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PDL 61

XV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 61



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa del deputato VOLONTÈ

Aumento del trattamento minimo di pensione
per i coltivatori diretti, i coloni e i mezzadri

Presentata il 28 aprile 2006


      

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Onorevoli Colleghi! - I dati statistici dimostrano in modo inequivocabile che il comparto agricolo ha vissuto e tuttora vive una crisi strutturale che non ha avuto e non ha uguali in nessun altro settore. Basti evidenziare che nel 1946 gli addetti erano oltre il 40 per cento della popolazione nazionale, mentre oggi i professionali, occupati a tempo pieno, si riducono a poco più del 4 per cento.
      A fare maggiormente le spese di tanta rivoluzione sono stati principalmente i piccoli proprietari coltivatori diretti, i mezzadri e i coloni.
      Il ridimensionamento e la ristrutturazione del settore agricolo sono una conseguenza evolutiva che ha trasformato, dal dopoguerra ad oggi, l'Italia da Paese ad economia povera, prevalentemente agricola, a Paese avanzato, moderno e industrializzato, annoverandolo fra gli otto grandi del mondo.
      L'agricoltura, purtroppo, ha beneficiato in minima parte dell'apporto di ricchezza conseguente alla industrializzazione ed al boom economico degli scorsi decenni.
      La categoria agricola, che ha fornito le braccia dei suoi giovani per la crescente attività industriale, favorendone lo sviluppo, ha però subìto la politica dell'industria che, per favorire le sue esportazioni, spesso ha generato una anomala concorrenza, dovuta a produzioni agricole estere introdotte in Italia quale scambio con i prodotti industriali, penalizzando l'economia agricola.
      Infine, la globalizzazione favorisce l'industria e penalizza l'agricoltura tradizionale fino a quando, livellando i prezzi, non si livellano anche i costi per quelle imprese,
 

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come quelle agricole, che, a differenza di quelle industriali, non possono trasferire le loro «fabbriche» nei Paesi ove è basso il costo della manodopera.
      Ma cosa succederebbe se anche i nostri coltivatori, come fanno molte industrie, potessero e decidessero di trasferire la loro attività in altre parti del mondo, abbandonando le loro aziende come alcuni industriali abbandonano le loro fabbriche e licenziano gli operai, scaricandone gli oneri sociali sulla collettività?
      Non sempre il mondo politico riconosce ai veri tutori dell'ambiente ed ai produttori degli indispensabili salubri alimenti il loro importante ed insostituibile ruolo. E, per questo, non sempre le risposte delle pubbliche istituzioni sono adeguate alle reali esigenze.
      Ciò vale in tutti i campi, ad iniziare dalla difesa della tipicità delle nostre pregiate produzioni agricole e dei loro prezzi i quali, detratti i costi sempre crescenti, rappresentano la spesso inadeguata retribuzione dei lavoratori dei campi.
      I risultati della ricerca scientifica e l'applicazione delle nuove tecnologie favoriscono la quantità e la qualità delle produzioni agricole e il conseguente migliore risultato economico, ma non sono sufficienti, però, nelle situazioni in cui non è possibile ottimizzare le strutture aziendali per ridurre i costi o riconvertire le produzioni per adeguarsi alle nuove esigenze di mercato, a garantire la sopravvivenza alle aziende stesse.
      I soggetti giovani, costretti ad abbandonare l'attività agricola per l'inadeguato reddito, nonostante la notevole disoccupazione giovanile, trovano, essendo disponibili a qualsiasi lavoro, facilmente occupazione in altri settori.
      Gli anziani, che pur svolgono ancora una preziosa attività di presidio del territorio, privi del reddito aziendale, dopo aver lavorato una vita intera, servito il Paese, in guerra ed in pace, aver versato decenni di contributi assicurativi, devono adattarsi a sopravvivere, nella maggior parte dei casi, con una pensione ben al di sotto del limite minimo di sopravvivenza e molto vicina all'assegno sociale concesso a coloro che non hanno mai versato alcun tipo di contributo assicurativo.
      Oggi non sono pochi gli anziani che, nell'intento di integrare la loro modestissima pensione, continuano a condurre, spesso con metodi superati ed irrazionali, appezzamenti di terreno in proprietà ed in affitto. Si tratta di una situazione che non facilita l'ampliamento ed il consolidamento di nuove imprese, economicamente valide, gestite da giovani secondo gli indirizzi indicati dall'Unione europea e dal Governo italiano e favoriti dal regolamento (CE) n. 1257/1999, del Consiglio del 17 maggio 1999 e dalla legge n. 441 del 1998.
      Creare le condizioni migliori per l'insediamento dei giovani in agricoltura, rendendo disponibile anche il terreno ancora trattenuto dagli anziani, è quanto mai opportuno nell'interesse generale del Paese, tenendo conto della ormai consolidata inversione di tendenza che vede i giovani migliori fare la scelta di non più abbandonare l'agricoltura, quando ne riscontrano le condizioni economiche.
      L'intervento nei confronti degli anziani deve essere quindi inteso non solo come un intervento di carattere sociale, ma, soprattutto, come uno stimolo alla riconversione, all'ammodernamento ed al ringiovanimento della nostra agricoltura per renderla competitiva e concorrenziale sui mercati mondiali.
      Per le considerazioni svolte, ma anche per un giusto riconoscimento dovuto a cittadini anziani meritevoli della massima considerazione per il loro vissuto di lavoro e di esperienza e quali portatori di autentici valori, si pregano gli onorevoli colleghi di voler valutare con benevola attenzione la presente proposta di legge. Essa tende, limitatamente ai trattamenti pensionistici in essere ed a quelli futuri, fino al riordino definitivo del sistema e per i titolari con basso reddito, ad attribuire loro un assegno mensile pari ad un terzo del trattamento minimo.
      Il Parlamento europeo e la Commissione dell'Unione europea, a conclusione dell'«Anno europeo delle persone anziane e della solidarietà», nell'ormai lontano 1993, hanno raccomandato ai Paesi membri
 

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l'introduzione di un reddito minimo garantito al fine di evitare agli anziani forme di esclusione sociale.
      Per quanto riguarda l'onere relativo all'attuazione della presente proposta di legge, dobbiamo intanto rimarcare che se il settore agricolo, soggetto a crisi strutturale e che ha espulso in meno di cinquanta anni il 90 per cento dei suoi addetti, avesse potuto usufruire degli ammortizzatori sociali del comparto industriale quali la cassa integrazione guadagni, gli assegni di disoccupazione e il pre-pensionamento, la collettività si sarebbe dovuta fare carico di svariate centinaia di milioni di euro.
      Oggi la gestione previdenziale dei coltivatori diretti, dei coloni e dei mezzadri è caratterizzata da un rapporto negativo tra numero dei pensionati, pari a oltre 2 milioni, e numero degli iscritti, pari a circa 700 mila. In questa ottica è stato calcolato che per portare tali pensionati al di sopra della soglia di povertà la spesa totale a carico dello Stato sarebbe pari a circa 200 milioni di euro.
      È opportuno, inoltre, rilevare che la gestione INPS coltivatori diretti, ovviamente passiva per il forte calo della popolazione rurale che genera l'anomalo rapporto di tre pensionati per ogni attivo, essendo l'età media dei titolari di pensioni di vecchiaia di settantasei anni, tende a migliorare per ovvie cause fisiologiche e per l'inserimento di nuove unità attive sostitutive, per cui è possibile, almeno in parte, assorbire i maggiori oneri dai risparmi di gestione.
      Si è consapevoli della necessità di alleggerire l'onere del «sistema pensioni» in Italia, ma occorre evidenziare che se l'età media degli attuali pensionati delle altre categorie fosse al livello dei coltivatori diretti, la situazione finanziaria sarebbe ben diversa.
      La presente proposta di legge si compone di quattro articoli: l'articolo 1 stabilisce l'ambito di applicazione; l'articolo 2 reca disposizioni sull'assegno integrativo di cui all'articolo 1; l'articolo 3 stabilisce la decorrenza del beneficio e, infine, l'articolo 4 reca la copertura finanziaria.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Ambito di applicazione).

      1. I coltivatori diretti, i coloni e i mezzadri, titolari di pensione, ai sensi della legge 26 ottobre 1957, n. 1047, e successive modificazioni, di importo pari o superiore al trattamento minimo, hanno diritto, a domanda, ad un assegno integrativo mensile fino alla concorrenza dell'importo del trattamento minimo aumentato di un terzo.

Art. 2.
(Assegno integrativo).

      1. L'assegno integrativo di cui all'articolo 1 della presente legge è reversibile e aggiuntivo, nei limiti previsti dal medesimo articolo, all'importo in pagamento, non è assorbibile dall'integrazione al minimo, è escluso dal computo dei redditi previsti dall'articolo 6 del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 1983, n. 638, e successive modificazioni, è soggetto alla perequazione automatica ed è parte integrante del trattamento di pensione.

Art. 3.
(Decorrenza).

      1. Il beneficio di cui alla presente legge decorre dal mese successivo alla presentazione all'Istituto nazionale della previdenza sociale della relativa domanda e permane quale diritto acquisito fino alla data di entrata in vigore della normativa di riordino del sistema pensionistico.

 

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Art. 4.
(Copertura finanziaria).

      1. All'onere derivante dall'attuazione della presente legge, valutato in 200 milioni di euro annui, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2006-2008, nell'ambito dell'unità previsionale di base di parte corrente «Fondo speciale» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2006, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al medesimo Ministero.
      2. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.


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