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PDL 623

XV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 623


 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa del deputato MAZZONI

Disposizioni per la promozione delle pari opportunità tra donne e uomini nell'accesso alle cariche elettive

Presentata il 10 maggio 2006


      

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Onorevoli Colleghi! - In Italia il riconoscimento dei diritti politici alle donne arriva solo nel dopoguerra, con molto ritardo rispetto a Paesi come la Nuova Zelanda, dove tale passo fu compiuto nel 1893, gli Stati Uniti nel 1919 o la Gran Bretagna nel 1928.
      Nel nuovo testo costituzionale, la formulazione delle norme relative ai diritti politici, a differenza di quanto accade per le altre, fa volutamente riferimento a «uomini e donne» (articolo 48) o a «cittadini dell'uno o dell'altro sesso» (articolo 51) proprio al fine di scongiurare eventuali interpretazioni penalizzanti per il sesso femminile.
      La Costituzione repubblicana all'articolo 3 sancisce il principio dell'uguaglianza, che è anche principio di non discriminazione, ma nei riguardi delle donne questo stenta a decollare: solo con la legge 9 febbraio 1963, n. 66, cadono una serie di preclusioni riguardanti l'accesso ai pubblici uffici, tra cui l'ingresso in magistratura; occorre poi attendere la legge 9 dicembre 1977, n. 903, perché sia sancita a tutto campo la «parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro».
      I princìpi fondanti la nostra Costituzione restano dunque, su questo fronte, per lungo tempo, sprovvisti del loro presidio giuridico, se fino alla seconda metà degli anni settanta persistono discriminazioni giuridiche di tale portata.
      Ad oggi, nonostante i traguardi raggiunti in materia di parità, la sottorappresentanza è in Italia una realtà più problematica che negli altri Paesi europei, con percentuali molto vicine a quelle di nazioni che non conoscono la democrazia.
      Probabilmente, fino alla riforma dell'articolo 51 della Costituzione di cui alla legge costituzionale n. 1 del 2003, la mancanza di una copertura costituzionale per azioni di promozione della presenza femminile nelle assemblee elettive ha avuto il
 

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suo peso, come si è potuto constatare nel caso delle «quote elettorali».
      La Corte costituzionale, nella nota sentenza n. 422 del 1995, ha articolato il suo giudizio di incostituzionalità intorno al concetto di azioni positive ed al principio di eguaglianza sostanziale, sostenendo fortemente la impossibilità di includere iniziative come quella delle quote tra gli interventi miranti a «rimuovere» gli ostacoli ad una effettiva realizzazione dei diritti di parità, ai sensi dell'articolo 3, secondo comma, della Costituzione.
      Simili iniziative infatti, secondo la Corte, si risolvono in attribuzione diretta del risultato auspicato, piuttosto che in rimozione delle cause di disparità, configurando una sostanziale discriminazione.
      C'è di vero che il dato degli ostacoli che si frappongono ad una paritaria, reale partecipazione delle donne alla politica, intesa nel senso di parità di opportunità e mezzi, è l'esito di processi di natura storico-sociale fortemente radicati; scardinare un sistema le cui cause sono prevalentemente di ordine culturale e sociale richiede un'attività legislativa complessa, articolata, lunga e che affronti questioni diverse.
      Porre in essere politiche in materia di pari opportunità vuol dire, nel dettato della Corte, agire su una miriade di fronti, intervenendo sulle chance, non sugli obiettivi.
      La posizione dell'organo di giustizia costituzionale, però, trascura l'evidenza per cui tale intento è soccombente al cospetto di un sistema politico a connotazione quasi totalmente maschile e perfettamente «autoreferenziale» (Roberto Bin), la cui resistenza a qualsiasi riforma che lo coinvolga direttamente è evidente. In assenza di una svolta che inverta questa logica di auto-conservazione il percorso verso la realizzazione di una parità effettiva rischia di non avere avvio.
      Il principio di eguaglianza sostanziale è principio di ampio respiro, dotato di grande flessibilità, mai uguale a se stesso e ben può tollerare una irrituale modalità se finalizzata alla piena realizzazione di diritti per troppo tempo negati e costretti in un sistema altrimenti difficilmente penetrabile.
      È in questa ottica che si propone, nel testo, un collegamento tra determinazione del contributo spettante a ciascun partito e percentuale degli eletti di ciascun sesso.
      Più precisamente, si individua nell'ambito delle norme elettorali relative al Senato della Repubblica (articolo 1), alla Camera dei deputati (articolo 2), e alle regioni (articolo 3), un meccanismo di calcolo del contributo a carattere premiale per i partiti che più si avvicinano alla parità tra eletti di ciascun sesso.
      È scontato sostenere, ma vale la pena ribadirlo anche in questa sede, la validità della tesi della Corte costituzionale e dei vari costituzionalisti e commentatori che hanno affrontato l'argomento, per cui sarebbe necessaria una presa di coscienza su questo fronte da parte di partiti o movimenti che partecipano alle elezioni, che li conducesse all'inserimento nei propri statuti o regolamenti di norme di promozione della partecipazione delle donne.
      Tali iniziative non rientrano però nella facoltà del legislatore; nelle possibilità del Parlamento c'è, ora, quella di intervenire sulle leggi elettorali ed è auspicabile che si giunga a farlo.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

      1. All'articolo 9, comma 2, della legge 10 dicembre 1993, n. 515, e successive modificazioni, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Al gruppo di candidati che più si avvicina alla parità tra eletti di ciascun sesso, è attribuita una maggiorazione della quota del contributo di cui al comma 1, pari al 30 per cento della quota stessa».

Art. 2.

      1. All'articolo 9, comma 3, della legge 10 dicembre 1993, n. 515 e successive modificazioni, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Al partito o movimento che più si avvicina alla parità tra eletti di ciascun sesso, è attribuita una maggiorazione della quota del contributo di cui al comma 1, pari al 30 per cento della quota stessa».

Art. 3.

      1. Dopo il comma 2 dell'articolo 6 della legge 23 febbraio 1995, n. 43, è aggiunto il seguente:

      «2-bis. Alla lista che più si avvicina alla parità tra eletti di ciascun sesso è attribuita una maggiorazione della quota del contributo determinato ai sensi del comma 2, pari al 30 per cento della quota stessa».

Art. 4.

      1. All'onere derivante dall'attuazione della presente legge si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale

 

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2006-2008, nell'ambito dell'unità previsionale di base di parte corrente «Fondo speciale» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2006, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al medesimo Ministero.
      2. Il Ministero dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
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