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PDL 1332

XV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 1332



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa del deputato SUPPA

Concessione di indulto

Presentata l'11 luglio 2006


      

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Onorevoli Colleghi! - Un provvedimento clemenziale nei confronti dei condannati per taluni tipi di reati non è ulteriormente rinviabile: possiamo tranquillamente affermare che su questo fronte si è già in ritardo, se si considera che se ne parla oramai da anni e che è largamente richiesto dall'ambiente carcerario e giudiziario.
      La necessità di un indulto si pone per un duplice ordine di ragioni, ambedue riconducibili alla situazione di sovraffollamento che affligge, oggi più di ieri, il sistema penitenziario:

          a) ragioni di ordine pratico, che attengono alla gestibilità dei singoli penitenziari (insufficienza dei locali, del personale di polizia penitenziaria, dei servizi sociali, dei corsi di formazione e dei servizi di traduzione per gli atti dei giudizi, esuberanti costi di mantenimento eccetera;

          b) ragioni di ordine etico-costituzionale, che attengono alle condizioni di vita cui è costretta la popolazione reclusa, che si trova a scontare una pena fuori dei parametri di «umanità», cui consegue una sofferenza ulteriore rispetto alla mera limitazione della libertà, che non trova riscontro nella Carta costituzionale, come peraltro ebbe lucidamente a rappresentare il Presidente della Camera dei deputati all'indomani del suo insediamento.

      Deve essere chiaro che uno Stato democratico non può sistematicamente ricorrere agli strumenti dell'amnistia e dell'indulto a scopo «definitivo» senza, in qualche misura, snaturare detti istituti e la loro funzione squisitamente «clemenziale», di «rappacificazione sociale» rispetto a comportamenti che restano sì delittuosi, ma perlopiù sono espressione di condizioni sociali o individuali non più presenti, ovvero conseguenza di avvenimenti di portata generale o di ampio impatto sociale. Tuttavia lo Stato-governo

 

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deve pur sempre dare una risposta ai problemi della Nazione.
      Il rimedio al sovraffollamento sarà e deve essere la costruzione di nuove carceri (e con criteri di modernità), che però non potranno essere realizzate se non almeno dopo dieci anni dall'avvio dell'iter burocratico; certamente un ruolo fondamentale per una soluzione a lungo termine dovrà venire anche dal nuovo codice penale, con l'ampliamento del campo di applicazione delle pene diverse dalla tradizionale detenzione in carcere. Ma nel frattempo occorre ridare subito vivibilità al mondo carcerario, e secondo i parametri della legalità costituzionale. Da qui l'urgenza di un indulto, che però tenga conto adeguatamente anche delle opposte esigenze di sicurezza sociale e di legalità in generale.
      Ma è necessario che il provvedimento, per essere adeguato al momento attuale, sia in certa misura di più ampia portata rispetto a quelli adottati in passato, non fosse altro perché più gravi sono i problemi di oggi rispetto a prima, e più esasperato è il sovraffollamento. Occorre anche ricordare che gli effetti deflattivi conseguiti con analoghe misure clemenziali negli anni passati si sono esauriti, mediamente, nell'arco di due anni; troppo pochi per approntare le sopraccitate misure per una soluzione a lungo termine del problema carcerario.
      D'altra parte, l'esperienza della legge 1o agosto 2003, n. 207 (cosiddetto «indultino»), per riferirsi solo all'ultimo dei provvedimenti adottati in materia, dimostra che le norme approvate, oltre a intasare gli uffici di sorveglianza, non hanno risolto nessuno dei problemi cui erano destinate. Non solo per il troppo ampio ventaglio delle esclusioni oggettive e soggettive che la legge contemplava, ma soprattutto perché era applicabile solo a chi avesse scontato la metà della pena, mentre non poteva essere applicata a chi beneficiava di una delle misure alternative alla reclusione, vanificando così i suoi effetti favorevoli per un notevole numero dei detenuti, che hanno trovato più utile optare per una delle tradizionali misure alternative. Peraltro, la recentissima sentenza n. 255 della Corte costituzionale, depositata il 4 luglio scorso, ha dichiarato incostituzionale l'articolo 1 della citata legge nella parte in cui il beneficio è concesso automaticamente, senza una valutazione di meritevolezza da parte del magistrato di sorveglianza. La conseguenza è che si è arrivati ad una totale giustapposizione tra l'«indultino» e le misure alternative già previste dall'ordinamento penitenziario (legge n. 354 del 1975), ovvero al sostanziale azzeramento della finalità di riduzione della popolazione carceraria.
      Su queste premesse appare ragionevole la concessione di un indulto nella misura non superiore ad anni tre di reclusione, limitando, nel contempo, il numero dei reati da ricomprendere nelle esclusioni oggettive in ragione del loro particolare allarme sociale; del resto alla particolare gravità di taluni reati ha già dato risposta una condanna adeguata, sulla base di una norma penale che prevede una sanzione altrettanto adeguata. Tuttavia non si può non tenere conto di quei reati che offendono in modo particolare il senso etico, come i reati a sfondo sessuale, rispetto ai quali un uguale trattamento clemenziale non incontrerebbe il favore della Nazione; né si può trascurare l'emergenza del terrorismo internazionale, che impone l'esclusione da qualsiasi beneficio di coloro che si rendono colpevoli o comunque complici di delitti che scuotono fortemente il mondo civile e democratico.
      Inoltre, una graduazione della misura di applicabilità del beneficio, in ragione del diverso grado di allarme sociale di determinate categorie di comportamenti criminali, appare opportuna perché più conforme a giustizia.
      Su tali premesse, si prevede che alle pene inflitte per quasi tutti i reati contemplati nell'articolo 4-bis dell'ordinamento penitenziario l'indulto sia applicato solo nella misura di anni uno, mentre per i restanti reati, in ragione della loro particolare offensività o disvalore sociale, il beneficio rimane del tutto escluso.
      Il rinvio al citato articolo 4-bis per l'individuazione delle condotte delittuose non meritevoli, ovvero parzialmente meritevoli,
 

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di un abbuono di pena appare pertinente, poiché la norma rappresenta un riferimento generalmente condiviso quanto all'individuazione delle condotte delittuose di «speciale» disvalore sociale.
      Resteranno inoltre escluse le pene relative ad altre fattispecie caratterizzare da finalità terroristiche ovvero «a sfondo» sessuale.
      In particolare, non potranno beneficiare dell'indulto i condannati per i reati previsti dal libro II, titolo I, capi IV e V, del codice penale, vale a dire i reati previsti dagli articoli 295-309, poiché offensivi delle istituzioni democratiche e normalmente espressivi di finalità terroristiche. Saranno parimenti escluse dal beneficio le pene inflitte per i reati inclusi nei capi I e II del titolo VI del libro II del codice penale, ovvero quelli previsti dagli articoli 422-445, per il notevole grado di messa in pericolo della pubblica incolumità. Si tratta, in entrambi i casi, di ipotesi che, pur interessando un numero ridotto della popolazione carceraria, tanto da incidere minimamente sullo scopo deflattivo del provvedimento, si riferiscono a soggetti portatori di notevole pericolosità sociale. Inoltre, non ne potranno usufruire i condannati per taluno dei delitti ricompresi nella sezione I del capo III del titolo XII del libro II del medesimo codice penale (articoli 600-603), poiché si tratta di condotte percepite come particolarmente «odiose» dalla società civile.
      Le suddette esclusioni, tuttavia, tranne i reati cosiddetti «sessuali», non riguarderanno i collaboratori di giustizia ammessi allo speciale trattamento. Appare ragionevole, infatti, ritenere cessata la loro pericolosità. Mentre ne saranno esclusi ugualmente i responsabili di condotte offensive della libertà sessuale e delle altre libertà fondamentali dell'uomo, poiché si ritiene che la loro determinazione alla collaborazione non fa venire meno la «ripugnanza» diffusa verso la loro giudicata condotta.
      Ancora necessaria appare l'esclusione di chi ha partecipato ad associazioni mafiose o a sodalizi finalizzati al traffico di stupefacenti con ruolo di capo, promotore od organizzatore o, comunque, ha partecipato a pericolosi sodalizi criminosi. Mentre i soli partecipanti, in ragione della loro minore pericolosità espressa all'atto dell'adesione al sodalizio, potranno beneficiare dell'indulto solo nella misura di anni uno.
      Tale limitazione del beneficio, in forza del richiamo al citato articolo 4-bis dell'ordinamento penitenziario, interesserà anche i condannati per rapina, estorsione, omicidio e altri delitti ivi indicati.
      È prevista poi la revocabilità dell'indulto per coloro che si renderanno responsabili di reati non colposi per i quali riporteranno una condanna superiore ad anni due di reclusione nei cinque anni successivi all'applicazione del beneficio. Si è voluto, per così dire, un «impegno» da parte del destinatario di quello che è pur sempre un atto di clemenza da parte dello Stato affinché si astenga, per il futuro, dal commettere altri reati. Si tratta, peraltro, di una condizione che, per la sua efficacia «dissuasiva», ha caratterizzato anche i provvedimenti analoghi emanati nel passato.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Concessione di indulto).

      1. È concesso indulto nella misura non superiore ad anni tre per le pene detentive e non superiore ad euro 1.500 per le pene pecuniarie, sole o congiunte alle pene detentive.
      2. L'indulto si applica nella misura di anni uno per le pene detentive e di euro 1.500 per le pene pecunarie quando tali pene sono inflitte in relazione ai reati previsti dall'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, ad esclusione dei reati previsti dall'articolo 2 della presente legge. L'indulto è sempre applicabile nella misura di anni tre a favore delle persone sottoposte alle speciali misure di protezione ai sensi degli articoli 9 e 13, comma 5, del decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 marzo 1991, n. 82, e successive modificazioni.
      3. Non si applicano le esclusioni di cui all'articolo 151, quinto comma, del codice penale.

Art. 2.
(Esclusioni oggettive).

      1. L'indulto non si applica alle pene inflitte:

          a) per i delitti previsti dal libro II, titolo I, capi II, IV e V, del codice penale;

          b) per i delitti previsti dal libro II, titolo VI, capi I e II, del codice penale;

          c) per i delitti previsti dal libro II, titolo XII, capo III, sezione I, del codice penale;

 

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          d) per i delitti di cui ai seguenti articoli del codice penale:

              1) 253 (distribuzione o sabotaggio di opere militari);

              2) 270 (associazioni sovversive);

              3) 270-bis (associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell'ordine democratico);

              4) 270-quater (arruolamento con finalità di terrorismo anche internazionale);

              5) 270-quinquies (addestramento ad attività con finalità di terrorismo anche internazionale);

              6) 416-bis (associazione di tipo mafioso) quando ricorre taluna delle aggravanti previste dal medesimo articolo;

              7) 609-bis (violenza sessuale);

              8) 609-quater (atti sessuali con minorenne);

              9) 609-quinquies (corruzione di minorenne);

              10) 609-octies (violenza sessuale di gruppo);

          e) per il delitto previsto dal comma 1 dell'articolo 74 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, nelle ipotesi di cui ai commi 1, 4 e 5 del medesimo articolo.

      2. Le esclusioni oggettive stabilite ai sensi del comma 1 del presente articolo non si applicano alle persone sottoposte alle speciali misure di protezione previste dagli articoli 9 e 13, comma 5, del decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 marzo 1991, n. 82, e successive modificazioni, ad esclusione dei condannati per i reati di cui agli articoli 609-bis, 609-quater, 609-quinquies e 609-octies del codice penale e per quelli di cui alla lettera c) del citato comma 1 del presente articolo.

 

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Art. 3.
(Revoca dell'indulto).

      1. L'indulto è revocato di diritto qualora chi ne abbia usufruito riporti una condanna superiore ad anni due di reclusione per delitto non colposo nei cinque anni successivi all'applicazione del beneficio.

Art. 4.
(Termine di efficacia dell'indulto).

      1. L'indulto si applica esclusivamente alle pene per reati commessi entro il 31 dicembre 2005.

Art. 5.
(Entrata in vigore).

      1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.


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