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PDL 562

XV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 562



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa del deputato TUCCI

Ordinamento della professione di avvocato pubblico

Presentata l'8 maggio 2006


      

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Onorevoli Colleghi! - In deroga al principio d'incompatibilità tra professione di avvocato e rapporto d'impiego, il regio decreto-legge 27 novembre 1933 n. 1578, accorda agli enti pubblici - secondo quanto disposto dall'articolo 3, quarto comma, lettera b) - la facoltà di istituire uffici legali avvalendosi, per la cura delle cause e degli affari propri, di avvocati iscritti in un elenco speciale annesso all'albo forense.
      Con questa iniziativa l'ordinamento italiano, che già annoverava, all'infuori della storica avvocatura erariale, antiche avvocature pubbliche come quelle municipali, segnava la nascita di un vero e proprio servizio pubblico di avvocatura, intermedio fra l'avvocatura dello Stato e l'ordine forense.
      Pur non costituendo un corpus separato dalla pubblica amministrazione, l'avvocatura pubblica andava infatti ad integrarsi nella struttura degli enti cui spettava di organizzare gli uffici legali ed i professionisti ad essi adibiti conservavano tuttavia l'appartenenza all'ordine forense, con tutti i doveri e le prerogative ad essa collegati. La scelta di superare uno dei capisaldi della tradizione forense risentiva sicuramente del clima politico nel quale veniva approvata tale norma, che appariva conforme alla esigenza di rafforzare la pubblica amministrazione anche attraverso strumenti tecnici, come quello legale, utili ad una più penetrante ed efficace azione amministrativa.
      Si trattò, con tutta evidenza, di un compromesso fra le istanze organizzative dell'apparato pubblico, che aveva risolto mediante l'Avvocatura dello Stato il solo problema dell'assistenza legale alle amministrazioni statali ma non quello dei numerosi enti pubblici, e l'interesse dell'avvocatura, disposta ad accettare questa attività professionale «speciale» purché sottoposta al controllo disciplinare degli ordini e limitata alla cura degli affari degli enti.
 

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      Anche se fondato su un equilibrio precario, il sistema introdotto dal citato regio decreto-legge n. 1578 del 1933 ha retto per oltre 70 anni e tuttora resiste per una serie di ragioni che non solo giustificano la decisione originaria di creare un'avvocatura pubblica, presente oggi nella maggior parte degli enti con circa 3.500 iscritti negli elenchi speciali, ma che dimostrano l'urgenza di intervenire legislativamente nel settore, per fissare regole e princìpi di un'attività che si è rivelata, quanto ad importanza e risultati, non seconda a quella svolta dall'Avvocatura dello Stato.
      In effetti, la crescita degli enti, la complessità dei compiti istituzionali ad essi affidati, la necessità di assistenza legale specialistica negli affari pubblici, la rilevanza degli interessi gestiti dagli enti, che non si ferma al rapporto fiduciario con il professionista ma gli richiede «fedeltà», la insostenibilità dei costi di prestazioni professionali fissati da minimi tariffari inderogabili, costituiscono alcune delle principali ragioni per le quali è quanto mai attuale ed insostituibile il servizio legale fornito agli enti da un'avvocatura pubblica.
      Nello stesso tempo, la mancanza di uno statuto dell'avvocatura pubblica, avvertita da oltre 30 anni dagli stessi governi e dai numerosi parlamentari che in ogni legislatura hanno presentato più di una proposta di legge in materia, la frammentazione del regime giuridico ed economico degli avvocati pubblici, rimesso ad una miriade di fonti normative, regolamentari e pattizie diverse a seconda del settore di appartenenza, l'esigenza di armonizzare la funzione dell'avvocato pubblico con la riforma dell'ordinamento forense, devono richiamare l'attenzione del Parlamento sulla questione e rendono ormai indifferibile l'approvazione di una legge regolatrice del settore, che fissi le regole ed i princìpi ai quali debbono uniformarsi tutte le amministrazioni che utilizzano questo servizio.
      L'assenza di una normativa unica di settore ha infatti determinato forti disparità all'interno della stessa categoria, lasciando la disciplina del trattamento giuridico ed economico degli avvocati pubblici alla contrattazione collettiva dei diversi comparti, la quale, oltre ad essere disomogenea, spesso non tiene conto neppure delle specificità della funzione professionale e della rilevanza dei compiti affidati all'avvocatura interna degli enti.
      Ne derivano ostacoli alla funzionalità degli uffici legali e all'autonomia dei professionisti, con pregiudizio alla efficacia del servizio e, in ultima analisi, agli interessi della collettività.
      Ma ancora più gravi sono le conseguenze della lacuna legislativa, se si considera che le amministrazioni degli enti sono lasciate libere di istituire uffici legali al di fuori di ogni controllo che non sia quello esercitato dai locali ordini degli avvocati sugli elenchi speciali e di incidere sullo svolgimento autonomo del mandato professionale con provvedimenti pregiudizievoli, che talora hanno richiesto l'intervento del giudice amministrativo.
      Il disagio dovuto alla mancanza di uno statuto dell'avvocatura pubblica è aggravato dalla inadeguatezza e inattualità dell'unica fonte normativa che regola il settore - il citato articolo 3, quarto comma, lettera b), del regio decreto-legge n. 1578 del 1933 - che, in un contesto politico, istituzionale e socio-economico del tutto differente da quello attuale, prevedeva la deroga alla incompatibilità tra professione forense e impiego e quindi la facoltà di avvalersi di avvocature pubbliche mediante la istituzione di uffici legali agli enti elencati al comma 2 del medesimo articolo e a qualsiasi altra amministrazione o istituzione pubblica soggetta a tutela o vigilanza dello Stato.
      I due fatti «nuovi», che hanno reso incerto il quadro di riferimento normativo dell'avvocatura pubblica, sono la privatizzazione ed il federalismo.
      La riserva prevista a favore dei soli enti definiti pubblici ha creato forti incertezze sull'applicabilità del citato articolo 3 ad enti che, pur gestendo interessi rilevanti per la collettività, non possono più essere definiti pubblici perché interessati al processo di privatizzazione che, dopo aver
 

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investito il settore economico, è stato esteso anche a settori della pubblica amministrazione e dove i servizi gestiti assumono speciale rilevanza pubblica, come nel caso delle poste e delle ferrovie dello Stato.
      La soluzione dei casi, in mancanza di riferimenti normativi aggiornati, è rimessa a ciascun consiglio dell'ordine degli avvocati competente a decidere sulle domande di iscrizione all'elenco speciale, con il duplice rischio che vengano a determinarsi ingiuste disparità di trattamento e che le deliberazioni, normalmente ispirate a criteri restrittivi, finiscano con il trascurare gli interessi effettivi della collettività, non sempre coincidenti con quelli dell'avvocatura cosiddetta «libera».
      Altra lacuna legislativa nasce dal fatto che il citato articolo 3 contempla tra gli enti locali autorizzati ad istituire uffici legali solo le province e i comuni e non le regioni, istituite successivamente e divenute, con il trasferimento di compiti e funzioni dall'amministrazione centrale sancito dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, uno dei più importanti centri di riferimento anche in materia di avvocatura pubblica.
      La facoltà di istituire uffici legali, infatti, ad eccezione degli enti non territoriali, viene esercitata in prevalenza dalle regioni o da enti da esse controllati, addirittura con leggi non statali, come nel caso recente dell'avvocatura regionale del Veneto, istituita con legge regionale 16 agosto 2001, n. 24.
      Fondato su queste premesse, l'articolato della proposta di legge che viene presentata, tenuto conto che dovrà adattarsi ad esigenze diverse, secondo la tipologia dei settori e degli enti che l'applicheranno, si limita a delineare i connotati essenziali del servizio legale pubblico e le regole minime da osservare, lasciando alla contrattazione collettiva e agli statuti degli enti la regolamentazione di aspetti specifici del rapporto di lavoro e all'ordine forense quelli più propriamente professionali.
      Giova ora passare al commento dell'articolato che si propone.
      L'articolo 1 fornisce anzitutto una definizione di avvocato pubblico, inesistente nel nostro ordinamento e tuttavia necessaria a individuare e qualificare una funzione largamente utilizzata nella prassi e riferita, come si è accennato, ai 3.500 professionisti censiti dagli elenchi speciali di tutti gli ordini forensi d'Italia. La definizione descrive, quindi, il contenuto della «specialità» della professione forense svolta in esclusiva presso un ente pubblico o privatizzato, che è dato dalla posizione di un avvocato dotato di tutte le prerogative professionali, il quale ha come unico cliente l'amministrazione di appartenenza per contratto di lavoro.
      L'articolo 2 delimita l'ambito di utilizzazione del servizio legale pubblico, integrando i limiti fissati dall'articolo 3 del regio decreto-legge n. 1578 del 1933 su una nozione di pubblico non adeguata alla moderna concezione, con l'indicazione di enti gestori di servizi pubblici essenziali, nonché degli enti privatizzati che, in ragione del finanziamento pubblico o del controllo statale o di enti locali, appaiono meritevoli di assistenza legale da parte dell'avvocatura pubblica.
      L'articolo 3 disciplina l'accesso agli uffici legali nel rispetto delle autonomie degli enti, che sono liberi di scegliere il tipo di selezione conformemente ai propri regolamenti. La norma impone soltanto il rispetto di due condizioni, l'appartenenza all'albo forense dei candidati, ad evitare che risultino ammessi semplici impiegati sprovvisti della necessaria esperienza professionale e l'iscrizione nel circondario ove ha sede l'ufficio legale, per una più facile individuazione dei professionisti ad essi adibiti. L'elenco speciale viene abolito perché non si ravvisano ragioni pratiche o di principio per conservare la separazione degli albi. La sua eliminazione, anzi, sta a sottolineare l'appartenenza dell'avvocato pubblico all'ordine forense, non diversamente dagli avvocati privati.
      La necessità poi di indicare la qualità di avvocato pubblico si realizza agevolmente con una opportuna annotazione che specifichi anche l'ente di appartenenza.
 

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      L'articolo 4 si occupa della posizione giuridica dell'avvocato pubblico. Nel ribadire che l'esercizio professionale è limitato agli affari dell'ente di appartenenza, è chiarito che l'avvocato pubblico assume doveri sia con il mandato professionale, sia con il contratto di lavoro che lo vincola all'ente. La doppia responsabilità non può che affermarsi in presenza di una effettiva autonomia professionale, garantita dal rapporto diretto con il legale rappresentante dell'ente quanto al mandato professionale e ai suoi contenuti e da condizioni di lavoro che favoriscano lo svolgimento delle prestazioni.
      Doveri aggiuntivi sussistono nei confronti dell'ordine per gli aspetti deontologici della professione di avvocato e per la disciplina che, in considerazione della natura delle prestazioni, non può che essere affidata ai consigli dell'ordine locali, competenti ad accertare eventuali mancanze, a valutarne l'entità e a proporzionare la sanzione.
      Carriera e trattamento economico degli avvocati pubblici sono disciplinati dall'articolo 5, che prevede un regime unico, a prescindere dal comparto o ente di appartenenza.
      La considerazione che, ovunque sia svolto, l'esercizio della professione forense richiede il medesimo impegno ed espone agli stessi rischi e responsabilità, impedisce qualsiasi disparità di trattamento economico tra professionisti, che non sia fondato su criteri di anzianità e di merito.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

      1. Sono avvocati pubblici i professionisti appartenenti all'ordine forense che, in deroga al principio d'incompatibilità, disciplinato dall'articolo 3 del regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 gennaio 1934, n. 36, svolgono per contratto di lavoro attività di patrocinio e consulenza legale a favore esclusivo degli enti di cui all'articolo 2 della presente legge.

Art. 2.

      1. Possono avvalersi delle prestazioni degli avvocati pubblici, mediante l'istituzione di uffici legali interni, le pubbliche amministrazioni, gli enti pubblici, gli enti gestori di servizi pubblici essenziali, nonché gli enti privatizzati, anche economici, a prevalente partecipazione azionaria pubblica o sottoposti a controllo e vigilanza di Ministeri o di enti locali.

Art. 3.

      1. Gli avvocati pubblici sono selezionati tra i professionisti iscritti all'albo forense, secondo i criteri dettati dal regolamento degli enti di cui all'articolo 2 e restano iscritti all'albo ordinario del circondario nel quale ha sede l'ufficio legale di appartenenza, con annotazione della loro qualità.

Art. 4.

      1. Gli avvocati pubblici esercitano la professione forense limitatamente agli affari dell'ente di appartenenza. Essi rispondono del mandato ricevuto dal legale rappresentante

 

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dell'ente e, nel rispetto del principio di autonomia professionale, sono soggetti al regime contrattuale che regola il rapporto di lavoro con l'ente e al codice deontologico dell'avvocatura. Per gli aspetti disciplinari rispondono al consiglio dell'ordine degli avvocati presso il quale sono iscritti.

Art. 5.

      1. I contratti collettivi nazionali provvedono ad inquadrare gli avvocati pubblici in un ruolo professionale separato dal resto del personale dipendente dagli enti di cui all'articolo 2 e a disciplinare il trattamento giuridico ed economico ad essi spettante. È inoltre riconosciuto ai medesimi il diritto a percepire gli onorari riscossi per conto degli enti, secondo i criteri di riparto stabiliti degli stessi contratti collettivi nazionali.

Art. 6.

      1. Gli avvocati pubblici costituiscono un'area contrattuale autonoma in deroga ai limiti di cui al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. La legittimazione sindacale, anche ai fini negoziali, è conferita all'associazione di categoria maggiormente rappresentativa a livello nazionale.


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