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CAMERA DEI DEPUTATI
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N. 162 |
a) facilitare l'accesso all'acquisto di mobili da parte di giovani coppie;
b) ridare vivacità al mercato e quindi «ossigeno» alle aziende (industriali e commerciali);
c) salvaguardare in maniera congrua i livelli dell'occupazione.
Spina dorsale del provvedimento proposto è la riduzione, fino a certi importi e per una categoria di soggetti ben individuati, dell'aliquota dell'imposta sul valore aggiunto (IVA) dal 20 per cento al 4 per cento. Perché il 4 per cento? Per evidente analogia con l'aliquota fissata a favore dell'acquisto della prima casa.
Si è scelta la via della riduzione IVA per i vantaggi immediatamente monetizzabili che essa arreca. La via dello sgravio sulle imposte dirette non appare invece perseguibile: essa creerebbe infatti dei crediti di imposta che, stante la lentezza delle procedure, rimanderebbero il godimento del beneficio troppo in là nel tempo (da tre a cinque anni), vanificando la portata di tutta l'operazione.
Con il comma 1 dell'articolo 1 della presente proposta di legge viene individuata una fascia di destinatari di ampiezza notevole: i futuri sposi e coloro che, sposati da poco, convivono con parenti o non hanno potuto adeguatamente arredare la casa. I futuri sposi sono stati considerati partendo dal presupposto che la casa va arredata prima delle nozze e l'acquisto dell'arredo è, quindi, normalmente precedente al vincolo matrimoniale.
Poiché occorre fissare il tetto massimo su cui applicare l'aliquota ridotta, si ritiene che tale tetto dovrebbe risultare in relazione al costo medio necessario per arredare: una stanza da letto, un soggiorno, una cucina, un bagno, un ingresso. Ad avviso del proponente, tale costo medio può essere determinato in 20 mila euro.
Per quanto riguarda il limite di reddito complessivo lordo, si è ritenuto idoneo fissarlo in 20 mila euro.
Con il comma 2 si introduce il meccanismo dell'autocertificazione, con tutte le conseguenze che ne derivano; ciò serve a snellire e a semplificare le procedure.
Il riferimento, poi, all'articolo 21 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, è finalizzato a dettare le norme per la corretta compilazione di una fattura.
Con il comma 3 si stabilisce che entro sei mesi dall'effettuazione del pagamento, se avviene in anticipo, o della consegna, i cessionari devono produrre al cedente il certificato di matrimonio. Per semplicità si è previsto un unico obbligo sia per chi è già sposato (e che quindi potrebbe avere
1. Le cessioni di mobili ed accessori per l'arredamento effettuate a soggetti che intendono contrarre matrimonio o che lo hanno contratto da non più di dodici mesi, sono assoggettate all'aliquota dell'imposta sul valore aggiunto del 4 per cento fino ad un corrispettivo massimo di 20 mila euro, a condizione che:
a) la cessione abbia per oggetto mobili e accessori destinati all'arredamento dell'abitazione coniugale;
b) il reddito complessivo lordo dei soggetti interessati non sia superiore a 20 mila euro annui.
2. La disposizione di cui al comma 1 del presente articolo si applica a condizione che da parte del cedente sia emessa fattura ai sensi dell'articolo 21 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni, e che i cessionari rilascino apposita dichiarazione che attesti la sussistenza o l'imminenza del vincolo matrimoniale, la destinazione dei mobili e degli accessori che si intendono acquistare, nonché il possesso del requisito reddituale di cui alla lettera b) del citato comma 1. Si applicano gli articoli 46 e 47 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, e successive modificazioni.
3. Entro sei mesi dal pagamento del corrispettivo o dalla consegna, se successiva, dei mobili ed accessori acquistati con le modalità previste ai commi 1 e 2, i cessionari devono produrre al cedente il certificato di matrimonio.
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