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PDL 266

XV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 266



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa del deputato LUMIA

Modifiche al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, in materia di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica

Presentata il 28 aprile 2006


      

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Onorevoli Colleghi! - La storia e l'esperienza giudiziaria hanno dimostrato come le organizzazioni criminali, e in particolare quelle di stampo mafioso, siano state storicamente in grado di infiltrarsi all'interno del mondo imprenditoriale, estendendo il proprio condizionamento sui relativi meccanismi di politica economica.
      Testimonianza paradigmatica di tale circostanza è stata - ed è tuttora - la capacità dell'organizzazione mafiosa di articolare il proprio controllo lungo tutte le diverse tappe in cui si svolgono le gare di appalto: dal momento iniziale della gara stessa, eventualmente pilotata attraverso la creazione di «cordate» di imprese legate a «Cosa Nostra», alla successiva fase della estorsione perpetrata a danno delle imprese appaltatrici, mediante la richiesta del «pizzo», fino alla creazione di veri e propri gruppi di imprese dediti al riciclaggio di denaro sporco.
      Se tale influenza mafiosa sull'attività di impresa chiaramente traspare da anni di indagini della polizia giudiziaria, di inchieste della magistratura, di processi e di sentenze, ciò è accaduto anche a causa della lacunosità dell'ordinamento giuridico rispetto alla previsione di un sistema organico di norme specificamente destinate a tutelare le imprese ed a salvaguardarne l'operatività sul territorio e la presenza sul mercato.
      La suddetta insufficienza normativa in materia di tutela giudiziaria della piena legalità dell'attività di impresa, tuttavia, sembra avere subìto una decisa sferzata a
 

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seguito del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 (Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica), alla luce del quale ha fatto ingresso nell'ordinamento giuridico italiano, per la prima volta, una forma di responsabilità che, seppure formalmente definita «amministrativa», assume in realtà un volto penalistico (o parapenalistico).
      Fino alla emanazione del citato decreto legislativo - in attuazione della legge-delega n. 300 del 2000 - la dottrina e la giurisprudenza concordavano, infatti, nell'escludere alcuna responsabilità penale delle persone giuridiche, a partire dall'assunto della «personalità della responsabilità penale» fissato dall'articolo 27 della Costituzione. I presupposti di imputabilità richiamati dall'articolo 85 del codice penale (capacità naturale di intendere e di volere) e di colpevolezza indicati dall'articolo 42 dello stesso codice (coscienza e volontà del fatto tipico), in combinato disposto con il citato articolo 27 della Costituzione, hanno tradizionalmente condotto alla formulazione dell'assunto per cui societas delinquere non potest.
      Alla stregua del richiamato orientamento dottrinale, la giurisprudenza era costante nel sanzionare quelle persone fisiche che, in virtù di un rapporto di rappresentanza organica, agivano (e quindi, eventualmente, «delinquevano») per conto e nell'interesse della persona giuridica.
      In tale ottica la disciplina introdotta dal decreto legislativo n. 231 del 2001 ha determinato una decisa svolta normativa e una fondamentale tappa nel processo di modernizzazione del diritto penale.
      La nuova disciplina normativa, che ha introdotto nell'ordinamento la responsabilità penale delle persone giuridiche, ha aperto diverse questioni problematiche alimentate dai primi «corposi» commenti in dottrina.
      I principali argomenti di dibattito hanno riguardato la «natura» della responsabilità dell'ente, penale o amministrativa, i criteri di imputazione soggettiva e oggettiva, l'imprecisione normativa, e la conseguente eccessiva ambiguità, nella indicazione dei contenuti e delle modalità di funzionamento dei cosiddetti «compliance programs».
      L'aspetto più significativo sembra riguardare, tuttavia, proprio il profilo sanzionatorio e, in particolare, la mancata previsione di qualsiasi riferimento ai reati «di stampo mafioso».
      La nuova responsabilità penale dell'ente, infatti, non ha portata generale ma è circoscritta alle sole ipotesi di reato espressamente previste dalla sezione III del capo I del decreto legislativo n. 231 del 2001, intitolata alla «Responsabilità amministrativa da reato».
      Tali ipotesi di reato sono indicate, in particolare, dagli articoli 24 e 25, ai sensi dei quali sono sanzionate, rispettivamente, l'indebita percezione di erogazioni, la truffa in danno dello Stato o di un ente pubblico o per il conseguimento di erogazioni pubbliche e la frode informatica in danno dello Stato o di un ente pubblico (articolo 24) nonché la concussione e la corruzione (articolo 25).
      È solo in conseguenza dell'accertamento di una delle suddette fattispecie che può scattare, quindi, una delle sanzioni ivi indicate (sanzioni pecuniarie, interdittive, confisca).
      Sotto questo profilo, la coniugazione della responsabilità penale dell'impresa a quella economico-sociale sembra evocare l'impegno congiunto sia del legislatore - in prima battuta - sia delle imprese stesse: il primo chiamato a integrare il quadro normativo di riferimento alla luce delle reali e più pressanti emergenze criminali; le seconde responsabilizzate nella adozione di modelli organizzativi che, rispondendo ai requisiti indicati nel citato decreto legislativo, siano altresì garanzia di trasparenza e di legalità.
      Il rispetto di tali impegni deve coincidere, tuttavia, con le risposte fornite ai due interrogativi fondamentali aperti dalla prima applicazione del medesimo decreto legislativo: «quali possibili modifiche, innovazioni e integrazioni si rendono necessarie affinché i profili di garanzia penale
 

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previsti dal decreto legislativo si possano ritenere adeguati al contesto socio-economico siciliano?» e «come deve atteggiarsi la politica economica dell'ente, alla luce dei nuovi profili di responsabilità sociale implicati (rectius, presupposti) dal decreto legislativo per essere in perfetta armonia con il sistema di garanzie introdotto dal legislatore?».
      In tale senso speciale rilievo assume l'emergenza imprenditoriale siciliana nel campo degli appalti, rispetto alla quale ci si sarebbe potuti aspettare legittimamente che la ricordata insufficienza normativa in materia di tutela giudiziaria della piena legalità dell'attività di impresa potesse subire una decisa sferzata proprio in virtù della adozione del decreto legislativo n. 231 del 2001.
      Come evidenziato, invece, il legislatore non ha fatto alcun riferimento ai reati «di stampo mafioso», o comunque connessi al problematico rapporto fra mafia e imprenditoria, così omettendo di provvedere alla definizione dei canoni di legalità ai quali la nuova responsabilità sociale dell'impresa - culturalmente, prima che giuridicamente, implicata dallo spirito del decreto legislativo n. 231 del 2001 - deve uniformarsi e grazie ai quali può rendersi impermeabile al ricordato condizionamento criminale.
      Per tale motivo appare indispensabile che il legislatore faccia fronte al proprio impegno per l'adeguamento della disciplina normativa alle effettive emergenze criminali - come emerse dalle prime applicazioni delle disposizioni del decreto legislativo - e, quindi, improcrastinabile l'integrazione del ventaglio delle fattispecie di reato con norme che rispondano alle attuali, ma non nuove, esigenze di salvaguardia della integrità dell'attività di impresa, rispetto alla forza di coazione e di soffocamento esercitata da «Cosa Nostra».
      L'introduzione degli articoli 25-septies e 25-octies alla sezione III del capo I del decreto legislativo n. 231 del 2001, prevista dall'articolo 1 della proposta di legge - rispettivamente rubricati «Favoreggiamento» e «Turbativa d'asta» va incontro appunto a tale esigenza di completezza.
      In particolare, la previsione del primo dei citati reati si iscrive nel solco della più volte ricordata responsabilizzazione sociale dell'impresa: laddove la ratio sottesa al riconoscimento della nuova responsabilità penale-amministrativa e sociale dell'impresa postuli altresì la collaborazione attiva di quest'ultima al mantenimento della legalità nell'ambito delle dinamiche economiche e sociali, infatti, risulta evidente la necessità di sanzionare la condotta di quella impresa la quale, invece, mantenga una condotta connivente con gli obiettivi di politica criminale dell'organizzazione mafiosa, alimentandone la forza economica. In tale senso si giustifica, peraltro, il richiamo all'aggravante speciale prevista dal secondo comma dell'articolo 378 del codice penale, la quale ricollega la condotta di favoreggiamento in ausilio a un reato riconducibile allo schema di cui all'articolo 416-bis del codice penale.       L'introduzione della suddetta fattispecie di reato e della relativa sanzione risponde, dunque, alla primaria finalità di prevenzione generale rispetto alla messa in atto di condotte imprenditoriali finalizzate a metabolizzare nel tessuto economico-sociale la forza di coercizione e di condizionamento dell'organizzazione mafiosa, responsabilizzando direttamente l'impresa rispetto alla lotta al relativo fenomeno criminale mediante un attivo contributo al corretto svolgimento delle attività investigative.
      Sulla stessa falsariga l'introduzione del reato di cui all'articolo 353 del codice penale, quando aggravato ai sensi dell'articolo 7 della legge 31 maggio 1965, n. 575. In termini generali, infatti, la previsione del suddetto reato risponde alle medesime finalità general-preventive di lotta al fenomeno mafioso e della sua penetrazione all'interno dei meccanismi economici ed imprenditoriali.
      In senso più specifico, tuttavia, la sanzione della condotta di turbativa d'asta - in relazione all'aggravante prevista dalle disposizioni contro la mafia (legge n. 575 del 1965) - mira a colpire quella condotta tipica mediante la quale si esercita di fatto il condizionamento mafioso sul sistema
 

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degli appalti. Come già ricordato, infatti, è proprio nel corso delle diverse tappe di cui si compone l'articolato procedimento dell'appalto che «Cosa Nostra» è in grado di incidere sul corretto e legale svolgimento dello stesso, sia pilotandone l'esito sia intervenendo in seconda battuta nei confronti dell'impresa appaltatrice.
      Garantire la trasparenza delle gare e delle procedure d'appalto costituisce, alla luce dell'importanza che queste assumono in relazione al corretto e produttivo svolgimento della realtà economica territoriale, esigenza primaria di cui le disposizioni di legge che disciplinano la responsabilità dell'impresa devono farsi carico.
      In conclusione deve osservarsi che l'introduzione delle suddette fattispecie di reato a integrazione di quelle gia previste nella sezione III del capo I del decreto legislativo n. 231 del 2001, è funzionale a completare il fronte sanzionatorio mediante il quale garantire il corretto svolgimento dell'attività d'impresa, nell'ambito di un rinnovato spirito di responsabilizzazione della stessa, attraverso la ricomprensione di fenomeni criminali tipicamente riferibili all'organizzazione mafiosa - colpevolmente dimenticata dal legislatore all'atto dell'emanazione del decreto legislativo n. 231 del 2001 - e la previsione di una sanzione pecuniaria finalizzata a esercitare quella tipica funzione di intimidazione, connessa al principio di prevenzione generale, discendente dalla decurtazione economica eventualmente sofferta dalla impresa la cui responsabilità penale sia stata accertata.
      Sulla scorta della stessa ratio legis che aveva motivato la ricezione, nella legge delega n. 300 del 2000, dei princìpi della nuova responsabilità penale-amministrativa e sociale dell'impresa, la presente proposta di legge si prefigge, quindi, di estendere tale responsabilità anche al fenomeno mafioso, la lotta al quale passa anche attraverso l'impegno assunto dagli operatori economici nel drenare i tradizionali canali di finanziamento di «Cosa Nostra», troppo a lungo liberamente articolatisi all'interno del tessuto economico, sociale e imprenditoriale.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

      1. Dopo l'articolo 25-sexies del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, sono inseriti i seguenti:

      «Art. 25-septies (Favoreggiamento) - 1. In relazione alla commissione del delitto di cui all'articolo 378, quando aggravato ai sensi del secondo comma, del codice penale, si applica all'ente la sanzione pecuniaria fino a quattrocento quote.

      Art. 25-octies (Turbativa d'asta) - 1. In relazione alla commissione del delitto di cui all'articolo 353 del codice penale, quando aggravato ai sensi dell'articolo 7 della legge 31 maggio 1965, n. 575, e successive modificazioni, si applica all'ente la sanzione pecuniaria fino a seicento quote».


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