizzato dal
TAIEX e dal Dipartimento politiche comunitarie per la primavera 2000, dedicato
alla liberalizzazione dei servizi pubblici. Dalla relazione si evince tuttavia
una certa difficoltà dell'Italia - nonostante l'apprezzabile assegnazione di
progetti "twinnings" in Slovacchia, Lituania e Romania - ad assumere
un ruolo di project leader nei programmi di assistenza bilaterale nel quadro del
processo di allargamento, anche nei confronti di Paesi tradizionalmente molto
vicini. Mancano inoltre sistematici rapporti di cooperazione con taluni di tali
Paesi, come si riscontra dal fatto che per alcuni di essi, in luogo di programmi
di formazione o di scambio, si parli solamente di conferenze e seminari. Tale
valutazione potrebbe indurre il Governo e lo stesso Parlamento a porre maggiore
attenzione per la tematica dell'assistenza tecnica, che in prospettiva potrebbe
rivelarsi un investimento politico e culturale. Tale capitolo, inoltre, dovrebbe
essere più direttamente correlato a quello dell'ampliamento, onde consentire di
percepire tale processo in termini meno astratti. 5. PESC e relazioni esterne La
definizione di autonome capacità militari dell'Unione per la gestione di
situazione di crisi costituisce una delle novità principali del Consiglio
europeo di Helsinki: l'Unione europea è stata inoltre riconosciuta dalla NATO
come interlocutore per la costruzione dell'"Identità Europea di Sicurezza
e Difesa" nell'Alleanza. Nell'anno 2000 prosegue il processo di attuazione
delle riforme introdotte dal Trattato di Amsterdam. È stata accolta con
soddisfazione l'assunzione di funzioni del nuovo Alto Rappresentante per la
Politica estera e di sicurezza comune dell'Unione europea (PESC), nella persona
del Segretario generale del Consiglio, Solana, che svolgerà, nel quadro del
processo decisionale della politica estera e di sicurezza comune, il ruolo
propulsivo attribuitogli dal Trattato, assistendo il Consiglio e le altre
istanze sottoposte nella formulazione delle decisioni politiche, e conducendo
all'occorrenza il dialogo politico con i Paesi terzi. Nel portare avanti tale
attività si potrà avvalere, oltre che delle tradizionali strutture del
Segretariato, della nuova "Cellula di pianificazione e tempestivo
allarme" per l'elaborazione di opzioni di politica estera. Occorrerà
tuttavia seguire con attenzione il processo di definizione delle sue competenze,
soprattutto in relazione ai rapporti con le altre istanze decisionali del
Consiglio e con la Commissione. È sin d'ora prevedibile, comunque, un suo
importante ruolo nella comunicazione e nella consultazione con la NATO per
assicurare che la crescita della "dimensione di difesa" nell'Unione
avvenga in piena trasparenza e sintonia con tutti gli Alleati. Questo elemento
dello sviluppo di una dimensione europea di sicurezza e difesa, sulla base dei
princìpi stabiliti dal Consiglio europeo di Colonia, continuerà a
rappresentare un obiettivo prioritario per il nostro Paese. Nel frattempo si
procederà, secondo le proposte di cui l'Italia è stata promotrice, alla
costituzione di strutture interinali, che curino la predisposizione di quelle
definitive e comincino a svolgerne almeno alcune funzioni. Quanto all'impegno
dell'Unione europea nelle varie aree regionali, particolare attenzione dovrà
essere riservata ai Balcani Occidentali, in considerazione del permanere della
situazione di instabilità che continua a caratterizzare la regione. In tale
contesto, l'Italia continuerà a sostenere gli sforzi dell'Unione europea per
favorire la piena attuazione della risoluzione del Consiglio di Sicurezza per il
Kosovo, rafforzando la capacità di azione dell'amministrazione internazionale
della Missione delle Nazioni unite per il Kosovo (UNMIK), e continuando ad
operare per l'avvio di un processo di democratizzazione in Serbia. L'azione
italiana nell'ambito dell'Unione europea dovrà essere mirata anche al
consolidamento del processo di stabilizzazione dell'Albania, promuovendone lo
sviluppo, nella prospettiva dell'avvicinamento del Paese alle istituzioni
euroatlantiche, nonché ad una sempre più attiva partecipazione dell'Unione al
Patto di stabilità. Altrettanto prioritarie si presentano le relazioni
dell'Unione europea con la Federazione russa. In tale contesto l'Unione sarà
impegnata a dare attuazione alla Strategia comune adottata dal Consiglio europeo
di Colonia. L'Unione europea dovrà inoltre dare attuazione alla Strategia
comune adottata ad Helsinki nei confronti dell'Ucraina. A tale proposito occorre
in particolare coordinare i progressi organizzativi ed istituzionali conseguiti
dall'Unione nel dotarsi degli strumenti necessari per realizzare una propria
politica estera e di difesa con un contestuale rafforzamento dei legami di
cooperazione con i Paesi dell'Europa centrale ed orientale. Appare infatti
necessario prevenire il rischio che emerga una sensazione di isolamento o
emarginazione, soprattutto negli Stati del Continente che non sono ancora
candidati all'adesione. Altrettanto rilevante si configura l'impegno per il
Mediterraneo ed il dialogo con i Paesi del Nord-Africa e del Medio Oriente. Con
il Consiglio europeo di Feira l'Unione ha finalmente definito una Strategia
Comune nei confronti dell'area mediterranea intesa nel suo complesso. In tale
contesto l'Italia potrà esercitare un ruolo di spicco, grazie al rapporto
privilegiato ed equilibrato che intrattiene con tutti i Paesi della sponda Sud.
Sempre nel quadro del Partenariato euromediterraneo, particolare rilevanza
assume anche la definizione della Carta per la Pace e la Stabilità nel
Mediterraneo, il cui testo dovrebbe essere finalizzato per la IV Conferenza
euromediterranea che si terrà in Francia nell'autunno 2000 e cui il Parlamento
chiede di essere coinvolto attraverso apposite iniziative. Il nostro Paese si
dovrà adoperare affinché il documento risponda ai requisiti essenziali di un
rafforzamento istituzionale del partenariato e di procedure efficaci per la
prevenzione e la gestione delle crisi. Il processo di pace in Medio Oriente
continuerà a rappresentare un campo di azione fondamentale per la PESC anche
per l'anno 2000. L'impegno per il processo di pace non dovrà tuttavia attenuare
l'attenzione per il Maghreb, regione che per il nostro Paese riveste interesse
strategico. L'obiettivo che ci si pone in sede Unione europea dovrà essere
quello di incoraggiare il processo di integrazione come condizione per favorire
un avanzamento della collaborazione tra Africa ed Europa. Per quanto riguarda il
Golfo l'impegno dell'Unione europea, oltre alla prosecuzione del dialogo con il
Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG), dovrà essere mirato a favorire il
processo di normalizzazione delle relazioni con l'Iran. Per quanto concerne
l'Africa, si rileva l'importanza del Vertice euro-africano del Cairo per il
rilancio della cooperazione tra i due continenti. Nel frattempo l'Unione europea
dovrà continuare ad impegnarsi per la composizione del conflitto etio-eritreo,
in cui il nostro Paese è coinvolto con la nomina di un Sottosegretario italiano
nel ruolo di Rappresentante speciale della Presidenza per sostenere l'azione
dell'Organizzazione per l'unità africana (OUA) nei negoziati. Mentre per quanto
concerne la regione dei Grandi Laghi l'Unione europea dovrà proseguire nel
sostegno alle iniziative dell'OUA per la soluzione della crisi nella Repubblica
democratica del Congo e in Burundi. L'Unione europea dovrà infine dare
attuazione alle azioni e posizioni comuni in materia di prevenzione e di
gestione dei conflitti (con particolare riferimento a democrazia e diritti
umani). Il lavoro della PESC dovrà essere intensificato anche nel campo della
non proliferazione e del controllo degli armamenti. Sul tema della politica
estera e di difesa la Giunta ritiene che sarebbe opportuno ricevere maggiori
chiarimenti sulle prospettive dell'Unione dell'Europa occidentale (UEO), che
stando al Consiglio europeo di Colonia, dovrebbe essere definitivamente
integrata nell'Unione europea. Al riguardo sarebbe utile acquisire maggiori
dettagli sulla possibilità di includere la clausola sull'assistenza militare
reciproca, di cui all'articolo 5 del Trattato UEO, in un protocollo degli
accordi comunitari nonché sugli strumenti di controllo parlamentare, nella
prospettiva dell'eventuale soppressione dell'Assemblea dell'UEO, argomento
discusso nella sessione speciale di tale organismo che si è svolta a Lisbona.
Per quanto attiene alle relazioni economiche esterne, il fallimento della
Conferenza di Seattle non pregiudica l'esito futuro dei negoziati, come dimostra
l'esperienza dell'Uruguay Round. Un'agenda iniziale molto ambiziosa dilata i
confini dell'Organizzazione mondiale del commercio (OMC), oltre la semplice
rimozione dei dazi doganali introducendo nei nuovi obiettivi negoziali il
settore ambientale, la proprietà intellettuale, l'agricoltura e i servizi.
Nell'anno 2000, si prevede che verrà posta particolare attenzione a temi quali
l'agricoltura, i servizi, le commesse pubbliche e il commercio elettronico. Il
Vertice di Rio rafforza inoltre il partenariato con l'America latina, mentre
avanza la liberalizzazione commerciale con il Cile ed il Mercato comune del Sud
(Mercosur). Prosegue l'accordo di libero scambio con il Messico e la Quinta
Convenzione di Lomè estenderà il dialogo politico, fondato sul rispetto dei
diritti umani, con i Paesi interessati. Nel quadro delle relazioni esterne il
Parlamento dovrebbe inoltre acquisire informazioni più sistematiche sullo
sviluppo dei rapporti con i Paesi del partenariato euromediterraneo -
considerando l'importanza strategica di tale area per l'Italia e per l'Europa,
che rende pienamente condivisibili le sollecitazioni rivolte in proposito dal
Governo all'Esecutivo comunitario - con particolare riferimento alla definizione
o all'attuazione delle intese con i Paesi terzi mediterranei già inclusi,
all'evoluzione dei rapporti con la Libia e alla prospettiva dell'eventuale
inclusione in tale processo dei Paesi adriatici. 6. Il Terzo pilastro Dopo il
Trattato di Amsterdam restano nel terzo pilastro la cooperazione di polizia e la
cooperazione giudiziaria in materia penale. Sono stati comunitarizzati i temi
dell'asilo, dell'immigrazione, la soppressione dei controlli alle frontiere
sulla circolazione delle persone, i visti, e la cooperazione giudiziaria in
materia civile. Lotta al narcotraffico, criminalità organizzata, informazione
sui flussi migratori illegali, controllo delle impronte digitali dei richiedenti
asilo sono i temi di maggiore rilievo di questo capitolo. Le conclusioni del
Vertice di Tampere costituiranno, nel corso del 2000, un utile strumento di base
per le attività da svolgere in materia di giustizia e affari interni. In
particolare, si prevede un'intensificazione degli sforzi per giungere ad un
accordo sulla protezione temporanea dei rifugiati, basato sulla solidarietà tra
gli Stati membri. Verrà inoltre presa in considerazione l'opportunità di
predisporre una riserva finanziaria per la protezione temporanea nelle
situazioni di afflusso massiccio di rifugiati. Le conclusioni sottolineano il
progetto di intesa in via di definizione tra Italia e Grecia volto ad
incrementare la collaborazione tra i due Paesi nei mari Adriatico e Ionico per
combattere il crimine organizzato, il contrabbando e la tratta di esseri umani.
È auspicabile l'istituzione di un'Accademia di polizia europea, che nascerebbe
come centro sinergico delle varie scuole nazionali, secondo una proposta
dell'Italia che è pronta ad ospitarne la sede. In linea con quanto auspicato
dall'Italia, il messaggio del Consiglio europeo di Tampere, è politicamente
rilevante: con il lavoro di programmazione per il 2000, si conciliano le
esigenze di sicurezza con il carattere aperto verso l'esterno della costruzione
europea, offrendo garanzie per coloro che cercano protezione o accesso
nell'Unione europea o garantendo l'integrazione dei cittadini dei Paesi terzi
che soggiornano legalmente nell'Unione. A proposito di tale importante materia
si ricorda che la Giunta ha avuto modo di pronunciarsi, nei mesi scorsi, sul
progetto di Convenzione EURODAC. Un più efficace coinvolgimento del Parlamento
nell'elaborazione degli atti dell'Unione in materia giudiziaria e di affari
interni- che potranno includere anche direttive comunitarie sul diritto civile e
decisioni quadro di diritto penale - potrà essere consentito dall'applicazione
dell'articolo 3 della legge 16 giugno 1998, n. 209, sulla ratifica del trattato
di Amsterdam, che prevede la trasmissione dei progetti di tali atti alle Camere.
7. Mercato interno e fiscalità Per l'anno 2000 sono già state definite le
priorità italiane, con particolare riferimento alle azioni mirate. La
liberalizzazione completa dei settori di pubblico servizio deve comprendere
anche la creazione di uno spazio aereo unico a livello europeo ed essere estesa
ai diritti speciali ed esclusivi esercitati in regime di concessione. Anche le
forme di partenariato tra pubblico e privato, particolarmente utilizzate per le
grandi opere infrastrutturali, con ricaduta del rischio economico
sull'imprenditore privato, devono essere sottoposte alle regole di concorrenza.
Un nuovo regime di inquadramento e di razionalizzazione degli aiuti di Stato
settoriali potrebbe comprendere anche possibili esenzioni da applicare ad
ambiente, ricerca e sviluppo, ambiti di forte interesse per le imprese. La
disciplina della proprietà intellettuale deve essere completata con le norme
sul brevetto comunitario, sul diritto di seguito, sui modelli di utilità, sui
disegni e modelli, sulla lotta alla contraffazione e alla pirateria. Risulta
ancora lacunoso, secondo il Governo italiano, il quadro normativo del diritto
societario perché occorre portare a compimento la direttiva sulle offerte
pubbliche di acquisto, essenziale per tutelare i soci di minoranza da scalate
ostili anche nel quadro dei processi di privatizzazione in atto, e lo Statuto
della società europea, che fornirebbe un essenziale strumento alle operazioni
transfrontaliere. Il coordinamento fiscale, nonostante le opposizioni al
completamento di questo importante tassello, sarà perseguito sui tavoli
negoziali per arrivare alla adozione delle direttive sulla tassazione del
risparmio, su interessi e royalties, sulla tassazione dei consumi energetici,
nel quadro generale della lotta contro la concorrenza fiscale nociva prevista
dal codice di condotta Monti. Al riguardo appaiono particolarmente significativi
i risultati conseguiti con il Consiglio europeo di Feira, dove si è raggiunto
l'accordo sull'abolizione, in particolare, del segreto bancario. Priorità
irrinunciabili per il Governo italiano, nel corso dell'anno 2000, saranno una
politica delle piccole e medie imprese da agevolare tramite l'accesso al
capitale di rischio, la semplificazione degli oneri amministrativi e l'adozione
definitiva della direttiva contro i ritardi di pagamento nelle transazioni
commerciali. Permane l'appoggio italiano ad una fiscalità coordinata, al codice
di condotta, alla tassazione del risparmio e delle royalties. La questione di
Gibilterra blocca le Offerte pubbliche di acquisto (OPA) mentre nei servizi
finanziari a distanza l'Italia esige la massima tutela dei consumatori. Si
profila inoltre sul mercato europeo un ampliamento del mercato dei fondi
mobiliari. Le priorità che il Governo italiano intende perseguire nel 2000,
sostenendo le posizioni della Commissione, investono il settore dei mercati
all'ingrosso, al dettaglio, quello fiscale e la stabilità dei mercati
finanziari. In particolare, la rilevanza delle Piccole e medie imprese (PMI) per
l'economia del nostro Paese induce il Governo a fissare tra gli obiettivi della
sua politica per il 2000 la riduzione dei costi di finanziamento per tali
imprese. Inoltre, la necessità di garantire un'applicazione equilibrata delle
regole di protezione dei consumatori rende indispensabile l'adozione di misure
pratiche per promuovere l'informazione, la trasparenza e la sicurezza nel
settore della fornitura transfrontaliera di servizi finanziari. La completa
instaurazione di un mercato unico impone altresì l'istituzione di un
coordinamento minimo delle politiche fiscali portando a compimento i progetti
sulla fiscalità del risparmio e su quella delle imprese. La 5ª Commissione, a
proposito di tale capitolo, rileva l'esigenza di spostare l'asse del prelievo
dal fattore lavoro ai fattori produttivi inquinanti attraverso un'opportuna
politica di tassazione ecologica e rileva l'esigenza di salvaguardare spazi
d'azione nazionali nelle politiche fiscali e sociali, nel quadro del necessario
processo di armonizzazione, onde consentire di ridurre le marcate differenze
regionali in termini di sviluppo e reddito. 8. Ambiente e tutela dei consumatori
Affinché aumento dell'occupazione e della competitività, coesione
economico-sociale, tutela dei consumatori e dell'ambiente avanzino in sincronia,
le politiche ambientali e dello sviluppo sostenibile verranno integrate nel
mercato interno durante l'anno in corso. Due aspetti sono stati sottolineati dal
Governo nelle formazioni consiliari competenti e saranno perseguiti anche nel
corso dell'anno 2000: la tassazione ambientale europea e l'emanazione di
standard tecnici in grado di coniugare libertà di circolazione delle merci e
qualità ecologiche. Secondo il Governo, almeno una sessione consiliare annuale
dovrebbe inoltre essere dedicata al monitoraggio dell'avanzamento del processo
di integrazione ambiente/mercato interno, estendendo l'operazione dal settore
delle merci a quello dei servizi, dove il binomio sviluppo sostenibile/mercato
interno ancora non emerge. Gli indicatori ambientali sono necessari per
integrare le politiche comuni nelle quattro libertà, costruendo lo sviluppo
sostenibile previsto dal Trattato di Amsterdam. Grandi impianti di combustione,
riduzione delle emissioni di ossido di carbonio, rottamazione degli autoveicoli,
organismi geneticamente modificati (OGM) sono i dossier di maggior rilievo
ancora sul tappeto, unitamente alla proposta della Commissione di istituire
un'autorità di controllo comunitaria sulla sicurezza alimentare, in merito alla
quale la Giunta esprime apprezzamento per la proposta del Governo di collocarne
la sede in Italia. Nel programma di lavoro della Commissione europea per l'anno
2000, fra gli impegni prioritari figurano il Libro bianco sulla responsabilità
ambientale, un approfondimento sul tema dell'occupazione e dello sviluppo
sostenibile e il completamento delle misure necessarie alla ratifica del
Protocollo di Kyoto. Sulla rottamazione delle automobili proseguirà l'iter del
progetto che obbliga le aziende produttrici a sostenere i costi di recupero dei
nuovi veicoli prodotti, a partire dal 1º gennaio 2001, e dal gennaio 2006, con
effetto retroattivo, per la rottamazione degli autoveicoli prodotti prima del
2001. Nel corso dell'anno 2000 il Governo italiano intende confermare la sua
posizione sulle emissioni dei grandi impianti di combustione, frutto di una
scelta coraggiosa in materia di politica energetica concretizzatasi con la
rinuncia al nucleare. Verrà anche evidenziata la forte penalizzazione dei Paesi
mediterranei per le concentrazioni di ozono, dovute a fattori naturali e
climatici, che richiedono misure più onerose a parità di risultato rispetto
gli Stati membri del Nord Europa. Al riguardo la Giunta osserva che sarebbe
opportuno chiarire i termini del dissidio tra Governo e Commissione europea -
accennati nella relazione - a proposito della normativa sui limiti di emissione
per ossido di zolfo, ammoniaca, ossido di azoto e composti organici volatili.
Nel corso del 2000, si prevede inoltre di sviluppare l'accesso dei consumatori
alla giustizia, per il quale si rende necessario l'istituzione di una banca dati
diretta al consumatore per consultare gli organismi competenti. Sarà altresì
sviluppato il coordinamento nazionale del sistema di controllo sulla sicurezza
dei prodotti. 9. Agricoltura L'innalzamento delle soglie delle quote latte,
l'aumento percentuale dei premi alla macellazione e la definizione di una
favorevole posizione negoziale europea nel quadro delle trattative commerciali
internazionali sono significativi successi della politica agricola italiana in
sede comunitaria. Al riguardo la 9ª Commissione sollecita una ripresa dei
negoziati nell'ambito dell'OMC auspicando che continuino ad essere perseguiti
dall'Unione un riequilibrio, nel processo di liberalizzazione, in favore dei
prodotti mediterranei nonché la tutela dei prodotti tipici. In tale contesto
risulteranno determinanti, ai fini delle relazioni con alcuni importanti partner
negoziali, le decisioni che l'Unione europea prenderà sulle questioni relative
alle banane ed agli ormoni, e più in generale sulla problematica della
sicurezza alimentare che, dopo le recenti crisi della encefolopotia spongiforme
bovina (ESB) e della diossina, resta la principale preoccupazione dell'opinione
pubblica soprattutto in relazione al commercio dei prodotti geneticamente
modificati. Nel corso dell'anno si prevede di concludere nuove trattative
relative a diversi organizzazioni comuni di mercato, comprese quelle per la
fissazione dei prezzi agricoli per il periodo 2000-2001. Da parte italiana viene
data particolare attenzione prioritaria ai settori degli ortofrutticoli e del
riso. La Giunta condivide inoltre le osservazioni della 9ª Commissione in
merito all'esigenza di tener conto delle imprese del settore agricolo allargato
nel quadro delle agevolazioni comunitarie per le piccole e medie imprese. 10.
Istruzione, formazione e cultura Uno stretto legame tra formazione e occupazione
è alla base del rilancio del settore istruzione e formazione, attraverso il
rinnovo dei programmi Leonardo da Vinci e Socrates. Anche il nuovo metodo di
lavoro del Consiglio dei Ministri dell'istruzione punta su settori prioritari
legati alla modernizzazione, alla qualità del processo educativo/formativo, al
binomio formazione-occupazione la cui importanza è stata sottolineata dal
Consiglio europeo di Lisbona. Il governo italiano, nel corso dell'anno 2000,
intende promuovere una strategia integrata, che punti a quelle iniziative che
vedono l'istruzione designata quale fattore di sostegno allo sviluppo dei
processi produttivi e all'occupazione, e che preveda strumenti e risorse
destinati alla lotta allo svantaggio ed allo squilibrio sociale, anche in linea
con gli obiettivi e le priorità fissate a livello nazionale e coerentemente con
le politiche generali in cui sono inquadrati i Fondi strutturali. Nell'anno 2000
si discuterà inoltre sulla proposta di decisione, avanzata dalla Commissione
europea, volta a proclamare il 2001 anno europeo delle lingue. È stato altresì
approvato il Programma Cultura 2000, concepito su originario impulso italiano, e
continua la pressione italiana per la riduzione dell'IVA su dischi, CD e CD-Rom
per incentivare il consumo e rilanciare l'occupazione. Nell'incontro tenutosi a
Helsinki in ottobre, il Governo italiano ha proposto un'iniziativa volta
all'inserimento dello sport tra le materie di competenza comunitaria, al fine di
tutelare e promuovere il modello sociale di sport europeo. Tale proposta appare
significativamente raccolta dalle conclusioni del Vertice di Feira. 11. Ricerca
e sviluppo tecnologico Per la preparazione dei futuri Programmi quadro di
ricerca, l'Italia sottolinea la necessità della massima trasparenza in stretta
collaborazione con tutti i soggetti interessati. Sono stati inoltre compiuti
passi concreti verso il Piano d'Azione per la disattivazione delle installazioni
nucleari obsolete del Centro comune di ricerca di Ispra e di gestione dei
rifiuti radioattivi. Nel corso del 2000 si procederà anche all'esame delle
proposte della Commissione per il quadriennio successivo, con adozione prevista
entro la fine dell'anno, sotto presidenza francese. Il Ministero dell'industria
si è fatto promotore di un'iniziativa che mira a conservare l'indirizzo in
favore dell'imprenditoria di minori dimensioni e che accentua il carattere
orizzontale dell'iniziativa comunitaria. 12. Liberalizzazione dei servizi
pubblici Un alto livello di apertura alla concorrenza caratterizza il processo
nazionale di liberalizzazione dei servizi pubblici, soprattutto dopo lo
scioglimento del nodo del gas naturale. Resta da definire più puntualmente, in
chiave comunitaria, il contenuto della nuova concessione alle poste nazionali.
Ottenuto il calo delle tariffe, il prossimo obiettivo da perseguire è un
aumento della qualità ed efficienza dei servizi pubblici nonché l'apertura del
mercato delle grandi infrastrutture. Nel corso del 2000, il Governo, impegnato
dopo il recepimento della direttiva per la liberalizzazione del gas, negli altri
adempimenti di attuazione della liberalizzazione delle utilities, intende
sostenere la comunicazione dell'esecutivo comunitario finalizzata ad aprire le
concessioni di pubblico servizio ed il partenariato pubblico/privato alla
concorrenza europea. L'adozione di una direttiva garantirebbe il rispetto delle
regole di concorrenza e aprirebbe il mercato delle grandi infrastrutture
pubbliche ad operatori economici non nazionali. Tale operazione si rivelerebbe
peraltro particolarmente difficile nel settore delle concessioni dove, accanto
agli affidamenti a carattere contrattuale, figurano altri basati su norme di
legge o su atti amministrativi. 13. Occupazione e coesione economica e sociale
Dialogo e concertazione sono il terzo pilastro del Patto europeo
sull'occupazione. Il tema della società dell'informazione e dell'occupazione è
stato peraltro approfondito dalla Giunta a proposito dell'esame del programma
legislativo della Commissione, tenuto conto degli esiti del Vertice di Lisbona
del 23 e 24 marzo 2000. Le norme nazionali sull'immigrazione non impediranno il
distacco dei prestatori di servizi di Paesi terzi. Una prossima direttiva sui
fondi pensione potrebbe aprire alla concorrenza europea i futuri mercati
italiani. Pertanto, nel corso del 2000, il Governo italiano, nel volet sociale,
intende intraprendere azioni più decise, coerenti e misurabili per prevenire
che giovani ed adulti scivolino nella disoccupazione di lungo periodo. A tal
fine appare necessario completare la riforma dei servizi di collocamento,
migliorare le politiche preventive e la qualità della formazione, definire una
strategia integrata a favore della formazione continua, adottare ed attuare, sia
a livello normativo che fiscale, misure per alleviare il carico amministrativo
delle imprese, perseguire gli attuali sforzi nelle riforme per spostare il
carico fiscale dal lavoro ad altre fonti di entrate fiscali, adottare politiche
generali per diminuire il vasto divario occupazionale fra uomini e donne e
migliorare il monitoraggio statistico per avere indicatori reali sull'efficienza
delle politiche intraprese. Per le direttive sul distacco dei lavoratori vanno
tenuti in considerazione sia i riflessi sugli aspetti occupazionali e di
equilibrio del mercato del lavoro interno, che potrebbero essere falsati
dall'elusione della programmazione dei flussi di ingresso, sia i riflessi sui
fondamentali principi di sicurezza sociale. Il rafforzamento dei sistemi di
controllo e garanzia con adeguate forme di registrazione e la verifica della
sussistenza del diritto a prestazioni sanitarie potrebbero essere lo strumento
per assicurare un'adeguata protezione. La 5ª Commissione sottolinea l'esigenza
di chiarire gli obiettivi cui sono finalizzati gli interventi comunitari in
materia sociale onde massimizzare l'efficacia della spesa nazionale. La stessa
Commissione rileva l'utilità di definire politiche contrattuali in materia di
lavoro a livello comunitario. Nella prospettiva dell'allargamento, la coesione
economica e sociale rimane un obiettivo prioritario: competitività regionale,
promozione dell'occupazione, sviluppo equilibrato e sostenibile del territorio
sono le priorità comunitarie che guideranno gli Stati membri nella
programmazione 2000-2006. Entro i primi mesi del 2000 avrebbe dovuto concludersi
il negoziato tra la Commissione europea e le autorità italiane per
l'approvazione dei documenti di programmazione relativi ai tre obiettivi. Al
riguardo si rileva che nel suo parere la 5ª Commissione ha sollecitato
chiarimenti sull'esito delle trattative in merito all'obiettivo 2. L'adozione
finale degli Orientamenti da parte della Commissione, dopo il parere del
Parlamento europeo, avverrà entro la primavera. A partire da quella data gli
Stati membri avranno sei mesi di tempo per presentare le proposte di programma.
Sotto la presidenza francese verranno inoltre definite le modalità di
collaborazione con i Paesi terzi e si tenterà di concordare un nuovo quadro
istituzionale per la cooperazione in materia di assetto del territorio. In
relazione alla gestione del territorio, la Giunta sottolinea infine l'importanza
delle risorse disposte dai Fondi strutturali rispetto all'obiettivo di uno
sviluppo omogeneo delle infrastrutture nonché la persistenza di problemi di
coordinamento fra la politiche dei trasporti nazionale ed europea. Al riguardo
l'Italia dovrebbe sollecitare l'inclusione di talune grandi opere nel quadro
delle più ampie strategie europee ed euromediterranee in materia di grandi
reti. In tale prospettiva deve essere altresì sostenuta la richiesta di
applicare a talune regioni italiane, che possono essere considerate
transfrontaliere rispetto ad altre regioni mediterranee, misure analoghe a
quelle di cui attualmente beneficiano le regioni transfrontaliere
intracomunitarie. 16. Attuazione del diritto comunitario e contenzioso Si
riscontra un recupero rilevante italiano nel recepimento anche con diminuzione
del contenzioso. Le previsioni per la futura attività sono nel senso di un
consolidamento dei risultati conseguiti e di un ulteriore miglioramento e
rafforzamento della posizione italiana in ambito comunitario anche grazie
all'ausilio di nuovi strumenti normativi ed organizzativi, alcuni già in vigore
e destinati a produrre i propri effetti nel corso del 2000 e altri in via di
predisposizione. Per quanto riguarda i primi vengono innanzi tutto in
considerazione i decreti legislativi 30 luglio 1999, n. 300 e 30 luglio 1999, n.
303, di riforma e razionalizzazione, rispettivamente, dei Ministeri e della
Presidenza del Consiglio dei ministri. Tali provvedimenti legislativi presentano
due fondamentali meriti, sotto questo profilo: la chiara definizione
dell'assetto governativo delle competenze nella materia comunitaria,
riconoscendo alla Presidenza del Consiglio dei Ministri la fondamentale funzione
di coordinamento nella fase di formazione degli atti normativi comunitari, e la
valorizzazione del ruolo svolto dalla struttura dipartimentale specializzata per
l'esercizio della suddetta funzione. In questo quadro emerge anche una
competenza prevalente del Dipartimento per le politiche comunitarie in relazione
alla fase pre-contenziosa, costituita dalle procedure di infrazione avviate
dalla Commissione europea, mentre resta un ruolo determinante del Ministero
degli affari esteri nel coordinamento delle attività di contenzioso dinanzi
alla Corte di giustizia. La seconda novità, consiste nell'abrogazione
dell'Allegato D alla legge comunitaria, che ha inteso ovviare all'inconveniente,
evidenziato dalla prassi degli anni passati, costituito da una sorta di effetto
"paralisi" dell'attività di recepimento in via amministrativa delle
direttive ad opera delle amministrazioni competenti. Altri aggiustamenti al
sistema, di carattere più prettamente operativo, sono già in atto: una
anticipazione progressiva dei tempi di preparazione della legge comunitaria e
una anticipazione anche dei tempi di predisposizione ad opera delle
amministrazioni dei provvedimenti di recepimento in via legislativa di direttive
in modo da renderne possibile l'approvazione subito dopo il varo della legge
comunitaria. Nel contesto giuridico regolante l'attività di attuazione,
particolare rilevanza assume il progetto di riforma della legge cosiddetta
"La Pergola", in avanzata fase di predisposizione presso il
Dipartimento delle politiche comunitarie. Il progetto assume una duplice
finalità, raccogliere in una sorta di testo unico le disposizioni sulla
partecipazione dell'Italia al processo di integrazione europea, dando a tale
corpus normativo organicità e razionalità, e apportare alla legge 9 marzo
1989, n. 86, nel rispetto dell'impianto fondato sul meccanismo della legge
comunitaria annuale, le modifiche e i correttivi necessari per assicurare
maggiore efficienza e tempestività all'azione di adeguamento. Completa il
quadro delle riforme in corso una revisione dell'attuale assetto organizzativo
del Dipartimento delle politiche comunitarie, che tiene conto delle novità
introdotte con gli ultimi interventi normativi e sottolinea l'importanza del
coordinamento in fase ascendente per fornire al Dipartimento le necessarie
strutture operative e gli strumenti giuridici indispensabili per lo svolgimento
dei propri compiti. A tale riguardo la Giunta, esprime apprezzamento per i
risultati conseguiti, riconosciuti anche nella specifica graduatoria compilata
dalla Commissione europea, e sottolinea la novità costituita dall'istituzione
di strutture di monitoraggio dell'adempimento degli obblighi comunitari da parte
di Regioni ed Amministrazioni centrali. Nell'ambito della riorganizzazione del
Dipartimento delle politiche comunitarie dovrebbe essere tuttavia formalizzata,
secondo la Giunta, l'istituzione di uno specifico Ufficio per i rapporti con il
Parlamento, con il compito di assicurare l'adempimento degli obblighi di legge
in merito alla trasmissione alle Camere degli atti preparatori della
legislazione comunitaria e della relativa documentazione prodotta dalle
Amministrazioni di settore.
PARERE DELLA I COMMISSIONE PERMANENTE
(Estensore: Besostri) 18 aprile 2000 La Commissione, esaminato il documento,
esprime, per quanto di competenza, parere non ostativo.
PARERE DELLA V COMMISSIONE PERMANENTE
(Estensore: Vegas) 16 marzo 2000 La Commissione programmazione economica,
bilancio, esaminato il documento, premesso che è auspicabile rafforzare
ulteriormente la possibilità per i Parlamenti nazionali di intervenire nella
cosiddetta fase ascendente delle decisioni comunitarie, anche alla luce
dell'esigenza di una riconsiderazione del criterio dell'unanimità, che si rende
indispensabile in vista del prossimo ampliamento dell'Unione europea, nonchè,
degli strumenti a disposizione delle singole istituzioni comunitarie e dei loro
reciproci rapporti, per quanto di propria competenza, esprime parere favorevole,
osservando che: è necessario individuare, anche preliminarmente al dibattito su
una maggiore omogeneizzazione delle istituzioni comunitarie, un sistema più
soddisfacente per la formazione del bilancio comunitario, che attualmente è
affidata a meccanismi procedurali complessi che non consentono una chiara
individuazione della responsabilità politica; posto che gli obiettivi
individuati in Agenda 2000 sono condivisibili, si rileva che le risorse
stanziate per il periodo 2000-2006 appaiono di limitata entità, considerato il
vincolo di destinare parte di esse agli oneri connessi con il prossimo
ampliamento: tenuto conto dell'incertezza sulle somme effettivamente impegnabili
che caratterizza la gestione finanziaria e del ridotto margine di flessibilità
del bilancio, appare di difficile attuazione la realizzazione dei programmi di
spesa, soprattutto nei settori più delicati come ad esempio l'agricoltura, i
fondi strutturali e gli investimenti comunitari destinati
all'infrastrutturazione; in un contesto in cui risultano ulteriormente ristrette
le condizioni di accesso ai fondi strutturali, è da apprezzare la previsione di
una finalizzazione specifica del fondo di coesione per la costa adriatica
italiana; è essenziale pervenire nel più breve tempo possibile
all'individuazione delle aree alle quali saranno destinati i finanziamenti
relativi all'obiettivo 2; è auspicabile che sia mantenuta una stretta coerenza
tra le politiche italiane e qualle comunitarie in materia di tassazione
ecologica, la quale può rivelarsi funzionale per lo spostamento dell'asse del
prelievo dal fattore lavoro ai fattori produttivi inquinanti; è necessario che
la decisione del Governo nazionale di effettuare scelte coerenti con quelle
comunitarie sul piano della spesa sociale, in sè condivisibile, si accompagni
con la preventiva specificazione degli interventi cui sono destinati i
finanziamenti comunitari, al fine di massimizzare l'efficacia della spesa
nazionale. A tale scopo - apprezzando recenti esperienze - è anche opportuno
operare per favorire la definizione di politiche contrattuali in materia di
lavoro a livello comunitario; il coordinamento delle politiche nazionali anche
sul piano fiscale e sociale richiede che siano assunte previamente decisioni
esplicite circa l'ambito della politica economica da mantenere nella sfera di
Governo degli Stati membri. Ciò al fine di armonizzare le politiche nazionali
tra di loro e con quella europea per definire un quadro di riferimento certo che
detti regole generali idonee a garantire corrette condizioni concorrenziali in
un mercato aperto. un drastico ed automatico ridimensionamento degli spazi
d'azione dei singoli partner, alla luce delle marcate differenze regionali
esistenti nell'Unione, potrebbe pregiudicare la possibilità per zone meno
favorite di conseguire livelli più elevati di sviluppo e reddito.
PARERE DELLA VI COMMISSIONE PERMANENTE
(Estensore: Thaler Ausserhofer) 29 marzo 2000 La Commissione, esaminato il
documento, esprime, per quanto di competenza, parere favorevole.
PARERE DELLA VII COMMISSIONE PERMANENTE
(Estensore: Biscardi) 24 maggio 2000 La Commissione, esaminato il documento,
esprime, per quanto di competenza, parere favorevole.
PARERE DELLA IX COMMISSIONE PERMANENTE
(Estensore: Bedin) 28 giugno 2000 La Commissione, esaminato il documento,
rilevato che l'azione svolta dall'Italia a livello europeo ha consentito di
cogliere nel corso del 1999 risultati rilevanti, anche e soprattutto con
riguardo alle problematiche del comparto agricolo, nell'ambito dei negoziati per
la definizione di Agenda 2000; sottolineato che Agenda 2000 è uno strumento
indispensabile per preparare l'Unione all'allargamento, ma anche delicatissimo
dal punto di vista interno, per le decisioni da assumere in materia di politica
agricola comune, fondi strutturali, strategia di pre-adesione, saldi netti
negativi o positivi che ciascuno Stato membro paga o riceve dalla Comunità;
esprime, per quanto di propria competenza, a maggioranza, parere favorevole con
le seguenti osservazioni: c'è l'esigenza di dare, a tutti i livelli, piena ed
immediata applicazione a tutti gli strumenti applicativi di Agenda 2000, in modo
da consentire l'avvio tempestivo dei programmi in essa contenuti; si deve tener
conto delle imprese del settore agricolo allargato nell'ambito della priorità,
indicata dal Governo italiano per l'anno 2000, che riguarda la politica delle
piccole e medie imprese da agevolare tramite l'accesso al capitale di rischio,
la semplificazione degli oneri amministrativi e l'adozione definitiva della
direttiva contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali; senza
perdere di vista le priorità politiche dell'allargamento dell'Unione Europea,
è opportuno che, nell'ambito delle future Relazioni, siano inseriti maggiori
dati sui profili economici e finanziari, con riferimento all'interscambio
commerciale con ciascun partner candidato all'adesione e alle valutazioni del
Governo sul possibile impatto dell'ampliamento sui fondi strutturali,
sull'agricoltura e su altri settori economici e sociali maggiormente sensibili;
il prossimo allargamento dell'Unione rende ancora più immediata l'esigenza che
il Governo predisponga mezzi, anche finanziari, per potenziare le strutture
logistiche per il settore primario e per promuovere politiche che favoriscano la
concentrazione dell'offerta, onde consentire alle imprese agricole di essere
sempre più presenti nel mercato globale; nell'ambito dei negoziati per
l'allargamento dell'Unione e in quelli sul commercio mondiale, va posta
particolare attenzione alla definizione di regole certe e precise per la
produzione, la commercializzazione e l'utilizzo dei prodotti agrolimentari,
nonché per i sistemi comuni di controllo, in modo da dare adeguate garanzie ai
consumatori ed evitare, nel contempo penalizzazioni per i produttori nazionali;
l'Italia spinga per una ripresa del negoziato nell'ambito dell'Organizzazione
mondiale del commercio, riaffermando tra gli obiettivi sia il riequilibrio del
processo di liberalizzazione degli scambi tra i comparti agricoli, che la tutela
delle indicazioni geografiche e denominazioni di origine dei prodotti agricoli
ed agroalimentari.
PARERE DELLA XII COMMISSIONE PERMANENTE
(Estensore: Camerini) 30 marzo 2000 La Commissione, esaminato il documento,
esprime parere favorevole.
I lavori della Giunta per gli affari delle Comunità europee
I lavori della Giunta per gli affari delle Comunità europee sulle
comunicazioni della Commissione europea recanti il programma di lavoro della
Commissione per l'anno 2000 (COM (2000) 155 def.) e obiettivi strategici
2000-2005 (COM (2000) 154 def.)
Esame, ai sensi dell'articolo 50, comma 1, del Regolamento, nelle sedute del:
29 marzo, 5 aprile, 21, 22, 28 e 29 giugno 2000. Relatore: Bedin.
giovedì 29 marzo 2000 203a Seduta Presidenza del Presidente BEDIN
Interviene il ministro per le Politiche comunitarie Toia
MATERIE DI COMPETENZA
Comunicazioni della Commissione europea recanti il programma di lavoro della
Commissione per l'anno 2000 (COM (2000) 155 def.) e obiettivi strategici
2000-2005 (COM (2000) 154 def.) (Esame, ai sensi dell'articolo 50, comma 1, del
Regolamento, e rinvio)
Il presidente relatore BEDIN sottolinea in via preliminare la novità
costituita dal fatto che il Parlamento sia per la prima volta investito
formalmente dell'esame del programma legislativo annuale della Commissione
europea cui si aggiunge, come ulteriore novità, il documento della Commissione
sul programma strategico per i prossimi cinque anni. Il coinvolgimento delle
Camere nella valutazione dei suddetti atti, più volte sollecitato in passato
dalla Giunta, costituisce effettivamente un elemento di rafforzamento della
legittimità democratica del quadro istituzionale dell'Unione, aspetto che
peraltro ha costituito l'oggetto di una relazione presentata lo scorso anno dal
senatore Tapparo su mandato della Giunta. L'esame dei suddetti documenti
costituisce pertanto un importante tappa istituzionale nello sviluppo della
partecipazione del Parlamento alla fase ascendente del processo normativo
comunitario. Al riguardo l'oratore ricorda come, all'indomani della conclusione
della precedente Conferenza intergovernativa - che aveva lasciato irrisolti
taluni nodi istituzionali - a fianco dell'iniziativa dei Governi di Belgio,
Francia e Italia si sia sviluppata una parallela azione dei Parlamenti degli
stessi paesi per rilanciare il dibattito sulle riforme istituzionali. Nel quadro
di tali attività interparlamentari si tennero riunioni dei Presidenti delle
Commissioni specializzate negli affari comunitari a Parigi, Bruxelles e Roma
laddove, da ultimo, si ipotizzò di dare concretezza all'applicazione del
principio di sussidiarietà associando i Parlamenti nazionali al processo di
definizione del programma legislativo annuale della Commissione europea. Tale
proposta venne rilanciata dai rappresentanti italiani nella Conferenza degli
organismi specializzati negli affari comunitari (COSAC) e nella riunione
straordinaria dei Presidenti dei Parlamenti dell'Unione europea tenutesi a
Vienna nel 1998. Il Trattato di Amsterdam ha riconosciuto formalmente, peraltro,
il ruolo dei Parlamenti nazionali nel quadro dell'ordinamento comunitario
gettando le premesse per restituire legittimità alla rappresentanza degli
interessi nazionali consentendo di riavvicinare il processo decisionale
comunitario ai cittadini. Rilevando che la trasmissione al Parlamento degli atti
in titolo costituisce un adempimento degli articoli 13 e 14 della legge n. 128
del 1998 e dell'articolo 3 della legge n. 209 del 1998, il Presidente relatore
evidenzia come il loro esame si svolga contestualmente a quello della relazione
del Governo sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea (doc. LXXXVII n.
7) favorendo una più completa valutazione sull'anno che si è concluso e sulle
prospettive che si aprono nell'anno in corso. Con l'occasione il Senato potrebbe
chiedere al Governo di sollecitare in sede europea una forma di raccordo fra il
programma legislativo della Commissione, il programma della Presidenza di turno
e le indicazioni assunte dal Parlamento europeo, in modo da delineare una più
complessiva programmazione dell'attività normativa dell'Unione europea, sulla
quale possano intervenire con funzioni di indirizzo e controllo anche i
Parlamenti nazionali. A tale iniziativa si collega l'esigenza di dare compiuta
attuazione al protocollo del Trattato di Amsterdam sui Parlamenti nazionali
rendendo obbligatoria la consultazione del Parlamento italiano sugli atti
preparatori della legislazione comunitaria. Soffermandosi sul documento inerente
agli obiettivi strategici della Commissione per il periodo 2000-2005, il
Presidente relatore ne descrive la particolare attenzione posta sull'esigenza di
rafforzare la democrazia e la tutela dei diritti umani non solamente nel quadro
delle relazioni internazionali ma anche all'interno dell'Unione. La Commissione
si ripropone in particolare di recare un incisivo contributo alla governabilità
europea attraverso la partecipazione al processo di riforma istituzionale,
indispensabile nella prospettiva dell'allargamento, e con l'esempio offerto alle
altre istituzioni dalla sua riforma interna. L'Esecutivo comunitario intende
altresì rafforzare, d'intesa con gli Stati membri, la presenza dell'Unione
sulla scena mondiale costruendo una politica estera più efficace. In tale
contesto figurano tra gli impegni prioritari, oltre al processo di allargamento,
l'assunzione di un ruolo guida dell'Europa nella realizzazione di una nuova
economia globale, il consolidamento della stabilità nel Continente e l'azione
per garantire la pace, la democrazia ed il rispetto dei diritti umani. In
materia economica e sociale il documento sulle prospettive quinquennali
sottolinea l'impegno ad operare per la ripresa economica ed una crescita
sostenibile nel lungo periodo. Tra le iniziative di modernizzazione perseguite a
tale scopo figurano le riforme strutturali, l'adozione delle nuove tecnologie,
lo sviluppo della ricerca, la riforma dei sistemi di assistenza sociale,
sanitaria e pensionistici e una più efficace formazione della forza lavoro.
Nella prospettiva del raggiungimento della piena occupazione la Commissione
ritiene necessario ridurre nel medio termine la disoccupazione ai livelli
esistenti nei paesi con i migliori risultati salvaguardando nel contempo i
meccanismi di risanamento delle finanze pubbliche degli Stati membri. Il
programma quinquennale assegna infine una particolare priorità al miglioramento
delle condizioni di vita dei cittadini europei con riferimento a settori quali
la tutela ambientale, la sicurezza alimentare, i diritti dei consumatori, i
trasporti e la realizzazione di uno spazio comune di giustizia e sicurezza.
Passando ad illustrare il programma legislativo della Commissione europea per il
2000 il Presidente relatore evidenzia in primo luogo il capitolo sulle riforme
istituzionali, da cui si denota la convergenza dell'Esecutivo di Bruxelles e del
Governo italiano sull'obiettivo di allargare l'agenda della Conferenza
intergovernativa ad argomenti quali lo sviluppo della cooperazione rafforzata e
l'adozione di una Carta dei diritti fondamentali. Tale Carta, alla cui redazione
sta lavorando una Convenzione europea in cui il Senato è rappresentato dal
senatore Manzella, dovrebbe in particolare costituire un elemento fondante e di
natura costituzionale nel quadro del processo di riforma dei Trattati. In tale
prospettiva il Parlamento potrebbe impegnare il Governo a perseguire il suddetto
obiettivo subordinando la ratifica ad un attivo coinvolgimento dei Parlamenti
nazionali nella fase delle trattative ed all'espressione di un parere conforme
del Parlamento europeo sugli esiti della Conferenza intergovernativa. Il Governo
dovrebbe essere altresì impegnato a favorire il coinvolgimento dei paesi
candidati all'adesione nel processo di elaborazione della Carta dei diritti
fondamentali. Ripercorrendo gli sviluppi del processo di allargamento - che lo
scorso 15 febbraio ha visto l'inaugurazione dei negoziati di adesione con sei
nuovi paesi ed il riconoscimento alla Turchia dello status di paese candidato -
l'oratore descrive i programmi comunitari e le altre iniziative destinate a
preparare l'adesione dei nuovi Stati membri, le prime delle quali dovrebbero
avvenire entro il dicembre 2004. Nel programma legislativo vengono altresì
delineati una serie di atti che saranno presentati dalla Commissione nel corso
dell'anno inerenti al processo di ampliamento e che contemplano, tra l'altro, la
partecipazione dei paesi candidati all'Osservatorio europeo sulle droghe, la
definizione delle intese bilaterali necessarie per l'attuazione dei programmi di
preadesione, il negoziato degli accordi-quadro con Cipro, Malta e la Turchia, la
liberalizzazione dei mercati pubblici fra la Comunità e la Turchia,
l'associazione di Malta al quinto programma di ricerca e sviluppo tecnologico e
la valutazione dei progressi economici conseguiti da Stati come la Bulgaria e la
Romania. In relazione a tale processo l'oratore ravvisa l'esigenza di
sollecitare la Commissione a produrre uno studio sull'impatto economico e
finanziario dell'allargamento, valutandone costi e benefici anche dal punto di
vista delle politiche di coesione economica e sociale. Il Presidente relatore
sottolinea altresì come il programma della Commissione per il 2000 sia
caratterizzato dalla priorità riconosciuta al miglioramento della vita
quotidiana dei cittadini europei, che diviene un parametro di riferimento per
tutte le politiche comunitarie. I settori tuttavia nevralgici per recuperare la
fiducia dei cittadini sono costituiti dalla sanità, dalla sicurezza alimentare
e dalla tutela ambientale, la quale, in particolare, diviene un'istanza
integrata nelle varie politiche, a cominciare da quella agricola. Al riguardo
egli prospetta la possibilità che il Parlamento impegni il Governo a
sollecitare specifiche misure di armonizzazione delle normative nazionali in
settori quali la protezione dai campi elettromagnetici. Fra le misure in materia
sanitaria - tra cui figura la sorveglianza epidemiologica, il controllo dei
medicinali, la sicurezza del sangue e la lotta all'AIDS, alla tossicodipendenza
e all'alcolismo - spicca la proposta di costituire un'autorità europea per la
sicurezza alimentare, che si riconnette all'impegno a migliorare il quadro
normativo applicabile agli organismi geneticamente modificati, in ordine alla
quale il Parlamento potrebbe sollecitare il Governo ad insistere affinché la
sede sia collocata in Italia. Nel quadro delle disposizioni sulla tutela dei
consumatori rientrano anche le iniziative concernenti le norme sulla protezione
delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine, che attualmente
penalizzano l'Italia per quanto attiene alla raccolta dell'olio di oliva. La
Commissione europea evidenzia inoltre la connessione fra politica dei trasporti
e miglioramento della qualità della vita dei cittadini prefigurando misure
concernenti l'istituzione di un'agenzia europea per la sicurezza aerea, la
dimensione mediterranea dei trasporti e dell'energia e le reti europee di
trasporto e dell'energia, il Trans European Network (TEN). La revisione del TEN
dovrà in particolare offrire all'Italia l'occasione per un dibattito
approfondito sul raccordo fra strategie nazionali ed europee di trasporto. Tale
dibattito potrà essere arricchito dall'acquisizione della documentazione che
sarà prodotta dalla Commissione competente del Parlamento europeo, che ha
preannunciato lo svolgimento di uno studio comparato sulla materia. Un più
deciso riequilibrio delle modalità di trasporto garantirebbe peraltro sensibili
benefici in termini di salvaguardia ambientale e di sicurezza. Dopo aver
riscontrato fra gli altri obiettivi prioritari individuati dalla Commissione
europea lo sviluppo della trasparenza e l'adozione di politiche di
accompagnamento all'introduzione delle banconote in euro, l'oratore illustra i
profili attinenti alla creazione di uno spazio europeo di libertà, sicurezza e
giustizia e alla politica estera. La progressiva comunitarizzazione del
cosiddetto "terzo pilastro" e la realizzazione del programma stabilito
dal Consiglio europeo di Tampere richiederanno l'assunzione di nuove
responsabilità da parte della Commissione europea in settori quali la politica
dell'immigrazione, la disciplina del diritto di residenza e la collaborazione
nella lotta alla criminalità organizzata. Nel campo della politica estera di
sicurezza le accresciute competenze dell'Unione in materia di gestione delle
crisi richiederanno un chiarimento dei rapporti di tale istituzione con l'UEO e
delle forme di coinvolgimento dei Parlamenti nazionali. Fra le aree cui è
rivolta la maggiore attenzione dell'Unione figurano la Russia e gli altri Stati
dell'ex Unione sovietica, i Balcani - il cui processo di democratizzazione vede
impegnata con grandi responsabilità l'Europa - nonché il Mediterraneo. In
relazione allo sviluppo del rapporto di partenariato con tale regione l'oratore
sottolinea l'esigenza di assicurare un adeguato coinvolgimento dei Parlamenti
nazionali nelle scelte che dovranno essere assunte in occasione del prossimo
vertice ministeriale euromediterraneo, che si svolgerà in Francia a novembre.
Per quanto concerne la parte del programma legislativo del 2000 che riguarda la
società dell'informazione e la politica economica il Presidente relatore
evidenzia come gli obiettivi indicati dalla Commissione siano stati ripresi e
sviluppati dal recente Consiglio europeo straordinario di Lisbona, del 23 e 24
marzo. L'iniziativa "eEurope" lanciata dall'Esecutivo guidata dal
presidente Prodi - incentrata sull'alfabetizzazione informatica e telematica
quale indispensabile fattore di recupero del differenziale tecnologico con gli
Stati Uniti e dei margini di competitività del sistema economico europeo - è
stata pienamente recepita dal Vertice di Lisbona. Il Consiglio europeo, in tale
occasione, ha deciso di accelerare l'adozione della normativa concernente il
quadro giuridico per il commercio elettronico, il diritto d'autore e i diritti
connessi, la moneta elettronica, la vendita a distanza di servizi finanziari, la
competenza giurisdizionale e il regime delle esportazioni di beni a duplice uso.
Il Consiglio europeo ha altresì invitato Consiglio e Parlamento a concludere
entro il 2001 i lavori sulle proposte legislative concernenti la
liberalizzazione nel settore della telecomunicazione. Entro la fine del 2000
dovrebbe essere liberalizzato l'accesso alla rete locale onde ridurre i costi di
utilizzo di Internet; entro la fine del 2001 a tutte le scuole dell'Unione
dovrebbe essere garantito l'accesso ad Internet, entro la fine del 2002 dovrebbe
essere completato il processo di aggiornamento alle nuove tecnologie degli
insegnanti ed entro il 2003 gli Stati membri dovranno garantire l'accesso
elettronico generalizzato a tutti i servizi pubblici di base. Lo sviluppo delle
relative infrastrutture sarà favorito della Comunità anche con l'appoggio
della Banca europea degli investimenti (BEI). Ribadendo la stretta connessione
fra il programma legislativo e le decisioni del Consiglio europeo di Lisbona,
l'oratore illustra come quest'ultimo abbia rilevato, in materia di occupazione,
i risultati conseguiti con la strategia avviata dal Vertice di Lussemburgo
evidenziando l'esigenza di una più stretta associazione delle parti sociali
nello sviluppo del processo. In tale contesto il Consiglio e la Commissione sono
stati invitati ad esaminare taluni punti chiave quali l'adozione di programmi
volti a colmare le lacune in materia di qualificazioni, la promozione di accordi
tra le parti sociali in materia di innovazione e apprendimento permanente,
l'accrescimento dell'occupazione nei servizi e una maggiore attenzione per le
pari opportunità, con particolare riferimento all'esigenza di conciliare la
vita professionale con la vita familiare. L'oratore conclude quindi rilevando
come il Consiglio europeo abbia fissato l'ambizioso obiettivo di accrescere il
tasso di occupazione dall'attuale media del 61 per cento ad una percentuale che
si avvicini il più possibile al 70 per cento, entro il 2010, e di elevare,
entro la stessa data, il numero delle donne occupate dall'attuale media del 51
per cento ad una media del 60 per cento. Tali obiettivi, che attraverso
l'ampliamento della forza lavoro rafforzeranno la sostenibilità dei sistemi di
protezione sociale, richiederanno la conseguente adozione di specifici impegni
da parte degli Stati membri. Il senatore MANZELLA sottolinea come l'esame del
programma legislativo della Commissione da parte delle Camere, reso possibile
anche grazie al rapporto di collaborazione instaurato fra Parlamento europeo e
Parlamenti nazionali, costituisca una concreta risposta al cosiddetto problema
del deficit democratico. L'oratore condivide altresì l'impostazione della
relazione esposta dal presidente Bedin, volta a sottolineare la stretta
connessione fra il programma legislativo e le decisioni assunte dal Consiglio
europeo di Lisbona, dove è emersa l'adozione di un nuovo metodo di
concertazione, che offre un interessante spunto di riflessione sull'applicazione
del principio di sussidiarietà. Nel processo di riforma dell'organizzazione e
del funzionamento del Consiglio appare inoltre evidente il ruolo centrale
assegnato al Consiglio dei ministri economici e finanziari (ECOFIN), chiamato ad
assicurare la coerenza delle scelte di politica economica. L'intensificazione
dei lavori del Consiglio per verificare l'attuazione del programma dell'Unione
comporterà inoltre una presenza continuativa dei ministri per gli affari
europei a Bruxelles. Soffermandosi sul processo di elaborazione della Carta dei
diritti fondamentali l'oratore rileva infine come sia emersa un'intesa di
massima, sia pure fra molte contraddizioni, sui primi 19 articoli. Il senatore
VERTONE GRIMALDI osserva come sia mutato il processo della costruzione
istituzionale europea, passando da una fase "monarchica", incentrata
su un organismo burocratico e poco trasparente quale la Commissione, ad una fase
"repubblicana", maggiormente rispettosa degli equilibri nazionali e
del ruolo dei Parlamenti degli Stati membri. Tale apprezzabile evoluzione è
stata resa possibile dalla caduta del patto franco-tedesco e dall'affermazione
di un approccio molto più realistico oltre che democratico. In relazione ai
profili della relazione esposta al presidente Bedin attinenti alla politica dei
trasporti, l'oratore sottolinea le proprie preoccupazioni per i ritardi che
caratterizzano l'Italia nel settore dell'alta velocità, la cui realizzazione
potrebbe essere oggetto di sollecitazioni da parte dell'Unione europea, che
inducano il Paese a superare i contrasti interni che ne paralizzano lo sviluppo.
Egli rileva altresì come le istituzioni europee e le stesse organizzazioni
ecologiste trascurino gli effetti deleteri sull'atmosfera dell'inquinamento
provocato dagli aerei, che potrebbe essere limitato da un più esteso ricorso ai
trasporti ferroviari. In merito alla sicurezza alimentare l'oratore sottolinea
l'impronta eccessivamente burocratica, come dimostra l'istituendo divieto dei
forni a legna paventato dalla stampa, che denota gli atti legislativi proposti
dalla Commissione europea. Su proposta del PRESIDENTE la Giunta conviene quindi
di rinviare il seguito dell'esame.
mercoledì 5 aprile 2000 205a Seduta Presidenza del Presidente BEDIN
Interviene il Ministro per le politiche comunitarie Toia.
MATERIE DI COMPETENZA
Comunicazioni della Commissione europea recanti il programma di lavoro della
Commissione per l'anno 2000 (COM (2000) 155 def.) e obiettivi strategici
2000-2005 (COM (2000) 154 def.) (Seguito dell'esame, ai sensi dell'articolo 50,
comma 1, del Regolamento, e rinvio)
Riprende l'esame rinviato nella seduta del 29 marzo. Il senatore BETTAMIO
chiede se il Governo intenda assumere specifiche iniziative a sostegno del
Presidente della Commissione europea, alla luce delle critiche che gli sono
state mosse dai vari Stati membri. Il ministro TOIA non ravvisa l'opportunità
di assumere iniziative ufficiali a difesa del presidente Prodi, non trattandosi
di una contrapposizione fra Governi. Taluni motivi di critica e di tensione
possono peraltro essere ascritti all'azione svolta sui temi delle riforme della
burocrazia e delle istituzioni comunitarie ma da parte italiana non è mai
mancata, come conferma la visita del Presidente della Repubblica a Bruxelles,
un'azione di sostegno, non personale ma istituzionale, per la Presidenza della
Commissione europea. Il presidente BEDIN rileva come, nella riunione della
Commissione Affari costituzionali del Parlamento europeo che si è svolta
lunedì scorso, il presidente Napolitano abbia evidenziato che dalle decisioni
assunte dal Consiglio europeo di Lisbona si evince un significativo
rafforzamento del ruolo del Consiglio nel quadro delle istituzioni comunitarie.
L'oratore osserva come tale tendenza sia ulteriormente accentuata
dall'istituzione della figura dell'Alto Rappresentante dell'Unione per la
politica estera e di sicurezza (PESC) che, coincidendo con il Segretario
generale del Consiglio, non può che rafforzare la posizione di tale
istituzione. Tali argomenti potranno essere ulteriormente approfonditi dalla
Giunta dopo la conclusione dell'esame della materia in titolo e della relazione
annuale sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea. Il senatore
MANZELLA conviene sulle osservazioni del Presidente in merito al rafforzamento
del ruolo del Consiglio determinato dall'istituzione della figura dell'Alto
Rappresentante per la PESC. Al riguardo si configurano due tendenze, la prima
delle quali, perseguita soprattutto dalla Francia, è volta a strutturare sempre
più l'attività e l'organizzazione del Consiglio per farne il perno dell'azione
dell'Unione. La seconda, che dovrebbe essere sostenuta dall'Italia, guarda
piuttosto alla Commissione non solo quale organo esecutivo ma anche quale
soggetto responsabile dell'iniziativa politica e della coerenza dell'attività
dell'Unione. Il senatore BETTAMIO condivide le considerazioni del senatore
Manzella ed auspica che in tal senso sia assunta una specifica presa di
posizione da parte dell'Italia in sede europea. Il ministro TOIA, riservandosi
di replicare all'esposizione del Presidente relatore e al dibattito sugli atti
in titolo nella prossima seduta, preannuncia lo svolgimento di un convegno
promosso dal Governo, il prossimo 2 maggio, specificamente dedicato al programma
legislativo della Commissione, cui raccomanda una fattiva partecipazione dei
componenti della Giunta. Tale iniziativa, già avviata lo scorso anno, mira a
realizzare un forte raccordo fra le varie amministrazioni pubbliche e le parti
sociali, in vista della definizione della posizione italiana sui vari temi
all'ordine del giorno del procedimento normativo comunitario. Su proposta del
PRESIDENTE, il seguito dell'esame è quindi rinviato.
Mercoledì 21 giugno 2000 214a Seduta Presidenza del Presidente BEDIN
Interviene il Ministro per le politiche comunitarie Mattioli.
MATERIE DI COMPETENZA
Comunicazioni della Commissione europea recanti il programma di lavoro della
Commissione per l'anno 2000 (COM (2000) 155 def.) e obiettivi strategici
2000-2005 (COM (2000) 154 def.) (Seguito dell'esame, ai sensi dell'articolo 50,
comma 1, del Regolamento, e rinvio)
Riprende l'esame rinviato nella seduta del 5 aprile. Il ministro MATTIOLI,
dopo aver osservato che le conclusioni del Consiglio europeo di Feira - su cui
il presidente Amato riferirà oggi al Consiglio dei Ministri - potranno
costituire oggetto di approfondimento in una successiva occasione, si sofferma
sugli interventi svolti nelle precedenti sedute dedicate alla materia in titolo.
Esprimendo apprezzamento per la relazione illustrata dal presidente Bedin
l'oratore evidenzia i profili connessi alla partecipazione dell'Italia alla fase
ascendente del diritto comunitario. A questo tema sarà peraltro dedicato un
convegno che si svolgerà il prossimo 10 luglio presso la sede del CNEL e volto
a realizzare una forma di concertazione tra Stato, Regioni e forze sociali in
merito alla definizione della posizione italiana sulle proposte di atti
normativi comunitari oggetto di negoziati. Ribadendo l'invito rivolto ai
componenti della Giunta ad intervenire alla suddetta manifestazione, che
costituisce il prosieguo di un'iniziativa avviata dal ministro Letta e cui è
prevista anche la partecipazione del Commissario Monti, l'oratore sottolinea
quindi l'esigenza di definire più accuratamente il raccordo fra Parlamento ed
Esecutivo in merito alla fase ascendente. A tale proposito non appare
condivisibile la proposta formulata dalla XIV Commissione della Camera volta a
prevedere un termine tassativo di 45 giorni entro il quale il Governo non può
procedere alle trattative comunitarie senza aver acquisito le osservazioni del
Parlamento. Tale meccanismo, infatti, rischierebbe di paralizzare i negoziati
comunitari senza consentire quei margini di flessibilità per i negoziatori che
sono necessari per tener conto dello sviluppo delle trattative e dell'esigenza
di realizzare delle convergenze o di pervenire a dei compromessi. Nei tre paesi
in cui viene esercitata la clausola di riserva parlamentare, inoltre, sono
generalmente sufficienti due o tre giorni per definire una posizione comune tra
Parlamento e Governo. Tenendo tuttavia conto dell'esigenza di rafforzare il
dialogo su tale materia tra le Camere e il Governo, quest'ultimo intende
presentare degli emendamenti al disegno di legge comunitaria 2000 che,
modificando le suddette disposizioni, possano nel contempo delineare un più
efficace e tempestivo meccanismo di informazione del Parlamento sul procedimento
formativo del diritto comunitario. Ritenendo inoltre opportuno un più efficace
coinvolgimento delle Camere nella definizione della posizione italiana,
l'oratore dichiara tuttavia la disponibilità del Governo ad accogliere un
eventuale ordine del giorno che richieda di esercitare anche da parte Italiana,
sulla base di modalità appropriate da definire, la cosiddetta clausola di
riserva parlamentare. Per quanto attiene alle riforme istituzionali il Ministro
evidenzia il sostegno dell'Italia per la semplificazione della cooperazione
rafforzata nel primo e nel terzo pilastro e per la sua introduzione anche nel
campo della politica estera e di sicurezza. Tra le altre modifiche ai trattati
ritenute necessarie figurano quelle concernenti la politica di difesa e
l'integrazione nei trattati della promulganda Carta dei diritti fondamentali
che, come evidenziato dal senatore Manzella, dovrebbe costituire un elemento di
natura costituzionale in un processo di risistemazione dei trattati. Il suo
processo di elaborazione dovrà concludersi entro l'anno coinvolgendovi anche i
paesi candidati. A tale proposito il senatore MANZELLA precisa che nella seduta
della Convenzione per l'elaborazione della Carta che si è tenuta a Bruxelles lo
scorso 19 giugno si è svolta l'audizione dei rappresentanti dei paesi candidati
all'adesione. Il ministro MATTIOLI riprende l'esposizione rilevando come il
processo di ampliamento dell'Unione non potrà che comportare un trasferimento
dell'asse della politica di coesione verso i paesi candidati prevedendo tuttavia
dei meccanismi transitori destinati ad evitare contraccolpi sugli attuali paesi
beneficiari. Nel quadro del suddetto processo l'Italia ha peraltro visto
assegnati tre progetti, coordinati dal dipartimento delle politiche comunitarie,
concernenti programmi di cooperazione amministrativa con Slovacchia, Lituania e
Romania. Condividendo le considerazioni dei senatori Manzella e Bettamio in
merito al fondamentale ruolo che spetta alla Commissione europea per assicurare
la coerenza dell'attività dell'Unione, l'oratore evidenzia l'esigenza di
salvaguardare la collegialità e l'efficacia dell'azione dell'Esecutivo
comunitario nel contesto del processo di allargamento. Il Ministro rileva quindi
come il programma della Commissione per il 2000 assegni la priorità alle
politiche rivolte al miglioramento della vita quotidiana del cittadino, fra le
quali figurano in primo luogo la tutela ambientale e la sicurezza alimentare. Al
riguardo ci si attende significativi sviluppi su tali settori nei prossimi mesi
alla luce della particolare sensibilità per l'argomento manifestata dalla
Francia e dalla Svezia che assumeranno le prossime presidenze dell'Unione. Il
Governo svedese, in particolare, ha sottolineato l'esigenza di far percepire ai
cittadini come l'Unione non costituisca solo un'aggregazione di lobbies
economiche e di organismi tecnocratici ma possa invece significativamente
contribuire allo sviluppo del benessere comune. In tale contesto, l'Italia, nel
Consiglio mercato interno dello scorso 25 maggio, ha formalizzato la proposta di
ospitare a Parma l'istituenda autorità alimentare europea, proposta che si
aggiunge alle candidature di Helsinki e Barcellona e che dovrebbe essere
ulteriormente discussa in un incontro previsto domani con il Commissario europeo
Byrne. Tale organismo dovrebbe rappresentare l'istanza scientifica di
riferimento nel quadro di una forte interazione con le istituzioni comunitarie e
con tutte le istanze scientifiche nazionali ed internazionali. Nell'incontro con
il Commissario Byrne dovrebbero essere discussi pure altri temi fra cui la
questione della commercializzazione dei prodotti contenenti organismi
geneticamente modificati nonché la revisione della direttiva 98/44/CE sulla
protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche, oggetto di forti rilievi
anche da parte della Francia. Dopo aver evidenziato l'esigenza di sviluppare,
nell'ambito dei negoziati sulla tutela ambientale, un'iniziativa comunitaria
sulla protezione dai campi elettromagnetici, l'oratore preannuncia lo
svolgimento, il prossimo autunno, di un Vertice dei Capi di Stato e di Governo
euromediterranei nella prospettiva di un rilancio del processo di Barcellona. Il
Ministro conclude riscontrando la centralità del tema del modello sociale
europeo - che investe i regimi previdenziali, sanitari e pensionistici - nel
contesto del documento della Commissione sulla strategia quinquennale che sarà
oggetto di particolare approfondimento nella citata riunione presso il CNEL. Il
presidente relatore BEDIN ringrazia il Ministro per l'esposizione esprimendo
particolare apprezzamento per l'accentuazione posta sul tema del contribuito
dell'azione europea alla qualità della vita, aspetto fondamentale per
riavvicinare l'opinione pubblica alle istituzioni comunitarie. Dopo aver
espresso un giudizio positivo anche sull'accoglimento della proposta della
Giunta di lanciare una candidatura italiana per la sede della istituenda agenzia
alimentare - e ritenendo che la candidatura di Parma costituisca un'ottima
iniziativa per sottolineare l'esigenza di valorizzare i prodotti tipici e di
qualità - l'oratore si sofferma sulle considerazioni del Ministro in merito
alle forme di raccordo fra Governo e Parlamento in relazione alla fase
ascendente del diritto comunitario. Al riguardo, la pure apprezzabile iniziativa
che si svolgerà al CNEL, non può far venir meno la centralità del Parlamento
nel processo di definizione della posizione italiana. Dopo aver ricordato
l'azione svolta dalla Giunta e dall'omologa Commissione dell'altro ramo del
Parlamento nell'ambito della COSAC per indurre la precedente Conferenza
intergovernativa ad allegare al Trattato di Amsterdam uno specifico protocollo
sul ruolo dei Parlamenti nazionali, il Presidente relatore sottolinea come le
proposte formulate dalla XIV Commissione della Camera siano in linea con le
disposizioni del suddetto protocollo e come si ponga, di conseguenza, l'esigenza
di approfondire ulteriormente il confronto tra Parlamento e Governo su questo
tema. Il senatore MUNGARI chiede chiarimenti sulle affermazioni del Presidente
del Consiglio in merito alla Carta dei diritti fondamentali e, più in generale,
sul valore giuridico che dovrebbe essere attribuito a tale documento. Il
senatore BETTAMIO prende atto con preoccupazione delle dichiarazioni del
rappresentante del Governo in merito all'esigenza di rafforzare la mera
informazione piuttosto che il coinvolgimento del Parlamento nella fase
ascendente del diritto comunitario. Al riguardo prospetta invece, come prima
ipotesi di lavoro per associare più efficacemente le Camere all'elaborazione
della normativa comunitaria, di configurare un procedimento che preveda il
valore vincolante delle osservazioni su progetti di atti comunitari espresse da
parte delle Commissioni di merito delle due Camere in seduta riunita. Tale
procedura avrebbe il pregio di consentire un'espressione di volontà comune dei
due rami del Parlamento senza tuttavia coinvolgere le rispettive Assemblee
plenarie. L'oratore sottolinea altresì l'importanza dei risultati conseguiti
dal Consiglio europeo di Feira in materia di politica fiscale giacché, con la
caduta del segreto bancario, si avvia a completamento il processo di
integrazione nel settore. Il senatore Bettamio chiede infine se, nonostante
l'apprezzabile attenzione della futura presidenza svedese per la qualità della
vita e la sicurezza alimentare, il Governo non nutra delle preoccupazioni che il
fatto che la presidenza sarà assunta da un paese estremamente prudente sui temi
della Carta dei diritti fondamentali e delle riforme istituzionali. Il senatore
MANZELLA, condividendo le considerazioni del presidente Bedin sulla centralità
del Parlamento, evidenzia l'importanza dell'iniziativa assunta dal Governo con
il Convegno promosso al CNEL onde concertare con regioni e forze sociali la
posizione da assumere in relazione alle politiche comunitarie. Dal Vertice di
Lisbona emerge infatti una sorta di politica liberale di programmazione, che
impone agli Stati membri delle scadenze precise su temi fondamentali quali la
società dell'informazione, la protezione sociale e l'occupazione. La fase
ascendente del diritto comunitario non deve più essere vista, pertanto, come
qualcosa di astratto bensì come un processo che incide profondamente sugli
interessi concreti. Per tale motivo occorre chiarire i termini in cui si
realizza il coordinamento dei vari dicasteri in rapporto al suddetto processo ad
opera del Ministro per le politiche comunitarie. L'oratore evidenzia altresì
come appaia superato la descrizione del procedimento di formazione degli atti
comunitari secondo la quale gli Stati si presentano come blocchi nazionali
costituiti da Governi, Parlamenti ed altri soggetti. In realtà, si deve invece
tener presente che il suddetto processo si realizza in modo molto più
articolato ed i Parlamenti nazionali vi partecipano non solamente in quanto
interlocutori dei rispettivi Governi ma anche interagendo fra loro o agendo
collegialmente in organismi come la COSAC. L'oratore condivide quindi la
proposta del Presidente di approfondire ulteriormente la questione della
partecipazione dell'Italia alla fase ascendente Dopo aver sottolineato
l'esigenza di riferire il tema della qualità della vita ed il principio della
sicurezza non solamente al cittadino in quanto individuo ma anche alla famiglia,
quale soggetto meritevole di tutela, il senatore Manzella rileva altresì
l'esigenza di correlare l'attività dell'istituenda agenzia alimentare con
quella dell'Autorità ambientale ed esprime apprezzamento per l'opportuno
riconoscimento, nelle conclusioni del Consiglio europeo di Feira, ascrivibile
anche all'impegno profuso dal ministro Melandri, della funzione sociale dello
sport. Soffermandosi sul tema della Carta dei diritti, l'oratore afferma infine
che la Convenzione di Bruxelles ha sempre operato come se la Carta fosse
destinata ad assumere valore di norma giuridica, attraverso la sua inclusione
nei Trattati ovvero in un Protocollo allegato e l'adozione di opportune
disposizioni di coordinamento fra le Corti di Lussemburgo e di Strasburgo. Anche
laddove questo non dovesse avvenire, e la Carta assumesse dunque, in una prima
fase, il carattere di solenne dichiarazione politica, essa manterrebbe comunque
una valenza giuridica quale documento in grado di influenzare la giurisprudenza
e gli interpreti del diritto comunitario. Su proposta del presidente relatore
BEDIN il seguito dell'esame è quindi rinviato.
giovedì 22 giugno 2000 215a Seduta Presidenza del Presidente BEDIN
MATERIE DI COMPETENZA
Comunicazioni della Commissione europea recanti il programma di lavoro della
Commissione per l'anno 2000 (COM (2000) 155 def.) e obiettivi strategici
2000-2005 (COM (2000) 154 def.) (Seguito dell'esame, ai sensi dell'articolo 50,
comma 1, del Regolamento, e rinvio)
Riprende l'esame rinviato nella seduta del 21 giugno. Il presidente relatore
BEDIN, in vista della conclusione dell'esame della materia in titolo, rileva
l'opportunità di prendere atto della disponibilità espressa ieri dal
rappresentante del Governo ad accogliere un ordine del giorno sull'applicazione
della clausola della riserva parlamentare nel corso dei negoziati comunitari ed
evidenzia, tuttavia, l'esigenza di approfondire ulteriormente la questione della
partecipazione del Parlamento alla fase formativa del diritto comunitario.
Nonostante l'opposizione espressa dal ministro Mattioli nei confronti delle
proposte formulate dalla XIV Commissione della Camera, l'oratore osserva come le
stesse siano coerenti con la necessità di attuare il protocollo sui Parlamenti
nazionali allegato al Trattato di Amsterdam, che prevede un termine di almeno
sei settimane prima che il Consiglio si pronunci sui progetti di atti
legislativi comunitari, proprio per consentire ai Parlamenti di esprimersi.
Ovviamente l'attuazione di tale protocollo dovrà essere conciliata con quelle
esigenze di tempestività e flessibilità indicate ieri dal Ministro. Il
senatore VERTONE GRIMALDI, in relazione al dibattito che si è svolto sulle
riforme istituzionali, rileva come da un interessante incontro informale della
Commissione esteri con l'Ambasciatore francese, in vista del prossimo semestre
di presidenza dell'Unione, si riscontri la percezione del carattere intempestivo
della proposta lanciata dal ministro tedesco Fischer in favore del modello
federalista. Dal suddetto incontro è infatti emersa la sensazione che la
Francia tema che il rilancio di riforme troppo ambiziose, da perseguire nel
lungo periodo, possa compromettere l'esito del negoziato sulle riforme da
conseguire entro la fine dell'anno, con riferimento alle note questioni della
composizione della Commissione, della riponderazione del voto nel Consiglio,
dell'estensione del voto a maggioranza e della semplificazione della
cooperazione rafforzata. Anche la senatrice SQUARCIALUPI sottolinea l'utilità,
anche per la Giunta, di iniziative come l'audizione degli ambasciatori degli
Stati che si accingono ad assumere la Presidenza dell'Unione. Il citato incontro
con l'ambasciatore Blot, in particolare, è stato interessante, oltre che per le
informazioni acquisite su temi quali il partenariato euromediterraneo, per
verificare l'orientamento pragmatico cui sembra improntata la prossima
Presidenza francese in materia di riforme istituzionali. Il senatore BETTAMIO
rileva come i ritardi in campo politico ed istituzionale si ripercuotano anche
sul processo di convergenza economica e finanziaria. L'assenza di un effettivo
Governo e di una vera politica economica comune evidenzia infatti i limiti
dell'integrazione monetaria, cui non è in grado di far fronte la sola Banca
centrale europea. Di tale dato di fatto devono prendere atto anche quegli
ambienti più legati al business, che premono per l'allargamento piuttosto che
sull'approfondimento. L'oratore evidenzia pertanto come, in tale quadro, le
proposte del Presidente della Commissione europea Prodi possano suscitare i
sospetti degli Stati membri più riluttanti all'integrazione politica. Si
rafforza quindi la prospettiva di un'Europa a due velocità, nella quale si
colloca la proposta del ministro Fischer, secondo la quale un nucleo più coeso
di Stati membri è destinato ad assumere un ruolo propulsivo per far avanzare il
processo di integrazione. Il senatore VERTONE GRIMALDI non condivide pienamente
le considerazioni del senatore Bettamio a proposito della proposta tedesca. Il
senatore MANZI conviene con l'analisi del senatore Bettamio e sottolinea
l'esigenza di procedere con gradualità nel processo di allargamento onde
salvaguardare gli equilibri istituzionali ed evitare contraccolpi sulle economie
degli attuali Stati membri, soprattutto nel settore dell'agricoltura. Il
senatore LO CURZIO evidenzia come nel corso di un'audizione in 8a Commissione il
ministro Nerio Nesi abbia evidenziato la mancanza di coordinamento fra l'Italia
e l'Unione europea in relazione alla strategia per le grandi infrastrutture.
Tale aspetto, che si ripercuote negativamente sulle grandi opere da realizzare
in Italia - quale il ponte sullo Stretto di Messina - e, più in generale, sulla
politica nazionale dei trasporti, potrebbe essere oggetto di attenzione nel
documento che sarà adottato dalla Giunta a conclusione dell'esame della materia
in titolo. Su proposta del PRESIDENTE la Giunta conviene quindi di rinviare il
seguito dell'esame.
mercoledì 28 giugno 2000 216a Seduta Presidenza del Presidente BEDIN
MATERIE DI COMPETENZA
Comunicazioni della Commissione europea recanti il programma di lavoro della
Commissione per l'anno 2000 (COM (2000) 155 def.) e obiettivi strategici
2000-2005 (COM (2000) 154 def.) (Seguito dell'esame, ai sensi dell'articolo 50,
comma 1, del Regolamento, e rinvio)
Riprende l'esame rinviato nella seduta del 22 giugno. Il presidente relatore
BEDIN illustra il seguente schema di proposta all'Assemblea, ai sensi
dell'articolo 50, comma 1, del Regolamento, predisposto tenendo conto del
dibattito che è seguito alla sua relazione introduttiva: "La Giunta, viste
le comunicazioni della Commissione europea recanti il programma di lavoro per
l'anno 2000 (COM (2000) 155 def.) e gli obiettivi strategici 2000-2005 (COM
(2000) 154 def.) del 9 febbraio 2000; vista la risoluzione del Parlamento
europeo sul programma legislativo annuale della Commissione per il 2000
approvata il 16 marzo 2000; viste le conclusioni dei Consigli europei di
Lisbona, del 23 e 24 marzo 2000, e di Santa Maria da Feira, del 19 e 20 giugno
2000; vista la relazione della Giunta per gli affari delle Comunità europee
sulla relazione del Governo sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea
(Doc. LXXXVII, n. 7 A); viste le relazioni della Giunta per gli affari delle
Comunità europee su "Legittimità democratica e riforma delle istituzioni
dell'Unione europea" (Doc. XVI, n. 9), presentata il 20 maggio 1999, e su
"Il Consiglio europeo di Helsinki e la Conferenza intergovernativa sulle
riforme istituzionali" (Doc. XVI, n. 12), presentata il 6 dicembre 1999;
vista la risoluzione della Giunta per gli affari delle Comunità europee sulla
redazione della carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (Doc. XXIV,
n. 15), approvata il 15 marzo 2000; visto il Contributo adottato al termine
della Conferenza degli organismi specializzati negli affari comunitari ed
europei (COSAC) dei Parlamenti dell'Unione europea che si è tenuta a Lisbona il
29 e 30 maggio 2000; esprimendo apprezzamento per la presentazione, per la prima
volta, da parte del Governo alle Camere del programma legislativo della
Commissione europea, che costituisce il presupposto di un più efficace e
sistematico coinvolgimento del Parlamento nella fase preparatoria del
procedimento normativo comunitario; sottolineando come il coinvolgimento dei
Parlamenti nazionali nella fase ascendente del diritto comunitario, da un lato,
e la presentazione di un programma de "legislatura" da parte della
Commissione europea, dall'altro, rispondano all'esigenza di rafforzare la
legittimità democratica del quadro istituzionale dell'Unione europea;
ricordando le iniziative intraprese dalle Commissioni affari europei di alcuni
parlamenti dell'Unione e, in particolare, la tavola rotonda promossa a Roma il 5
e 6 novembre 1998, incentrate sull'esigenza di dare applicazione al principio di
sussidiarietà anche attraverso il coinvolgimento dei Parlamenti nazionali
nell'esame del programma legislativo della Commissione europea; sottolineando
che, con l'entrata in vigore del Trattato di Amsterdam, per la prima volta
nell'ordinamento comunitario è stato ufficialmente riconosciuto il ruolo dei
Parlamenti nazionali, prevedendo che il Consiglio non proceda all'esame dei
progetti di atti legislativi comunitari prima di sei settimane dalla loro
presentazione onde consentire alle suddette Assemblee di esprimersi; auspicando
che in futuro sia possibile definire un complessivo programma legislativo
dell'Unione europea, in cui il programma della Commissione europea si coordini
con le priorità della Presidenza di turno del Consiglio e con le indicazioni
del Parlamento europeo, in modo da delineare il fondamentale atto di
programmazione legislativa dell'Unione, in grado di divenire il momento centrale
per l'esercizio delle funzioni di indirizzo e di controllo anche da parte dei
Parlamenti nazionali; sollecitando pertanto l'attuazione del protocollo sui
Parlamenti nazionali allegato al Trattato di Amsterdam, recepito in particolare
dall'articolo 3 della legge n. 209 del 1998, che prevede la trasmissione alle
Camere dei progetti di atti legislativi comunitari e dei relativi atti di
indirizzo, quali libri bianchi e libri verdi della Commissione europea, nonché
dei progetti di atti normativi inerenti alla cooperazione giudiziaria e al terzo
pilastro; esprimendo apprezzamento per la sottolineatura posta nel programma
legislativo della Commissione e nella sua comunicazione sugli obiettivi
strategici per il 2000-2005 per i tema del rafforzamento della democrazia e
della tutela dei diritti dei cittadini e dei consumatori, visti non più quale
capitolo settoriale bensì quale elemento fondante delle politiche dell'Unione
europea; esprimendo apprezzamento, quindi, per le iniziative prefigurate dalla
Commissione e connesse all'esigenza di migliorare e accelerare la risposta
dell'Europa ai problemi che incidono sulla vita quotidiana dei cittadini, in
particolare in materia di ambiente, sicurezza alimentare, diritti dei
consumatori, giustizia e sicurezza e trasporti. preso atto del contributo della
Commissione al dibattito sulle riforme istituzionali necessarie per affrontare
l'allargamento, ivi incluse quelle riforme organizzative e di funzionamento che
non necessitano di una revisione dei trattati; considerando l'esigenza di
attribuire all'Europa una voce più forte sulla scena mondiale, per partecipare
alla guida della costruzione della nuova economia globale e per rafforzare la
pace, la democrazia ed il rispetto dei diritti umani nel Continente e nel mondo,
attraverso l'attuazione delle misure già definite e l'introduzione delle
disposizioni istituzionali eventualmente necessarie; condividendo la proposta
del Governo di candidare una città italiana quale sede dell'istituenda agenzia
per la sicurezza alimentare; sottolineando l'esigenza di un crescente
coinvolgimento delle Camere e delle Commissioni permanenti nella definizione
della posizione italiana in merito alle principali iniziative legislative
comunitarie, con particolare riferimento a quelle citate nel programma
legislativo delle Commissione, concernenti, fra l'altro, gli interventi per la
sorveglianza epidemiologica, il controllo dei medicinali, la sicurezza del
sangue, la lotta all'AIDS, alla tossicodipendenza e all'alcolismo, il libro
bianco sulla sicurezza alimentare e l'istituzione dell'autorità alimentare
europea ivi delineata, la modificazione del quadro normativo inerente agli
organismi geneticamente modificati, le misure per la realizzazione di uno spazio
aereo europeo unico, regolato da un'agenzia comune per la sicurezza aerea, e per
favorire il riequilibrio delle modalità di trasporto, gli sviluppi della
comunicazione della Commissione sulla dimensione mediterranea dei trasporti e
dell'energia, le misure connesse alla realizzazione di uno spazio comune di
libertà, sicurezza e giustizia, con particolare riguardo alla disciplina
sull'immigrazione e sul diritto di residenza dei cittadini comunitari
all'interno dell'Unione e alla cooperazione di polizia nella lotta alla
criminalità organizzata e nel contrasto all'immigrazione clandestina, le
iniziative connesse alla società dell'informazione e il seguito della
Comunicazione "eEurope"; propone all'Assemblea di impegnare il
Governo: 1. ad adoperarsi nel quadro della Conferenza intergovernativa per: -
non limitare le riforme istituzionali ai tre nodi lasciati insoluti dal Trattato
di Amsterdam - ridefinizione della composizione della Commissione,
riponderazione del voto nel Consiglio ed estensione del voto a maggioranza
qualificata - inserendo nelle trattative i temi della semplificazione della
procedura di cooperazione rafforzata, dell'applicazione di forme di cooperazione
rafforzata al settore della politica estera e di sicurezza comune,
dell'introduzione della elaboranda Carta dei diritti fondamentali nei Trattati o
in un protocollo allegato, dell'adeguamento delle disposizioni sulla politica
estera e di difesa e dell'istituzione di una vera politica economica comune, che
assecondi e accompagni l'integrazione monetaria; - prevedere misure di
coordinamento e di raccordo, in relazione all'applicazione delle disposizioni
previste dalla citata Carta dei diritti fondamentali, fra gli organismi
giurisdizionali dell'Unione europea e quelli del Consiglio d'Europa; -
considerare l'applicazione del voto a maggioranza qualificata come norma, con la
contestuale estensione della procedura di codecisione con il Parlamento europeo,
circoscrivendo il ricorso all'unanimità alle decisioni di natura
costituzionale, in materia di difesa o che richiedano la ratifica dei Parlamenti
nazionali; - introdurre tutte le disposizioni necessarie per assicurare un
efficace funzionamento delle istituzioni comunitarie in un'Unione allargata ad
un numero di paesi pressoché doppio rispetto agli attuali Stati membri; -
creare i presupposti affinché, ove ricorrano le condizioni per una
risistemazione dei trattati, la Carta dei diritti fondamentali possa divenire
l'elemento fondante di una Costituzione europea; - informare tempestivamente ed
esaurientemente le Camere di tutti i più significativi sviluppi delle
trattative sulla revisione dei trattati e sottoporre il nuovo accordo alla
ratifica solo dopo l'espressione di un parere conforme da parte del Parlamento
europeo sugli esiti dei lavori della Conferenza intergovernativa; 2. a porre la
massima attenzione a tutte quelle riforme delle istituzioni e delle politiche
comunitarie che, pur non richiedendo modifiche dei trattati, acquisiscono
valenza strategica per la positiva riuscita del processo di ampliamento
dell'Unione, con particolare riferimento all'organizzazione della Commissione e
del Consiglio ed agli sviluppi della politica di coesione economica e sociale,
della politica agricola e della cooperazione giudiziaria e negli affari interni;
al riguardo la Commissione europea potrebbe essere incaricata di svolgere studi
specifici da sottoporre anche all'attenzione delle Camere; 3. ad assecondare
l'iniziativa della Commissione europea di costituire un'agenzia per la sicurezza
alimentare proseguendo gli sforzi per ottenere di stabilirne la sede in Italia
nonché per sottolineare la stretta connessione fra sicurezza alimentare, tutela
dei consumatori e valorizzazione e tutela dei prodotti alimentari di qualità;
4. a sostenere e promuovere le misure volte ad affermare la tutela dell'ambiente
ed il miglioramento della qualità della vita dei cittadini quali elementi
trasversali di tutte le politiche dell'Unione, ad iniziare da quella agricola;
5. ad assumere l'iniziativa di far integrare le politiche di tutela ambientale
in una prospettiva unitaria che favorisca l'armonizzazione delle normative
nazionali, con particolare riferimento alla protezione dei cittadini e dei
lavoratori dall'esposizione a fattori di rischio quali, ad esempio, quelli
derivanti dai campi elettromagnetici; 6. a sollecitare, nel quadro della
politica di tutela dei consumatori, l'adozione di norme più precise sulla
garanzia dell'origine e della qualità del prodotto, con particolare riferimento
alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d'origine,
nonché all'organizzazione di alcuni mercati, tra cui quello dell'olio d'oliva;
7. a sollecitare un miglioramento del quadro normativo entro il quale si
collocano le possibilità di utilizzazione degli organismi geneticamente
modificati proseguendo nel contempo il ricorso contro la direttiva 98/44/CE
sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche; 8. a porre
particolare attenzione al raccordo fra politica nazionale dei trasporti e
strategia europea per le grandi infrastrutture, tenendo conto dell'importanza
della mobilità ai fini della qualità della vita dei cittadini; al riguardo
appare utile un'azione italiana per riequilibrare le modalità di trasporto
anche in relazione ai profili della sicurezza dei trasporti e del possibile
impatto ambientale delle diverse forme di comunicazione; 9. ad intensificare le
misure di informazione dei consumatori e di lotta alla contraffazione nella
prospettiva dell'introduzione delle banconote denominate in euro; 10. a
sostenere le decisioni volte ad enucleare una capacità politica e militare
dell'Unione per la gestione delle crisi, attraverso strumenti che garantiscano
il controllo parlamentare, nella prospettiva di una chiara definizione del
percorso che condurrà all'integrazione dell'UEO nell'Unione europea; 11. ad
informare esaurientemente il Parlamento degli sviluppi che seguiranno
all'adozione, al Consiglio europeo di Feira del 19 e 20 giugno scorsi, della
strategia dell'Unione per il Mediterraneo, in vista del Vertice dei Capi di
Stato e di Governo euromediterranei, che si terrà nel corso del semestre di
Presidenza francese e che dovrebbe condurre alla definizione della Carta per la
pace e la stabilità; 12. a sostenere gli obiettivi richiamati nel documento
programmatico presentato dalla Commissione al Consiglio europeo di Lisbona, del
23 e 24 marzo 2000, in relazione alla tutela del modello sociale europeo nel
contesto delle azioni per lo sviluppo dell'occupazione, per la riforma dei
mercati del lavoro, dei beni e dei capitali e per valorizzare il capitale umano
attraverso la formazione e la ricerca; 13. a promuovere lo stanziamento di
risorse adeguate per realizzare un effettivo spazio europeo per la ricerca con
il lancio del sesto programma-quadro; 14. ad assegnare ai temi dell'occupazione,
della protezione sociale, delle pari opportunità quella priorità necessaria a
significare ai cittadini europei che non si vuole solamente l'Europa del
capitale finanziario e che potranno essere tanto più affrontati quanto più
procederà armoniosamente la costruzione del mercato unico; 15. a prevedere,
nell'ambito della riorganizzazione del dipartimento per il coordinamento delle
politiche comunitarie della Presidenza del Consiglio dei Ministri, l'istituzione
di uno specifico Ufficio per i rapporti con il Parlamento, con il compito di
assicurare l'adempimento degli obblighi di legge in merito alla trasmissione
alle Camere degli atti preparatori della legislazione comunitaria e della
relativa documentazione prodotta dalle Amministrazioni di settore;. 16. a dare
esecuzione al protocollo sui Parlamenti nazionali allegato al trattato di
Amsterdam procedendo alla trasmissione alle Camere di libri verdi, libri bianchi
ed altre comunicazioni nonché delle proposte legislative della Commissione
europea e delle proposte relative alle misure da adottare a norma del titolo VI
del trattato sull'Unione europea, in conformità con l'articolo 14 della legge
n. 128 del 1998 e con l'articolo 3 della legge n. 209 del 1998". Tale
schema di proposta potrebbe essere peraltro modificato per tener conto delle
osservazioni esposte dal senatore Magnalbo' a proposito del tema della Carta dei
diritto fondamentali nonché per evidenziare, al paragrafo 3, che la proposta
del Governo italiano di candidare Parma quale sede dell'istituenda agenzia per
la sicurezza alimentare recepisce una precedente proposta della Giunta in merito
all'opportunità di ospitare la suddetta agenzia. Il senatore MANZI, dopo aver
espresso un giudizio favorevole sullo schema di proposta illustrato dal
Presidente relatore, rileva come dai dati recentemente diffusi dalla stampa
emerga che alla crescita della produttività non si accompagni un aumento
altrettanto significativo dell'occupazione e della tutela sociale in Italia. A
tale riguardo sarebbe pertanto opportuno modificare il suddetto documento
precisando che occorre evitare che gli interventi di riforma del mercato del
lavoro prospettati nelle comunicazioni della Commissione europea in titolo si
risolvano in un abbassamento delle garanzie dei lavoratori. Il presidente
relatore BEDIN evidenzia come la puntualizzazione del senatore Manzi, pienamente
condivisibile, sia in linea con le analoghe osservazioni già espresse in altre
occasioni dalla Giunta. Su proposta del Presidente relatore la Giunta conviene
quindi di rinviare il seguito dell'esame.
giovedì 29 giugno 2000 217a Seduta Presidenza del Presidente BEDIN
MATERIE DI COMPETENZA
Comunicazioni della Commissione europea recanti il programma di lavoro della
Commissione per l'anno 2000 (COM (2000) 155 def.) e obiettivi strategici
2000-2005 (COM (2000) 154 def.) (Seguito dell'esame, ai sensi dell'articolo 50,
comma 1, del Regolamento, e conclusione: approvazione del Doc. XVI, n.14)
Riprende l'esame rinviato nella seduta di ieri. Il presidente relatore BEDIN
illustra le modifiche introdotte nello schema di proposta illustrato nella
precedente seduta onde tener conto delle considerazioni emerse nel dibattito e
nei pareri espressi dalle Commissioni di merito. Per quanto concerne, in
particolare, il preambolo, dopo il primo capoverso è stato introdotto un nuovo
capoverso che richiama i pareri trasmessi dalle Commissioni consultate nonché
è stato integrato il settimo capoverso al fine di tener conto delle citate
osservazioni del senatore Magnalbò in merito all'esigenza di tutelare
adeguatamente i cosiddetti diritti di nuova generazione. E' stato altresì
modificato il diciannovesimo capoverso onde ricordare che la Giunta aveva
proposto di ospitare in Italia l'istituenda agenzia europea per la sicurezza
alimentare e per esprimere apprezzamento per la successiva formalizzazione di
tale proposta da parte del Governo con la candidatura della città di Parma.
Sono stati altresì introdotti, nel dispositivo, i due nuovi paragrafi 4 e 6,
che recepiscono le osservazioni formulate dalla Commissione agricoltura con
particolare riferimento all'esigenza di dare attuazione al Libro bianco sulla
sicurezza alimentare, di trovare una soluzione in merito al problema della
rintracciabilità del latte in polvere e di porre una particolare attenzione
alle ricadute sull'agricoltura degli accordi commerciali con paesi terzi e dei
negoziati sul commercio mondiale. Allo stesso fine è stato integrato il
paragrafo 9 onde esprimere l'auspicio che la normativa comunitaria sugli
organismi geneticamente modificati sia riformulata in senso restrittivo mentre
il paragrafo 14, alla luce dell'intervento del senatore Manzi, è stato rivisto
per precisare che gli interventi di riforma del mercato di lavoro prospettati
nel Vertice di Lisbona non dovranno risolversi in un abbassamento delle garanzie
per i lavoratori. Il senatore MUNGARI, in relazione alle modifiche introdotte al
settimo capoverso del preambolo, concernente la Carta dei diritti fondamentali,
propone di sostituire le parole: "la scoperta di nuovi fattori di pericolo
per la salute umana" con le parole "l'emersione di nuovi fattori di
pericolo per la salute umana". Egli rileva altresì l'opportunità di
riformulare in senso positivo il primo capoverso del paragrafo 1 del
dispositivo, concernente l'esigenza di non limitare le riforme istituzionali ai
tre nodi lasciati insoluti dal Trattato di Amsterdam. In relazione al secondo
capoverso dello stesso paragrafo, inerente ai rapporti fra gli organismi
giurisdizionali dell'Unione europea e quelli del Consiglio d'Europa, l'oratore
propone di sostituire le parole "misure di coordinamento e di raccordo, in
relazione all'applicazione alle disposizioni previste dalla citata Carta dei
diritti fondamentali" con le seguenti: "misure di coordinamento,
applicative delle disposizioni previste dalla citata Carta dei diritti
fondamentali". L'oratore chiede infine chiarimenti sul significato del
quinto capoverso dello stesso paragrafo in cui si auspica, ove ricorrano le
condizioni per una risistemazione dei Trattati, che la Carta dei diritti
fondamentali possa divenire l'elemento fondante di una Costituzione europea. Il
presidente relatore BEDIN dichiara di accogliere tutte le osservazioni del
senatore Mungari e, in relazione al quinto capoverso del paragrafo 1 del
dispositivo, si sofferma sul dibattito in corso a livello europeo sull'esigenza
di procedere ad un riordino dei Trattati. In tale ambito si colloca anche uno
studio, promosso su richiesta della Commissione europea, sulla possibilità di
procedere a un coordinamento delle disposizioni previste dai Trattati senza
introdurre ulteriori modificazioni. Il senatore MAGNALBO', in relazione alle
osservazioni del senatore Mungari in merito al settimo capoverso del preambolo,
propone di sostituire le parole "l'emersione di nuovi fattori di
pericolo" con le parole "l'individuazione di nuovi fattori di
pericolo". Conviene la Giunta sulla riformulazione del capoverso proposta
dal senatore Magnalbò. Il senatore LO CURZIO ribadisce le osservazioni
formulate nella seduta di ieri in relazione all'esigenza di affrontare il tema
dell'incompatibilità fra mandato europeo e nazionale, di coordinare più
efficacemente le politiche dei trasporti nazionale ed europea, di sviluppare
adeguatamente capacità autonome dell'Europa in merito alla gestione delle crisi
e di tutelare il modello sociale europeo, anche attraverso la promozione
dell'azionariato popolare. Il presidente relatore BEDIN precisa che la questione
della incompatibilità fra mandato parlamentare europeo e nazionale è
attualmente oggetto di atti all'esame del Parlamento europeo e che la questione
dell'azionariato popolare non è emersa nel dibattito di ieri bensì è stata
affrontata dalla Giunta in altra sede. Tutte le altre osservazioni ricordate dal
senatore Lo Curzio sono state invece recepite, rispettivamente, nei capitoli
pertinenti della relazione della Giunta sul documento presentato dal Governo
sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea (Doc. LXXXVII, n. 7) e nei
paragrafi 10, 12 e 14 dello schema di proposta in esame. Il senatore MUNGARI
osserva che il principio dell'azionariato popolare è tutelato anche dalla Carta
costituzionale anche se, nel contesto della materia in esame, si dovrebbe tener
conto di come la questione della partecipazione dei lavoratori alla gestione e
al capitale delle imprese è stata affrontata in altri Stati membri. Il senatore
MANZI esprime le proprie preoccupazioni per il tentativo di riaffermare una
sorta di direttorio franco-tedesco in Europa, che si evince dal discorso
pronunciato dal Presidente della Repubblica francese Chirac davanti al Bundestag
lo scorso 27 giugno. Il senatore BETTAMIO osserva che il senso del discorso
pronunciato dal presidente Chirac è quello di rilanciare il processo di
integrazione europea sulla base dell'impulso di un nucleo di paesi più
omogeneo, che poggi sull'intesa franco-tedesca. Il presidente relatore BEDIN,
verificata la presenza del numero legale, pone quindi ai voti lo schema di
proposta per l'Assemblea precedentemente illustrato, come risulta modificato nel
corso del dibattito, che tratta argomenti che potranno essere ulteriormente
approfonditi quando il suddetto documento sarà posto all'ordine del giorno del
Senato. La Giunta approva all'unanimità.
I lavori della Giunta per gli affari delle Comunità europee sulla Relazione
sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea (Doc. LXXXVII, n.7)
Esaminata nelle sedute del: 30 marzo, 8, 15, 28 e 29 giugno 2000. Relatore:
Bedin.
giovedì 30 marzo 2000 204a Seduta Presidenza del Presidente BEDIN
IN SEDE REFERENTE (Doc. LXXXVII, n.7) Relazione sulla partecipazione
dell'Italia all'Unione europea (Esame e rinvio) Il presidente relatore BEDIN
illustra il documento in titolo che, con il programma legislativo della
Commissione di cui è stato avviato ieri l'esame, costituisce un importante
strumento per l'esame della fase ascendente del diritto comunitario, soprattutto
dopo le modifiche introdotte dalla legge comunitaria 1998, legge n. 25 del 1999,
che hanno determinato la sua trasformazione in relazione annuale recante anche
taluni cenni sulle prospettive per l'anno in corso. L'azione comunitaria del
Governo italiano si è arricchita nel 1999 di uno strumento essenziale come il
decreto legislativo n. 303 del 1999, che affida alla Presidenza del Consiglio
dei ministri, ai sensi dell'articolo 3, il compito di ricondurre ad unità la
posizione del Governo italiano sui vari tavoli negoziali relativi al processo
normativo comunitario e valorizza il ruolo svolto dall'apposita struttura
dipartimentale. La relazione sottolinea altresì il successo conseguito
dall'Italia nel corso del 1999 nell'ambito di negoziati complessi quali la
definizione dell'Agenda 2000 e la nomina del nuovo Presidente della Commissione,
nella persona di Romano Prodi. Soffermandosi sull'Agenda 2000 l'oratore rileva
in particolare i risultati raggiunti nei settori delle quote latte, dei fondi
strutturali, con l'inserimento dell'Abruzzo nell'Obiettivo 1, e nella
modulazione del processo di sostituzione del criterio dell'IVA con quello del
PNL nel calcolo delle risorse proprie. Benché la relazione precisi che l'Italia
non dovrà corrispondere importi addizionali fino al 2002, usufruendo
immediatamente di maggiori incassi, il Presidente relatore evidenzia tuttavia
l'opportunità di acquisire maggiori dettagli sulla quantificazione del maggiore
esborso per l'Italia derivante dalla riforma. La 5a Commissione, nel parere
trasmesso alla Giunta, rileva peraltro l'esigenza di pervenire ad una maggiore
trasparenza nel processo di formazione del bilancio comunitario e riscontra
l'entità limitata delle risorse assegnate per il periodo 2000-2006 ad
importanti politiche comunitarie come quelle agricola, strutturale e per le
infrastrutture, pur apprezzando la previsione di una finalizzazione specifica
per la costa adriatica italiana. La 5a commissione sollecita altresì una rapida
individuazione delle aree interessate dall'obiettivo 2. Descrivendo gli sviluppi
del processo di allargamento - che prosegue costantemente, sulla base
dell'impostazione di carattere inclusivo ed evolutivo sostenuta dall'Italia -
l'oratore ne sottolinea la stretta connessione con la riforma delle istituzioni
comunitarie e con il capitolo dell'assistenza tecnica ai paesi candidati.
Eliminata la distinzione tra candidati di prima e seconda fascia si procede ora
sulla base del "principio di differenziazione", che permetterà di
condurre i negoziati con modalità, tempi e ritmi diversi in funzione del grado
di preparazione dei singoli paesi. A tale proposito sarebbe opportuno inserire
nell'ambito delle future relazioni, senza perdere di vista le priorità
politiche, maggiori dati sui profili economici e finanziari, con riferimento
alle valutazioni del Governo sul possibile impatto dell'ampliamento sui fondi
strutturali, sull'agricoltura e su altri settori economici e sociali
maggiormente sensibili. Il documento in titolo ribadisce la posizione del
Governo italiano secondo il quale il rafforzamento delle istituzioni è
condizione indispensabile per la conclusione dei primi negoziati di adesione;
l'allargamento non è infatti compatibile con un processo decisionale incentrato
sull'unanimità. Oltre ai temi lasciati aperti dal Trattato di Amsterdam -
composizione della Commissione, riponderazione dei voti ed estensione del
ricorso al voto a maggioranza qualificata - l'Italia ritiene che debbano essere
affrontate altre questioni connesse al miglioramento del funzionamento
dell'impianto istituzionale definito dai Trattati: semplificazione delle
procedure di cooperazione rafforzata nel primo e nel terzo pilastro,
introduzione della flessibilità nel campo della politica estera e di difesa, ed
integrazione della Carta dei diritti fondamentali nei Trattati. Al riguardo
l'oratore ricorda che la Giunta ha già svolto un'audizione congiunta con la
Commissione affari esteri del Ministro degli affari esteri sulla Conferenza
intergovernativa (CIG), materia che potrebbe essere ulteriormente approfondita
in futuro, ha approvato una risoluzione sulla Carta dei diritti fondamentali ed
ha avviato un'indagine conoscitiva sullo stesso argomento congiuntamente con la
XIV Commissione della Camera. Nel 1999, inoltre, egli ha presentato, su mandato
della Giunta, una relazione in vista del Consiglio europeo di Helsinki mentre
una seconda relazione è stata presentata dal senatore Tapparo in merito alla
questione della legittimità democratica delle istituzioni comunitarie.
Riferendo sul tema dell'assistenza tecnica ai paesi candidati all'adesione, il
presidente relatore illustra le iniziative descritte nel documento in esame -
incentrate sui programmi comunitari "PHARE", "TAIEX" e
"ASSIEME IN EUROPA" - da cui si evince, peraltro, una certa
difficoltà dell'Italia ad assumere un ruolo di project leader nei programmi di
assistenza bilaterale, anche nei confronti di paesi tradizionalmente molto
vicini. Mancano inoltre sistematici rapporti di cooperazione con taluni di tali
paesi, come si riscontra dal fatto che per alcuni di essi si parli solamente di
conferenze e seminari. Una maggiore attenzione per la tematica dell'assistenza
tecnica - che andrebbe più direttamente correlata al capitolo dell'ampliamento
- potrebbe invece rivelarsi, in prospettiva, un investimento politico e
culturale. Per quanto concerne la politica estera e di difesa e le relazioni
esterne, la definizione di autonome capacità militari dell'Unione per la
gestione di situazione di crisi costituisce una delle novità principali del
Consiglio europeo di Helsinki. L'Unione europea è stata riconosciuta dalla NATO
come interlocutore per la costruzione dell'"Identità Europea di Sicurezza
e Difesa" e nell'anno 2000 proseguirà il processo di attuazione delle
riforme introdotte dal Trattato di Amsterdam. L'entrata in funzione dell'Alto
Rappresentante e la progressiva realizzazione delle altre innovazioni in esso
contenute contribuiranno prevedibilmente a dare ulteriore impulso all'azione
internazionale dell'Unione. Dopo aver rilevato come la predisposizione di nuovi
organi potrebbe comportare una modifica dei Trattati, l'oratore evidenzia
l'impegno dell'Unione Europea nelle varie aree regionali, con particolare
riferimento al Kosovo, all'Albania, alle relazioni con la Federazione Russa ed
al dialogo con i paesi del Nord-Africa e del Medio Oriente. Nel quadro del
Partenariato euromediterraneo, particolare rilevanza assume anche la definizione
della Carta per la Pace e la Stabilità nel Mediterraneo, il cui testo dovrebbe
essere definito nella IV Conferenza euromediterranea, che si terrà in Francia
nell'autunno 2000. A tale proposito l'oratore, come già sottolineato nel corso
dell'esame del programma legislativo della Commissione, ribadisce la necessità
di individuare le forme più opportune per coinvolgere il Parlamento nelle
decisioni che saranno adottate nel suddetto vertice. Sarebbe altresì necessario
acquisire informazioni più sistematiche sullo sviluppo dei rapporti con i paesi
del partenariato euromediterraneo - considerando l'importanza strategica di tale
area per l'Italia e per l'Europa - con particolare riferimento alla definizione
o all'attuazione delle intese con i paesi terzi mediterranei già inclusi,
all'evoluzione dei rapporti con la Libia e alla prospettiva dell'eventuale
inclusione in tale processo dei paesi adriatici. Sul tema della politica estera
e di difesa sarebbe inoltre opportuno ricevere maggiori chiarimenti sulle
prospettive dell'UEO, che stando al Consiglio europeo di Colonia dovrebbe essere
definitivamente integrata nell'Unione europea, in relazione alla possibilità di
includere la clausola sull'assistenza militare reciproca, di cui all'articolo 5
del trattato UEO, in un protocollo degli accordi comunitari nonché a proposito
degli strumenti di controllo parlamentare, nella prospettiva dell'eventuale
soppressione dell'Assemblea dell'UEO. Per quanto attiene alle relazioni
economiche internazionali, dopo il fallimento del Round negoziale di Seattle, si
prevede che nel 2000 il negoziato riprenda corpo e sarà necessario difendere a
Ginevra le posizioni a tutela degli interessi italiani che sono state sinora
acquisite nei lavori preparatori. In tale contesto risulteranno determinanti le
decisioni che l'Unione europea prenderà sulle questioni relative alle banane ed
agli ormoni, e più in generale, sulla problematica della sicurezza alimentare,
che resta la principale preoccupazione dell'opinione pubblica, soprattutto in
relazione al commercio dei prodotti geneticamente modificati (OGM). Il
fallimento della Conferenza di Seattle non pregiudica l'esito futuro dei
negoziati, come dimostra l'esperienza dell'Uruguay Round, che riguarderanno
anche un più libero accesso ai mercati, l'introduzione nei nuovi obiettivi
negoziali del settore ambientale, la proprietà intellettuale, l'agricoltura e i
servizi Per quanto riguarda le altre aree, il vertice di Rio rafforza il
partenariato con l'America latina, avanza la liberalizzazione commerciale con
Cile e Mercosur, prosegue l'accordo di libero scambio con il Messico mentre la
Quinta Convenzione di Lomè estenderà il dialogo politico, fondato sul rispetto
dei diritti umani, con i paesi interessati. Dopo aver ricordato che sono stati
comunitarizzati i temi dell'asilo, dell'immigrazione, della libera circolazione
delle persone, dei visti e della cooperazione giudiziaria in materia civile, il
Presidente relatore individua i temi di maggiore rilievo nel settore della
giustizia e degli affari interni con riferimento alla lotta al narcotraffico ed
alla criminalità organizzata, all'informazione sui flussi migratori illegali ed
al controllo delle impronte digitali dei richiedenti asilo. Rilevando
l'importanza delle decisioni assunte in materia al Consiglio europeo di Tampere,
l'oratore evidenzia come la Giunta abbia già avuto modo di pronunciarsi sul
progetto di Convenzione EURODAC e sollecita un più efficace coinvolgimento del
Parlamento nell'elaborazione degli atti dell'Unione in materia attraverso
l'applicazione dell'articolo 3 della legge n. 209 del 1998, sulla ratifica del
trattato di Amsterdam, che prevede la trasmissione dei progetti di tali atti
alle Camere. La relazione in titolo si diffonde inoltre sull'impegno profuso dal
Governo italiano nel campo delle politiche ambientali e dello sviluppo
sostenibile - che verranno integrate nel mercato interno - e, in particolare,
sui temi della tassazione ambientale europea e dell'emanazione di standard
tecnici in grado di coniugare libertà di circolazione delle merci e qualità
ecologiche. Il documento delinea inoltre quattro obiettivi strategici,
realizzabili in un quinquennio, da valutare annualmente, per il futuro del
mercato unico: piccole e medie imprese; dialogo euromediterraneo; commesse
pubbliche; ruolo dello Stato nell'economia. Altri temi su cui il Governo
preannuncia un particolare impegno sono costituiti dalla liberalizzazione
completa dei settori di pubblico servizio, ivi inclusa la creazione di uno
spazio aereo unico a livello europeo, estesa ai diritti speciali ed esclusivi
esercitati in regime di concessione, dalla disciplina della proprietà
intellettuale, dalla definizione del quadro normativo sul diritto societario e
dal coordinamento fiscale, nell'ambito delle misure contro la concorrenza
fiscale nociva previste dal codice di condotta Monti. Priorità irrinunciabili
per l'Italia, nel corso dell'anno 2000, saranno inoltre la politica delle
piccole e medie imprese, la semplificazione degli oneri amministrativi,
l'adozione definitiva della direttiva contro i ritardi di pagamento nelle
transazioni commerciali e una più forte sottolineatura del processo
euromediterraneo di Barcellona, che l'Esecutivo comunitario colloca sullo stesso
piano di altre zone di libero scambio, che non rivestono analoga importanza
strategica ed economica per l'Unione europea. La questione di Gibilterra blocca
le Offerte Pubbliche di Acquisto (OPA) mentre nei servizi finanziari a distanza
il Governo esige la massima tutela dei consumatori. L'oratore evidenzia tra gli
altri dossier di maggior rilievo i grandi impianti di combustione, la riduzione
delle emissioni di ossido di carbonio, la rottamazione degli autoveicoli, gli
OGM nonché la costituzione di un'autorità di controllo comunitaria sulla
sicurezza alimentare. L'innalzamento delle soglie delle quote latte e l'aumento
percentuale dei premi alla macellazione sono significativi successi della
politica agricola italiana in sede comunitaria. La presidenza portoghese sarà
inoltre chiamata a finalizzare numerose proposte relative a diversi
organizzazioni comuni di mercato, comprese quelle per la fissazione dei prezzi
agricoli per il periodo 2000-2001. Da parte italiana sarà data attenzione
prioritaria ai settori degli ortofrutticoli e del riso. Dopo aver illustrato le
iniziative in programma in materia culturale - che includono la riduzione
dell'IVA su dischi, CD e CD-Rom per incentivare il consumo e rilanciare
l'occupazione - l'oratore ricorda di essersi già soffermato sui temi inerenti
all'occupazione ed allo sviluppo della società dell'informazione nel corso
dell'esposizione sul programma legislativo della Commissione ed illustra le
osservazioni trasmesse dalla 5a Commissione, che sottolinea l'esigenza di
chiarire gli obiettivi cui sono finalizzati gli interventi comunitari in materia
sociale onde massimizzare l'efficacia della spesa nazionale. La stessa
Commissione rileva l'utilità di definire politiche contrattuali in materia di
lavoro a livello comunitario. Un alto livello di apertura alla concorrenza
caratterizza il processo nazionale di liberalizzazione di servizi pubblici.
Resta da sciogliere il nodo del gas naturale e da definire più puntualmente, in
chiave comunitaria, il contenuto della nuova concessione alle poste nazionali.
Ottenuto il calo delle tariffe, il prossimo obiettivo da perseguire è un
aumento della qualità ed efficienza dei servizi pubblici con la possibile
apertura del mercato delle grandi infrastrutture. Nel corso del 2000, il
Governo, impegnato nel recepimento della direttiva per la liberalizzazione del
gas e negli altri adempimenti di attuazione della liberalizzazione delle
utilities, intende altresì sostenere la comunicazione dell'Esecutivo
comunitario finalizzata ad aprire le concessioni di pubblico servizio.
Soffermandosi sul tema dell'attuazione del diritto comunitario il Presidente
relatore rileva i significativi risultati conseguiti dall'Italia in termini di
recupero dei ritardi nel recepimento delle direttive e di riduzione del
contenzioso. Le previsioni per la futura attività sono nel senso di un
consolidamento dei risultati conseguiti e di un ulteriore miglioramento della
posizione italiana in ambito comunitario anche grazie all'ausilio di nuovi
strumenti normativi ed organizzativi fra cui la citata riforma della Presidenza
del Consiglio nonché il decreto legislativo n. 300 del 1999, sulla
razionalizzazione dei Ministeri. A tali provvedimenti si aggiungono
l'abrogazione dell'Allegato D alla legge comunitaria - che ha accelerato
l'attività di recepimento in via amministrativa delle direttive ad opera dei
Dicasteri competenti - e le iniziative in itinere, fra cui la riforma della
cosiddetta legge La Pergola. Tale riforma assume una duplice finalità:
raccogliere in una sorta di testo unico le disposizioni sulla partecipazione
dell'Italia al processo di integrazione europea e apportare al procedimento di
elaborazione ed attuazione della legge comunitaria annuale le modifiche e i
correttivi necessari per assicurare maggiore efficienza e tempestività
all'azione di adeguamento. A proposito della riorganizzazione del Dipartimento
delle politiche comunitarie l'oratore osserva l'opportunità di formalizzare la
costituzione di uno specifico Ufficio per i rapporti con il Parlamento, con il
compito di assicurare l'adempimento degli obblighi di legge in merito alla
trasmissione alle Camere degli atti preparatori della legislazione comunitaria e
della relativa documentazione prodotta dalle Amministrazioni di settore. Il
senatore BIASCO esprime forti riserve sul documento in titolo, evidenziando come
il Polo delle Libertà abbia preso una posizione fermamente contraria in ordine
a disposizioni della cosiddetta Legge Bassanini ter laddove l'accentramento di
funzioni di coordinamento nei rapporti con l'Unione europea nella Presidenza del
Consiglio sembra mortificare, da un lato, il ruolo del Ministro per le politiche
comunitarie, dall'altro, le competenze delle Amministrazioni settorialmente
competenti ed, infine, la partecipazione delle regioni alla fase ascendente del
diritto comunitario. Tale processo di accentramento, infatti, rende meno chiari
i compiti che dovrebbero spettare al Ministro per le politiche comunitarie e
svilisce la funzione primaria che nella fase ascendente dovrebbe spettare ai
Dicasteri competenti per gli atti comunitari oggetto di trattativa senza
tuttavia assicurare il raccordo fra la posizione italiana e le posizioni che
emergono nel Parlamento europeo. Nel merito del documento all'esame della Giunta
l'oratore non condivide l'enfasi posta sui presunti successi conseguiti
dall'Italia nel settore agricolo in quanto permangono significative carenze
strutturali. I risultati raggiunti a proposito delle quote latte, ad esempio,
non risolvono i problemi propri dei comparti legati alle produzioni agricole
più tipicamente mediterranee di tal che, in assenza di più ragguardevoli
correttivi, continua a sussistere una penalizzazione dell'agricoltura del
Mezzogiorno. Nel campo della politica fiscale, infine, il Governo cerca di
esportare nell'Unione europea un modello che determina distorsioni anziché
recepire in Italia le positive esperienze realizzate in altri paesi membri. La
Giunta conviene, quindi, di rinviare il seguito dell'esame.
Giovedì 8 giugno 2000 211a Seduta Presidenza del Presidente BEDIN
Interviene il Ministro per le politiche comunitarie Mattioli.
IN SEDE REFERENTE (Doc. LXXXVII, n.7) Relazione sulla partecipazione
dell'Italia all'Unione europea (Seguito dell'esame e rinvio) Riprende l'esame
rinviato nella seduta del 5 aprile. Il presidente BEDIN porge il benvenuto al
ministro Mattioli e dopo aver illustrato i pareri pervenuti e riepilogato i
termini del dibattito che si è sviluppato sull'argomento in titolo, non
essendovi ulteriori richieste di intervento nel dibattito, cede la parola al
rappresentante del Governo. Il ministro MATTIOLI, dopo aver preannunciato la
presentazione di una nota scritta in merito a taluni profili più specifici
emersi nel dibattito, si sofferma sulle problematiche cui è rivolta
l'attenzione prioritaria da parte del Governo. Ricordando di aver già assunto
dinanzi alla Camera l'impegno ad una tempestiva comunicazione degli atti
inerenti alla fase ascendente del diritto comunitario, in conformità con le
sollecitazioni rivolte in tal senso dai due rami del Parlamento al Governo,
l'oratore rileva l'esigenza di formalizzare gli strumenti di raccordo tra
l'Esecutivo e le Camere in ordine all'esame dei suddetti atti salvaguardando
quei margini di flessibilità indispensabili per tener conto dell'evoluzione
delle trattative comunitarie Illustrando il cosiddetto "scoreboard",
sorta di pagella sullo stato dell'assolvimento degli obblighi comunitari da
parte dei vari paesi membri, il Ministro sottolinea come l'Italia sia passata
dal penultimo all'ottavo posto, ponendosi, negli ultimi mesi, fra i primi della
graduatoria. A tale risultato ha contribuito anche la realizzazione di un
sistema di monitoraggio interno al Governo sugli adempimenti di competenza delle
varie amministrazioni settoriali. Per quanto concerne i negoziati comunitari,
fra gli argomenti prioritari figura il tema dell'occupazione. Sottolineando come
in tale campo la storia abbia dimostrato la lungimiranza del piano Delors del
1994 - in cui veniva prefigurata l'impossibilità di accrescere i posti di
lavoro nei settori produttivi tradizionali laddove l'accelerazione tecnologica e
l'aumento della produttività avrebbe dovuto indurre l'Europa a guardare, per la
creazione di nuova occupazione, ai settori più strettamente legati alla
società tecnologica e alla qualità della vita, come l'educazione, la
salvaguardia ambientale e la prevenzione sanitaria - l'oratore rileva come
l'analisi ed il dibattito su tali aspetti siano ancora inadeguati in Italia e
come, nel contempo, sia emerso su tali argomenti un confronto intenso
nell'ambito del Consiglio dell'Unione europea. In tale contesto l'innovazione
tecnologica dovrà pertanto costituire uno degli impegni prioritari per il
Governo. Dopo aver espresso la propria sorpresa per il fatto che una materia
come il turismo, economicamente strategica per l'Italia, non figuri nell'agenda
comunitaria, il Ministro si sofferma sull'importanza del dibattito in merito ad
una politica comune dell'energia. Tale materia riveste un'importanza essenziale
non solamente ai fini della salvaguardia ambientale ma anche in termini di
risorse che potrebbero scaturire da un più incisivo impegno nel settore del
risparmio energetico, dove si stima che l'innovazione tecnologica possa
consentire un risparmio dell'ordine del 20 per cento. Lo sviluppo di un
approccio comune risulta indispensabile anche nel campo dell'inquinamento
elettromagnetico dove, altrimenti, sarebbero comprensibili le preoccupazioni
delle aziende interessate ove le ristrutturazioni degli elettrodotti e degli
impianti di telecomunicazioni riguardassero solo l'Italia. A tale proposito il
ministro Mattioli rileva talune imprecisioni in merito alla divulgazione dei
dati scientifici - in quanto è ormai inoppugnabile il nesso causale fra le
radiazioni non ionizzanti e talune malattie - ed evidenzia l'impegno profuso su
tale argomento anche da altri Stati membri, fra i quali la Svezia e la Francia,
che si accinge ad assumere la presidenza dell'Unione. Soffermandosi sul tema
degli organismi geneticamente modificati (OGM), l'oratore rileva il contributo
che deve essere offerto dalla scienza per selezionare quei settori in cui è
possibile sviluppare la ricerca senza rischi per la salute, per l'ambiente e per
le generazioni future, e sottolinea l'impegno del Governo, il quale ha dato il
proprio sostegno al ricorso presentato dall'Olanda contro la direttiva sugli
OGM, sull'argomento. Il Ministro illustra quindi le finalità del Convegno che
si accinge ad organizzare al CNEL il prossimo 10 luglio, con il fine di riunire
istituzioni e parti sociali per realizzare il più ampio concerto sulla fase
ascendente del diritto comunitario, ed esprime il proprio apprezzamento per
l'approvazione definitiva da parte del Senato del provvedimento concernente il
Centro di informazione sull'Europa, che consentirà anche di assicurare maggiore
trasparenza nella veicolazione dei dati delle istituzioni comunitarie. Tra gli
altri settori oggetto di impegno prioritario figurano, infine, la realizzazione,
di concerto con il Ministro del tesoro, di una iniziativa di supporto alle
Regioni per l'utilizzazione di nuovi fondi strutturali, la gestione di una serie
di programmi di cooperazione e scambio con i paesi candidati all'adesione, nella
prospettiva dell'ampliamento dell'Unione, e una fattiva partecipazione al
processo di revisione del quadro istituzionale, ponendo particolare attenzione
alle proposte lanciate dal ministro degli affari esteri tedesco Fischer. Il
presidente BEDIN ringrazia il Ministro per l'esposizione, che integra ed
aggiorna il documento del Governo in titolo, e apre il dibattito. Il senatore
MAGNALBO' esprime apprezzamento per l'intervento del Ministro con particolare
riferimento all'accentuazione data al settore del turismo. Al riguardo l'oratore
chiede chiarimenti sugli impegni del Governo per valorizzare le dimore storiche
tenendo conto dell'inadeguatezza dei risultati conseguiti, prima dalla GEPI e
poi dalla Società sviluppo Italia, per realizzare in Italia esperienze analoghe
alle Paradores spagnole. L'oratore chiede altresì chiarimenti sulla politica
del Governo in merito ai danni ambientali, ed al conseguente impatto sul
turismo, provocati dagli impianti che producono energia. Il senatore MANZELLA
ringrazia il Ministro per l'esposizione dalla quale, tuttavia, si evince che,
nonostante la riforma della struttura del Governo e della Presidenza del
Consiglio, non sia stato ancora del tutto risolto il problema dei rapporti fra
il Ministero per le politiche comunitarie, che costituisce uno snodo essenziale
fra Governo italiano e Consiglio dell'Unione, e Ministero degli affari esteri.
L'esperienza di altri paesi, fra i quali la Francia, insegna invece che le due
strutture possono agire in modo complementare con risultati estremamente
efficaci. Tali difficoltà sono confermate, peraltro, dall'assenza dell'Italia,
salvo prese di posizione giornalistiche, dal dibattito politico europeo sulle
riforme istituzionali, che ha visto seguire talune iniziative bilaterali alle
proposte lanciate dal ministro Fischer. In tale prospettiva sarebbe anche
opportuno avere maggiori chiarimenti sulla posizione italiana in vista del
Consiglio europeo di Feira. Dopo aver rilevato come il suddetto Ministero possa
essere stato penalizzato, nonostante l'impegno profuso dai tre ministri che si
sono succeduti, dall'aver cambiato guida più volte nel corso della legislatura,
l'oratore evidenzia come ad esso dovrebbe altresì spettare una funzione di
impulso e coordinamento, alla luce degli orientamenti definiti dal Vertice di
Lisbona in materia di società tecnologica e occupazione, fra i vari dicasteri
interessati, quali i Ministeri del lavoro e della ricerca. Il senatore Manzella
condivide infine i richiami del Ministro all'esigenza di un approccio comune -
tenendo però conto del confronto fra paesi che hanno fatto scelte, anche in
materia di energia nucleare, molto diverse - in merito all'impatto sulla
competitività europea derivante dalle sfide ambientali. Su proposta del
PRESIDENTE la Giunta conviene quindi di rinviare il seguito dell'esame.
Giovedì 15 giugno 2000 213a Seduta Presidenza del Presidente BEDIN
Interviene il Ministro per le politiche comunitarie Mattioli.
IN SEDE REFERENTE (Doc. LXXXVII, n.7) Relazione sulla partecipazione
dell'Italia all'Unione europea (Seguito dell'esame e rinvio) Riprende l'esame
rinviato nella seduta dell'8 giugno. Il presidente relatore BEDIN ricorda che
nella precedente seduta è stato avviato il dibattito sull'esposizione del
Ministro e cede la parola al senatore Manzi che si era iscritto a parlare. Il
senatore MANZI, sottolineando come l'Italia sembri oggi meno presente nel
dibattito europeo sulle prospettive istituzionali del processo di integrazione
di quanto avveniva all'epoca di Spinelli, chiede chiarimenti sulla posizione del
Governo in rapporto alle dichiarazioni del ministro degli affari esteri tedesco
Fischer sul modello federale e alla maggiore propensione del Governo francese
per sviluppare il tema della cooperazione rafforzata. Nella prospettiva
dell'ampliamento dell'Unione, che potrebbe determinare la paralisi di un'Unione
composta da quasi 28 Stati membri, gli orientamenti emersi al Vertice di
Helsinki appaiono deludenti né risaltano le proposte italiane - salvo talune
dichiarazioni del Presidente della Repubblica in occasione di recenti incontri
con altri Capi di Stato, quale il Presidente della Repubblica federale tedesca -
in vista del Consiglio europeo di Nizza. Il senatore LO CURZIO ringrazia il
Ministro per l'esposizione e - in relazione ai suoi riferimenti al piano Delors
e alle prospettive di sviluppo dell'occupazione in settori non tradizionali,
quali il turismo e la salvaguardia ambientale - sottolinea i danni derivanti al
territorio dalle industrie petrolifere e chiede chiarimenti sulle iniziative
assunte dal Governo nel quadro delle politiche comunitarie in materia di
infrastrutture turistiche, turismo scolastico, cultura e agricoltura. La
senatrice SQUARCIALUPI osserva che nella prospettiva della costituzione, entro
il 2003, di un eurocorpo, sotto la guida dell'Unione, destinato a svolgere
missioni umanitarie e di gestione delle crisi, si prevede la scomparsa dell'UEO,
organismo destinato a svolgere una funzione di difesa collettiva in base
all'articolo 5 del suo Trattato istitutivo e la cui Assemblea assicura una forma
di controllo democratico sulla politica militare europea. A tale riguardo
l'oratore chiede chiarimenti sul possibile inserimento nei Trattati dell'Unione,
o in un Protocollo annesso, del citato articolo 5 nonché sui possibili
strumenti di raccordo, in materia di difesa e sicurezza, con i paesi candidati
all'adesione che non sono membri della NATO e che attualmente partecipano alle
attività dell'UEO. Il senatore MUNGARI chiede come si collochi l'Italia
nell'attuale scenario europeo, che vede un ridimensionamento del ruolo della
Commissione e del suo Presidente, Prodi, un'accentuazione del protagonismo della
Germania, il tentativo di ricostituire il tradizionale asse franco-tedesco e
l'emergere di un nuovo asse atlantico anglo-spagnolo. In particolare l'oratore
chiede se il Governo assegni la massima priorità alle politiche per lo sviluppo
e l'occupazione, come viene richiesto dal 90 per cento dei cittadini europei
secondo i più recenti sondaggi, ovvero riconosca un carattere prioritario del
processo di allargamento, condiviso da meno della metà dei cittadini
dell'Unione. Il senatore BIASCO osserva che il dibattito in corso evidenzia le
carenze della politica italiana nell'attuale fase della vita dell'Unione. Il
mancato sostegno del Governo e delle forze della coalizione, a suo tempo, nei
confronti del progetto formulato dal presidente del Consiglio D'Alema e dal
Premier inglese, Blair, ha peraltro impedito al paese di riassumere l'iniziativa
nel contesto europeo. Al contrario appaiono isolate le proposte lanciate dal
presidente Prodi, volte a prefigurare una forma di controllo della Commissione
sulla Banca centrale europea, che hanno incontrato l'opposizione del cancelliere
tedesco Schroeder e della maggior parte degli altri Stati membri. Alla luce
delle suddette considerazioni l'oratore chiede i motivi che inducono l'Italia a
favorire il processo di allargamento e conviene sulle considerazioni del
senatore Manzi a proposito della ridotta capacità di iniziativa dell'Italia
sullo scenario continentale. In tale quadro appare altresì comprensibile il
sostegno degli Stati Uniti e della NATO per la soppressione dell'UEO, restando
l'Alleanza atlantica l'unico organismo competente per la difesa europea, materia
che costituisce una componente fondamentale della nozione di sovranità.
L'oratore esprime altresì il proprio rammarico per la decisione della Germania
di rinunciare all'energia nucleare a fronte della possibile costituzione di un
discutibile ombrello protettivo russo-americano. Il senatore Biasco si associa
infine alla richiesta di chiarimenti sulla posizione dell'Italia a fronte del
consolidamento di intese bilaterali, come quelle franco-tedesca e
anglo-spagnola. Il presidente relatore BEDIN ricorda che taluni dei temi
sollevati nel dibattito potranno essere ulteriormente approfonditi nella seduta
dell'Assemblea di domani, che sarà dedicata alle prospettive del Vertice di
Feira, e cede la parola al rappresentante del Governo. Il ministro MATTIOLI,
dopo aver osservato che talune delle questioni emerse nel dibattito, come le
domande formulate dalla senatrice Squarcialupi, non attengono alle deleghe che
gli sono state conferite - in merito alle quali, quindi, potrà riferire dopo
aver consultato il Governo se la Giunta riterrà di approfondire ulteriormente
tali argomenti dopo lo svolgimento del dibattito in Senato preannunciato dal
presidente Bedin - si sofferma su taluni dei quesiti posti dai senatori
Magnalbò, Manzella e Lo Curzio. In merito alla politica del turismo il
Ministro, che non è competente per interventi specifici, sottolinea tuttavia
come abbia affermato a livello comunitario il principio che un settore talmente
importante per lo sviluppo non possa essere considerato residuale, come invece
avviene attualmente, nel quadro dei fondi strutturali. Esso potrebbe infatti
costituire una risorsa preziosa per il rilancio di aree che ricadono
nell'obiettivo 1 ovvero interessate da declino industriale o da crisi
settoriali. In relazione alle pertinenti considerazioni del senatore Manzella
sui rapporti fra Ministro degli affari esteri e Ministro delle politiche
comunitarie l'oratore precisa che il quadro normativo è ormai sufficientemente
chiaro ed assegna, come si evince anche dalle deleghe che gli sono state
conferite, un ruolo specifico al Ministro per le politiche comunitarie per
quanto attiene al coordinamento fra le Amministrazioni di settore, al raccordo
con le regioni ed alla concertazione con le forze sociali nella definizione
della posizione italiana nella fase ascendente del diritto comunitario. Spetta
invece al Ministero degli affari esteri ed alle sue strutture, nelle sedi
diplomatiche appropriate, la difesa e l'affermazione di tale posizione una volta
definita. Il Ministro per le politiche comunitarie conserva altresì una
funzione di coordinamento nella fase applicativa del diritto comunitario e, di
conseguenza, in sede precontenziosa mentre gli Uffici del Ministero degli esteri
intervengono laddove si apra formalmente il contenzioso. Dopo aver sottolineato
come la suddetta ripartizione ideale di compiti necessiti di una fase di
rodaggio nonché della collaborazione di tutte le Amministrazioni interessate,
giacché il coordinamento non costituisce una forma di sovraordinazione
gerarchica, il Ministro evidenzia come al riguardo assumano una funzione
importante anche i contatti diretti con il Ministro degli esteri. Tornando alle
considerazioni del senatore Lo Curzio sulle politiche per lo sviluppo ed il
piano Delors l'oratore sottolinea come la lungimiranza di tale piano sia stata
dimostrata dal rapporto presentato alla fine dello scorso anno dal presidente
del Consiglio D'Alema, dove si evidenziava come lo stanziamento di 20.000
miliardi per investimenti nel Mezzogiorno non avesse potuto evitare la perdita
di 22.000 posti di lavoro nei settori tradizionali, essenzialmente
manifatturieri, laddove 400.000 posti sono stati creati proprio nei settori
alternativi individuati da Delors. Di tratta appunto dei settori riconducibili
ai servizi per il tempo libero, alla difesa del suolo, alla salvaguardia
ambientale, alla gestione delle risorse idriche e di quelli ad alta intensità
tecnologica. L'enorme crescita della produttività del lavoro nei settori
tradizionali, come dimostra la sensibile riduzione del tempo necessario per
fabbricare un'auto o svolgere un'operazione finanziaria, non consente di
prevedere in tali ambiti lo sviluppo di nuova occupazione ed a malapena si
possono mantenere livelli occupazionali esistenti, mediante misure connesse
all'innovazione tecnologica, al risparmio energetico e alla riduzione -
possibilmente senza caricare di valenze ideologiche il problema - dell'orario di
lavoro. Riferendosi anche all'esperienza svolta nel precedente Governo in
qualità di Sottosegretario ai lavori pubblici, l'oratore evidenzia, ad esempio,
lo sviluppo delle attività connesse alla difesa del suolo e alla gestione delle
risorse idriche, che hanno consentito di assorbire le risorse comunitarie anche
in termini superiori agli obiettivi prefissati. Anche alla luce di tali
considerazioni il Governo intende assumere specifiche iniziative affinché il
Vertice di Feira si concluda sottolineando adeguatamente l'importanza di tali
politiche e riconoscendo l'esigenza di assegnarvi le risorse necessarie.
L'oratore conclude esprimendo la propria disponibilità ad approfondire
ulteriormente, in una nuova seduta, il documento in titolo ovvero a procedere
all'esame del programma legislativo della Commissione. Considerando l'imminente
avvio dei lavori dell'Assemblea il presidente relatore BEDIN propone di rinviare
il seguito dell'esame. Conviene la Giunta con la proposta del Presidente.
mercoledì 28 giugno 2000 216a Seduta Presidenza del Presidente BEDIN
IN SEDE REFERENTE (Doc. LXXXVII, n.7) Relazione sulla partecipazione
dell'Italia all'Unione europea (Seguito dell'esame e rinvio) Riprende l'esame
rinviato nella seduta del 15 giugno. Il presidente relatore BEDIN riepilogando i
termini del dibattito sulla relazione precedentemente esposta, sottolinea come
il documento in titolo, unitamente al programma legislativo della Commissione,
attualmente all'esame della Giunta, costituiscano degli strumenti essenziali per
consentire il coinvolgimento del Parlamento nelle scelte di fondo dell'Unione
europea. Il coinvolgimento dei Parlamenti nazionali su tali scelte appare tanto
più importante alla luce delle imminenti trasformazioni politiche ed
istituzionali che riguarderanno l'Unione nel contesto della Conferenza
intergovernativa e del processo di allargamento. In tale prospettiva tende anche
a rafforzarsi la collaborazione ed il confronto fra i Parlamenti dell'Unione e
il Parlamento europeo. L'oratore evidenzia altresì come meriti una particolare
attenzione da parte delle Camere il tendenziale rafforzamento del ruolo del
Consiglio nell'equilibrio istituzionale europeo - conseguente anche alla
designazione del rispettivo Segretario generale quale Alto rappresentante per la
politica estera e di sicurezza comune (PESC), carica che sembra configurare
taluni elementi di sovrapposizione e competizione con l'attività del
Commissario europeo preposto alle relazioni esterne- che, ove confermato,
comporterebbe una preoccupante accentuazione del carattere intergovernativo
dell'Unione rispetto ai meccanismi più propriamente comunitari. Rispetto alla
relazione esposta il Presidente ritiene utile sviluppare particolarmente il
capitolo concernente la politica estera e di sicurezza comune, anche alla luce
degli interventi della senatrice Squarcialupi e di altri senatori. In merito a
tale settore, che appare peraltro come uno dei temi più problematici
all'attenzione della Conferenza intergovernativa, dopo la decisione di Colonia
di far confluire l'UEO nell'Unione europea, si riscontra in particolare
l'esigenza di chiarire le forme di raccordo con i paesi candidati e con altri
paesi europei che, pur partecipando alla NATO, non appartengono all'Unione
europea. Per quanto concerne la politica estera la relazione rileva inoltre
l'impegno dell'Unione nell'area balcanica e sottolinea la necessità di
assicurare un'esauriente e tempestiva informazione del Parlamento sugli sviluppi
attinenti alle relazioni con un'area strategica per l'Europa quale il
Mediterraneo. Dopo aver rilevato il recepimento delle osservazioni della 5a
Commissione - che sollecita, tra l'altro, maggiore trasparenza in merito al
processo di formazione del bilancio comunitario - per quanto attiene al capitolo
su Agenda 2000, l'oratore evidenzia che, in relazione all'allargamento, viene
chiesto al Governo di esporre nei futuri documenti dei dati più accurati sui
rapporti bilaterali con ciascuno dei paesi candidati e sulla valutazione
dell'impatto economico e finanziario della loro adesione. Al tema
dell'allargamento è connesso quello dell'assistenza tecnica, campo in cui si
riscontra che tanto il Governo quanto il Parlamento potrebbero fare di più nei
rapporti con i paesi candidati. Per quanto concerne le riforme istituzionali la
relazione mette in luce la novità offerta dall'organismo chiamato a redigere un
progetto di Carta dei diritti fondamentali - che vede collaborare su un piano di
parità i rappresentanti della Commissione, dei Governi, del Parlamento europeo
e dei Parlamenti nazionali e che potrebbe costituire un valido modello anche in
occasioni future - nonché la prospettiva che tale documento possa costituire,
ove ricorrano le condizioni, l'elemento fondante di una Costituzione europea. La
relazione conclusiva recepisce anche le osservazioni della 5a Commissione
concernenti i temi della fiscalità e della coesione economica e sociale, con
riferimento, tra l'altro, all'esigenza di spostare l'asse del prelievo fiscale
dal fattore lavoro ai fattori produttivi inquinanti, di salvaguardare spazi
nazionali nelle politiche fiscali e sociali e di chiarire le finalità degli
interventi comunitari in materia sociale nonché l'esito delle trattative in
merito all'obiettivo 2. Dopo aver ravvisato la necessità di un'informazione
più accurata del Parlamento anche in relazione alle materie oggetto della
cooperazione giudiziaria e negli affari interni, il Presidente relatore
evidenzia le connessioni fra i settori della tutela dei consumatori,
dell'ambiente e dell'agricoltura a proposito della valorizzazione dei prodotti
alimentari di qualità e dello sviluppo delle trattative nell'ambito
dell'Organizzazione mondiale del commercio (OMC). La relazione, che si sofferma
anche sui temi della cultura, dell'istruzione e della ricerca, si conclude
esprimendo apprezzamento per i risultati conseguiti dall'Italia nell'attuazione
del diritto comunitario anche attraverso la realizzazione di una struttura di
monitoraggio degli adempimenti di competenza delle Amministrazioni centrali, cui
dovrebbero pervenire anche i dati in merito agli adempimenti di competenza delle
Regioni. Nel testo suddetto si propone, infine, nell'ambito della
riorganizzazione del Dipartimento per le politiche comunitarie della Presidenza
del Consiglio, l'istituzione di uno specifico Ufficio per i rapporti con il
Parlamento, che assicuri la tempestiva trasmissione alle Camere degli atti
preparatori della legislazione comunitaria e della relativa documentazione,
adempimenti che costituiscono la premessa indispensabile per l'attuazione del
protocollo allegato al Trattato di Amsterdam sul ruolo dei Parlamenti nazionali.
Il senatore MANZI osserva che, a proposito della PESC e della difesa comune,
l'Unione europea sembra trascurare i rapporti con la Russia e con gli altri
paesi dell'Europa orientale, a differenza degli Stati Uniti, che hanno proposto
il coinvolgimento del suddetto paese nella recente iniziativa sulla difesa
antimissile. Al riguardo la relazione che sarà adottata dalla Giunta dovrebbe
evidenziare i rischi che potrebbero derivare - come ha dimostrato l'esperienza
dei Balcani - dal perdurare di un siffatto atteggiamento. Il presidente relatore
BEDIN rileva che lo schema di relazione esposto già richiama le strategie
comuni adottate dal Consiglio europeo a proposito della Russia e dell'Ucraina
proprio per evitare il sorgere in tali paesi di una sensazione di isolamento.
Ricordando però che a questo tema è stata in parte dedicata la Conferenza
degli organismi specializzati negli affari comunitari (COSAC), che si è tenuta
lo scorso anno ad Helsinki, l'oratore dichiara che le considerazioni del
senatore Manzi potrebbero costituire oggetto di arricchimento della relazione
della Giunta. Il senatore LO CURZIO sottolinea il proprio apprezzamento per la
relazione illustrata dal presidente Bedin, sia sotto il profilo politico che per
la completezza dei dati, ed osserva tuttavia l'esigenza di segnalare
l'inadeguatezza delle risorse disposte da Agenda 2000 rispetto all'obiettivo di
uno sviluppo omogeneo delle infrastrutture sul territorio nazionale ed europeo.
Al riguardo il ponte dello stretto di Messina non dovrebbe più essere
considerato come un'opera di collegamento fra la Calabria e la Sicilia bensì
quale componente essenziale delle comunicazioni fra l'Europa e il Mediterraneo.
L'oratore dichiara inoltre il proprio convinto sostegno al processo di
allargamento in quanto ritiene che i benefici saranno superiori ai problemi di
concorrenza, soprattutto nel campo agricolo. Un'Europa allargata potrà infatti
confrontarsi più adeguatamente con altri partner di dimensione continentale,
quali gli Stati Uniti, sulla scena mondiale e, quindi, alla lunga, il processo
di ampliamento costituirà anche una crescita qualitativa. Dopo essersi
espresso, a proposito delle riforme istituzionali, in favore
dell'incompatibilità fra mandato parlamentare europeo e nazionale e per
l'adozione di un sistema elettorale che consenta la rappresentanza dei piccoli
partiti senza obbligare necessariamente tali formazioni ad aderire a più ampie
coalizioni, il senatore Lo Curzio rileva i deludenti progressi conseguiti nel
campo della politica estera e di difesa, come si evince dall'esperienza dei
Balcani. In materia agricola l'oratore sottolinea infine l'esigenza di tutelare
più adeguatamente prodotti tipici come quelli italiani, che non possono essere
assimilati a prodotti europei e mediterranei. Il presidente relatore BEDIN
dichiara la propria disponibilità ad integrare la relazione esposta con le
considerazioni del senatore Lo Curzio sottolineando, in particolare, l'esigenza
di applicare a talune regioni italiane, che possono essere considerate
transfrontaliere rispetto ad altre regioni euromediterranee, misure analoghe a
quelle di cui attualmente beneficiano le regioni transfrontaliere dell'Unione
europea. Al riguardo emerge già una certa disponibilità politica da parte
delle istituzioni comunitarie, che deve però essere tradotta in specifiche
disposizioni normative. Circa il condivisibile richiamo alla tutela dei prodotti
tipici, l'oratore evidenzia altresì come l'Unione europea abbia già preso
posizione in tal senso. Il senatore MAGNALBO', dopo aver espresso apprezzamento
per la relazione presentata dal Presidente, sottolinea l'opportunità di
introdurvi dei riferimenti specifici, a proposito dell'istituenda Carta dei
diritti fondamentali, all'esigenza di tutelare i cosiddetti diritti di nuova
generazione - che emergono soprattutto nei campi interessati all'innovazione
tecnologica - come la Giunta ha avuto modo di riscontrare nel corso
dell'indagine conoscitiva svolta sull'argomento. Anche il senatore BETTAMIO
esprime apprezzamento per la relazione e rileva come i deludenti progressi sul
versante delle riforme istituzionali, dove appare lontana la realizzazione di un
vero governo europeo dell'economia, a fronte dell'accelerazione del processo
d'integrazione economica e finanziaria, inducano a ritenere che prevalga una
visione dell'Europa quale mera area di libero scambio. Al riguardo l'oratore
sottolinea la necessità di raccomandare un forte impegno dell'Italia per dare
rinnovato impulso al processo di integrazione politica. Replicando al senatore
Manzi l'oratore osserva altresì come il debole sviluppo della PESC sia
riscontrabile dal fatto che i paesi dell'Europa centrale ed orientale rivolgono
essenzialmente all'Europa richieste di assistenza economica e finanziaria. Su
proposta del presidente relatore BEDIN, che dichiara di accogliere le
osservazioni dei senatori Magnalbo' e Bettamio - le cui considerazioni, in
particolare, potrebbero costituire l'oggetto del paragrafo iniziale del
documento conclusivo della Giunta - il seguito dell'esame è quindi rinviato.
giovedì 29 giugno 2000 217a Seduta Presidenza del Presidente BEDIN
IN SEDE REFERENTE (Doc. LXXXVII, n.7) Relazione sulla partecipazione
dell'Italia all'Unione europea (Seguito dell'esame e sospensione) Riprende
l'esame rinviato nella seduta di ieri. Il presidente relatore BEDIN illustra le
ulteriori modificazioni introdotte nella relazione della Giunta sul documento in
titolo in considerazione del dibattito che si è svolto nella precedente seduta.
Il primo paragrafo del primo capitolo, in particolare, è stato integrato con un
periodo volto ad evidenziare, come proposto dal senatore Bettamio, le
preoccupazioni della Giunta per il rischio che prevalga nell'Unione una visione
dell'Europa quale mera area di libero scambio come conseguenza dei deludenti
progressi sul versante delle riforme istituzionali. Al riguardo si raccomanda,
pertanto, un forte impegno del Governo per dare rinnovato impulso al processo
d'integrazione politica. All'ultimo paragrafo del terzo capitolo, concernente le
riforme istituzionali, tenendo conto delle osservazioni del senatore Magnalbò,
è stata introdotta una frase che, ricordando l'indagine conoscitiva svolta
congiuntamente con la XIV Commissione della Camera, evidenzia l'esigenza di
tutelare i cosiddetti diritti di nuova generazione, che si manifestano in
conseguenza di fenomeni quali lo sviluppo delle biotecnologie e delle tecnologie
dell'informazione e la scoperta di nuovi fattori di pericolo per la salute umana
e l'equilibrio ecologico. Il capitolo 5, dedicato alla politica estera e di
sicurezza comune (PESC), è stato integrato, al sesto paragrafo, per
sottolineare, come proposto dal senatore Manzi, l'esigenza di rafforzare,
contestualmente allo sviluppo degli strumenti di politica estera e di difesa
dell'Unione, i legami di cooperazione con i paesi dell'Europa centrale ed
orientale, onde prevenire il rischio che nei paesi che non sono ancora candidati
all'adesione emerga una sensazione di isolamento e emarginazione. Il capitolo 9,
concernente l'agricoltura, è stato arricchito, al terzo ed al quarto paragrafo,
di alcune considerazioni emerse nel parere espresso dalla Commissione
agricoltura, che sollecita una ripresa dei negoziati nell'ambito
dell'Organizzazione mondiale del Commercio (OMC), auspicando che continuino ad
essere perseguiti dall'Unione un riequilibrio dei prodotti mediterranei e la
tutela dei prodotti tipici, ed evidenzia l'esigenza di tener conto delle imprese
del settore agricolo allargato nel quadro delle agevolazioni comunitarie
previste per le piccole e medie imprese. Alla fine del capitolo 13, concernente
l'occupazione e la coesione economica e sociale, è stato aggiunto un nuovo
paragrafo che, come proposto dal senatore Lo Curzio, rileva l'inadeguatezza
delle risorse disposte dai fondi strutturali rispetto all'obiettivo di uno
sviluppo omogeneo delle infrastrutture e la persistenza dei problemi di
coordinamento fra le politiche dei trasporti nazionale ed europea. Al riguardo
si sollecita altresì l'inclusione di talune grandi opere, quali lo stesso ponte
sullo Stretto di Messina, nel quadro della più ampie strategie europee e
mediterranee nell'ambito delle grandi reti nonché l'estensione alle regioni
italiane prospicienti altri paesi del Mediterraneo dei benefici già concessi
alle regioni intracomunitarie dell'Unione europea. Il senatore MANZI propone una
formulazione più generale del suddetto paragrafo in quanto, nel corso di
un'audizione in Senato, il Ministro Nesi ha precisato che non è stata ancora
assunta una posizione ufficiale in merito alla questione, che si trascina ormai
da decenni, del ponte sullo Stretto di Messina. Il senatore MUNGARI condivide
invece il richiamo esplicito al ponte sullo Stretto di Messina, trattandosi di
un'opera oggetto di intese intercorse fra le regioni Calabria e Sicilia e di
indubbio interesse per l'Europa. Il senatore PAPPALARDO rileva l'esigenza di
porre una distinzione fra le grandi vie di comunicazione europee e altre grandi
opere, quali il ponte sul Tago, che il Portogallo ha realizzato senza avvalersi
degli aiuti comunitari. Il presidente relatore BEDIN conviene, infine,
sull'opportunità di una formulazione che, onde evitare discriminazioni, non
ponga richiami ad opere specifiche. In relazione allo stesso paragrafo il
senatore BETTAMIO osserva come non esista tanto un problema di inadeguatezza dei
fondi strutturali quanto quello della loro effettiva utilizzazione, per la quale
è necessario redigere il documento di programmazione unico. Il senatore
PAPPALARDO rileva che, prima di Agenda 2000, si sono effettivamente riscontrate
delle difficoltà nel destinare le risorse stanziate dai fondi strutturali alla
realizzazione di infrastrutture. Il presidente relatore BEDIN conviene,
pertanto, sull'opportunità di sostituire, nel citato paragrafo le parole
"la Giunta rileva tuttavia l'inadeguatezza delle risorse disposte dai fondi
strutturali" con le parole "la Giunta sottolinea l'importanza delle
risorse disposte dai fondi strutturali". Il seguito dell'esame è quindi
sospeso.
IN SEDE REFERENTE (Doc. LXXXVII, n.7) Relazione sulla partecipazione
dell'Italia all'Unione europea (Ripresa dell'esame e conclusione) Riprende
l'esame dianzi sospeso. Su proposta del presidente relatore BEDIN, verificata la
presenza del numero legale, la Giunta approva all'unanimità la relazione
esposta sul documento in titolo con le modificazioni introdotte nel corso del
dibattito.
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