V Commissione - Resoconto di marted́ 18 luglio 2006


Pag. 47

SEDE CONSULTIVA

Martedì 18 luglio 2006. - Presidenza del presidente Lino DUILIO. - Interviene il sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze Mario Lettieri.

La seduta comincia alle 11.15.

Partecipazione italiana alle missioni internazionali.
C. 1288-A Governo ed emendamenti.
(Parere all'Assemblea).
(Rinvio dell'esame).

Lino DUILIO, presidente, avverte che nella seduta di oggi non si procederà all'esame del Testo A e degli emendamenti riferiti al disegno di legge n. 1288, recante la partecipazione italiana alle missioni internazionali, alla luce delle deliberazioni adottate nella riunione dei presidenti di gruppi svoltasi ieri. In tal riunione si è infatti deciso di rinviare l'esame in Assemblea degli emendamenti riferiti al provvedimento alla seduta di domani. Conseguentemente, rinvia a domani la seduta in sede consultiva già prevista per la giornata odierna.

Legge comunitaria 2006.
C. 1042 Governo.
(Parere alla XIV Commissione).
(Esame e conclusione - Parere favorevole).

La Commissione inizia l'esame degli emendamenti al provvedimento.

Lino DUILIO, presidente, rilevato l'impedimento del relatore del provvedimento, ricorda che in data 17 luglio 2006 la Commissione politiche dell'Unione europea ha trasmesso l'emendamento 1.33 e gli articoli aggiuntivi 6.01 e 6.02 presentati dal relatore al disegno di legge C. 1042, recante disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europea - legge comunitaria per il 2006. In particolare, l'emendamento 1.33, dispone che


Pag. 48

la procedura di cui al comma 4, dell'articolo 1, si applichi obbligatoriamente agli schemi dei decreti legislativi recanti attuazione delle direttive 2005/14/CE, 2005/32/CE, 2005/33/CE, 2005/35/CE, 2005/47/CE, 2005/55/CE, 2005/56/CE, 2005/61/CE, 2005/62/CE, 2005/65/CE, 2005/71/CE, 2005/81/CE, 2005/85/CE e 2005/94/CE. A tale proposito, rileva che l'emendamento recepisce una delle condizioni, formulate ai sensi dell'articolo 81, quarto comma, della Costituzione, inserite nel parere espresso dalla Commissione bilancio nella seduta del 6 luglio 2006. Sottolinea che l'articolo 1, comma 4, prevede che gli schemi dei decreti legislativi di attuazione delle direttive che comportano oneri finanziari debbono essere corredati dalla relazione tecnica e trasmessi, per il parere, anche alle commissioni competenti per i profili finanziari.
Rispetto alla condizione inserita nel parere espresso dalla Commissione bilancio, verrebbe meno il riferimento alla direttiva 2004/37/CE, sulla protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da una esposizione ad agenti cancerogeni. Al riguardo, ritiene opportuno che il Governo si pronunci circa il fatto se il mancato inserimento della direttiva discenda dal fatto che i relativi contenuti risultano sostanzialmente già recepiti nella vigente disciplina in materia per cui si tratterebbe unicamente di consolidare la normativa esistente. In altri termini, dal recepimento, non dovrebbe derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. In caso di una conferma in tal senso, potrebbe consentirsi sulla mancata inclusione della direttiva tra quelle per le quali dovrebbe applicarsi necessariamente le disposizioni di cui al comma 4 dell'articolo 1.
L'articolo aggiuntivo 6.01 appare recepire, ampliandone il campo di applicazione, un'altra condizione, formulata ai sensi dell'articolo 81, quarto comma, della Costituzione, dalla Commissione bilancio nella predetta seduta del 6 luglio.
La condizione della Commissione era sostanzialmente diretta a individuare una procedura idonea a consentire al Parlamento di conoscere e monitorare lo stato del contenzioso dinnanzi alle autorità comunitarie, con particolare riguardo alle procedure di infrazione suscettibili di determinare conseguenze a carico della finanza pubblica.
L'articolo aggiuntivo riprende i contenuti della condizione, allo stesso tempo ampliando l'ambito dei profili oggetto di informazione al Parlamento da parte del Governo. Trattandosi di una integrazione che non fa comunque venire meno la finalità di presidio della finanza pubblica cui la condizione formulata dalla Commissione bilancio era volta, l'articolo aggiuntivo può essere valutato positivamente.
Infine, l'articolo aggiuntivo 6.02 appare recepire pressoché interamente, salvo una diversa cadenza temporale, i contenuti di un'altra condizione formulata, ai sensi dell'articolo 81, quarto comma, della Costituzione, dalla Commissione bilancio, volta a prevedere la trasmissione di informazioni al Parlamento sull'andamento dei flussi finanziari tra l'Italia e l'Unione europea, anche con riferimento allo stato di utilizzo delle risorse erogate dal bilancio dell'Unione europea in relazione agli enti competenti e alle aree geografiche interessate.
Anche in questo caso si trattava di una informazione volta a garantire una più puntuale conoscenza, da parte del Parlamento, su profili di carattere finanziario.
Sottolinea, in conclusione, la propria soddisfazione in relazione al recepimento da parte della Commissione di merito degli emendamenti proposti dalla Commissione bilancio.

Il sottosegretario Mario LETTIERI, confermando l'interpretazione fornita con riferimento alla direttiva 2004/37/CE dal presidente Duilio, conferma che non vi sono oneri aggiuntivi derivanti dall'attuazione della stessa. Si dichiara soddisfatto in relazione alla circostanza che il relatore della Commissione di merito ha in sostanza fatto propri gli emendamenti proposti dalla Commissione bilancio.


Pag. 49

Lino DUILIO, presidente, formula la seguente proposta di parere:

«La V Commissione bilancio, tesoro e programmazione, esaminati gli emendamenti in oggetto,
esprime

PARERE FAVOREVOLE».

La Commissione approva la proposta di parere.

La seduta termina alle 11.25.

SEDE REFERENTE

Martedì 18 luglio 2006. - Presidenza del presidente Lino DUILIO. - Interviene il sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze Mario Lettieri.

La seduta comincia alle 11.25.

Documento di programmazione economico-finanziaria relativo alla manovra di finanza pubblica per gli anni 2009-2011.
Doc. LVII, n. 1.
(Esame, ai sensi dell'articolo 118-bis del regolamento, e rinvio).

La Commissione inizia l'esame del documento di programmazione economico-finanziaria relativo alla manovra di finanza pubblica per gli anni 2009-2011.

Michele VENTURA (Ulivo), relatore, ricorda che con l'odierna seduta si inizia l'esame in sede referente del DPEF che prende a riferimento un arco temporale ampio, che arriva fino al 2011.
Osserva che il Dpef quest'anno è infatti quinquennale, un vero e proprio manifesto economico di legislatura. Insieme al DL n. 223 delinea la politica economica del Governo Prodi.
Rileva che il Governo ha trasmesso un documento chiaro ed argomentato come non accadeva da anni. Realistico nei dati e nelle analisi, un documento che traccia il quadro di un paese reale che deve affrontare molte difficoltà ma che con spirito unitario ce la può fare.
Le politiche delineate sono quelle necessarie per il rilancio del sistema-paese. Sono fissati gli obiettivi di medio periodo non solo economici, ma anche di qualità sociale ed ambientale. Il Dpef individua le strategie per tornare a crescere, per riposizionare il nostro paese nel mutato quadro europeo e globale.
La portata riformista del Dpef 2007-2011 è ambiziosa. Il Governo intende operare lungo tre direttrici: crescita, risanamento dei conti, equità sociale e territoriale, che sono tra di loro sinergiche.
La politica dei due tempi (prima i sacrifici e poi le riforme) è del tutto superata, risanamento ed equità devono camminare insieme, non solo per creare il necessario consenso ma anche per la stessa efficacia del programma economico del governo.
Segnala che tutte le misure descritte sono di natura strutturale: i problemi non si possono più rinviare. Esse si ispirano all'impianto dell'Agenda di Lisbona. L'Italia, come fu per l'adesione alla moneta unica europea, possiede le energie e le risorse umane per poter affrontare e vincere questa sfida ripristinando la coesione nazionale sulla base della giustizia sociale e valorizzando, in particolare, le potenzialità dei giovani e delle donne a cui sono dedicati molti dei provvedimenti in programma.
Altro elemento decisivo è quello metodologico. Si ritorna alla concertazione con le parti sociali ed i territori. I sacrifici dovranno avere precise contropartite nelle riforme settoriali ed essere preceduti da misure di equità fiscale. Rileva che non ci saranno solo tagli, ma si opererà con la razionalizzazione e la riforma della spesa e delle strutture delle pubbliche amministrazioni riqualificando la funzione della sfera pubblica. Il rapporto con le autonomie locali sarà collaborativo e non più ispirato ad una logica conflittuale.
Osserva che non spetta al DPEF elencare puntualmente e dettagliatamente le


Pag. 50

singole misure che saranno adottate nel prosieguo della legislatura così come nell'ambito della prossima manovra finanziaria. L'esame del DPEF non deve sovrapporsi alla sessione di bilancio, non ne costituisce un'anticipazione, che sarebbe del tutto impropria, quanto piuttosto la premessa in quanto volto a indicare la direzione che si intende intraprendere.
L'avvio dell'esame è stato preceduto, come di consueto, da un ciclo di audizioni svolto congiuntamente con l'omologa Commissione del Senato. Le audizioni hanno consentito di acquisire utili elementi di valutazione e di giudizio. Non può tuttavia nascondersi l'impressione di una certa ritualità che va scapito della proficuità di un appuntamento, qual è appunto l'esame del DPEF, che dovrebbe invece assumere importanza centrale nel confronto sulle grandi problematiche connesse alla politica economica e finanziaria.
In questa occasione è stato possibile sperimentare soltanto in misura assai limitata qualche innovazione nell'organizzazione delle audizioni. In futuro, ed eventualmente già in occasione della prossima sessione di bilancio, si potrà procedere con più decisione in modo da valorizzare una fase, quella delle audizioni, che non risponde soltanto ad esigenze di istruttoria, ma costituisce anche un'occasione esemplare di apertura e di dialogo, all'interno del Parlamento, con le diverse organizzazioni rappresentative del mondo economico e sociale.
Rileva che il Parlamento deve saper approfittare dell'indiscutibile vantaggio di essere la sede istituzionale più aperta al confronto con le più varie espressioni organizzate della società civile, in cui le diverse istanze possono, anche per la flessibilità delle procedure, concorrere proficuamente al processo decisionale.
Per questo motivo, tutte le innovazioni utili allo scopo, soprattutto quando si tratti di argomenti di interesse generale, come nel caso del DPEF che riguarda le prospettive economiche e finanziarie, devono essere sperimentate senza pregiudizi.
In questo modo si riuscirà a rivitalizzare l'esame del DPEF al quale il legislatore intendeva appunto attribuire la funzione di catalizzatore di una discussione a largo spettro in cui si intersecano le problematiche relative alla finanza pubblica con quelle che riguardano l'economia reale. Un'occasione per affrontare in termini complessivi e generali questioni che rischiano altrimenti di essere discusse in termini frammentari, per la difficoltà tipica del nostro paese di ragionare secondo una logica di programmazione coerente e organica.
L'utilità di una occasione come quella dell'esame del DPEF risulta rafforzata nell'attuale situazione in cui la consapevolezza che il paese si trova davanti alla necessità di affrontare con coraggio i nodi e gli aspetti più critici che l'hanno condotto in una condizione di grave difficoltà costituisce un dato che accomuna indifferentemente tutte le forze politiche, sia di maggioranza che di opposizione. La crisi del sistema italiano è un dato su cui convengono, oltre che le analisi degli studiosi e degli esperti, anche le organizzazioni rappresentative del sistema produttivo e quelle sindacali.
È altrettanto diffusa la volontà di non accettare passivamente la prospettiva di progressivo deterioramento della situazione e di non subire inerzialmente la tendenza al ridimensionamento del tasso di crescita, il cui esito ultimo non potrebbe che essere la progressiva marginalizzazione del nostro paese.
Il ragionamento non può partire che dagli elementi di criticità del nostro sistema-paese: calo della produttività e della competitività; difficoltà dei nostri conti pubblici; aumento delle disparità sociali.
L'Italia continua a perdere competitività, la quota delle nostre esportazioni sul commercio mondiale si è ridotta ed è adesso di circa un punto più bassa che un decennio fa. Anche la crescita dell'occupazione sembra entrare in una fase di decelerazione. Il Mezzogiorno è tornato dopo 7 anni a crescere meno del resto del paese. A determinare tale rallentamento anche la forte riduzione del tasso di crescita dei consumi interni dovuta al decremento dei redditi delle classi popolari.


Pag. 51


L'Italia è il malato d'Europa. Negli ultimi cinque anni la produttività in Germania è aumentata del 10 per cento, in Francia del 12 per cento; in Italia è diminuita di quasi un punto e mezzo.
L'euro non è dunque la ragione del declino. Anzi, l'adozione dell'euro ha eliminato alcuni fattori distorti di crescita, come le svalutazioni.
La condizione dei conti pubblici è considerata, per alcuni aspetti, peggiore rispetto a quella del 1992, l'anno più drammatico dell'evoluzione dell'economia italiana e dei conti pubblici. Infatti nel 1992 l'avanzo primario era pari all'1,8 per cento del Pil, nel 2006 sarà pari allo 0,5 per cento del Pil; il rapporto debito/pil era più basso (105,2 per cento) di quanto sarà alla fine del 2006 (107,7 per cento).
È sulla base dei dati relativi al 2005 che sono stati assunti gli impegni europei nel quadro della procedura di deficit eccessivi che si è aperta l'estate scorsa. Per effetto di quella procedura l'Italia ha negoziato con l'Unione europea un piano di rientro i cui elementi essenziali sono: un indebitamento netto al di sotto del 4 per cento nel 2006 e del 3 per cento nel 2007; una correzione dei conti strutturale di almeno 1,6 punti percentuali di Pil nel biennio 2006-2007; un rapporto debito/pil in diminuzione in modo sufficiente, e in avvicinamento al livello di riferimento (60 per cento del Pil) ad una velocità soddisfacente.
Con riguardo all'aumento delle disuguaglianze, sottolinea il peso delle rendite e l'enorme redistribuzione alla rovescia del reddito e della ricchezza realizzatasi nell'ultimo ventennio a detrimento del lavoro dipendente.
Osserva che l'Italia è diventata «una Repubblica basata sul patrimonio», più che sul lavoro.
La quota di reddito nazionale che va al lavoro si è ridotta negli ultimi 20 anni dal 50 al 40 per cento e quella della rendita è aumentata dal 20 al 30 per cento, con i profitti oscillanti in maniera pressoché costante intorno al 30 per cento.
Rispetto alla metà degli anni '90 la manovra correttiva è più difficile in quanto potrà utilizzare in misura minore il volano delle privatizzazioni e perchè i tassi di interesse - sia pure lentamente - stanno risalendo. Indispensabile, dunque, intervenire strutturalmente, ma con equità, sulla spesa.
Il documento all'esame della Commissione prende le mosse da questa consapevolezza.
Esso indica chiaramente la necessità di denunciare i fattori che hanno determinato le condizioni di difficoltà dell'economia italiana e l'esigenza di porvi mano, di reagire con coraggio e determinazione.
L'obiettivo deve essere quello di ritrovare la strada di una più solida crescita dell'economia. Questo può avvenire soltanto se si perverrà ad un consistente rilancio della capacità del sistema produttivo di confrontarsi sui mercati internazionali offrendo prodotti nuovi e a più elevato valore aggiunto a costi concorrenziali.
Il sistema produttivo italiano è sottoposto ad una pressione fortissima derivante, in primo luogo, dall'irruzione di concorrenti che possono avvalersi di costi di produzione incomparabilmente inferiori. L'industria italiana registra, infatti, a differenza di quelle tedesche o francesi, una prevalenza nella specializzazione in comparti a minore contenuto tecnologico ed a più basso valore aggiunto, nei quali è più agevole l'ingresso di nuovi competitori.
La stessa limitata dimensione media delle imprese italiane non favorisce la realizzazione di quegli investimenti in tecnologie avanzate indispensabili per conseguire più elevati livelli di produttività. Si è almeno in parte perduta la capacità, che in passato era stata uno dei punti di forza del modello di sviluppo italiano, di innovare, di compensare grazie al diffuso spirito di iniziativa e alla capacità creativa, l'assenza di materie prime.
A ciò si aggiunge la persistente difficoltà del comparto bancario a garantire sbocchi pienamente soddisfacenti, in termini di prospettive di investimento, al risparmio che tuttora si realizza in misura massiccia nel nostro paese. Questa difficoltà costituisce soltanto una delle forme


Pag. 52

attraverso le quali si manifesta la non sufficiente capacità del mercato di conseguire adeguati livelli di incontro tra offerta e domanda.
Tale limite costituisce, d'altra parte, uno dei fattori storicamente all'origine di una spesa pubblica di ingenti dimensioni, qual è quella che caratterizza il Paese. La difficoltà di governare gli andamenti della spesa non discende soltanto dall'effetto di fenomeni inerziali. Accanto ad essi non deve essere trascurato quel ruolo di supplenza che troppo spesso la mano pubblica è stata costretta a svolgere nel nostro Paese.
Si è innescato, con il tempo, una sorta di circolo vizioso in cui aumenta la difficoltà del settore privato a crescere e rafforzarsi non soltanto dal punto di vista patrimoniale ma anche e soprattutto nella capacità di competere in un'economia globalizzata e, allo stesso tempo, si accentua la rigidità della spesa pubblica, con conseguente difficoltà di incidere sulla sua composizione in modo da privilegiare le destinazioni in grado di produrre effetti virtuosi sull'economia.
La sensazione di uno stallo, di una condizione di sostanziale paralisi dell'economia italiana è chiaramente manifestata nei comportamenti dei consumatori che non registrano ancora, a differenza di quanto accade anche in altri paesi europei, quella marcata inversione di tendenza che può favorire una chiara inversione del ciclo. Né si registra una forte ripresa degli investimenti, tale da sostenere adeguatamente la domanda complessiva.
Osserva che il documento in esame manifesta una chiara consapevolezza del fatto che è questo il tema centrale che il paese è chiamato ad affrontare e che una soluzione dei problemi che ne discendono non può che richiedere la contestuale attivazione di più strumenti di intervento e il coinvolgimento dei diversi attori interessati, a partire dalle forze sociali.
La serietà dell'impostazione può chiaramente dedursi dalla chiarezza con la quale si afferma che se il governo dell'economia e l'inversione degli andamenti tendenziali non sono certo nella piena disponibilità delle istituzioni governative e delle decisioni che esse possono assumere, non potrebbe tuttavia ammettersi un comportamento passivo che rinunci ad attivare gli strumenti a disposizione della politica economica.
Vengono quindi chiaramente indicate le leve cui si intende fare ricorso che possono riassumersi:
a) nella realizzazione di riforme a «costo zero» volte ad aumentare la crescita potenziale dell'economia, in primo luogo attraverso la promozione della concorrenza;
b) nella conduzione di una coerente politica di contenimento della spesa pubblica, senza trascurare i fattori che ne sono all'origine e che ne determinano gli andamenti;
c) nella realizzazione di una politica tributaria ispirata ad una più equa distribuzione del carico fiscale e ad una più efficace lotta all'evasione.

Osserva che il Documento riassume efficacemente questi obiettivi nell'enfasi posta sulla necessità di affrontare coerentemente e contestualmente i temi dello sviluppo, del risanamento e dell'equità.
Il recupero di più elevati tassi di crescita può infatti realizzarsi anche attraverso una più equa distribuzione delle risorse e, in ogni caso, deve servire per correggere gli squilibri che su questo terreno si sono fatti più marcati negli ultimi anni.
I dati ufficiali dimostrano che si è verificato un non irrilevante trasferimento della ricchezza ai danni dei percettori di redditi fissi. Uno sviluppo più equo può evitare di innescare tensioni e conflittualità sociali e ridurre l'area della precarietà.
Allo stesso tempo, l'obiettivo del risanamento è strettamente intrecciato a quello dello sviluppo, in primo luogo perché le correzioni da apportare agli andamenti critici della finanza pubblica dovranno essere realizzate in modo da non deprimere le già limitate prospettive di crescita dell'economia e, in secondo


Pag. 53

luogo, perché l'onere di concorrere al risanamento della finanza pubblica deve essere ripartito tra le diverse componenti sociali in maniera da incrementare il reddito disponibile delle fasce di popolazione meno abbienti. Lo sviluppo va, infatti, inteso anche in termini qualitativi oltre che quantitativi.
Si tratta di un obiettivo non facile da perseguire che non può essere realizzato con ricette miracolistiche ma che richiede un impegno serio e duraturo nel tempo.
Quanto allo sviluppo, il documento segnala la necessità di garantire più elevati tassi di crescita della produttività. Ciò può avvenire, più ancora che realizzando massicci investimenti in capitali fissi, privilegiando il rafforzamento del capitale umano attraverso il contributo che può assicurare l'economia della conoscenza che costituisce la frontiera sulla quale si debbono attestare i paesi più avanzati per i quali si pone inevitabilmente il problema di fronteggiare la fase di maturità di alcuni comparti industriali.
Quanto al risanamento, il Documento giustamente pone l'accento sulla necessità di una politica finanziaria stabile e coerente nel tempo.
Il risanamento non può realizzarsi nel brevissimo termine ma richiede comportamenti coerenti che consentano ai mercati, agli investitori istituzionali, alle autorità comunitarie ma soprattutto ai cittadini italiani di percepire in maniera inequivoca l'affidabilità e la prevedibilità delle politiche di bilancio.
Il quadro programmatico mantiene invariato il calendario degli impegni presi con l'Unione Europea. Il Governo si riserva però di valutare con più precisione il percorso di rientro in relazione al profilo temporale degli effetti strutturali delle misure che verranno effettivamente adottate.
La chiarezza degli obiettivi e la coerenza dei comportamenti sono i presupposti imprescindibili per politiche finanziarie credibili e affidabili. L'alternarsi di messaggi contraddittori, con la prevalenza, a seconda delle circostanze, di segnali esageratamente ottimistici ovvero di improvvise drammatizzazioni, che ha contraddistinto la scorsa legislatura, ha arrecato un grave pregiudizio alla reputazione del Paese, alimentando sospetti e critiche.
È apparsa evidentemente assai ingenua la convinzione per cui la ripetizione quasi ossessiva di messaggi che si volevano tranquillizzanti per cui «tutto andava bene», avrebbe risolto i problemi e sarebbe stata di per sé sufficiente ad innescare aspettative di ripresa. Salvo scoprire che il Paese si era avviato in una spirale assai preoccupante, con un costante rallentamento della crescita e la conseguente crescente difficoltà di rimettere a posto i conti pubblici.
L'esperienza degli anni scorsi rappresenta, da questo punto di vista, un caso di scuola della tesi per cui politiche inefficaci o percepite come scarsamente coerenti sul versante del risanamento non forniscono alcun aiuto allo sviluppo ma anzi inducono gli attori economici alla paralisi, a differire le scelte di consumo e di investimento nel timore che l'aggravamento delle condizioni finanziarie costringa, in ultima istanza, a dolorose e improvvise correzioni, con effetti depressivi sia sulla domanda che sull'offerta.
Ritiene quindi preferibile rappresentare con la massima onestà intellettuale all'opinione pubblica la serietà della situazione e delineare un percorso coerente e sostenibile di risanamento. Questo approccio non è doveroso soltanto in relazione agli obblighi derivanti dalla partecipazione all'UEM ma soprattutto nei confronti dei cittadini italiani che devono trovare nel Governo un riferimento affidabile.
Insomma, l'incoerenza e il continuo cambiamento di direzione non sono fattori positivi, e comunque sono tutt'altra cosa rispetto alla flessibilità e alla capacità di adattamento che devono caratterizzare la politica economica in modo da consentirle di rispondere agli input e di svolgere, entro una certa misura, anche una funzione anticiclica.
È ovvio che non si intende addebitare a quanto è avvenuto nella precedente Legislatura l'esclusiva responsabilità della situazione in cui il Paese si trova.


Pag. 54


Vi sono problemi di carattere strutturale, in parte comuni a tutti i maggiori paesi europei, in parte riconducibili alle caratteristiche proprie del sistema produttivo italiano.
Tra i dati comuni, vi è sicuramente la difficoltà di aggiornare il modello sociale europeo alla luce delle evoluzioni demografiche e in relazione ai vincoli e alle compatibilità finanziarie.
La cosiddetta Strategia di Lisbona e i limitati risultati fino ad ora raggiunti in proposito sono a questo riguardo eloquenti.
Costituiscono problemi tipicamente italiani il più basso livello di attività; la prevalenza di imprese di piccola dimensione, più esposte alla concorrenza dell'economia globalizzata; la debolezza e la parziale inefficienza della infrastrutturazione, sia mobile che immobile, ivi comprese le amministrazioni pubbliche; il peso costituito dalla rendite assicurate da un sistema a forte valenza corporativa, con difese e barriere all'ingresso, che sottrae risorse agli investimenti e all'innovazione.
La responsabilità del precedente Governo è piuttosto quella di non aver voluto affrontare questi temi, di aver coltivato l'idea, rivelatasi del tutto illusoria, che un generico ottimismo fosse sufficiente a risolvere problemi che avrebbero invece richiesto politiche coraggiose.
Il timore dell'impopolarità ha costretto il Governo precedente alla sostanziale inerzia.
Per quanto riguarda la finanza pubblica, osserva che non vi è stata una seria politica della spesa ma la sperimentazione di misure spesso contraddittorie e comunque poco ragionate, con l'attivazione di automatismi che, non toccando i fattori determinanti della spesa, hanno raramente prodotto i risultati attesi.
Il DPEF afferma che il contenimento del disavanzo tendenziale interesserà necessariamente anche il lato della spesa e consisterà di provvedimenti di carattere strutturale, inquadrati in articolati disegni di riforma, che interverranno sui quattro grandi comparti della spesa pubblica (pubblico impiego, previdenza, sanità, finanza territoriale).
Per quanto concerne la finanza decentrata, segnala la previsione di tornare alla definizione di limiti sui saldi ai fini del rispetto del Patto di stabilità interno, anziché dei tetti di spesa che hanno fortemente compresso i margini di flessibilità a disposizione degli enti territoriali nella gestione del bilancio, in palese contrasto con l'ampliamento dell'autonomia finanziaria sancita dall'articolo 119 della Costituzione.
Per quanto riguarda l'economia privata, il Documento afferma con molta onestà che non è nella disponibilità delle istituzioni pubbliche la possibilità di decidere da sole una inversione di tendenza ma, piuttosto, di creare le condizioni favorevoli alla crescita, posto che spetta alle parti sociali, alle imprese e alle famiglie, cogliere le opportunità che possono essere garantite da mercati più aperti e concorrenziali, da una regolazione più efficace, da una fiscalità equilibrata e razionale nel riparto del carico.
Il Documento si pone obiettivi tutt'altro che asfittici. È evidente che l'obiettivo di una politica economica che promuova la concorrenza e punti ad aumentare il tasso di crescita potenziale dell'economia può incontrare forti resistenze, come dimostra la cronaca di questi giorni con riferimento al provvedimento d'urgenza all'esame del Senato.
D'altra parte, proprio l'assenza di una chiara e coerente politica nello scorso quinquennio costringe l'attuale maggioranza e il Governo a farsi carico di decisioni difficili ma necessarie.
Una seria politica di promozione della concorrenza risponde soltanto all'obiettivo di tutelare più efficacemente i consumatori e di offrire più ampi spazi di azione alle imprese innovative ovvero a quelle di più recente creazione che attualmente scontano, nel momento in cui si affacciano sul mercato, le difficoltà di far fronte ad assetti molto rigidi che consentono limitati spazi di azione e di sviluppo.


Pag. 55


Si tratta soprattutto di assicurare un miglioramento dell'efficienza dei servizi resi e promuovere una riduzione dei prezzi anche se ciò può andare a parziale scapito della redditività di soggetti che operano in condizioni di monopolio o di quasi monopolio.
Ritiene evidente che in questa prospettiva una politica della concorrenza non può intendersi in chiave di esasperato liberismo in quanto risponde ad un obiettivo di più equa distribuzione delle risorse attraverso la compressione della quota di reddito destinata alla rendita e la liberazione di disponibilità che potranno essere più utilmente essere impiegate nel rilancio dei consumi e degli investimenti.
Analoghe considerazioni pone con riferimento alla esigenza, chiaramente sottolineata nel documento, di privilegiare gli obiettivi del rafforzamento dei fattori produttivi, con particolare riferimento al fattore lavoro, attraverso il potenziamento del capitale umano e il rafforzamento della ricerca.
Il Documento segnala a questo proposito che i vincoli di bilancio non consentono di ipotizzare un consistente incremento della quota di risorse pubbliche da destinare allo scopo. Si tratta, piuttosto, di favorire una maggiore competizione tra le università ed i centri di ricerca e di premiare la qualità delle attività svolte.
Per quanto riguarda le dimensioni delle imprese e la loro internazionalizzazione, il Documento non manca di segnalare il rischio insito in un sistema di incentivi, qual è quello attualmente vigente, che è fondato sulla soglia dimensionale e che tende di fatto a scoraggiare la crescita.
È quindi evidente la necessità di ripensare e di rimodulare le forme di incentivazione per eliminare gli elementi distorsivi che possono rallentare la necessaria crescita dimensionale delle imprese italiane.
Considerazioni simili possono farsi con riferimento al settore energetico in relazione al quale si devono creare le condizioni per favorire le aggregazioni territoriali delle reti e delle utilities, con conseguente crescita delle economie di scala e riduzione dei costi dei servizi.
Per quanto riguarda le politiche volte ad aumentare il tasso di attività e l'ampliamento dell'occupazione, il documento sottolinea i seguenti obiettivi:
riduzione del costo del lavoro attraverso l'intervento sul cosiddetto cuneo fiscale e contributivo di cui dovranno beneficiare sia i datori di lavoro che i lavoratori. Questi ultimi recupererebbero un maggior reddito disponibile. Un intervento di questo tipo potrebbe risultare decisivo per ampliare la base occupazionale, soprattutto in quelle situazioni in cui il costo marginale del lavoro diventa determinante per aumentare il numero dei dipendenti;
promozione di forme di lavoro a tempo indeterminato per ridurre le situazioni di precarietà, con particolare riferimento al lavoro femminile, e potenziamento del contrasto delle forme di lavoro nero ed irregolare.

L'obiettivo dell'allargamento della popolazione attiva va letto anche in relazione al fatto del prolungamento della durata media della vita e l'accesso al mercato del lavoro di un numero crescente di donne potrà concorrere al riequilibrio della spesa previdenziale.
A partire dal 2004, la crescita del Mezzogiorno si è arrestata: se si esclude il 2000, erano sette anni che la dinamica di crescita del Mezzogiorno non era inferiore a quella del resto del Paese.
Secondo l'ultimo rapporto SVIMEZ sull'economia del Mezzogiorno, anche nel 2005 i principali indici di crescita delle regioni meridionali - e cioè prodotto interno lordo, valore aggiunto ed occupazione - sono stati quasi tutti negativi.
A frenare lo sviluppo e la produttività del Mezzogiorno sono fattori quali lo scarso livello delle competenze acquisite nella scuola, il livello insufficiente della ricerca e dell'innovazione, l'inefficienza e la scarsa concorrenza nel mercato dei servizi anche pubblici, l'esclusione sociale;


Pag. 56

fenomeni pure presenti nel resto del Paese, ma in misura significativa concentrati nelle aree meridionali, che soffrono anche di una situazione precaria anche dal punto di vista della legalità e della sicurezza.
Con l'adozione delle misure annunciate nel DPEF, il Governo prevede che già nel 2007 e poi negli anni successivi, il PIL del Mezzogiorno potrebbe tornare ad accelerare e superare a fine periodo quello medio europeo.
La ricetta del Governo per il sud potrebbe essere così sintetizzata: «certezza» per i flussi di spesa in conto capitale, che dovranno essere concentrati in impieghi ad alto rendimento economico e sociale, con meno trasferimenti a imprese e più investimenti pubblici di qualità.
Da un punto di vista quantitativo, il Governo intende favorire una riallocazione territoriale della spesa tesa ad aumentarne la quota del Mezzogiorno sul totale Italia.
Entro l'estate 2006 sarà completata la definizione del Quadro Strategico Nazionale 2007-2013. Il Governo intende perseguire una «strategia dell'offerta», che attraverso la realizzazione di infrastrutture materiali e immateriali e il miglioramento dei servizi collettivi conferisca redditività agli investimenti privati.
Per quanto riguarda i grandi comparti di spesa, il documento individua anzitutto il metodo della concertazione con i soggetti coinvolti come strumento ordinario d'azione. Ciò vale anche per quanto concerne la spesa sanitaria in relazione alla quale il documento non manca di prospettare il problema di trovare un punto di equilibrio tra l'universalità delle prestazioni e l'esigenza che le stesse siano fruite da persone che si trovino in condizione di effettiva necessità. Non si esclude la previsione di forme di compartecipazione alla spesa, il che risulta coerente con l'obiettivo strategico di coniugare risanamento ed equità.
Infine, per quanto riguarda la politica fiscale, il documento sottolinea l'importanza della lotta all'evasione e di una tendenziale uniformità nel trattamento tra diverse tipologie di reddito, privilegiando la destinazione per finalità produttive delle risorse disponibili piuttosto che le attività speculative.
Da qualcuno è stato rilevato che gli obiettivi programmatici di carattere macroeconomico delineati dal documento non sarebbero tali da giustificare lo sforzo che viene richiesto per realizzare il risanamento.
È stato in particolare sottolineato che il quadro programmatico, per quanto concerne la crescita del PIL, evidenzierebbe un andamento assai contenuto, presumibilmente non sufficiente a rimuovere il divario di sviluppo tra le diverse aree del Paese e a consentire al sistema produttivo italiano di disporre di spazi di crescita adeguati, in termini di domanda aggiuntiva.
Da questo punto di vista segnala che la cautela e la prudenza che hanno ispirato le previsioni governative costituiscono un'ulteriore dimostrazione della serietà dell'impianto del documento e dell'impostazione che è sottesa allo stesso.
Anche in questo caso, le vicende degli scorsi anni hanno ampiamente dimostrato l'inutilità di previsioni marcatamente ottimistiche che non siano supportate da solide argomentazioni e, soprattutto, da conseguenti decisioni di politica economica. Il Governo ha preferito, quindi, delineare nel documento uno scenario ispirato alla massima prudenza.
Ritiene evidente che quanto più le strategie di politica economica generale che vengono prospettate troveranno puntuale attuazione e potranno dispiegare interamente gli effetti attesi, tanto più si apriranno maggiori prospettive di una crescita più sostenuta.

Lino DUILIO, presidente, avverte che il Governo ha trasmesso l'»allegato infrastrutture» al DPEF 2007-2011, di cui alla legge 21 dicembre 2001, n. 443 (legge obiettivo).

Guido CROSETTO (FI) dichiara preliminarmente la sua intenzione di fornire spunti di riflessione in uno spirito di collaborazione costruttiva che dovrebbe


Pag. 57

animare i lavori della Commissione bilancio, evitando sterili polemiche.
Rileva quindi che si concorda, generalmente, sull'analisi di base che fornisce il documento su quelle che sono le attuali debolezze della situazione economica del Paese. Rileva, di contro, che non appaiono presenti nel documento gli interventi necessari per modificare l'attuale situazione di declino economico in cui versa il Paese. Al riguardo, ricordando che il Governatore della Banca d'Italia nel suo intervento nella seduta di ieri ha sottolineato la necessità di un intervento strutturale, e che lo stesso DPEF propone, fra l'altro, di elevare l'età pensionabile e contenere la spesa pubblica non necessaria, rileva che tuttavia non si indicano le modalità con cui questi obiettivi dovrebbero essere concretamente perseguiti. Osserva poi che il controllo dei mille rivoli nei quali si disperde la spesa pubblica risulta oggettivamente faticoso; in ogni caso non mancherà il suo assenso qualora la maggioranza dimostrasse al riguardo di voler intervenire concretamente.
Osserva, peraltro, che uno dei principali problemi su cui si dovrebbe focalizzare l'attenzione non è tanto quello del trasferimento della ricchezza, anche con riguardo alle aree del meridione d'Italia verso le quali pure negli ultimi anni sono state trasferite molte risorse, quanto quello della creazione di nuova ricchezza. Al riguardo, cita l'esempio del comparto del turismo, che potrebbe costituire settore trainante per il Paese, ma che non è adeguatamente considerato come invece succede in paesi anche limitrofi all'Italia.
Pur condividendo il contenuto delle disposizioni recate dal decreto-legge n. 223 del 2006, tranne che per le parti riconducibili alla competenza in materia tributaria demandata al viceministro Visco, non concorda sul ricorso allo strumento della decretazione d'urgenza che non permette un adeguato confronto in sede parlamentare. Con riguardo alle disposizioni del decreto che assoggettano le operazioni di cessione dei fabbricati alla sola imposta proporzionale di registro esentando le stesse dall'applicazione dell'imposta sul valore aggiunto, rileva che tali disposizioni avranno un impatto pesantissimo sulle aspettative di mercato e sul rilancio dello sviluppo economico, avendo queste già causato un notevole calo dei titoli di borsa delle società del settore e potendo le stesse deprimere in futuro il mercato immobiliare.

Giorgio LA MALFA (Misto), rileva che la pretesa del Governo di coniugare il risanamento e la crescita costituisce già un'equazione con due incognite che con fatica si è tentato, con scarso successo, di risolvere in passato; se a ciò si aggiunge una terza incognita, consistente nell'esigenza di conseguire obiettivi di equità sociale, la soluzione del problema risulta ancora più difficile, anche perché il documento in esame non offre risposte specifiche sul punto.
Con riguardo all'obiettivo alla crescita, osserva che gli obiettivi programmatici del Governo risultano assai deludenti, ipotizzandosi un incremento del PIL pari soltanto all'1,7 per cento nel 2011. Al riguardo rileva che se non si mira a conseguire, di contro, un obiettivo di crescita più ambizioso, non potranno essere reperite neanche le risorse per conseguire l'altro obiettivo dell'equità: i due obiettivi, infatti, vanno perseguiti in parallelo in quanto l'equità sociale con la conseguente esigenza di redistribuzione di risorse potrebbe essere conseguita soltanto in quanto una crescita adeguata renda disponibile un ammontare di risorse idoneo.
Personalmente, ritiene che per favorire la crescita siano necessarie la riduzione della pressione fiscale e la contestuale riduzione della spesa pubblica, in quanto lo Stato dovrebbe, in genere, costare meno e avere minori funzioni.
Quanto all'intervento sul cuneo fiscale, occorre valutarne l'efficacia in relazione ai costi, tenuto conto che si tratterebbe di un intervento «una tantum», una sorta di svalutazione nascosta, in quanto diretto a ridurre fittiziamente il costo del lavoro.
Chiede, infine, come mai nel documento non ci siano riferimenti alla politica di privatizzazioni, augurandosi che ciò non


Pag. 58

debba attribuirsi ad un problema di ordine ideologico all'interno della maggioranza. Al riguardo osserva che se si potesse presentare ai competenti organi dell'Unione europea la proposta di un pacchetto consistente di privatizzazione ai fini dell'abbattimento del debito, si potrebbe probabilmente chiedere un differimento del periodo temporale entro cui l'Italia dovrebbe rientrare nei parametri di Maastricht.

Andrea RICCI (RC-SE) ricorda che il partito della Rifondazione comunista ha già espresso un giudizio critico sul documento in esame, manifestando un orientamento che ha indotto il ministro Ferrero a non partecipare al voto con cui il Consiglio dei Ministri ha approvato il documento. Auspica, nondimeno, che, una volta modificato e integrato il contenuto del documento, sia possibile pervenire ad un voto favorevole in sede di approvazione della relativa risoluzione.
Sul merito del documento rileva che, mentre condivide una parte dell'analisi che esso delinea, su alcuni questioni esprime invece un giudizio critico, specialmente in merito ad alcuni aspetti delle proposte di politica economica.
In particolare, osserva che tra le cause della crisi economica italiana il documento non mette in luce il fenomeno della finanziarizzazione dell'economia, che rileva come causa dell'attuale scarsa produttività del sistema. Le imprese, infatti, tendono attualmente a privilegiare l'impiego delle loro risorse a fini finanziari e speculativi, tralasciando invece di indirizzare tali risorse sui versanti degli investimenti produttivi.
Con riguardo ad una seconda causa della crisi economica italiana, segnala l'intreccio necessario ed inevitabile che vi è fra domanda e offerta, evidenziando che nel documento in esame si fa riferimento quasi esclusivo all'inadeguatezza dell'offerta. Di contro, rileva che anche le variazioni della domanda hanno svolto un ruolo rilevante nell'andamento dell'economia degli ultimi venti anni. Si è determinata infatti una redistribuzione a vantaggio della rendita e ai danni dei ceti meno abbienti. Ciò si è tradotto in una contrazione dei consumi e della domanda in genere.
In relazione, poi, alle politiche di privatizzazione che sono state condotte negli anni '90, ritiene che le modalità con cui queste sono state effettuate hanno in effetti proposto un indebolimento della struttura del sistema produttivo, sostituendo spesso un monopolio privato a quello pubblico, e risolvendosi spesso in una svendita ad imprese straniere che ha impoverito il tessuto produttivo nazionale.
Più in generale, con riguardo alle linee di fondo della politica economica, condivide i tre obiettivi che sono stati posti dal Governo, costituiti dal risanamento, dalla crescita e dall'equità sociale e rileva l'eredità negativa del precedente Governo, il cui risultato è rappresentato dal deterioramento dei conti pubblici senza che sia stato conseguito un obiettivo di sviluppo economico.
In relazione alle modalità e ai tempi entro cui conseguire i suddetti obiettivi indicati dal Governo, osserva che l'ammontare complessivo della manovra configurata, quantificabile in circa 45 miliardi di euro, cui devono sommarsi gli altri 7 miliardi relativi agli effetti del decreto-legge n. 223 del 2006, appare rappresentare uno sforzo eccessivo in rapporto ai tempi stretti in cui tali effetti si dovrebbero produrre. Ciò in quanto l'intervento verrebbe a pesare sulla domanda interna e sui consumi delle famiglie, per cui gli effetti a breve di una tale politica economica potrebbero risultare di tipo recessivo, proprio mentre le aspettative degli operatori economici si orientano in senso positivo.
Chiede allora se il rispetto degli impegni derivanti dall'appartenenza all'Unione europea non possa essere comunque conseguito spalmando gli effetti dell'intervento in un più lungo arco temporale, ad esempio nel corso di un biennio e non del solo 2007.
Rileva inoltre la necessità di una descrizione più precisa in merito alla politica delle entrate, che, come previsto nel programma


Pag. 59

dell'Unione, dovrebbe essere sostanzialmente finalizzata a consentire un'opportuna redistribuzione. Chiede pertanto che nella risoluzione relativa al documento in esame siano ripresi i punti del programma dell'Unione riguardanti, nella specie, la lotta all'evasione e all'elusione, l'uniformazione della tassazione sulle rendite finanziarie sui grandi patrimoni, l'abrogazione del secondo modulo della riforma dell'IRPEF attuato dal precedente Governo, il contenimento della dinamica della spesa pubblica, l'esclusione di interventi sulla copertura previdenziale dei lavoratori, con riguardo, ad esempio, all'aumento dell'età pensionabile, l'esclusione di una riduzione generalizzata della spesa sanitaria come oggetto precipuo della manovra, pur dovendosi mirare ad una stabilizzazione ed a un contenimento della stessa.
Auspica pertanto che la maggioranza possa recuperare in materia un'augurabile unità di intenti che possa condurre alle opportune correzioni del documento.

Antonio Giuseppe Maria VERRO (FI) condividendo le osservazioni dell'onorevole La Malfa in materia di crescita, ricorda le opinioni dell'onorevole Ricci, che possono riassumersi nell'affermazione «più tasse, più spesa», così come l'affermazione del sottosegretario al Ministero dell'economia e delle finanze Paolo Cento, secondo cui la crescita non è necessariamente un bene, che fanno seriamente dubitare sul carattere prioritario che nelle intenzioni della maggioranza avrebbe l'obiettivo dello sviluppo. Chiede inoltre come si possa conciliare con l'orientamento fatto proprio dal relatore alcune disposizioni recate dal decreto-legge n. 223 del 2006, che uccidono le società municipalizzate che forniscono servizi pubblici locali.

La seduta termina alle 13.

AVVERTENZA

Il seguente punto all'ordine del giorno non è stato trattato:

UFFICIO DI PRESIDENZA INTEGRATO DAI RAPPRESENTANTI DEI GRUPPI