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PDL 38

XV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 38



 

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PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE

d'iniziativa del deputato BOATO

Modifica all'articolo 79 della Costituzione in materia di amnistia e indulto

Presentata il 28 aprile 2006


      

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Onorevoli Colleghi! - L'articolo 79 della Costituzione, nel testo vigente, dispone che l'amnistia e l'indulto siano concessi con legge ed esige che quest'ultima sia deliberata da ciascuna Camera con la maggioranza dei due terzi dei rispettivi componenti, in ogni suo articolo e nella votazione finale.
      La proposta di legge di revisione costituzionale che si sottopone all'esame dell'Assemblea è volta a modificare il primo comma di tale articolo, richiedendo che le leggi in questione siano approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella votazione finale ed escludendo la previsione di una maggioranza qualificata per l'approvazione di ciascun articolo.
      La modifica proposta lascia intatta la formulazione attuale del secondo e del terzo comma dell'articolo 79, ai sensi dei quali il termine per l'applicazione dell'amnistia o dell'indulto sono stabiliti dalla legge che li concede, la quale non può, in ogni caso, disporne l'applicazione ai reati commessi dopo la presentazione del relativo disegno di legge. Essa non modifica né la nozione giuridica, né la funzione dei due istituti, incidendo unicamente sul quorum deliberativo della legge.
      Com'è noto, l'attuale formulazione dell'articolo 79 della Costituzione risulta dalla sostituzione dell'articolo originario operata dalla legge costituzionale 6 marzo 1992, n. 1. Il testo dell'articolo approvato dal Costituente e in vigore fino al 21 marzo 1992 era il seguente: «L'amnistia e l'indulto sono concessi dal Presidente della Repubblica su legge di delegazione delle Camere. Non possono applicarsi ai reati commessi successivamente alla proposta di delegazione».
      La modifica introdotta - oltre a sopprimere la peculiare figura della legge di delegazione al Capo dello Stato, con ciò restituendo al Parlamento, anche sul piano
 

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formale, la piena titolarità (corrispondente alla piena responsabilità politica) della decisione al riguardo - introduceva per l'adozione delle relative deliberazioni legislative una maggioranza qualificata talmente elevata da non trovare pieno riscontro neppure nella norma che disciplina il procedimento di revisione costituzionale. L'articolo 138, infatti, esige la maggioranza qualificata dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera al solo fine di escludere l'eventualità del ricorso a referendum sulle leggi costituzionali, per la cui approvazione richiede altrimenti la maggioranza assoluta dei componenti nella seconda votazione finale; e nessun particolare quorum prevede per l'approvazione dei singoli articoli.

L'articolo 79 della Costituzione nei lavori dell'Assemblea costituente

      L'amnistia e l'indulto sono, com'è noto, entrambi provvedimenti di clemenza di carattere generale, volti a sospendere l'efficacia della legge penale rispetto ad alcune ipotesi di reato: l'amnistia, peraltro, elimina l'antigiuridicità del fatto commesso precludendo l'esercizio dell'azione penale nei confronti dell'autore, mentre l'indulto - non facendo venir meno la qualificazione giuridico-penale del fatto come reato - è volto a condonare, in tutto o in parte, o a commutare la pena applicata.
      La prima questione che l'Assemblea costituente dovette affrontare nell'esaminare il tema dell'amnistia e dell'indulto (nell'ambito dei lavori della seconda Sottocommissione e quindi in seno alla Commissione per la Costituzione), fu quella dell'introduzione, o meno, di tali istituti nella Carta costituzionale. Sebbene il relatore, onorevole Giovanni Leone, si dichiarasse nettamente contrario a tale previsione, prevalse l'opinione opposta sostenuta, tra gli altri, dall'onorevole Togliatti, il quale sostenne che l'amnistia non è attributo della regalità (come aveva affermato l'onorevole Leone, aggiungendo che per questo motivo non poteva essere trasferito alla Repubblica) ma della sovranità: togliere alla Repubblica in quel momento tale attributo sarebbe stato politicamente un errore, poiché una parte considerevole del popolo avrebbe pensato che la Repubblica valesse meno della monarchia.
      Nel progetto iniziale la concessione dell'amnistia e dell'indulto fu dunque inserita tra le attribuzioni dell'Assemblea nazionale, organo successivamente non più previsto dal testo costituzionale e corrispondente nella sostanza all'attuale Parlamento in seduta comune.
      Il dibattito procedurale svoltosi, nella seduta del 20 dicembre 1946, presso la seconda Sottocommissione, costituì anche l'occasione per discutere sulla natura politica, e non giudiziaria, di tali provvedimenti. Alcuni membri, tra i quali l'onorevole Bozzi, ritenevano trattarsi di materia da affidare alla seconda Sezione della Sottocommissione, che esaminava il potere giudiziario. L'onorevole Tosato, contrario a questa tesi, affermò che «la concessione dell'amnistia, della grazia e dell'indulto è sempre espressione di un potere politico superiore a tutti gli altri poteri, sia quello esecutivo, sia quello legislativo, sia quello giudiziario».
      In Assemblea, al centro del dibattito non fu più l'opportunità di prevedere o meno in Costituzione l'amnistia e l'indulto. Lo stesso onorevole Leone fu anzi presentatore, con altri, dell'emendamento che condusse alla formulazione dell'articolo 79 da ultimo recepita nella Carta costituzionale.
      La discussione si incentrò invece sulla forma dell'approvazione dell'atto di concessione. Quattro furono le soluzioni proposte: deliberazione dell'Assemblea nazionale (testo della Commissione); legge costituzionale (emendamento dell'onorevole Codacci Pisanelli); legge ordinaria (onorevole Buffoni); decreto legislativo (onorevole Leone ed altri, tra i quali gli onorevoli Mortati, Moro e Bettiol).
      L'esigenza della legge costituzionale, nelle intenzioni del presentatore dell'emendamento, mirava ad impedire gli abusi che in passato avevano caratterizzato questi istituti e a limitarne il numero;

 

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la legge, approvata dalle due Camere, poteva permettere una formulazione tecnica migliore di quella possibile in un'assemblea troppo vasta come quella che (nel progetto originario) riuniva Camera dei deputati e Senato della Repubblica; la Commissione insisteva sulla approvazione da parte dell'Assemblea nazionale per dare maggiore solennità ad un provvedimento di carattere eccezionale ed anche per evitare un cattivo uso da parte del Governo.
      La formula della delegazione, proposta soprattutto in ragione della maggiore rapidità di adozione e per evitare le snervanti attese conseguenti all'annunzio di una amnistia, fu quella che prevalse; e un emendamento a firma Bettiol - inteso a riconoscere un particolare risalto alla figura del Capo dello Stato in ordine alla concessione del beneficio - diede all'istituto la sua forma finale, che ne faceva un atto del Presidente della Repubblica, adottato su legge di delegazione delle Camere.

La revisione dell'articolo 79 della Costituzione intervenuta nel 1992

      In tale formulazione, l'articolo 79 della Costituzione è rimasto in vigore per quarantaquattro anni, nel corso dei quali sono state approvate venti leggi recanti concessione di amnistia o di indulto: l'ultima nel dicembre 1991, poco prima dell'entrata in vigore della legge costituzionale 6 marzo 1992, n. 1, che ha prodotto l'attuale testo dell'articolo 79 della Costituzione e dopo la quale - dato significativo - nessuna nuova legge di amnistia o di indulto è stata approvata.
      Il nuovo testo entrato a far parte della Costituzione trae origine da uno dei progetti di legge allora in discussione: il disegno di legge governativo (atto Camera n. 4317) presentato dal Presidente del Consiglio, onorevole Andreotti, e dal Ministro di grazia e giustizia, professor Vassalli. La relazione illustrativa del disegno di legge, motivando l'esigenza della modifica costituzionale, affermava la necessità di ridurre l'uso frequente dei provvedimenti di amnistia e di indulto, ponendola in relazione con la recente entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale: la funzione deflattiva assegnata in esso ai riti differenziati sarebbe stata infatti vanificata dal ricorso non sporadico (che di fatto si era verificato nella prassi) allo strumento di clemenza, «giacché è ragionevole prevedere che, difficilmente, in presenza di tali aspettative (cioè di provvedimenti di amnistia o indulto) l'imputato preferirà scegliere la strada del processo rapido, con conseguente esecuzione della pena, rispetto all'attesa di una futura, ma non lontana, estinzione del reato a seguito di amnistia, ovvero di una (anche parziale) estinzione della pena a seguito di indulto».
      La relazione del disegno di legge richiamava inoltre la sentenza della Corte costituzionale n. 175 del 1971, in cui la Corte, pur affermando la propria incompetenza a sindacare l'ampiezza dell'uso fatto dal Parlamento della sua discrezionalità in materia, riteneva che apparisse degno di attenta considerazione il rilievo (sollevato dai ricorrenti) sulla «necessità di interpretare l'articolo 79 Cost. in modo da armonizzarne l'applicazione con il rispetto del supremo principio di eguaglianza: il che si otterrebbe quando all'amnistia si faccia luogo solo in confronto a reati commessi in situazioni eccezionali e limitate nel tempo».
      Il dichiarato scopo di limitare il ricorso agli strumenti di clemenza connotava anche gli altri progetti di legge costituzionale presentati sulla materia, i quali, peraltro, non intervenivano unicamente sul meccanismo di adozione dei provvedimenti di amnistia e indulto, ma erano rivolte o a cancellare definitivamente l'istituto dell'amnistia, attraverso l'abrogazione dell'articolo 79 della Costituzione (atto Camera n. 3937, onorevole Biondi), o a consentirne l'applicazione solo in casi straordinari di necessità (atto Camera n. 4292, onorevole Finocchiaro Fidelbo ed altri; atto Senato n. 1846, senatore Casoli ed altri; atto Senato n. 1883, senatore Onorato ed altri), circoscrivendone altresì l'applicabilità ai soli reati commessi nell'anno antecedente la proposta di delegazione

 

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(atto Camera n. 4292) ovvero imponendo per l'approvazione della relativa legge la maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera (atto Camera n. 4292; atto Senato n. 1883).
      L'iter dei progetti di legge costituzionale iniziò alla Camera dei deputati; già durante l'esame in Commissione il relatore onorevole Galloni osservò che il quorum dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera per l'approvazione delle leggi di amnistia e indulto, previsto dal testo governativo, appariva troppo elevato (superiore anche a quello richiesto per l'elezione del Presidente della Repubblica dopo il terzo scrutinio) e tale da comportare il rischio di rendere nella pratica quasi impossibile il ricorso all'istituto; propose pertanto di abbassare il quorum ai due terzi dei votanti, prevedendone il ricorso anche per l'approvazione dei singoli articoli e non soltanto per la votazione finale della legge.
      Si scelse tuttavia di tener fermo il quorum particolarmente elevato dei due terzi dei componenti, estendendolo al voto sui singoli articoli. Non si accolse invece l'ipotesi avanzata dagli altri progetti di legge costituzionale, che limitavano la concessione dell'amnistia ai casi di straordinaria necessità, in considerazione dei gravi inconvenienti che si sarebbero potuti verificare qualora una legge di amnistia o indulto fosse stata dichiarata illegittima a distanza di tempo per carenza dei presupposti di necessità.
      Quanto alla questione del ristretto limite temporale per l'applicazione dell'amnistia, previsto dalla proposta di legge atto Camera n. 4292, la soluzione raggiunta fu quella di rinviare alla legge la fissazione di tale termine; soluzione che il Senato della Repubblica riformulò in termini più univoci, lasciandone immutata la sostanza.
      Il testo approvato dalla Camera dei deputati e modificato dal Senato della Repubblica fu nuovamente approvato dalla Camera in prima deliberazione, senza subire ulteriori modifiche nel successivo corso dell'iter.
      La modifica costituzionale fu approvata in seconda deliberazione da ciascuna delle Camere a maggioranza assoluta dei propri componenti, con un assenso quasi unanime (vanno tuttavia ricordati alcuni interventi, come quelli dei senatori Onorato e Strik Lievers, critici nei confronti dell'elevatissimo quorum introdotto); né fu presentata richiesta di referendum ai sensi del secondo comma dell'articolo 138 della Costituzione.

I lavori della Commissione parlamentare per le riforme costituzionali in materia di amnistia e indulto

      La materia venne nuovamente affrontata pochi anni dopo, nel corso della XIII legislatura, da parte della Commissione parlamentare per le riforme costituzionali, istituita dalla legge costituzionale 24 gennaio 1997, n. 1.
      Il tema delle modalità di concessione dell'amnistia e dell'indulto fu inizialmente esaminato nell'ambito dei lavori del Comitato su Parlamento e fonti normative costituito in seno alla Commissione. L'articolato presentato il 29 maggio 1997 alla Commissione plenaria dalla senatrice Dentamaro, relatrice per il Comitato, e adottato come testo base nella seduta del 4 giugno, stabiliva che le leggi di amnistia e di indulto dovessero essere approvate con legge «bicamerale» (articolo 68, secondo comma, lettera h)) deliberata a maggioranza dei due terzi di ciascuna Camera (articolo 81). Veniva dunque meno l'esigenza di una maggioranza qualificata per l'approvazione di ogni articolo; nulla mutava con riguardo alla votazione finale.
      Nella seduta del 24 giugno furono tuttavia discussi ed approvati due identici emendamenti (Mussi II.28.1 e Boato II.28.4) volti a ridurre il quorum necessario per approvare le leggi di amnistia o indulto, dai due terzi alla maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera.
      Nel corso del dibattito, a sostegno dell'approvazione degli emendamenti si ricordò tra l'altro (onorevole Boato) che la modifica costituzionale da cui era scaturita l'attuale formulazione dell'articolo 79

 

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ebbe luogo in un clima politico «emergenziale di allarme» che portò alla «blindatura» delle leggi di amnistia e indulto, e si rilevò che in base alla nuova formulazione proposta le leggi in questione sarebbero state approvate con una votazione comunque qualificata (la maggioranza assoluta dei componenti), ma non tale da rendere sostanzialmente impossibile il ricorso ai provvedimenti previsti dall'articolo.
      Posti in votazione, i due emendamenti furono approvati e il testo così riformulato costituì il primo comma del nuovo articolo 110 della Costituzione secondo il progetto di legge costituzionale approvato dalla Commissione il successivo 30 giugno (atto Camera n. 3931 e atto Senato n. 2583).
      Nella seduta del 30 settembre 1997, a seguito della presentazione degli emendamenti al testo approvato dalla Commissione, si riaprì il dibattito sull'opportunità di un abbassamento del quorum necessario per la concessione dell'amnistia o dell'indulto. Alle obiezioni di chi (onorevole Fontan; senatore Gasperini) criticava la scelta di affidare ad una semplice «maggioranza parlamentare sia di destra, sia di sinistra» la decisione su questioni di particolare delicatezza come quelle in oggetto, che investono il problema della certezza del diritto penale e dell'esecutività della pena, si rispose (onorevole Boato) osservando che la maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera è qualcosa di più ampio rispetto alla maggioranza politico-governativa (che si concreta nella maggioranza dei votanti al momento della fiducia) e ribadendo che la previsione di un quorum così alto come quello dei due terzi ha l'effetto di vanificare nella sostanza la norma costituzionale. Si sostenne inoltre (senatore Elia) che «uno degli effetti perversi introdotti da questa normativa è la ricerca spasmodica degli stessi effetti dell'amnistia attraverso l'abrogazione o la modificazione di norme sulle fattispecie penali».
      Posto in votazione, l'articolo 110 fu approvato nella versione originaria proposta dalla Commissione e divenne poi, a seguito di coordinamento finale, l'articolo 101 del testo approvato dalla Commissione il 4 novembre 1997 (atto Camera n. 3931-A e atto Senato n. 2583-A).

XIV legislatura: il discorso di Giovanni Paolo II al Parlamento, le autonome determinazioni non assunte dalle Camere

      Nella precedente legislatura la proposta di legge costituzionale che si illustra con questa relazione (che ebbe la preziosa collaborazione tecnico-giuridica del Servizio studi della Camera dei deputati, con la esclusiva responsabilità giuridica dell'allora relatore del testo) ripropose il disposto del primo comma dell'articolo 101 citato. Le ragioni che condussero all'adozione di quel testo da parte della Commissione bicamerale mantengono la loro validità all'inizio della XV legislatura.
      A quindici anni dall'ultimo provvedimento adottato dal Parlamento, la XIV legislatura, semmai, ha reso più profonde e gravi le motivazioni di questa proposta di legge costituzionale. Nel corso della legislatura, dal 2002 sino al suo ultimo mese, tutte le proposte di amnistia condizionata - fra le quali le proposte di legge a firma del presentatore (atti Camera nn. 1606 e 1607) e che erano state predisposte da due autorevoli esponenti della magistratura e del diritto, come il dottor Francesco Maisto, sostituto procuratore generale di Milano, e il professor Massimo Pavarini, dell'Università degli studi di Bologna - e di indulto hanno subìto la valutazione negativa e le opposizioni che hanno segnato, nelle ultime legislature, tutti i provvedimenti di indulgenza.
      Il Parlamento non ha voluto o non ha potuto - per ragioni già richiamate - scrivere una pagina innovativa rispetto alla valutazione fortemente negativa che una parte della cultura penalistica e della politica - seppure non in forme e con voci unanimi - propongono in ordine a provvedimenti di clemenza a carattere «eccezionale». Ciò anche quando si è giunti alla loro discussione in Assemblea con un

 

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accordo largamente condiviso, trasversale agli schieramenti di maggioranza e di opposizione.
      L'accorato appello di Giovanni Paolo II, nella solenne visita del 14 novembre 2002, pronunciato nell'Aula della Camera dei deputati dinanzi alle Camere riunite, non ha ottenuto alcuna risposta. Un appello che laicamente abbiamo condiviso, pronunciato nel contesto assolutamente senza precedenti di un discorso del Papa al Parlamento. Il Parlamento, come si è avuto modo di dire in Assemblea alla Camera dei deputati solo alcuni giorni dopo, il 18 novembre 2002, «secondo lo spirito di laicità dello Stato di diritto», avrebbe dovuto «assumere autonomamente le proprie determinazioni».
      La convinzione, allora ribadita, è che «l'introduzione per così dire "emergenziale" di questo tipo di quorum così elevato da non avere riscontro in nessun altro articolato della Costituzione abbia prodotto non l'obiettivo auspicabile e auspicato di una deflazione dei provvedimenti - che obiettivamente erano stati troppo frequenti nella fase precedente della storia repubblicana - bensì di fatto (non di diritto) la cancellazione dal nostro ordinamento giuridico degli istituti dell'amnistia e dell'indulto. (...) È come se - forse senza volerlo intenzionalmente (le logiche emergenziali a volte hanno una sorta di eterogenesi dei fini) - di fatto fosse soppresso questo istituto dal nostro testo costituzionale».
 

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PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE

Art. 1.

      1. Il primo comma dell'articolo 79 della Costituzione è sostituito dal seguente:

      «L'amnistia e l'indulto sono concessi con legge deliberata a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera».


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