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PDL 211

XV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 211



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa del deputato FABRIS

Disposizioni per la partecipazione delle associazioni dei consumatori al Sistema statistico nazionale e per la trasparenza delle funzioni di rilevazione e di determinazione degli indici dei prezzi al consumo

Presentata il 28 aprile 2006


      

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Onorevoli Colleghi! - Sull'indice dei prezzi al consumo si sono registrate sin dall'estate 2002, inchieste giornalistiche, polemiche politiche e prese di posizione anche scientifiche, tutte alimentate dalla effettiva constatazione di un aumento reale del costo della vita che sembrerebbe sfuggire alle modalità di raccolta e di trattamento dei dati elaborate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT).
      La rilevazione dell'indice dei prezzi al consumo è prevista dalla legislazione vigente ed è disciplinata da norme tecniche emanate dall'ISTAT. Agli uffici di statistica dei comuni capoluogo di provincia compete la raccolta, l'elaborazione dei dati ed ogni altra operazione necessaria. In sostanza il calcolo viene eseguito facendo pari a 100 il valore dei prezzi al consumo nel 1995 e calcolando un numero indice dei prezzi al consumo sulla base degli aumenti da allora registrati. Dal gennaio 1999 l'ISTAT ha introdotto importanti innovazioni nella produzione degli indici mensili dei prezzi al consumo: è stata ridefinita l'intera architettura del sistema che è fondato su un indice principale ed alcuni indici speciali. In accordo con le indicazioni comunitarie, all'inizio di ogni anno viene aggiornato il paniere dei prodotti oggetto di rilevazione, nonché il sistema di ponderazione utilizzato per sintetizzare gli indici elementari ed i piani di campionamento comunali delle unità di rilevazione. In tal modo, l'indice dei prezzi al consumo può recepire i mutamenti che
 

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intervengono nei gusti e nelle abitudini di acquisto dei consumatori e garantire una migliore rappresentazione della dinamica inflazionistica. In pratica ogni anno viene determinato il peso percentuale di ciascuno dei dodici capitoli in cui sono divise le spese dei consumatori, stabilendo anche il peso percentuale che ciascuna regione deve avere sul valore nazionale. L'indice principale è l'indice dei prezzi al consumo per l'intera collettività (NIC) che, a norma della legge 5 febbraio 1992, n. 81, viene calcolato in due versioni: una tiene conto del prezzo dei tabacchi ed un'altra esclude tali prezzi. Al NIC si riferisce la generalità dei consumi delle famiglie, per cui esso rappresenta l'indice di maggior copertura del campo di osservazione dell'indagine statistica operata nei punti di rilevamento mensile predisposti da ciascun comune.
      Esistono poi due indici speciali dei prezzi. Il primo è l'indice dei prezzi al consumo armonizzati (IPCA) che è disciplinato dai regolamenti e dalle direttive comunitarie in materia. Esso limita il campo di osservazione ai soli consumi di beni o servizi che godono di regimi di prezzo comparabili nei diversi Paesi dell'Unione europea. In concreto tali prezzi coprono il 94 per cento circa di quelli rilevati con il NIC. Il secondo è il più famoso: è l'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati (FOI). Anche il FOI viene calcolato, a norma della legge n. 81 del 1992, in versioni con tabacchi e senza tabacchi. Esso, nella versione senza tabacchi, è l'indicatore considerato dalla maggior parte delle norme vigenti per l'adeguamento dei valori espressi in moneta corrente. Per fare qualche esempio, aumentano con il variare del FOI i canoni di locazione (affitti), gli assegni di mantenimento, i contratti di appalto e tutti i tipi di rivalutazione monetaria. L'indice statistico principale (NIC) e l'indice «legale» (FOI) si differenziano tra loro per la diversa ponderazione dei prodotti; tuttavia adottano entrambi lo stesso campione (detto «paniere») classificandolo ed articolandolo in dodici capitoli di spesa, secondo le norme della Classification of individual consumption by purpose, (COICOP), la classificazione internazionale prevista anche in Europa. I capitoli di spesa considerati sono: 1) prodotti alimentari, bevande analcoliche; 2) bevande alcoliche e tabacchi; 3) abbigliamento e calzature; 4) abitazione, acqua, energia e combustibili; 5) mobili, articoli e servizi per la casa; 6) servizi sanitari e spese per la salute; 7) trasporti; 8) comunicazioni; 9) ricreazione, spettacoli e cultura; 10) istruzione; 11) alberghi, ristoranti e pubblici esercizi; 12) altri beni e servizi.
      L'ISTAT, nella sua veste moderna, nasce il 13 agosto 1926, data di entrata in vigore della legge 9 luglio 1926, n. 1162, con il nome di Istituto centrale di statistica del Regno d'Italia. In precedenza i servizi della Direzione generale della statistica erano parte integrante del Ministero della economia nazionale. Le difficoltà post-belliche e il «caro-vita» costrinsero il Governo a creare l'Istituto centrale di statistica del Regno d'Italia, con «personalità giuridica e gestione autonoma», ma «posto alle dirette dipendenze del Capo del Governo, Primo Ministro», cioè di Benito Mussolini. L'Istituto veniva retto da un Consiglio superiore di statistica composto da un presidente e da undici membri, di cui cinque professori universitari, tre funzionari statali e tre rappresentanti dei sindacati. Le amministrazioni locali furono obbligate per legge a collaborare con l'Istituto per l'esecuzione di «particolari indagini locali». Allora però il sistema era più complesso: molti compiti statistici spettavano alle prefetture, mentre esistevano i consigli provinciali dell'economia, che funzionavano da organi locali dell'Istituto, Mussolini aveva già messo mano ai servizi di statistica nel 1923, con i regi decreti 2 dicembre 1923, n. 2673, concernente l'ordinamento del servizio statistico, e 30 dicembre 1923, n. 2877, che determinava le funzioni del Consiglio superiore di statistica. L'autonomia dell'Istituto nel 1926 si manifestò subito nella gestione del personale: il Consiglio superiore in carica fu dichiarato decaduto, il nuovo presidente venne nominato su proposta del Duce e vennero istituiti ruoli ad esaurimento per i funzionari, i dirigenti e gli impiegati che
 

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transitavano nell'Istituto dal Ministero, ma furono vietate tutte le nuove assunzioni a tempo indeterminato, dovendosi invece far ricorso solo a contratti temporanei di durata non superiore a cinque anni e «riscindibili».
      All'Istituto centrale di statistica veniva quindi riconosciuta una autonomia fittizia, che lo svincolasse dalle pastoie burocratiche delle amministrazioni statali per renderlo un organismo agile, duttile e funzionale nelle mani di un regime in ascesa, che aveva bisogno di cercare nei dati statistici il fondamento razionale di scelte strategiche ed ideologiche dettate soltanto dall'opportunità politica.
      Il 3 marzo 1927 entrava in vigore il regio decreto-legge n. 222, recante «Incarico all'Istituto centrale di statistica di promuovere la formazione di indici del costo della vita in taluni Comuni del Regno». L'indice del caro-vita doveva essere determinato «in tutti i comuni con più di 100.000 abitanti ed in altri, preferibilmente scelti tra i capoluoghi di Provincia, o tra quelli con più di 50.000 abitanti, che abbiano uffici di statistica idonei». Solo cinquanta anni dopo, a guerra finita, con la nascita della Repubblica, la ricostruzione, il boom economico ormai trascorso, in un grave momento di crisi finanziaria, i Governi di centro sinistra, a decorrere dal 1 gennaio 1976, per effetto della legge 26 novembre 1975, n. 621, estesero la vecchia disposizione fascista a «tutti i comuni capoluoghi di provincia e quelli con oltre 30.000 abitanti che abbiano un ufficio di statistica idoneo».
      Ma nel 1927 Mussolini affidò il compito ai suoi fedelissimi dell'Istituto centrale di statistica, «inteso il Ministero dell'economia nazionale e quello delle corporazioni» di determinare la quantità e la qualità delle derrate e delle merci e servizi da prendere in esame per il calcolo degli indici e di diramare le istruzioni, affinché la raccolta dei dati avvenga con uniformità di criteri e con rigore di metodo».
      A decorrere dal 1927 nessun'altra autorità scientifica o culturale poteva più rendere pubblici indici del costo della vita comunque elaborati, solo la Confederazione generale degli enti autarchici ed i singoli comuni autorizzati. Presso i comuni venivano istituite le commissioni statistiche, presiedute dal podestà, in cui il capo dell'ufficio statistico interveniva solo come relatore, mentre le decisioni spettavano ad un organo composto da un ispettore del lavoro, dal capo dell'ufficio statistico della camera di commercio, da tre rappresentanti delle Federazioni dei datori di lavoro e da tre rappresentanti delle Federazioni dei sindacati dei lavoratori. Ed era l'Istituto stesso a decidere quali sindacati potevano designare i propri rappresentanti. Pure Mussolini lasciò però una parvenza di legalità ad indici di caro-vita così palesemente filogovernativi: era, infatti, teoricamente possibile contestare gli indici forniti dai comuni e dall'Istituto. La legge recitava chiaramente: «contro le decisioni delle Commissioni comunali relative alla formazione degli indici, è ammesso il ricorso all'Istituto centrale di statistica, il quale costituirà all'uopo una Commissione presieduta dal suo presidente, con facoltà di farsi rappresentare, e formata dal direttore generale dello stesso Istituto e dal direttore generale del lavoro». C'è solo da precisare - per amore della storia - che nessun ricorso risulta mai depositato agli atti del protocollo dell'Istituto in materia di indici del costo della vita. Due piccole riforme dell'Istituto (1929 e 1938) consentirono ad esso di operare a livello internazionale, sul piano scientifico, diplomatico ed economico, rafforzando il potere ed il prestigio dei presidenti e del Consiglio superiore. Nel frattempo il bilancio dell'Istituto cresceva: servizi sempre più costosi, dirigenti e funzionari ben remunerati, indagini statistiche sempre più sofisticate e complesse. Ma la macchina dell'Istituto consentiva al Governo un vantaggio che non aveva prezzo. La gestione dei dati sull'economia dei consumatori italiani era completamente accentrata nelle mani di Mussolini, che la governò per tutto il ventennio, dando immagine di progresso, di ricchezza, di miglioramento delle condizioni e della qualità della vita, soprattutto nelle città industriali
 

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e nei comuni rurali e di montagna: al punto che ancora oggi pochi studiosi hanno potuto reperire dati sulla reale situazione del Paese in quegli anni e sfatare così il mito dello «stavamo meglio quando stavamo peggio». Ma il fascismo passò e l'Istituto centrale di statistica del Regno cambiò soltanto la denominazione, divenendo l'attuale ISTAT.
      Negli anni '50 e '60 si registrano solo leggi per il riordino delle carriere del personale e per l'assegnazione di fondi, di stipendi, di gettoni di presenza all'Istituto ed alle commissioni comunali. Tra il '66 e il '69 nascono gli uffici regionali di corrispondenza dell'ISTAT, successivamente soppressi. Per avere una riforma organica ci vorrà il decreto legislativo 6 settembre 1989, n. 322, entrato in vigore e pienamente efficace solo il 12 aprile 1990. Era la fine degli anni di Craxi, delle riforme, del pentapartito, della effimera ripresa economica, dovuta ad una contingenza internazionale positiva. Una norma del decreto legislativo n. 322 del 1989 spicca fra tutte: «L'informazione statistica ufficiale è fornita al Paese e agli organismi internazionali attraverso il Sistema statistico nazionale» (articolo 1, comma 2). Non più un solo Istituto, ma un sistema, organico, ben coordinato ed omogeneo, che non fornisse comunque una pluralità di voci, ma una certa univocità di metodologie, di immagini e di comunicazioni, anche in relazione alle sempre maggiori esigenze di integrazione internazionale e di cooperazione tra Governi europei.
      A partire dal 1990 è cominciata l'operazione di inglobamento di tutti gli uffici statistici nel Sistema statistico nazionale: una manovra complessa e ancora in corso. Basti pensare che l'INPDAP è entrato a farne parte solo nel maggio del 2002. Tutti gli uffici di statistica sono posti alle dipendenze funzionali dell'ISTAT. Nello stesso anno 1990 è stata istituita la Commissione per la garanzia dell'informazione statistica, che ha sede presso l'ISTAT ed è composta da professori universitari e dirigenti di enti statistici, anche non facenti parte del Sistema statistico nazionale, fra i quali viene democraticamente eletto un presidente. Essa vigila sulla conformità delle ricerche statistiche dell'ISTAT alle direttive comunitarie e internazionali e può formulare rilievi motivati al presidente dell'Istituto medesimo. Lo strumento più importante per il lavoro del Sistema statistico nazionale è il programma statistico nazionale, di durata triennale, predisposto dall'ISTAT, sottoposto al parere della Commissione per la garanzia dell'informazione statistica, deliberato dal CIPE e approvato con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri.
      Il programma statistico nazionale viene attuato dall'ISTAT mediante direttive vincolanti per gli uffici statistici, emanate da un comitato di indirizzo e coordinamento dell'informazione statistica. Le direttive concernono anche i criteri organizzativi e la funzionalità degli uffici statistici del Sistema statistico nazionale. Ma il vero cuore dell'ISTAT è il consiglio, composto da dieci membri, cui partecipa anche il direttore generale che ne è il segretario: da qui partono tutte le linee guida per il programma statistico nazionale. In particolare esso approva, entro il 30 aprile, un piano annuale di attuazione del programma statistico nazionale triennale. Il consiglio dell'ISTAT deve predisporre un rapporto, che il Presidente del Consiglio dei ministri allega alla relazione da sottoporre al Parlamento entro il 31 maggio di ogni anno relativa all'attività dell'ISTAT. Il primo programma statistico nazionale è stato elaborato nel 1992. L'ultimo, relativo al triennio 2005-2007, è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 24 novembre 2005. Sulla base delle direttive internazionali e comunitarie, delle leggi italiane e dei criteri scientifici e metodologici applicabili alla realtà italiana, la Commissione per la garanzia dell'informazione statistica invia ai comuni le direttive per la raccolta dei dati e il calcolo dell'indice dei prezzi al consumo.
      Onorevoli colleghi  ! La presente proposta di legge vuole incidere proprio su questo punto, consentendo ai cittadini di applicare una norma che persino il regime
 

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fascista aveva scritto - almeno nominalmente - nell'ordinamento dell'ISTAT: la possibilità di contestare le decisioni assunte in tema di costo della vita e di prendere parte, attraverso i rappresentanti dei consumatori, alle procedure di formazione dei criteri di rilevazione degli indici dei prezzi al consumo.
      Si propone, all'articolo 1 di allargare gli organi dell'ISTAT e degli uffici statistici facenti parte del Sistema statistico nazionale ai rappresentanti dei consumatori.
      Con l'articolo 2 si istituiscono nuove tipologie di indici dei prezzi al consumo.
      Con l'articolo 3 si dispone la pubblicazione di tutti i deliberati in materia di criteri di rilevazione, elaborazione e determinazione degli indici dei prezzi al consumo, adottati dagli organi degli enti di cui si compone il Sistema statistico nazionale, in un apposito bollettino informativo, che deve essere pubblicato per estratto, e in forma comprensibile anche ai non addetti ai lavori, sul sito INTERNET dell'ISTAT, sui giornali e sui principali canali di informazione radiotelevisivi.
      L'articolo 4 consente a qualunque cittadino di presentare un ricorso motivato contro i criteri e le decisioni stabilite in materia di calcolo degli indici dei prezzi al consumo.
      L'articolo 5 prevede poteri sostitutivi nei confronti degli enti appartenenti al Sistema statistico nazionale che non adempiono all'obbligo di rilevare e fornire i dati relativi alla determinazione degli indici dei prezzi al consumo.
      L'articolo 6 dispone che i criteri dettati dalla legge siano rispettati per la determinazione di tutte le tipologie degli indici dei prezzi al consumo, comprese quelle previste all'articolo 2.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Partecipazione delle associazioni dei consumatori al Sistema statistico nazionale).

      1. Al fine di garantire la partecipazione dei cittadini consumatori alla elaborazione dei dati statistici relativi agli indici dei prezzi al consumo, sono integrati da un componente rappresentante delle associazioni di consumatori maggiormente rappresentative a livello nazionale, individuate ai sensi della normativa vigente in materia di rappresentatività, gli organi deliberativi, di garanzia e consultivi, esclusivamente quando si riuniscono per deliberare in materia di indici dei prezzi al consumo:

          a) dell'Istituto nazionale di statistica (ISTAT);

          b) di ciascun ufficio di statistica centrale o periferico delle amministrazioni dello Stato e delle amministrazioni ed aziende autonome, di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 6 settembre 1989, n. 322;

          c) di ciascun ufficio di statistica delle regioni e delle province autonome;

          d) di ciascun ufficio di statistica delle province;

          e) di ciascun ufficio di statistica dei comuni singoli o associati e delle aziende sanitarie locali;

          f) di ciascun ufficio di statistica delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura;

          g) di ciascun ufficio di statistica, comunque denominato, di amministrazioni o enti pubblici di cui all'articolo 4 del decreto legislativo 6 settembre 1989, n. 322;

 

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          h) di ciascun ente ed organismo pubblico di informazione statistica individuato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri ai sensi del decreto legislativo 6 settembre 1989, n. 322, e successive modificazioni.

      2. Entro un mese dalla data di entrata in vigore della presente legge, le associazioni dei consumatori di cui al comma 1 maggiormente rappresentative trasmettono alla Presidenza del Consiglio dei ministri la designazione di un componente titolare e di uno supplente degli organi degli enti di cui al medesimo comma 1.
      3. I rappresentanti delle associazioni dei consumatori di cui al comma 1 sono nominati con decreto del Presidente della Repubblica, da emanare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Comitato interministeriale per la programmazione economica.

Art. 2.
(Tipologie di determinazione degli indici
dei prezzi al consumo).

      1. A decorrere dal 1 gennaio dell'anno successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della presente legge, l'ISTAT emana disposizioni per la determinazione di nuove tipologie di indici dei prezzi al consumo distinti per:

          a) aree geografiche;

          b) fasce di età;

          c) tipologie di consumo;

          d) tipologie di nucleo familiare;

          e) tipologie di condizioni economiche, sociali e culturali;

          f) aggregati omogenei di consumi.

      2. Gli indici di cui al comma 1 sono calcolati anche in versioni che non tengano conto di alcuni particolari consumi, quali gli affitti di abitazioni, le assicurazioni

 

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della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e di natanti, le spese mediche e farmaceutiche soggette a compartecipazione statale (ticket).

Art. 3.
(Informazione e trasparenza in merito alle metodologie di rilevazione e trattamento dei dati statistici).

      1. Al fine di consentire una corretta, esaustiva e tempestiva informazione in merito alle metodologie di rilevamento, raccolta, trattamento e determinazione degli indici dei prezzi al consumo per le famiglie, l'ISTAT pubblica per estratto su apposito bollettino e sul proprio sito INTERNET, entro il giorno successivo alla loro adozione, le deliberazioni adottate in materia dai propri organi interni e dagli organi deliberativi degli enti che compongono il Sistema statistico nazionale, provvedendo anche alla loro diffusione, in forma divulgativa ed accessibile, sui mezzi di informazione radiotelevisiva e sulla stampa.
      2. I comuni danno conto nei propri siti INTERNET dei risultati analitici delle rilevazioni eseguite per conto dell'ISTAT ai fini del calcolo degli indici dei prezzi al consumo, distinguendoli per capitoli di spesa.

Art. 4.
(Ricorso in materia di indici dei prezzi al consumo per le famiglie).

      1. Ciascun cittadino ha diritto di presentare ricorso motivato avverso le decisioni in materia di determinazione degli indici dei prezzi al consumo per le famiglie adottate da qualunque ufficio o ente che compone il Sistema statistico nazionale.
      2. Il ricorso deve essere ricevuto e protocollato dall'ufficio o ente cui è presentato, che ne trasmette copia all'ISTAT.

 

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Esso deve essere esaminato entro due mesi dalla presentazione. L'ente cui il ricorso è diretto può chiedere ulteriori chiarimenti al ricorrente, fissando un termine massimo di un mese per le controdeduzioni. Nei successivi due mesi il ricorso deve condurre ad una pronuncia ufficiale da parte degli organi deliberativi dell'ente cui esso è diretto.
      3. Il ricorso può concernere qualunque fase della procedura di determinazione del numero indice dei prezzi al consumo e, in particolare:

          a) effettiva presenza e reperibilità del bene o del servizio sul territorio;

          b) qualità e quantità dei consumi abituali della popolazione residente;

          c) difformità tra numeri percentuali assunti nella determinazione dell'indice e numeri assoluti rilevabili sul mercato;

          d) palesi e documentate difformità tra i prezzi rilevati dagli uffici statistici e quelli generalmente ed effettivamente praticati sul mercato;

          e) incidenza di sconti occasionali, rincari estemporanei, vendite promozionali ed altre particolari condizioni di mercato sulla effettiva valutazione del bene o del servizio;

          f) ogni altra evidente e documentata alterazione, omissione o manipolazione dei dati dichiarati, registrati o calcolati nella procedura relativa alla determinazione dei numeri indici dei prezzi al consumo per le famiglie.

Art. 5.
(Poteri sostitutivi).

      1. Se un ufficio o ente appartenente al Sistema statistico nazionale omette di rilevare, trattare e trasmettere i dati relativi alla determinazione degli indici dei prezzi al consumo, nei modi e nei termini previsti dalla legislazione vigente e dalle prescrizioni dell'ISTAT o li trasmette in maniera non rispondente alla realtà, esso è invitato

 

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ad adempiere dal presidente dell'Istituto stesso, mediante diffida scritta preventivamente deliberata dal consiglio dell'Istituto medesimo, entro il termine di un mese dalla data della notifica del provvedimento di diffida.
      2. Trascorso inutilmente il termine di cui al comma 1, ferma restando la possibilità di informare l'autorità giudiziaria riguardo agli atti e alle omissioni aventi rilevanza penale, il presidente dell'ISTAT, previa deliberazione del consiglio, nomina un commissario ad acta, scelto tra i cittadini in possesso dei requisiti di legge per la nomina a membro della Commissione per la garanzia dell'informazione statistica, cui sono conferiti tutti i poteri spettanti agli uffici di statistica degli enti inadempienti. Il commissario può valersi della collaborazione del personale dipendente o funzionalmente applicato alle esigenze dell'ufficio di statistica dell'ente commissariato.

Art. 6.
(Norma finale).

      1. Le disposizioni di cui agli articoli 1, 3, 4 e 5 si applicano per la raccolta e il calcolo dei dati utili alla determinazione del numero indice dei prezzi al consumo per l'intera collettività, del numero indice dei prezzi al consumo armonizzati e del numero indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, e delle altre tipologie individuate ai sensi dell'articolo 2 sia nelle versioni che comprendono il prezzo dei tabacchi, sia in quelle che tale prezzo escludono.


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