Martedì 15 maggio 2007. - Presidenza del vicepresidente della IX Commissione Marco BELTRANDI. - Interviene il sottosegretario per le comunicazioni, Giorgio Calò.
La seduta comincia alle 10.05.
Disposizioni per la disciplina del settore televisivo nella fase di transizione alla tecnologia digitale.
Le Commissioni proseguono l'esame dei provvedimenti, rinviato, da ultimo, nella seduta dell'8 maggio 2007.
Marco BELTRANDI, presidente, ricorda che nella riunione dell'ufficio di presidenza, integrato dai rappresentati dei gruppi delle Commissioni riunite VII e IX, del 9 maggio scorso, si è convenuto di concludere la discussione di carattere generale nell'odierna seduta, per poi procedere nella seduta di domani, mercoledì 16 maggio 2007, allo svolgimento delle repliche da parte dei relatori.
Emerenzio BARBIERI (UDC), intervenendo sull'ordine dei lavori, fa presente che non è presente nessuno dei due relatori. Chiede pertanto che la seduta sia sospesa in attesa del loro arrivo.
Marco BELTRANDI, presidente, nel comunicare che il presidente Folena, che è relatore sui provvedimenti in titolo per la VII Commissione, è in procinto di arrivare in Commissione, precisa comunque che, nell'attesa, sostituirà lui stesso i relatori, in quanto presidente di turno.
Antonello FALOMI (RC-SE) ritiene di dovere preliminarmente evidenziare come
la recentissima notizia dell'acquisizione della società Endemol da parte di Mediaset costituisca una novità importante per l'assetto radiotelevisivo e renda pertanto ancora più urgente la sollecita approvazione di una nuova disciplina di settore. La situazione, infatti, già caratterizzata da una mancanza di pluralismo, più volte evidenziata dalla Corte costituzionale, appare oggi ancora più critica, atteso che i principali programmi trasmessi dalla Rai, in risposta ai quali Mediaset aveva sino ad ora dovuto porre in essere una forte «contro-programmazione», sono forniti alla concessionaria pubblica proprio da Endemol. Paventa quindi il rischio che, nonostante le rassicurazioni dei vertici di Mediaset, le logiche economiche che guidano il mercato televisivo potranno ora condurre tale azienda, che è già monopolista tra gli operatori privati, anche a condizionare la programmazione del servizio pubblico. È per questo che appare necessario un urgente adeguamento delle regole del mercato televisivo. Sotto questo profilo, il disegno di legge governativo, che mira ad intervenire sul piano delle risorse sia economiche che tecniche, propone, nel complesso, soluzioni ragionevoli e moderate, che non giustificano le critiche avanzate dai gruppi di opposizione. In particolare, con riferimento all'articolo 2, che introduce un tetto del 45 per cento al conseguimento di ricavi pubblicitari, qualificando il superamento di tale soglia come posizione dominate vietata, si è obiettato che tale disposizione non sarebbe in linea con le norme europee in materia di concorrenza, dal momento che queste ultime prevedono che la sussistenza di una posizione dominante sia verificata caso per caso. Ritiene che tale interpretazione abbia il difetto di non tenere nella dovuta considerazione la specificità del settore televisivo che, a differenza degli altri ambiti produttivi, veicola anche contenuti culturali e può condizionare anche il formarsi della pubblica opinione. Alla luce di tali caratteristiche, la disciplina legislativa che governa tale settore deve essere quindi improntata il più possibile alla garanzia del pluralismo, in attuazione del principio democratico riconosciuto dalla Costituzione italiana. Lo stesso ordinamento ha peraltro da sempre previsto in materia la fissazione di limiti economici certi per gli operatori, come ad esempio la stessa legge n. 112 del 2004, la cosiddetta «legge Gasparri», per la quale tale soglia risulta pari al 20 per cento delle risorse del sistema delle comunicazioni (SIC). È evidente allora che, sotto questo profilo, il disegno di legge n. 1825 non introduce alcuna novità, limitandosi a modificare l'aggregato di riferimento per il calcolo del predetto limite economico, la cui finalità, a prescindere dalla soglia percentuale rispetto al totale dei ricavi pubblicitari per la quale alla fine si opterà, resta comunque quella di garantire il più ampio pluralismo nel sistema televisivo. I critici dell'iniziativa legislativa del Governo sostengono poi che, alla luce delle nuove realtà presenti nel settore televisivo, come ad esempio Sky - e alle nuove possibilità trasmissive offerte dalla tecnologia - si pensi all'internet TV e della mobile TV - appaia ormai di fatto superata la situazione di duopolio, con la conseguenza che non sarebbe più necessario introdurre una nuova disciplina in materia. In realtà, i dati più recenti in termini di audience ribadiscono che Rai e Mediaset ne raccolgono più dell'86 per cento, ponendo in essere una situazione concentrativa che in Europa non ha paragoni. Per queste ragioni ritiene che sia apprezzabile lo sforzo compiuto dal disegno di legge n. 1825 nel favorire l'ingresso di nuovi operatori, pur sottolineando che, comunque, l'aumento della concorrenza non equivale automaticamente ad un corrispondente incremento del pluralismo. Passa quindi ad esaminare il tema delle risorse tecniche, e quindi delle frequenze e delle reti, facendo presente l'esigenza che sia al più presto eliminato l'effetto distorsivo rappresentato dalla coesistenza, in capo ad un medesimo operatore, della proprietà della rete e della produzione di contenuti. Ciò può infatti condurre ad una sostanziale elusione della legge n. 66 del 2001, che prevede la cessione del 40 per cento della capacità trasmissiva delle reti digitali terrestri, il
cui fine dovrebbe consistere nel rafforzamento del pluralismo e della concorrenza e dell'uso efficiente delle frequenze. Si è infatti verificato, proprio con riferimento a Mediaset, che tale capacità trasmissiva sia stata ceduta solo a quei soggetti che producono contenuti non concorrenziali con quelli dell'operatore cedente, al fine di evitare il rischio di una perdita di audience. Poiché la già menzionata acquisizione della società Endemol da parte di Mediaset non potrà che rafforzare tale distorsione, si rende necessario prevedere in modo chiaro la separazione tra la proprietà della rete e l'attività di produzione di contenuti, ad esempio sul modello inglese. Da questo punto di vista, pertanto, il disegno di legge presentato dal Ministro Gentiloni dovrebbe essere adeguatamente integrato, posto che un interveneto di regolamentazione nel senso suddetto si impone ormai anche nel settore della telefonia fissa. Un ulteriore questione da affrontare, sempre a seguito delle vicende societarie di Endemol, sarà poi quella della modifica della quota di contenuti forniti da produttori indipendenti che gli operatori televisivi devono garantire nell'ambito della loro programmazione, che è attualmente pari al 10 per cento per Mediaset e al 15 per cento per la Rai. Da ultimo, con riferimento alla componente tecnologica, ritiene che il disegno di legge del Governo sia eccessivamente focalizzato sul digitale terrestre, e quindi rimanga all'interno di una cornice tecnologica «tradizionale», a fronte delle già richiamate piattaforme alternative costituite dalla internet TV e dalla mobile TV, il cui sviluppo non dovrebbe essere bloccato da una impostazione che vede concentrate tutte le risorse economiche e tecniche su un'unica piattaforma tecnologica. Conclusivamente, nel preannunciare la presentazione di talune proposte emendative riferite alle questioni problematiche oggetto del suo intervento, ribadisce che, nel complesso, il disegno di legge n. 1825 del Governo prefigura un intervento assolutamente necessario a tutela del pluralismo nel settore televisivo, in attuazione dei principi affermati dalla Corte costituzionale e della procedura di infrazione avviata dalla Commissione europea, e non ha invece alcun intento politico.
Emerenzio BARBIERI (UDC), intervenendo nuovamente sull'ordine dei lavori, fa presente che l'assenza dei due relatori si sta prolungando e, conseguentemente, rinnova la richiesta di sospensione della seduta.
Marco BELTRANDI, presidente, accogliendo la richiesta del deputato Barbieri, sospende brevemente la seduta, in attesa dell'arrivo, che è imminente, del presidente Folena, che è relatore per la VII Commissione sui provvedimenti in titolo.
La seduta, sospesa alle 10.35, è ripresa alle 10.40.
Emerenzio BARBIERI (UDC), nel ritenere opportuna la presenza del relatore Folena, non condivide quanto detto dal deputato Falomi sulla vicenda dell'acquisizione di Endemol da parte di Mediaset, perché se la Rai avesse avuto un ruolo più attivo avrebbe potuto affrontare tempestivamente la questione. Osserva altresì che il preannunziato intendimento del deputato Falomi di presentare proposte emendative, evidenzia problemi interni alla stessa maggioranza riguardo al provvedimento in esame. Rileva quindi che una delle principali innovazioni proposte dal disegno di legge C. 1825 rispetto al quadro normativo in vigore è costituita dallo proroga della data prevista per lo spegnimento del segnale televisivo analogico, dal dicembre 2008 al 30 novembre 2012, con uno slittamento di quattro anni; il piano tecnico e la tempistica per la migrazione al digitale non sono stati ancora definiti. Vi è quindi una palese contraddizione tra l'obiettivo di una digitalizzazione del sistema e il prolungamento del termine per la sua realizzazione.
del duopolio, tale da rendere necessario un ulteriore intervento normativo propulsivo del cambiamento tecnologico rappresentato dalla digitalizzazione. Giudica, tuttavia, paradossale il proposito di accelerare i cambiamenti portati dalla digitalizzazione, posticipandone la scadenza al 2012: se gli ipotizzati problemi del sistema radiotelevisivo italiano scaturiscono dal sistema analogico, protrarne la sopravvivenza fino al 2012 rappresenta un modo per ritardarne la soluzione.
e rapido dai sistemi della televisione analogica gratuita a quelli della televisione digitale gratuita, l'approccio dell'utente alla TV multicanale si svolgerebbe prevalentemente sul versante della televisione a pagamento presidiato da altre piattaforme. In altre parole, il ritardo dello switch off impoverisce allo stesso tempo la televisione analogica e quella digitale gratuita ad evidente vantaggio delle piattaforme digitali proprietarie a pagamento, che diventano l'unica - o la via principale - per accedere ad un'offerta televisiva ricca. Ricorda che, come sottolineato dal presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, Corrado Calabrò nel corso dell'audizione del 7 febbraio scorso, l'allargamento pluralistico dell'offerta televisiva, se affidato al satellite e a piattaforme configurate come proprietarie, genera una condizione di ricchezza riservata alle categorie più abbienti. Infatti, la maggioranza dei nuovi canali offerti sulle piattaforme digitali è a pagamento. Degli oltre 200 canali almeno 150, e cioè il 75 per cento, è accessibile solo a fronte del pagamento di un corrispettivo economico. Di conseguenza, l'allargamento pluralistico delle possibilità di scelta avviene soprattutto per alcune categorie di famiglie. Pertanto, al fine di incentivare gli investimenti delle imprese e dare certezza agli operatori economici si rende necessaria una data certa e credibile per lo switch off.
digitale terrestre e il suo indotto produttivo sarebbero destinati a rimanere in una situazione di stagnazione per i prossimi due anni. Considerati i tassi rapidi di obsolescenza della tecnologia, questa possibilità appare estremamente rischiosa tanto sul versante dell'offerta quanto su quello della domanda. Non è un caso che i principali Paesi abbiano scelto percorsi a tappe basate sullo spegnimento del segnale analogico per aree geografiche proprio per ridurre gli effetti negativi della presenza della doppia modalità di trasmissione.
condizioni insostituibili che, nel corso delle diverse esperienze di lancio, sono state largamente verificate come imprescindibili. Il circolo virtuoso della televisione digitale terrestre può innescarsi solo se questa si caratterizza come sistema di sviluppo dei quattro poli - convenienza, quantità, qualità, modernità - nell'ambito dell'esperienza di consumo della televisione gratuita.
Mario TASSONE (UDC) fa preliminarmente presente che ogni intervento legislativo in materia televisiva è stato sempre accompagnato da un acceso dibattito parlamentare e da un vivace confronto nell'opinione pubblica, soprattutto perché, a fronte della crisi dei partiti e della loro sempre maggiore difficoltà ad interpretare le istanze provenienti dalla società civile, il mezzo televisivo ha acquisito un ruolo chiave nella formazione della pubblica opinione. Dopo avere premesso di non avere in materia alcun interesse particolare da tutelare o da comprimere, sia che si tratti di Mediaset o della Rai, ritiene che il disegno di legge del Governo, pur a fronte delle ragionevoli finalità esposte nell'articolo 1, concernenti la tutela del pluralismo e della concorrenza, non rechi nel restante articolato disposizioni effettivamente conseguenti, attesa la presenza di diverse norme di stampo chiaramente dirigistico, che contrastano con i propositi di liberalizzazione più volte espressi pubblicamente dal Ministro Gentiloni. Ritiene poi erronea l'impostazione di fondo dell'intervento governativo, che ha volutamente rinviato ad una successiva iniziativa legislativa la soluzione della questione Rai, che sta invece diventando sempre più difficile, soprattutto in ragione di una gestione dell'azienda che, ormai da molti anni, ha prodotto scarsi risultati, sia in termini di efficienza che di qualità. Vi è poi la questione del differimento dello switch off al 2012, disposizione la cui opportunità non appare adeguatamente motivata, anche sulla base della mancanza di informazioni in ordine alle decisioni che stanno contestualmente adottando gli altri paesi dell'Unione europea in merito ai tempi del passaggio alla tecnologia digitale. Tutto ciò giustifica gli approfondimenti istruttori ai quali le Commissioni, anche su richiesta dei gruppi di opposizione, hanno inteso procedere nel corso dell'esame dei provvedimenti e risultano pertanto incomprensibili le dichiarazioni del Ministro delle comunicazioni che ha sollecitato il Parlamento a procedere speditamente all'approvazione del suo disegno di legge, paventando altrimenti il verificarsi di uno tsunami elettorale per la maggioranza. Nel preannunciare che il suo gruppo presenterà proposta emendative, auspica che il Governo informi i suoi rapporti con il Parlamento alla più ampia trasparenza possibile, anche con riguardo alle voci secondo le quali l'esecutivo avrebbe informalmente provveduto a fornire adeguate garanzie a Mediaset. Da ultimo, auspica che nella seduta di domani anche il rappresentante del Governo intervenga
in sede di replica, fornendo, in particolare i chiarimenti sopra richiesti circa la tempistica seguita dagli altri paesi europei ai fini dello switch off.
Cesare CAMPA (FI), ricorda che il disegno di legge in esame interviene su una serie di disposizioni che in realtà già sono previste dall'attuale sistema legislativo, e si basa su un principio riformatore che in realtà tale non è, in quanto lede fortemente quei principi di pluralismo, della concorrenza e del mercato, che invece sono garantiti dalla legge 3 maggio 2004, n. 112. Rileva innanzitutto che il collega Falomi, nel suo intervento, ha sottolineato come, ogni qual volta si parli di televisione, gli esponenti del gruppo di Forza Italia assumano un atteggiamento di vittimismo e di persecuzione. Ritiene peraltro evidente a chiunque affronti il tema in oggetto, libero da qualsiasi condizionamento, che le norme introdotte dal disegno di legge Gentiloni consistono più nel rendere il sistema del settore televisivo punitivo nei confronti della società Mediaset, che nel favorire la possibilità di aprire il mercato a nuovi soggetti, come invece accade in tutti i Paesi liberi e democratici.
opera con successo nella trasmissione di contenuti digitali, creando tre multiplex digitali, di cui uno interamente destinato alla televisione in mobilità in standard DVBH. Sono stati lanciati inoltre due canali gratuiti solo digitali, Mediashopping e Boing, quest'ultimo interamente dedicato ai bambini. Proprio sotto il profilo della digitalizzazione, la società Mediaset ha saputo innovarsi quindi profondamente con l'entrata di questa nuova era. Aggiunge che in un settore globale per definizione, come quello della comunicazione, se le dimensioni tanto criticate dei due maggiori gruppi italiani, Rai e Mediaset, alla fine risultano sensibilmente più piccole del colossi internazionali e inferiori ai grandi gruppi europei, è necessario considerare questa realtà ben più di altre considerazioni forse affascinanti, ma demagogiche.
nei programmi per bambini e ragazzi sia devastante. Preannuncia quindi la presentazione di un emendamento che fissi il controllo che l'AGCOM dovrebbe avere sulle tariffe monopolistiche di Sky. Ritiene che se si vuole parlare di concorrenza è bene sapere che la diversificazione delle nuove piattaforme e delle modalità di visione dei contenuti video accelera le dinamiche concorrenziali. Già da oggi è innegabile l'apertura del settore televisivo a nuovi soggetti, quali H3G, Fastweb, Vodafone, Telecom tramite il DV-BH, cioè lo standard per le trasmissioni televisive mobili, delle che offrono contenuti televisivi ai clienti telefonici.
Marco BELTRANDI, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame alla seduta di domani, mercoledì 16 maggio 2007, nel corso della quale l'esame preliminare si concluderà con lo svolgimento delle repliche dei relatori.
La seduta termina alle 11.35.
C. 1825 Governo, C. 2077 Beltrandi e C. 2502 De Zulueta.
(Seguito dell'esame e rinvio).
Ricorda inoltre che l'ufficio di presidenza ha convenuto che i deputati appartenenti ai gruppi già intervenuti nel dibattito possano parlare fino ad un tempo massimo di dieci minuti, mentre per gli altri deputati resta fermo il termine massimo di trenta minuti.
Avverte infine che è stata richiesta l'attivazione del circuito chiuso per l'odierna seduta delle Commissioni riunite. Non essendovi obiezioni, ne dispone l'attivazione.
Sottolinea che il disegno di legge in esame si basa sulla tesi fondamentale che, negli ultimi dieci anni, il sistema radiotelevisivo italiano avrebbe mostrato una situazione di stallo cagionata dalla staticità
Ricorda in particolare che l'articolo 1 del disegno di legge proroga in maniera immotivata al 30 novembre 2012 «la definitiva conversione delle reti»; considerato che vi è consenso sull'idoneità della digitalizzazione a garantire l'incremento della concorrenza e del pluralismo del sistema, la disposizione appare in netta contraddizione con le finalità declamate dal disegno di legge. D'altro canto, il 2012 è la data ultima attesa a livello europeo per la digitalizzazione, e non vi è alcuna dimostrazione di un ritardo nel Paese, né alcun elemento di fatto che faccia supporre che il termine attualmente previsto di fine 2008 non possa essere osservato.
Evidenzia che, i1 30 gennaio scorso, nel corso dell'audizione presso le Commissioni riunite VII e IX, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul disegno di legge in esame, il presidente dell'Autorità garante per la concorrenza ed il mercato, Antonio Catricalà ha sostenuto che il digitale terrestre consente un assetto più plurale e dinamico dell'offerta televisiva terrestre che era stata fortemente limitata dalla tecnologica analogica. Ha altresì osservato che tale tecnologia consente di moltiplicare il numero dei canali disponibili, aumentando la possibilità di offerta ed è in grado di superare una delle maggiori criticità per la realizzazione di un assetto più plurale e dinamico di quello che deriva dalla tecnologia analogica, che è più pesantemente condizionata dalla scarsità della risorsa frequenziale. Per questa ragione, tale nuova tecnologia appare sicuramente funzionale ad un miglioramento delle condizioni dei mercati interessati sia da un punto di vista strettamente economico, moltiplicandosi la possibilità di business e la gamma dei servizi offerti all'utenza, sia per la stessa ragione sotto il profilo di tutela del pluralismo. Ritiene che tale osservazione abbia come conseguenza diretta la valutazione che un passaggio rapido alla televisione digitale terrestre, unitamente alla diffusione crescente di nuove piattaforme, potrebbe favorire la concorrenza e il pluralismo spingendo nella direzione di un maggiore dinamismo del mercato. Attualmente nei mercati in cui lo sviluppo delle nuove piattaforme è più marcato e la televisione digitale terrestre è in fase più avanzata, come nel caso britannico, sono evidenti gli effetti di tale processo sulla ripartizione dei ricavi e dell'audience share tra i diversi operatori. Sottolinea che, fissando livelli di concorrenza e di pluralismo accettabili e adeguati alle migliori aspettative del sistema economico e sociale, il legislatore dovrebbe considerare un modello evolutivo del sistema televisivo basato non sul rallentamento, ma sull'accelerazione della migrazione al digitale. In tal modo, con l'elaborazione di una sorta di piano industriale, si raggiungerebbero al meglio già entro il 2010 gli obiettivi di un maggior pluralismo e di una maggiore concorrenza, senza imporre limiti alla dimensione delle imprese e alla loro capacità di crescita.
Aggiunge ancora che il disegno di legge in esame sembra, al contrario, focalizzato nella definizione di limiti e freni al processo di crescita di alcuni soggetti, proponendo come unica misura di accelerazione al digitale la migrazione forzosa di un canale Rai e di un canale Mediaset dall'analogico al digitale. La crescita dovrebbe avvenire perché gli utenti analogici, privati di una parte rilevante di contenuti (che potrebbe rappresentare circa il 20 per cento di share), sarebbero obbligati, volendo mantenere le proprie abitudini di ascolto, a dotarsi di ricevitori digitali. Osserva che il telespettatore dei prossimi anni percepirà come proprio diritto universale l'accesso gratuito ad un'adeguata offerta di canali generalisti e la disponibilità di un certo numero di canali tematici. In assenza di un passaggio completo
Rileva quindi che il suo spostamento non solo genera incertezza negli investimenti internazionali, accelerati dalla stabilità e affidabilità del quadro delle regole, ma provoca rallentamenti anche nei piani di investimento delle imprese a capitale italiano, siano esse piccole, medie o grandi. La pianificazione degli investimenti delle imprese maggiori, quali Rai e Mediaset, è pesantemente condizionata dalle date che saranno fissate per via legislativa e soprattutto dall'affidabilità del rispetto queste date. Prolungamenti e incertezze nelle fasi di switch over risulterebbero diseconomici e inefficienti a causa della contemporanea trasmissione in analogico e digitale di molti canali. Ricorda che questa preoccupazione è stata manifestata anche dal presidente Calabrò, che ha sottolineato che l'attuale fase di compresenza delle due tecniche trasmissive, la cosiddetta fase di switch over, crea inefficienze ed inutili duplicazioni, in quanto per la trasmissione degli stessi palinsesti simultaneamente in tecnica analogica e in modalità digitale vengono utilizzate importanti risorse frequenziali che potrebbero essere destinate ad altri usi quali, ad esempio, la creazione di ulteriori reti digitali, la televisione ad alta definizione ovvero in mobilità. Occorre pertanto definire, contestualmente alla fissazione della nuova data - la più prossima possibile - di spegnimento delle trasmissioni analogiche, da oggi una politica industriale adeguata a realizzare il compito prefissato. Sarebbe profondamente errato attendere passivamente il momento dello switch off per le iniziative da intraprendere da parte delle emittenti e per le regole da dettare; è necessaria un'accelerazione che spinga il Paese verso il traguardo del digitale.
Ritieneche questa posizione rappresenti una chiara critica ad uno dei passaggi chiave del disegno di legge in esame, e cioè il posticipo dello switch off senza garanzie che le fasi di switch over siano accelerate. Osserva che un aspetto evidente che caratterizza l'intero processo di switch over avviato dal lancio della televisione digitale terrestre in Italia è la costante incertezza del quadro normativo e l'instabilità della tempistica e delle modalità di evoluzione della tecnologia digitale terrestre. In Italia, il passaggio si va caratterizzando per un andamento estremamente incerto rispetto a quello di altri paesi che, dopo una fase di avvio difficile e/o fallimentare, hanno intrapreso una strada decisa per la gestione dello switch over. Secondo un documento redatto da e-Media Institute nel febbraio del 2007, se non si dovessero definire entro breve e con certezza le modalità di sviluppo delle fasi di switch over, riuscendo poi a comunicare questa certezza tanto ai consumatori quanto alle imprese, per non inibirne la disponibilità a considerare la tecnologia digitale terrestre una piattaforma ricca di opportunità, l'intero sistema della tecnologia
Rileva che la migrazione forzata di due canali terrestri al digitale come strumento per l'accelerazione non può avere alcun ruolo, se non si definisce un percorso ben preciso a tappe accelerate. In altri Paesi, le fasi di switch over/switch off sono programmate per aree geografiche e non per canali. Ciò consente di non lasciare parte della popolazione a fruire di un'offerta impoverita e impedisce la dilatazione dei tempi di doppia trasmissione, che risulta nefasta soprattutto per le emittenti locali. La scelta di un percorso di spegnimento per aree geografiche è, di fatto, l'unica soluzione possibile perché lo switch over possa essere condotto in maniera sistematica e certa. Un processo accelerato, basato sullo spegnimento a tappe per aree geografiche, potrebbe fornire maggiore certezza al processo e certamente avere maggiori effetti propedeutici allo sviluppo della tecnologia digitale terrestre rispetto all'imposizione di migrazione alla tecnica digitale dei due canali analogici terrestri come previsto dal disegno di legge C. 1825. Ricorda in questo senso che anche il presidente dell'Agcom, Corrado Calabrò, ha sostenuto che il cambiamento, non potendo avvenire in una notte, deve essere gestito con una marcia di avvicinamento che passi attraverso fasi ed ambiti di sperimentazione e di collaudo sempre più vasti, per aree territoriali, anziché per singole reti. Sottolinea che oggi vi sono gli strumenti per costruire un piano per aree. Il Comitato nazionale Italia digitale, presieduto dallo stesso ministro Gentiloni, ha già stilato un elenco di aree tecniche.
Si tratta ora di decidere l'ordine di conversione dall'analogico al digitale di ogni singola area, ovvero di stabilire, dopo aver completato la conversione della Sardegna e della Valle d'Aosta, quali grandi regioni termineranno per sempre le trasmissioni analogiche nel 2008 e quali, invece, negli anni seguenti. Risulterebbe più opportuno ed efficiente, dal punto di vista economico, per tutte le imprese del settore, e più conveniente per i consumatori, un percorso a tappe in grado di prevedere già per il 2010 il completamento di tutte, o di buona parte, delle aree geografiche. Il percorso di spegnimento per aree, ormai adottato nei principali paesi europei, può funzionare solo se supportato dalla forza e dalla certezza della legge. In ogni caso, sarebbe opportuno definire tempi e modalità non soltanto a livello legislativo, ma anche sulla base di un piano tecnico-operativo dettagliato. In assenza di un piano, o se tutte le regioni fossero impegnate sulla data ultima, la logistica impazzirebbe, perché si tratta di 24 milioni di famiglie e di 60 milioni di televisori da dotare di decoder. Aggiunge, d'altra parte, come sottolineato del presidente Catricalà, che il perseguimento dell'obiettivo del disegno di legge in esame richiederebbe che le frequenze riassegnate fossero destinate all'utilizzo per trasmissioni in tecnica digitale. Rilevato che l'attuale formulazione del disegno di legge, non esclude che vengano riassegnate per uso analogico le frequenze restituite allo Stato, ritiene che questa possibilità sia in contraddizione con l'obbligo di spegnimento di tutto l'analogico: le imprese assegnatarie, infatti, dovrebbero costituire una rete analogica e poi subito spegnerla, con evidente danno al sistema e ai telespettatori. Sottolinea che il reale decollo e consolidamento della televisione digitale terrestre si ottengono solo in presenza di un'evidente ricchezza dell'offerta che possa essere inequivocabilmente percepita dagli utenti come un salto di qualità - numero di canali -, di qualità - assortimento dell'offerta -, di convenienza - gratuità dell'offerta - e di modernità - innovazione tecnica -. Ritiene si tratti di
Ritiene che tali aspetti siano del tutto assenti nel provvedimento in esame. Il posticipo dello switch off, inoltre, ha un impatto significativo anche sull'emittenza locale che, come è noto, costituisce sul mercato italiano una sorta di televisione multicanale analogica che non ha pari in Europa e che ha, in maniera significativa, incrementato la ricchezza dell'offerta televisiva fruibile da ogni singola famiglia. Per le televisioni locali analogiche che non hanno disponibilità di trasmettere in simulcast, cioè in contemporanea tramite segnale analogico e digitale, uno switch over rallentato e posticipato significa una drastica perdita di audience e, dunque, di ricavi pubblicitari. La progressiva affermazione dell'uso del decoder digitale spinge infatti gli utenti a ricorrere sempre meno alla visione dell'offerta analogica. Aggiunge, al contrario, che se gli utenti passano continuamente dal segnale digitale a quello analogico - per poter vedere canali che non sono trasmessi in tecnica digitale - la stessa offerta digitale si impoverisce di audience con conseguenze deleterie per i canali trasmessi solo in tecnica digitale che dovrebbero garantire maggiore pluralismo proprio in virtù di un incremento dell'audience.
Sottolinea in particolare che se si volesse veramente perseguire la liberalizzazione del settore, non sarebbe certo necessario introdurre una legge come quella in esame, visto che le leggi attuali già consentono di puntare alla rapida digitalizzazione della televisione terrestre, favorendo un sistema basato su una più interessante concorrenza. Ritiene che il collega Barbieri abbia già illustrato molto bene le contraddizioni del progetto di legge che da un lato sembra ispirato dalla necessità di anticipare iniziative di digitalizzazione, dall'altro, invece, sposta al 2012 il termine per il relativo avvio, ben oltre quindi quello del 2008, data fissata dalla precedente legge Gasparri.
Ricorda d'altra parte che l'impresa che si cerca di penalizzare - dati economici, finanziari e statistici alla mano - rappresenta un autentico valore aggiunto per l'intero sistema economico nazionale. Si tratta infatti del maggior gruppo televisivo commerciale del Paese, che gestisce l'offerta di televisione free commerciale analogica e digitale in Italia e Spagna, con il 50 per cento di Telecinco, il cui capitale sociale è posseduto per il 65 per cento da piccoli azionisti, di cui la metà italiani. Aggiunge che dall'ultima distribuzione del dividendo risulta che siano ancora oltre 250 mila i piccoli investitori italiani; i ricavi netti dell'anno 2005 sono stati pari a 3.678 milioni di euro, mentre quelli al 30 settembre 2006 sono stati 2.672,5 milioni. Ricorda inoltre che per quanto riguarda l'esercizio 2005, 2.748,1 milioni di euro sono di pertinenza della televisione italiana, mentre il resto proviene dal consolidamento di Telecinco; al 30 settembre 2006, poi, sono stati investiti 1.137 milioni di euro, di cui 745,8 in diritti. Sottolinea inoltre che i dipendenti del gruppo sono, al 31 dicembre 2006, oltre 4.681, con un indotto diretto di oltre 3.500 persone circa. L'audience media totale delle reti analogiche di Mediaset nel 2006 è stata del 40,3 per cento; la quota di risorse di Mediaset sul totale mercato televisivo - includendo pubblicità, canone, proventi da abbonamenti alle pay-TV - è per il 2006 del 30 per cento, 35 per cento per la Rai e 25 per cento per Sky. La quota di fatturato sul totale mercato pubblicitario televisivo nel 2006 è stata pari al 56,7 per cento - ricavi al netto delle agenzie - con investimenti dell'azienda nel digitale terrestre per oltre 1,2 miliardi di euro, di cui 500 milioni per frequenze e digitalizzazione, il resto in diritti. Ricorda inoltre che nel 2006 Mediaset ha destinato 950 milioni di euro all'acquisto e alla produzione di programmi audiovisivi europei, e di questi circa 80 milioni per film prodotti in Europa, di cui 67 in Italia; parte rilevante dell'investimento in opere europee è stata destinata inoltre a prodotti nazionali, pari a circa 220 milioni di euro solo per le fiction. Dai dati illustrati, ritiene quindi facile desumere il grave danno che con tale legge subirebbero i risparmiatori, i dipendenti, oltre che - più in generale - l'intero sistema economico italiano. Oltre alla tradizionale attività delle reti storiche, dal 2003 Mediaset
Ritiene, quindi, che il disegno di legge in esame sia indubbiamente punitivo e penalizzante sia per l'azienda de qua, sia per il sistema della comunicazione nazionale dal punto di vista economico. Si penalizza infatti un'azienda profittevole che vanta un'alta occupazione specializzata, un indotto concentrato in settori strategici per l'audiovisivo, un impatto virtuoso ed irrinunciabile sulla produzione nazionale, un potente aiuto per le imprese italiane, nonché un grande seguito da parte del pubblico. Nello stesso tempo, si tratta di un'azienda che è parte integrante del cambiamento che sta coinvolgendo l'intero sistema di media e telecomunicazioni, in cerca di un posizionamento nuovo, trasversale alle diverse piattaforme tecnologiche, ancora quasi completamente finanziata da pubblicità e per questo maggiormente esposta ai vincoli normativi di quanto non succeda ad aziende con risorse diversificate. Ritiene quindi indubbio che un cambiamento del quadro normativo, così drammatico quale è quello ipotizzato dal disegno di legge Gentiloni, sia in grado di sconvolgere l'assetto di riferimento attuale, togliendo all'azienda le sicurezze, anche normative, di cui ha profondamente bisogno. Più che penalizzata l'azienda andrebbe addirittura sostenuta ed incentivata.
Aggiunge d'altra parte che il disegno di legge Gentiloni è sbagliato sin dalle sue premesse, cioè dai richiami alla giurisprudenza costituzionale ed alla situazione del mercato televisivo in Italia. La Corte costituzionale ha sempre richiamato il nesso stretto tra livello di antitrust e sviluppo tecnologico presente nel settore televisivo, attribuendo al legislatore il compito non di punire imprese esistenti per favorire il pluralismo, bensì di sfruttare al massimo le possibilità offerte dall'evoluzione tecnologica, in modo che il pluralismo sia conseguenza dell'aumento delle voci presenti e non della loro soppressione. Contro la lettera di messa in mora da parte dell'Unione in relazione alla disciplina delle frequenze, poi, con la quale si impedirebbe a terzi di entrare nel mercato, il Governo non ha inteso presentare memorie difensive, adottando pedissequamente l'opinione della Comunità. Viceversa, non solo chiunque potrà entrare nel mercato, subentrando alla quota di proprietà dell'emittente - come hanno fatto L'Espresso, Telecom Italia Media, il gruppo Ben Ammar/TF1 -, ma addirittura questi soggetti, anche i più impreparati, avrebbero un ingresso ordinato e senza scossoni al passaggio in digitale, o switch-off. Il disegno di legge Gentiloni prevede una vera e propria «confisca-redistribuzione» delle frequenze, in assenza di norme che governino la pianificazione delle frequenza stesse, in forma punitiva degli interessi degli operatori attuali.
Ricorda d'altra parte che il mercato negli ultimi anni non è rimasto congelato, ma è comparso un nuovo operatore, Sky, monopolista satellitare non soggetto a regole, che detta le sue tariffe indisturbato e che solo dopo una dura battaglia è stato possibile sottoporre al controllo di Auditel. Aggiunge che, per quello che costa, Sky non dovrebbe avere affatto pubblicità e invece si sta affollando senza regole, con l'unico pudore di non interrompere film e partite di calcio. Ritiene infatti che la quantità di pubblicità che Sky trasmette
Ribadisce, in conclusione, che il disegno di legge in esame palesemente mira ad infliggere un danno al gruppo Mediaset, in particolare, impoverendole con la sottrazione di risorse pubblicitarie di cui nessun altro beneficerà. Si impone la migrazione al digitale di una rete in tempi non omogenei con il passaggio di tutti gli altri operatori, ridefinendo in modo arbitrario il Sistema Integrato delle Comunicazioni (SIC), tanto da avvicinarne in maniera sospetta il limite alle dimensioni attuali di Mediaset. Ritiene che di per sé limitare i fatturati di Mediaset non creerà necessariamente le condizioni per l'entrata sul mercato di altri soggetti in grado di proporre reti e programmi al livello di quelli offerti attualmente dalla stessa Mediaset. Si parla di consolidare la tutela del pluralismo, senza dare poi elementi utili per definire e misurare il pluralismo stesso, ma considerando semplicisticamente che esso manca. Aggiunge che infliggere un danno non fondato su concreti interessi pubblici, limitandolo ad un solo soggetto tra due eguali, è incompatibile con i due principi di uguaglianza e libertà d'impresa, costituzionalmente protetti dagli articoli 3 e 41. Non si rispettano nemmeno principi comunitari, visto che quando nel disegno di legge in esame si parla di puntare ad una più equa distribuzione delle risorse economiche e si mira a dirottare risorse da un soggetto ad un altro, si va in aperto contrasto con l'articolo 49 del trattato della Unione europea in materia di libera prestazione dei servizi.
Per tali motivi, preannuncia quindi che l'opposizione al provvedimento in esame da parte del gruppo cui appartiene sarà aspra, puntuale e documentata, in considerazione del fatto che penalizzare un'impresa come Mediaset significa mettere a disposizione delle pay-TV i suoi programmi migliori, con l'assurdo di creare un danno fortissimo per il consumatore finale.