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PDL 647

XV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 647



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa del deputato ANGELA NAPOLI

Disposizioni in materia di rappresentanza sindacale nelle istituzioni scolastiche

Presentata il 10 maggio 2006


      

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Onorevoli Colleghi! - A decorrere dal 1o settembre 2000, con l'attuazione dell'autonomia scolastica e con l'attribuzione della dirigenza ai capi d'istituto, ogni istituzione scolastica è divenuta sede di contrattazione integrativa.
      Le materie oggetto di tale contrattazione (articolo 6 del contratto collettivo nazionale di lavoro, comparto «Scuola», per il quadriennio normativo 1998-2001, sottoscritto con l'accordo 26 maggio 1999, ora «confluito» nel contratto per il quadriennio normativo 2002-2005, sottoscritto il 24 luglio 2003) sono, tra l'altro:

          a) le modalità di utilizzazione del personale in rapporto al piano dell'offerta formativa;

          b) l'utilizzazione dei servizi sociali;

          c) le modalità e i criteri di applicazione dei diritti sindacali, nonché i contingenti di personale previsti ai sensi della legge n. 146 del 1990;

          d) l'attuazione della normativa in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro;

          e) i criteri riguardanti le assegnazioni alle sezioni staccate e ai plessi; le ricadute sull'organizzazione del lavoro e del servizio derivanti dall'intensificazione delle prestazioni legate alla definizione dell'unità didattica; i ritorni pomeridiani;

          f) le modalità relative alla organizzazione del lavoro e all'articolazione dell'orario del personale amministrativo, tecnico

 

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ed ausiliario (ATA) e del personale educativo, nel rispetto di quanto previsto dalla contrattazione integrativa nazionale, nonché i criteri per l'individuazione del personale ATA ed educativo da utilizzare nelle attività retribuite con il fondo d'istituto.
      Tali materie, fatta eccezione per quelle di cui alle lettere c) e d), non rientrano nel merito della disponibilità delle parti contraenti. Ove ciò fosse consentito, ci troveremmo innanzi a una forma organica di violazione e compressione della libertà della scuola, della libertà dell'insegnamento (articolo 33, primo comma, della Costituzione) e, di conseguenza, della stessa libertà di apprendimento in quanto diritto inviolabile del soggetto discente (articolo 2 della Costituzione). Nella misura in cui si comprime e si viola la libertà della scuola e dell'insegnamento, risulta compressa e violata anche la libertà di apprendimento e, con esse, la stessa libertà di pensiero. Ma non soltanto questo. Le stesse nozioni di efficacia, efficienza e produttività del servizio da rendere a cittadini in termini di risultati da conseguire, verrebbero ad essere interpretate in un'ottica di parte, quella sindacale - riduttiva e deviante - e non in quella istituzionale, propria del servizio da rendere, con ciò andando a vanificare anche il canone regolativo - di valenza costituzionale - della partecipazione, posto a base fondante di ogni attività sociale organizzata in campo pubblico. È di per sé evidente che per «risultati da conseguire» in campo scolastico si debba intendere una prestazione didattica - assunta a rango di diritto soggettivo - capace di soddisfare al meglio le esigenze formative, anche di tipo professionale, ed educative del soggetto discente.
      Ecco, in rapida sintesi, le ragioni giuridiche di fondo in base alle quali si richiede la non applicazione nelle istituzioni scolastiche di cui all'articolo 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni, delle disposizioni di cui all'articolo 42, commi 3 e seguenti, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, all'accordo 7 agosto 1998, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 207 del 5 settembre 1998, e al vigente contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto «Scuola», concernenti la costituzione delle rappresentanze sindacali unitarie (RSU).
      La Costituzione del 1948 assegna alla scuola, per la prima volta nella storia unitaria del nostro Paese, una libertà a tratto originario, non disponibile né revocabile, dai tre poteri tradizionali dello Stato: legislativo, esecutivo e giudiziario: «L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento» (articolo 33, primo comma). Coessenziale alla libertà della scuola è la libertà di insegnamento. Entrambe, per potersi adeguatamente esplicitare, sono abbisognevoli di poteri e di spazi di azione da tradurre in una propria e costitutiva autonomia, diretta filiazione del citato articolo 33, primo comma, della Costituzione.
      L'articolo 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59, nel disegnare il nuovo regime di autonomia della scuola, attua l'articolo 5 della Costituzione, in termini di decentramento organico, non l'articolo 33, primo comma. Con il decentramento ai sensi dell'articolo 5 della Costituzione si trasferiscono dal centro alle entità dislocate nel territorio competenze già appartenenti al potere esecutivo centrale.
      L'autonomia di cui all'articolo 33, primo comma, della Costituzione, è profondamente altra; essa è la potenzialità espansiva della libertà della scuola e della libertà di insegnamento. Essa si connota della stessa qualità e valore della libertà da cui germina; ha la medesima potenzialità di svolgimento, di evoluzione e di espansione della sua fonte generativa.
      In tale previsione, l'autonomia è il divenire storico, quotidiano, della libertà. I suoi spazi sono spazi di libertà; le decisioni in essa maturate sono decisioni libere; la sua potenzialità espansiva è la stessa potenzialità espansiva della libertà, mai ristretta e circoscritta nello spazio e nel tempo. La conquista dell'autonomia - anche da parte del soggetto discente - è un costante processo di impossessamento di spazi di libertà, da assumere come
 

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canoni regolativi di vita, sia per i titolari della funzione docente, sia per i titolari del diritto soggettivo alla prestazione didattica, ai quali pure competono libere scelte «professionali».
      Più gli orizzonti della libertà si fanno ampi e profondi, più l'autonomia diventa ampia e profonda: più l'esercizio della funzione docente si amplia, più il soggetto che apprende amplia le proprie scelte in tema di formazione anche professionale.
      In tema di autonomia scolastica è quindi stata data attuazione solo all'articolo 5 della Costituzione, non all'articolo 33, primo comma. Ne è derivata un'autonomia nella disponibilità del potere esecutivo, non un'autonomia come strumento di esercizio di libertà ai sensi del citato articolo 33, primo comma, la cui attuazione richiederebbe il disegno organico - in sede legislativa - di uno statuto delle libertà della scuola, dell'insegnamento e del soggetto che apprende. Dunque, una riforma largamente incompiuta, strumentale a una ben connotata ideologia di parte.
      Analizzando con la dovuta attenzione critica la normativa riguardante la scuola, dalla legge di delega n. 421 del 1992 in poi, ovviamente alla luce dei citati precetti costituzionali, se ne deduce che tutta l'attività didattica organizzata, che si esplicita nell'offerta formativa, non è nella disponibilità né del potere esecutivo, responsabile per altro della politica generale di settore, né tanto meno delle organizzazioni sindacali che sottoscrivono i contratti collettivi nazionali di lavoro né, infine, del dirigente scolastico. È ovvio che quando si parla di attività didattica organizzata si fa esplicito riferimento a: piani e programmi di studio; esercizio professionale con la funzione docente, anche in sede collegiale, con le guarentigie fissate dalla stessa Carta costituzionale; attività progettuale dell'attività istituzionale, ivi comprendendo anche le attività ad essa riconducibili per connessione, stante la destinazione di scopo, unica, del servizio; garanzia e tutela dei diritti e dei doveri che fanno capo a ciascun soggetto discente. In tale previsione, costituisce dovere-funzione del dirigente scolastico svolgere il ruolo di garante e di tutore non soltanto della libertà di insegnamento di cui sono titolari i docenti, ma anche dei diritti e dei doveri di ciascun soggetto discente all'interno dell'istituzione scolastica. Ciò perché destinazione di scopo, unica, della funzione docente, dirigente e ispettiva tecnica sono l'istruzione, la formazione (anche professionale) e l'educazione di alunni e di studenti.
      Voler trasformare il dirigente scolastico in controparte di qualcuno è violare grossolanamente quanto sancito dalla Carta costituzionale. Una volta per tutte va chiarito che la nuova figura professionale del dirigente scolastico ha come propria fonte generativa l'articolo 33, primo comma, della Costituzione, non l'articolo 97, dal quale invece deriva, geneticamente, la dirigenza amministrativa, filiazione organica del potere esecutivo. È lo stesso articolo 21 della legge n. 59 del 1997 a stabilire che detta nuova qualifica professionale debba essere definita nel rispetto della libertà di insegnamento, del principio dell'unicità della funzione docente e delle competenze degli organi collegiali. La normativa pattizia che definisce le «competenze» delle RSU nella scuola, ai sensi del contratto collettivo nazionale di lavoro vigente, è di esatto segno opposto. Essa è decisamente in violazione di precetti costituzionali e di legge. L'indebita appropriazione da parte dei soggetti del contratto di porzioni sostanziali di materie invece «indisponibili» costituisce una alterazione intenzionale, da parte dello Stato, della integrità della libertà della scuola, della libertà di insegnamento, dell'autonomia didattica e della libera espressione culturale dei docenti.
      Va ancora rilevato che effetto della violazione è il conseguimento oggettivo di uno scopo diverso da quello istituzionale. L'autore, o gli autori, della violazione, volendo conseguire una finalità propria, coerente con la propria ideologia di parte, attivano una serie di comportamenti concludenti diretti, in buona sostanza, ad
 

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alterare sia l'integrità della libertà della scuola che la libertà di insegnamento.
      Nella normativa pattizia alla quale si fa riferimento, si opera una distinzione, del tutto speciosa e priva di fondamento giuridico, tra l'organizzazione del servizio e la progettazione degli interventi formativi. È di tutta evidenza che la progettazione è contestuale e coessenziale alla organizzazione, costituendo, esse, un processo unico e inscindibile in ogni suo elemento costitutivo e in ogni sua fase attuativa e, dunque, indisponibili in sede pattizia.
      È del tutto accidentale pensare che materie come «le modalità di utilizzazione del personale in rapporto al piano dell'offerta formativa», i «criteri riguardanti le assegnazioni alle sezioni staccate e ai plessi», «le modalità relative alla organizzazione del lavoro e all'articolazione dell'orario del personale ATA», non attengono ai contenuti e ai profili organizzativi del piano dell'offerta formativa, che coinvolge in toto le competenze del collegio dei docenti.
      Nell'ambito del conseguimento delle finalità del servizio, il personale ATA, come sistema funzionale, e i servizi generali e amministrativi costituiscono il sistema di autonomia di supporto all'attività didattica organizzata. In quanto tale, detto sistema è destinato a un continuo adeguamento ai contenuti e alle modalità di svolgimento dell'attività istituzionale, secondo la natura e la destinazione di scopo di essa, per cui il supporto non può subire interferenze esterne, causative di forme di destabilizzazione istituzionale degli obiettivi da conseguire.
      È del tutto realistico mettere in preventivo che le RSU, in ragione della loro estrazione e della loro indipendenza dal collegio dei docenti, possano non condividere e accettare un modello organizzativo del servizio scolastico liberamente e autonomamente progettato dai docenti in sede collegiale. Ciò sarebbe fonte certa di conflitti di interessi, considerato che ciascuna sigla sindacale non vorrà mai rinunciare a tutelare le proprie linee programmatiche secondo la propria ideologia di parte, mentre la parte pubblica affermerà, come proprio dovere istituzionale, il proprio diritto-dovere di mantenere ferme le libere, autonome e responsabili scelte effettuate collegialmente.
      La costituzione delle RSU, altresì, appare destinata a segnare il passaggio dalla scuola della «partecipazione» (come canone regolativo della vita sociale ai sensi dell'articolo 3 della Costituzione) alla scuola della «negoziazione», ristretta e costretta nei soli ambiti pattizi di natura privatistica. Occorre perciò adoperarsi perché nella scuola dell'autonomia la prassi della negoziazione sia riportata nel suo alveo naturale. È in ragione di tale convincimento che si ritiene indispensabile adoperarsi affinché la riforma degli organi collegiali interni della scuola recepisca interamente le istanze prospettate. Solo riconoscendo il significato forte di «partecipazione» di cui all'articolo 3 della Costituzione e degli organi preposti alla tutela della libertà di apprendimento dei discenti (e tra questi va annoverato il collegio dei docenti) sarà possibile salvaguardare, sia pure all'interno di un quadro culturale curvato su opzioni di ordine pragmatico, la funzione istituzionale della scuola. A riguardo, non va dimenticato quanto contenuto nel «Libro bianco» su istruzione e formazione a cura della Commissione dell'Unione europea «Insegnare e apprendere. Verso la società conoscitiva» nel quale si afferma: «Considerare l'istruzione e la formazione in relazione con il problema dell'occupazione non significa che l'istruzione e la formazione debbano ridursi ad un'offerta di qualificazioni. L'istruzione e la formazione hanno sempre come funzione essenziale l'integrazione sociale e lo sviluppo personale, mediante la condivisione di valori comuni, la trasmissione di un patrimonio culturale e l'apprendimento dell'autonomia». Ciò contribuirebbe anche a definire la compiutezza dei poteri e delle responsabilità da assegnare al dirigente scolastico, in quanto preposto alla gestione unitaria dell'istituzione e responsabile, altresì, dei risultati.
      Un'ultima conclusiva osservazione. Il problema politico della libertà della
 

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scuola, dell'insegnamento e del soggetto che apprende ha la stessa valenza costituzionale dell'autonomia e dell'indipendenza della magistratura. Non può negarsi una rigorosa simmetria tra le norme costituzionali che riguardano la magistratura e quelle che riguardano la scuola. In entrambi i casi il Costituente si è fatto carico di non assoggettare la magistratura e la scuola al potere esecutivo (altro è l'organizzazione del servizio della giustizia e del servizio scolastico), garantendo a entrambe uno statuto, rispettivamente di autonomia e indipendenza da una parte e di libertà dall'altra. Solo che, mentre per la magistratura il precetto costituzionale di cui all'articolo 101 è stato attuato, per la scuola l'articolo 33, primo comma, resta ancora lettera morta, con le conseguenze, pur proiettabili nel futuro, che sono sotto gli occhi di tutti.
      Per quanto esposto in relazione è stata redatta la presente proposta di legge, della quale si auspica la rapida approvazione.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

      1. Alle istituzioni scolastiche di cui all'articolo 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni, non si applicano le disposizioni di cui all'articolo 42, commi 3 e seguenti, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, all'accordo collettivo quadro per la costituzione delle rappresentanze sindacali unitarie per il personale dei comparti delle pubbliche amministrazioni e per la definizione del relativo regolamento elettorale, del 7 agosto 1998, pubblicato nel supplemento ordinario n. 150 alla Gazzetta Ufficiale n. 207 del 5 settembre 1998, e al capo II del contratto collettivo nazionale di lavoro relativo al personale del comparto scuola per il quadriennio normativo 2002-2005 e per il primo biennio economico 2002-2003, sottoscritto con l'accordo 24 luglio 2003, pubblicato nel supplemento ordinario n. 135 alla Gazzetta Ufficiale n. 188 del 14 agosto 2003, concernenti la costituzione delle rappresentanze sindacali unitarie.


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