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PDL 187

XV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 187



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa del deputato LUSETTI

Istituzione della Giornata nazionale dei servizi pubblici locali

Presentata il 28 aprile 2006


      

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Onorevoli Colleghi! - La prima legge dello Stato italiano in materia di servizi pubblici degli enti locali risale ormai a oltre cento anni fa. È datata, infatti, 29 marzo 1903 la legge sull'assunzione diretta dei pubblici servizi da parte dei comuni. Questa legge, nota come «legge Giolitti», successivamente inserita nei testo unico della legge sull'assunzione diretta dei pubblici servizi da parte dei comuni e delle province, di cui al regio decreto 15 ottobre 1925, n. 2578, in vigore fino a pochi anni fa, costituì una pietra miliare per lo sviluppo economico e sociale delle comunità locali, promuovendo la libera assunzione di numerose attività di servizio pubblico da parte dei comuni, quali i trasporti, gli acquedotti, il gas, l'energia elettrica, la nettezza urbana e così via, e consentendo loro di adottare autonomamente le forme di gestione più confacenti alle proprie dimensioni e attitudini. Essi potevano, infatti, scegliere tra le gestioni dirette con le aziende speciali o in economia e quelle indirette, tramite le concessioni a imprese private.
      In precedenza l'operare sostanzialmente incondizionato delle forze di mercato si era infatti dimostrato sempre più incompatibile tanto con l'efficienza del sistema economico quanto con le condizioni di vita dei cittadini, alla luce soprattutto dei processi di industrializzazione e di accentuata urbanizzazione che caratterizzavano l'Italia intorno alla fine dell'ottocento. Il suddetto fabbisogno di regolazione, pertanto, rappresentava un terreno unificante di esigenze e di correnti di pensiero tra loro molto differenti. Il dibattito, peraltro, si sviluppò e prese intensità quando l'incalzare degli eventi rese il tema della municipalizzazione un argomento politico di primaria urgenza, anche perché i casi di comuni che autonomamente avevano assunto l'iniziativa di costituire ex novo aziende municipalizzate o di riscattare concessioni da imprese private si erano fatti frequenti e consistenti.
 

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Tali iniziative, del resto, non erano generalmente assunte in base a motivazioni ideologiche, bensì sulla spinta di esigenze concrete: da un lato finanziare le casse comunali con le ingenti rendite connesse alla gestione dei servizi, dall'altro dare risposta ai problemi alimentati dai processi di inurbazione. Dal 1891 al 1901 le città italiane avevano aumentato notevolmente la popolazione; in particolare Roma del 54 per cento, Milano del 43 per cento, Torino del 32 per cento, Palermo del 27 per cento, Napoli del 14 per cento. Ciò suscitava nuove esigenze e bisogni la cui risposta era largamente affidata alla presenza di infrastrutture e di reti in grado di fornire beni e servizi indispensabili nella vita cittadina. A ciò si aggiunga che la fase di industrializzazione e di ammodernamento dell'apparato produttivo evidenziava quanto fosse importante disporre di sistemi territoriali «attrezzati» suscitatori di «esternalità» positive.
      A conferma del carattere sostanzialmente pragmatico delle prime esperienze di municipalizzazione si consideri che esse si concentrarono inizialmente soprattutto nei comuni collocati in aree di più intenso sviluppo industriale con giunte a maggioranza moderata e liberale. Si ricordi, al riguardo, che fra il 1845 e il 1870 soltanto Genova, Vercelli, Brescia, Rovigo, La Spezia e Cesena disponevano di un pubblico servizio del gas. Successivamente, dopo il 1880, l'ambito di intervento si estese ad altri settori, quali gli acquedotti (Spoleto, Udine, Terni, Vercelli), i trasporti urbani (nel 1895 Genova costituì una società a partecipazione comunale per gestire questo servizio), le centrali elettriche (Brescia nel 1893 e Verona nel 1898).
      Contrariamente a quanto comunemente si ritiene, dunque, le prime concrete realizzazioni non ebbero una connotazione politico-ideologica. L'esempio della Gran Bretagna, considerato da molti modello di riferimento, era per un verso eloquente per l'altro rassicurante. In questo Paese, infatti, esisteva già da oltre trenta anni una legislazione favorevole all'assunzione diretta dei servizi da parte degli enti locali. Ciò aveva permesso la diffusa presenza di municipalizzate, soprattutto in alcuni settori come quello elettrico (in cui le aziende pubbliche erano circa l'80 per cento del totale) e quelli dell'acqua e del gas (intorno al 50 per cento del totale), producendo risultati positivi a vantaggio sia dei cittadini che delle finanze comunali.
      La legge Giolitti del 1903 e il successivo testo unico del 1925, in effetti, scaturiscono proprio da un generale e condiviso fabbisogno di regolazione.
      In realtà, sul piano legislativo, la questione fu affrontata per la prima volta nel 1898 (Governo Pelloux) quando fu istituita una Commissione parlamentare (Commissione Lucchini) con il compito di redigere un disegno di legge per disciplinare l'assunzione diretta dei servizi e il riscatto delle concessioni. Il progetto di legge che fu elaborato nell'occasione non riuscì a superare le resistenze provenienti dalla componente più conservatrice del mondo industriale, interessata a conservare i benefìci della gestione privata dei monopoli, che prevalse su quella più dinamica, favorevole a espandere l'offerta e l'accessibilità dei servizi come condizione per lo sviluppo economico e produttivo. Quando il problema si ripresentò alla discussione parlamentare all'inizio del 1902 le condizioni erano notevolmente mutate per effetto del prevalere di un «blocco sociale» sostenuto dalle istanze di ambienti imprenditoriali avanzati e dalla disponibilità del mondo sindacale e della componente riformista della sinistra di matrice socialista. In particolare la municipalizzazione si collocava nel programma di decentramento amministrativo di cui Giolitti era sostenitore e corrispondeva a una esigenza di ammodernamento resa evidente dal processo di industrializzazione e dai movimenti migratori ad esso connessi. Per schematizzare, l'istanza municipalizzatrice presentava un duplice ordine di motivazioni: una, per così dire, di funzionalità del sistema, e cioè l'opportunità di creare le condizioni per un più agevole e ordinato sviluppo industriale; un'altra di natura politica, vale a dire l'esigenza, propria della strategia giolittiana, di allargare le
 

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basi sociali e di consenso dello Stato liberale, ciò che imponeva di alleviare il peso del processo di industrializzazione mediante un'idonea politica dei servizi.
      Il dibattito che accompagnò la discussione del disegno di legge di riforma fu di notevole intensità e di straordinario interesse.
      In esso si confrontarono i più autorevoli rappresentanti dei principali orientamenti politico-ideali di quel periodo storico, sia di matrice liberale, sia socialista, sia cattolica. Ciascuno portò il proprio specifico contributo, generalmente a sostegno della prospettiva di pubblicizzazione, in base a motivazioni spesso profondamente diverse. Per un verso, infatti la municipalizzazione veniva invocata con il fine di dare risposta al problema del «fallimento del mercato» connesso alla presenza di monopoli naturali, per altro verso l'obiettivo era alleviare i disagi connessi a comportamenti monopolistici e innalzare le condizioni di vita dei cittadini e dei lavoratori, per altro ancora, più pragmaticamente, lo scopo era alleggerire il dissesto delle finanze comunali acquisendo parte almeno delle rendite monopolistiche.
      La citata legge sulla municipalizzazione del 1903, risentì, sia pure in misura diversa, di tutti questi orientamenti. In essa, da un lato, permasero lo spirito innovatore e le motivazioni economiche, sociali e politiche che ne erano state il motivo ispiratore; dall'altro furono inserite norme che, al fine di consentire un compromesso con gli oppositori, ne stemperavano alcuni contenuti riformatori.
      Da allora, non senza avere prima sottolineato le straordinarie vicissitudini tra la fine degli anni '70 e la metà degli '80 del secolo scorso, che videro l'assunzione di misure di drastico risanamento finanziario, bisogna arrivare quasi ai nostri giorni per registrare con la legge n. 142 del 1990, di riforma delle autonomie locali, una evoluzione di pari importanza nell'ambito del settore dei servizi, pubblici locali, con l'ingresso, tra le modalità di gestione, delle società di capitali, vuoi con la partecipazione di prevalente capitale pubblico locale, vuoi a maggioranza privata. Tali norme sono ora confluite nel testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2002, n. 267, che le ha, in gran parte, confermate.
      Oggi il mondo dei servizi pubblici locali è nuovamente in una fase di profondi mutamenti, alcuni in atto, altri nella prospettiva della concreta applicazione di alcune norme settoriali di liberalizzazione, come nel trasporto pubblico locale o nel gas nonché, più in generale, delle norme contenute dell'articolo 35 della legge n. 448 del 2001 (legge finanziaria per il 2002).
      Le caratteristiche e le direzioni di questi cambiamenti sono solo in parte definite. Accanto a innovazioni ormai acquisite e consolidate permane infatti un'area ancora magmatica in ragione dell'attuale fase di transitorietà tanto sul piano istituzionale quanto su quello dei comportamenti dei principali protagonisti del processo decisionale, in particolare gli enti locali e i gestori pubblici e privati operanti in questi mercati. Tale circostanza, in effetti, è da valutare come il segno di un passato che stenta ancora a cedere il passo al nuovo.
      La logica concorrenziale sottesa ai settori richiamati si evidenzia particolarmente in fase di affidamento, con riguardo sia alla scelta del gestore sia alla durata dell'affidamento stesso. Innanzitutto rileva sottolineare l'obbligatorietà della gara come unica possibile forma di affidamento, in secondo luogo la durata massima di quest'ultimo che viene mantenuta entro limiti tali da non affievolire gli effetti di stimolo all'innovazione e all'efficienza connessi al meccanismo di concorrenza «per» il mercato.
      Sotto il profilo economico, i ricavi complessivi dei servizi pubblici locali rappresentano l'1,9 per cento del prodotto interno lordo, il loro valore aggiunto è oltre il 3 per cento rispetto a quello dell'industria, i dipendenti sono l'1,8 per cento dell'occupazione dell'intero terziario, il loro impatto sui consumi totali delle famiglie, infine, è del 5,5 per cento.
 

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      I risultati economici del comparto, nonostante la presenza di settori caratterizzati da disavanzi strutturali (trasporti pubblici locali) e nonostante oneri di servizio universale gravanti direttamente sui bilanci delle imprese, presentano una crescita che nell'ultimo quinquennio è diventata molto consistente.
      Ciò costituisce una conferma del fatto che, da un lato, vi è da parte delle aziende del settore la propensione a fuoriuscire dalla condizione di meri soggetti erogatori dei servizi per assumere quella di imprese, dall'altro, di conseguenza, vi è un'attenzione crescente ai termini dell'efficienza aziendale, dall'altro ancora vi è la consapevolezza circa la necessità di un uso appropriato delle risorse mediante l'adozione, in molti casi, di politiche labour saving in seguito a processi di riorganizzazione aziendale. Si assiste, quindi, a forti crescite del «giro di affari» e della produzione ottenute ricorrendo in misura decrescente al fattore lavoro e più intensamente all'uso di capitali e di tecnologie.
      In altri termini, le imprese del settore hanno avvertito l'esigenza e l'urgenza di riposizionarsi sul mercato al fine di disporre di armi vincenti rispetto alle sfide della liberalizzazione.
      Dal punto di vista dell'organizzazione, sono state attuate politiche di fusione, acquisizione, accordi industriali, con l'obiettivo di rafforzare il peso dimensionale, produttivo, finanziario e di mercato di tali imprese; inoltre è proseguita e si è consolidata la tendenza a caratterizzare queste imprese come multiutilities, anche in direzione di un progressivo allargamento dell'area di business includendovi oltre ai servizi «istituzionali» anche altre attività, sia ad essi collegate (i servizi cosiddetti «post contatore») sia facenti parte di altri mercati caratterizzati da rapporti di sinergia (collocati, in particolare, nell'area delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione); infine ci si è decisamente indirizzati al superamento dei servizi in economia e molti comuni di minore dimensione hanno «partecipato» imprese di proprietà di altri enti locali affidando loro l'erogazione dei servizi.
      Il riflesso quantitativo di questi processi, consiste nel fenomeno di sensibile crescita dei volumi di attività (sia fatturato che costi) più che proporzionale all'aumento della produzione dei servizi «istituzionali» e ottenuta in presenza di una costanza o di una diminuzione del numero complessivo degli addetti.
      Dall'analisi relativa al comparto nel suo insieme, riferita agli ultimi sei anni, emerge una crescita del fatturato (ad un tasso di quasi il 9 per cento annuo) significativamente superiore a quella dei costi (che crescono al ritmo del 7,7 per cento); questi ultimi, quindi, vengono più che compensati dai ricavi complessivi, grazie anche ad una maggiore attenzione alla gestione finanziaria. Di conseguenza il risultato operativo, ancora negativo fino al 1995, ha assunto valori positivi e crescenti a ritmi accelerati negli ultimi anni passando dai 131 milioni di euro nel 1997 ai 1.367 stimati per il 2002. Come si è detto un ruolo rilevante è da attribuire all'adozione di prassi imprenditoriali orientate ad accrescere l'efficienza produttiva e finanziaria. Si, consideri, al riguardo, che pur accrescendo e migliorando le prestazioni, le imprese considerate hanno ridotto il peso della componente personale nel totale dei costi di produzione (tale componente è passata dai 38 per cento del 1997 al 34 per cento nel 2002) grazie anche al contenimento del numero degli addetti, rimasto sostanzialmente statico e attestatosi a circa 157.000 unità nel 2002.
      Per quanto riguarda, infine, gli investimenti, la dinamica è stata molto accentuata, con un incremento medio annuo di quasi il 10 per cento, per l'intero compatto. L'ammontare degli investimenti si attesta nel 2002 a 4.500 milioni di euro, che rappresentano una percentuale molto elevata (quasi l'8 per cento) del totale degli investimenti netti del sistema produttivo nazionale.
      I servizi pubblici locali costituiscono, inoltre, un fattore di competitività per i sistemi territoriali, sono un elemento che concorre a determinare la qualità della
 

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vita nelle aree urbane e in modo diffuso sull'intero territorio. È anche per queste ragioni che il rapporto dei cittadini con l'attività delle imprese che li forniscono deve essere sempre più caratterizzato dalla trasparenza.
      Sulla base di quanto premesso sia sotto il profilo storico che sotto quello economico, nonché per le evidenti ragioni di carattere sociale, si propone che la giornata del 10 maggio venga dichiarata «Giornata nazionale dei servizi pubblici locali».
      Durante questa Giornata le aziende di gestione dei servizi pubblici locali potranno adottare, di intesa con gli enti locali di riferimento ed eventualmente con le loro associazioni rappresentative, ogni iniziativa destinata ad accrescere la conoscenza da parte della popolazione delle attività di servizio svolte e, ove possibile, delle modalità anche tecniche di gestione delle stesse.
      Da parte loro, le regioni, le province e i comuni potranno incentivare, anche con l'eventuale destinazione di risorse finanziarie proprie, l'adozione delle iniziative stesse.
      Gli enti e le aziende di gestione dei servizi pubblici locali nonché le rispettive associazioni provvederanno a fornire ai mezzi di comunicazione di massa ogni elemento necessario ai fini della più ampia diffusione pubblica delle iniziative promosse su scala nazionale e locale.
      Si sottolinea, da ultimo, che ai fini della copertura finanziaria, le disposizioni della proposta di legge non recano oneri finanziari a carico del bilancio statale.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

      1. Il giorno 10 maggio è dichiarato Giornata nazionale dei servizi pubblici locali.
      2. Le aziende di gestione dei servizi di cui al comma 1 adottano, d'intesa con gli enti locali di riferimento ed eventualmente con le loro associazioni rappresentative, ogni iniziativa idonea ad accrescere la conoscenza da parte della popolazione delle attività di servizio svolte e, ove possibile, delle modalità anche tecniche di gestione delle stesse.
      3. Le regioni, le province e i comuni incentivano, anche con l'eventuale destinazione di risorse finanziarie proprie, l'adozione delle iniziative di cui al comma 2.
      4. Gli enti e le aziende di cui ai commi 2 e 3 e le rispettive associazioni rappresentative provvedono a fornire ai mezzi di comunicazione di massa ogni elemento necessario ai fini della più ampia diffusione pubblica delle iniziative promosse su scala nazionale e locale.
      5. Dall'attuazione delle disposizioni di cui alla presente legge non derivano nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato.


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