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PDL 734

XV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 734



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

DEIANA, FOLENA, SENTINELLI, FRANCO RUSSO, GUADAGNO detto VLADIMIR LUXURIA, CANNAVÒ, BURGIO, CACCIARI, COGODI, DURANTI, DIOGUARDI, FERRERO, PEGOLO, KHALIL, MUNGO, FORGIONE, FRIAS, SINISCALCHI, PERUGIA, OLIVIERI

Disposizioni in materia di riconversione dell'industria bellica
e per la promozione dei processi di disarmo

Presentata il 16 maggio 2006


      

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Onorevoli Colleghi! - Secondo stime del SIPRI (Stockholm International Peace Research Institute) del 2004, per la spesa militare l'Italia è settima al mondo (27,8 miliardi di dollari nel 2004; 27,6 nel 2003), mentre è nona al mondo per il volume di esportazioni di armi (261 milioni di dollari del 2004). Le autorizzazioni all'esportazione rilasciate dal Governo nel 2004 hanno superato i 1.500 milioni di euro, per esportazioni in Paesi sotto embargo quali la Cina o a rischio di conflitto quali l'India, il Pakistan e quelli del Medio Oriente, oltre che in Paesi altamente indebitati come Cile, Perù, Brasile o dove si verificano reiterate violazioni dei diritti civili come Kuwait, Emirati Arabi Uniti, Siria e Arabia Saudita. Parallelamente è cresciuta nell'opinione pubblica italiana e internazionale la consapevolezza dell'urgenza di un'inversione di rotta, per creare le premesse di una politica attiva di costruzione della pace che passi anche attraverso un ripensamento delle politiche di difesa e delle politiche industriali del settore della produzione di armamenti. Lo dicono le milioni di voci che si sono levate contro la guerra in Iraq, per il rispetto dell'articolo 11 della Costituzione, e le decine di migliaia di persone che hanno firmato la proposta di legge regionale sulla riconversione dell'industria bellica in Lombardia.
 

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      Ciò accade in un momento nel quale l'industria europea della difesa è attraversata da un processo di riposizionamento organizzativo, con fusioni, acquisizioni e accordi di integrazione produttiva e societaria. È un processo, iniziato alla metà degli anni '90, non sempre lineare e coerente il cui esito finale, prevedibilmente, sarà il rafforzamento di un «settore difesa» continentale, che possa reggere il confronto sui mercati internazionali con i colossi statunitensi. La prima ondata di ristrutturazioni, acquisizioni e fusioni ha comportato la perdita di centinaia di migliaia di posti di lavoro, soprattutto in Germania e nel Regno Unito, i Paesi in cui il processo di razionalizzazione è stato più forte, ma anche in Italia, dove si sono persi oltre 20 mila occupati dall'inizio degli anni '90 ad oggi.
      Nonostante la battuta d'arresto del processo costituzionale europeo, è il settore della difesa quello in cui si registrano le spinte più forti all'integrazione degli apparati produttivi e in parte decisionali nel continente. Convergono in questa direzione tanto le logiche di riorganizzazione dello strumento militare, quanto quelle strettamente aziendali e si registra, d'altro canto, una riduzione del potere «contrattuale» dei singoli governi nazionali, sia per le restrizioni dei budget, sia perché per competere su scala mondiale con i colossi statunitensi le aziende, anche quelle formalmente ancora pubbliche, tendono a svincolarsi dalla tutela politica e dalle direttive dei governi nazionali, i cui interessi possono (e accade spesso) essere divergenti rispetto ai desideri dei vertici aziendali.
      È in estrema sintesi ciò che è avvenuto con la pressione industriale e politica che in Italia ha portato allo smantellamento de facto dei controlli sull'export bellico previsti dalla legge n. 185 del 1990; è quanto sta avvenendo a livello continentale con le pressioni per togliere l'embargo sul trasferimento di tecnologia militare alla Cina; è quanto avviene in Italia con il moltiplicarsi, in seguito alla revisione della citata legge n. 185 del 1990, di accordi bilaterali di cooperazione nel settore della difesa con Paesi quali Indonesia, Algeria, Israele, al punto da prefigurare una trasformazione di questi accordi in strumenti di politica estera a tutti gli effetti. A tale riguardo giova sottolineare che la legge n. 185 del 1990 e il relativo regolamento di esecuzione contengono un esplicito riferimento alla diversificazione produttiva del settore degli armamenti e alla creazione di un coordinamento per lo studio dei programmi di riconversione.
      La prosecuzione del cammino di integrazione degli strumenti militari europei, annunciata con la creazione dell'European Defense Agency (EDA), avrà senz'altro ripercussioni sul settore industriale ad esso collegato, in particolare per alcuni rami produttivi, come la cantieristica navale (in Europa esistono 20 grandi cantieri, negli USA 5) o quello della produzione di sistemi d'arma terrestri (dai veicoli militari ai carri armati) ancora estremamente frammentato. Quale che sia l'esito di questo processo, l'Italia, che ha un posto di rilievo nel settore della difesa, continua a ragionare soprattutto in termini nazionali, quando anche le sue imprese di punta sono ormai lanciate verso l'espansione continentale e verso la partecipazione attiva nel processo di fusioni, acquisizioni e ristrutturazioni.
      Una nuova frontiera, poi, si è aperta con l'ingresso nell'Unione europea dei Paesi dell'Europa orientale, nei quali esiste una forte tradizione di industria della difesa che alcuni gruppi europei pensano di aggiornare, tecnologicamente parlando, per poter poi delocalizzare almeno in parte la produzione. È un processo che riguarda in particolare i settori a maggiore intensità di lavoro.
      Da ciò consegue che il tema della riconversione dell'industria bellica non può non essere affrontato anche a livello europeo. Il programma europeo Konver per il finanziamento di progetti di riconversione su base regionale e nazionale è stato chiuso nel 2001 e andrebbe riproposto in chiave innovativa, insieme alla creazione di un'agenzia europea per la riconversione. Il programma europeo Konver aveva portato negli anni '90 a
 

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buoni risultati in termini occupazionali e di sostegno a investimenti verso piccole imprese civili in quelle regioni e aree territoriali che hanno dovuto soffrire l'impatto del ridimensionamento dell'industria bellica. Queste iniziative servirebbero ad aprire finalmente la discussione sul ruolo dell'Europa nel mondo e sulla congruenza dello strumento militare in costruzione con le finalità dichiarate delle Carte costituzionali dei singoli Paesi oltre che con i Trattati europei.
      Al quadro industriale qui brevemente e sommariamente tracciato occorre aggiungere quello politico-militare. La creazione di uno strumento militare europeo sta avvenendo con relativa rapidità: i governi e l'EDA puntano alla piena interoperabilità entro il 2010, data che sembra ottimistica, ma che indica senz'altro una strada dalla quale difficilmente si tornerà indietro. A fronte dell'integrazione dello strumento, manca una seria, pubblica e democratica riflessione su cosa fare con quello strumento. I due piani, quello politico e quello industriale, sono strettamente connessi, anche se nella percezione dominante sembrano lontani e in parte separati. In questi anni è stato sicuramente un successo delle grandi aziende produttrici di sistemi d'arma e operanti nel settore della difesa quello di riuscire a sganciare la politica industriale e quella commerciale dalle considerazioni politiche. Inoltre, le grandi aziende usano l'argomento dei posti di lavoro come leva politica per ottenere dai governi nazionali, che ancora hanno un potere di spesa e di orientamento della stessa, contratti che, secondo una logica strettamente economica o strategico-militare, potrebbero non essere convenienti, né alle finanze pubbliche né alle Forze armate, destinatarie dei prodotti finiti o dei servizi.
      In questo quadro, una legge sulla riconversione dell'industria bellica appare non solo urgente, ma necessaria, tanto sul piano politico nazionale, quanto su quello europeo, quanto sul piano della tutela - in prospettiva - dei posti di lavoro, in particolare nel Mezzogiorno.
      In tale contesto, gli strumenti previsti dalla legge serviranno a individuare percorsi di riorganizzazione aziendale e di rielaborazione delle politiche industriali che consentano una progressiva demilitarizzazione dell'apparato produttivo, orientandone la riorganizzazione verso quelle tecnologie che possono trovare impiego in campo civile, salvaguardando sia i posti di lavoro che il know-how accumulato. Obiettivo di fondo sarà quello di produrre le condizioni e offrire gli strumenti per replicare le esperienze positive già acquisite nel campo della riconversione e della diversificazione dell'industria bellica.
      Sul piano politico nazionale, la legge sulla riconversione servirà a rilanciare il dibattito pubblico sullo strumento militare italiano e sulla sua funzione, in chiave soprattutto europea e internazionale, viste le mutate condizioni storiche, geopolitiche e geoeconomiche in cui uno strumento militare pensato essenzialmente per difendere il territorio nazionale si trova a essere sempre più usato come «proiezione» di forza verso l'esterno o come parte di missioni internazionali, quando non di guerre non dichiarate come quella in Iraq. La legge sulla riconversione dovrebbe pertanto rappresentare l'inizio di un ripensamento dell'organizzazione militare italiana, che consenta di enfatizzare le idee e i metodi della difesa popolare nonviolenta, dell'obiezione fiscale alle spese militari, dell'organizzazione di corpi di pace al posto dei reparti armati che puntualmente rappresentano l'Italia negli scenari di crisi internazionale.
      L'articolo 1 della presente proposta di legge prevede l'istituzione dell'Agenzia nazionale per la riconversione dell'industria bellica, incaricata di fornire i servizi di assistenza e di consulenza per una riformulazione delle politiche industriali al fine di condurre le riconversioni produttive e di mercato, nonché di coordinarle in modo da offrire, nella migliore delle ipotesi, la creazione di un intero settore ad alta specializzazione, possibilmente nel campo delle tecnologie ecocompatibili (uso razionale dell'energia e fonti rinnovabili,
 

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mobilità sostenibile, sicurezza ambientale e valorizzazione del territorio, eccetera). Si impegna altresì il Governo a sostenere iniziative per la riconversione dell'industria bellica a livello di Unione europea, attraverso l'istituzione di un'Agenzia europea per la riconversione dell'industria bellica, e a livello di ONU, nell'ambito della Conferenza per il disarmo.
      L'articolo 2 indica in dettaglio i compiti dell'Agenzia nazionale per la riconversione dell'industria bellica.
      All'articolo 3 sono stabiliti tutti gli elementi determinanti l'atto programmatorio nonché i vincoli a cui deve rapportarsi, primo fra tutti la sua immediata incidenza sul bilancio di previsione del Ministero della difesa, nonché il suo progressivo aggiornamento a seconda delle modificazioni del mercato produttivo delle aree interessate.
      All'articolo 4 sono previsti gli strumenti di traduzione del programma generale nei vari piani di attuazione affidati, quindi, ad agenzie regionali per lo studio e l'attuazione dei progetti di riconversione dell'industria bellica e per la promozione dei progetti e dei processi di disarmo, realizzando in questo modo una maggiore democraticità nella proposta di riconversione, una maggiore partecipazione degli interessati e, pertanto, anche una più dettagliata conoscenza dei vari aspetti del problema.
      L'articolo 5 specifica il contenuto dei progetti di riconversione dell'industria bellica e le procedure per il loro finanziamento.
      Con l'articolo 6 si prevede, inoltre, che alle agevolazioni previste dalla proposta di legge si possa accedere anche per la realizzazione di un apposito centro di ricerca del settore che abbia il compito di approfondire le conoscenze su buone pratiche, innovazione tecnologica e opportunità di uso di tecnologie ad uso civile, nel campo, ad esempio, della protezione e del recupero dell'ambiente.
      L'articolo 7 prevede misure che possano rendere compatibili le esigenze occupazionali delle zone interessate con l'esigenza della riconversione del settore bellico, proprio per non sottoporre, fermo restando il vincolo della piena occupazione nelle previsioni dei piani di riconversione, i diritti e le legittime aspettative dei lavoratori ai bisogni dei cicli produttivi.
      Per quanto attiene alla copertura finanziaria, si è preferito, in questa fase, non proporre una soluzione definitiva, riservandosi di avanzare, nel seguito dell'esame parlamentare, opportune proposte al riguardo. In linea generale, peraltro, si ritiene che si debba far valere il principio che tale riconversione debba essere pagata in parte dagli stessi industriali del settore, attraverso il versamento dell'1 per cento del fatturato (non fosse altro perché la riconversione di un'unità produttiva oggettivamente avvantaggia le altre). La parte a carico della collettività potrebbe essere finanziata in parte dal versamento volontario dei cittadini (attraverso la previsione della possibilità di destinare agli interventi di riconversione dell'industria bellica l'8 per mille delle imposte dovute in sede di dichiarazione dei redditi), in parte dal bilancio dello Stato, con la riduzione delle spese militari. Alternativamente, i fondi potrebbero essere reperiti nel bilancio del Ministero delle attività produttive, sganciando anche simbolicamente la competenza dal Ministero della difesa, ovvero con una tassazione mirata, per esempio, alle transazioni finanziarie che coprono le operazioni di esportazione di tecnologia militare o di armamenti.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.


      1. In coerenza con i princìpi di pace e di ripudio della guerra quale strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, di coesistenza pacifica e di giustizia sanciti dallo Statuto delle Nazioni Unite e dalla Costituzione della Repubblica, la Repubblica promuove e favorisce i processi di riconversione delle imprese operanti nel settore della produzione di materiali di armamento verso attività di beni e di servizi di uso civile e socialmente utili, assumendo come obiettivo prioritario il mantenimento e lo sviluppo delle risorse umane e tecnologiche presenti nel settore. A tale fine, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri è istituita, per la durata di un triennio, rinnovabile, l'Agenzia nazionale per la riconversione dell'industria bellica, di seguito denominata «Agenzia», con lo scopo di realizzare un osservatorio permanente sulla struttura produttiva militare nazionale e di predisporre analisi e piani per la riconversione industriale a fini civili di aziende che producono beni e servizi per usi militari.
      2. L'Agenzia è composta da un rappresentante ciascuno dei Ministeri della difesa, delle attività produttive, del lavoro e delle politiche sociali, dell'istruzione, dell'università e della ricerca e dell'economia e delle finanze, nonché dell'Istituto nazionale per il commercio estero; da tre rappresentanti delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello nazionale; da tre rappresentanti delle organizzazioni imprenditoriali maggiormente rappresentative a livello nazionale; da tre esperti nominati dalla Presidenza del Consiglio dei ministri e da tre esperti designati di intesa dal Presidente del Senato della Repubblica e dal Presidente della Camera dei deputati.

 

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      3. L'Agenzia elegge nel proprio seno il presidente.
      4. Il Presidente del Consiglio dei ministri, con proprio decreto, stabilisce l'organizzazione e la retribuzione del personale dell'Agenzia, l'assunzione, anche temporanea, di consulenti, anche provenienti da organizzazioni o istituti non governativi di ricerca, in numero comunque non superiore a sette unità, nonché le indennità da corrispondere ai componenti l'Agenzia.
      5. Il Presidente del Consiglio dei ministri trasmette annualmente al Parlamento una relazione dettagliata sulle attività dell'Agenzia e delle agenzie regionali, di cui, rispettivamente, agli articoli 2, 3 e 4.
      6. Il Governo promuove attivamente l'istituzione di una agenzia europea per la riconversione dell'industria bellica e si impegna a sostenere a livello dell'Organizzazione delle Nazioni unite (ONU) la nomina di un relatore speciale per la riconversione dell'industria bellica nonché la costituzione, nell'ambito della Conferenza per il disarmo, di un gruppo di lavoro internazionale sulla riconversione dell'industria bellica, con la collaborazione anche delle agenzie specializzate dell'ONU, dell'Organizzazione delle Nazioni unite per lo sviluppo industriale (UNIDO), dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), delle agenzie nongovernative e delle organizzazioni sindacali internazionali.

Art. 2.

      1. L'Agenzia ha i seguenti compiti:

          a) predisporre ogni anno il programma degli interventi per la riconversione dell'industria bellica;

          b) soprintendere all'attuazione del programma di cui alla lettera a), su base regionale, da parte delle agenzie regionali di cui all'articolo 4;

          c) elaborare progetti di studio e di fattibilità volti a realizzare la conversione integrale o parziale delle attività delle imprese operanti nella produzione di materiale bellico verso attività di produzione

 

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di beni e di prestazioni di servizi di uso civile e socialmente utili;

          d) realizzare attività di formazione, riqualificazione e aggiornamento finalizzate a promuovere tra lavoratrici e lavoratori operanti nelle industrie belliche la cultura della riconversione in attività produttive alternative;

          e) realizzare progetti di ricerca e di sviluppo volti a trasferire le conoscenze e le competenze acquisite nella produzione di materiale di armamento verso applicazioni civili;

          f) realizzare attività di informazione e di formazione sulle politiche e sui progetti di pace e di disarmo rivolte, in particolare, a operatori sociali e culturali, amministratori pubblici, studenti, ricercatori, lavoratrici e lavoratori;

          g) produrre analisi di mercato e studi di fattibilità per la promozione commerciale di beni prodotti in seguito ai processi di riconversione dell'industria bellica;

          h) collaborare con le agenzie regionali di cui all'articolo 4 al fine di elaborare concrete soluzioni sul piano produttivo e occupazionale per la riconversione parziale o totale di aziende e di settori produttivi impiegati a fini militari.

Art. 3.

      1. Il programma degli interventi di cui all'articolo 2 è basato su un'analisi macroeconomica della realtà produttiva e del mercato nazionale e internazionale, nonché sulle politiche industriali del settore e su ipotesi di riformulazione delle stesse. Esso deve contenere le linee guida delle metodologie pratiche per la riconversione industriale dal settore militare a quello civile, con particolare riferimento al riaddestramento e alla riorganizzazione del personale manageriale, tecnico, amministrativo e di produzione, alla trasformazione degli impianti, alle questioni normative e contrattuali, alle implicazioni verso

 

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gli altri settori produttivi collegati, nonché verso le comunità e le aree interessate.
      2. Al programma deve essere allegato un censimento analitico delle aziende che producono beni e servizi destinati ad uso militare, con l'indicazione del controllo proprietario, del fatturato e dei principali indicatori economici, del numero dei dipendenti e della loro qualificazione personale, dei materiali in linea di produzione, di quelli prodotti in passato nonché delle attività di ricerca e di sviluppo in corso. Tale censimento deve essere aggiornato annualmente.
      3. Nel programma deve essere espressamente prevista anche la corrispettiva riduzione della previsione di spese militari da parte del Ministero della difesa, che è tenuto a inserirla nel proprio bilancio annuale, al fine di evitare che una riconversione dell'industria bellica nazionale produca un aumento delle commesse all'estero per armamenti da parte dello Stato.
      4. Il programma deve essere trasmesso alle agenzie regionali di cui all'articolo 4, nonché alle competenti Commissioni parlamentari della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.

Art. 4.

      1. Nelle regioni in cui sono presenti aziende produttrici di beni e di servizi per fini militari sono istituite le agenzie regionali per lo studio e l'attuazione dei progetti di riconversione dell'industria bellica e per la promozione dei progetti e dei processi di disarmo.
      2. Le agenzie regionali hanno i seguenti compiti:

          a) istituire e mantenere costantemente aggiornato il registro delle imprese di produzione militare con sedi o impianti operanti nella regione, nel quale sono riportate le informazioni riguardanti la ricerca, la produzione, l'occupazione e gli investimenti militari e civili, la situazione finanziaria e la titolarità delle proprietà, le

 

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destinazioni di mercato militari e civili, nonché la localizzazione produttiva;

          b) elaborare studi e documentazioni sulla situazione e sulle prospettive di riconversione del settore, con particolare riferimento alle prospettive occupazionali, nonché alla valorizzazione in ambito civile delle risorse e delle competenze tecnologiche acquisite;

          c) proporre indirizzi per la diffusione e il trasferimento dei princìpi tecnologici e dei processi produttivi di carattere militare verso applicazioni di uso civile socialmente utili;

          d) promuovere la formazione di competenze in merito a progetti e a politiche di pace e di disarmo;

          e) formulare al Parlamento e al Governo proposte di interventi volti ad agevolare la riconversione dell'industria bellica verso produzioni di uso civile;

          f) stabilire e mantenere proficui contatti con istituzioni regionali, anche non italiane, impegnate in iniziative per la promozione della riconversione dell'industria bellica e con i centri di ricerca, anche a livello internazionale, che si occupano di riconversione e di disarmo;

          g) produrre analisi di mercato e studi di fattibilità per la promozione commerciale di beni prodotti in seguito ai processi di riconversione dell'industria bellica.

Art. 5.

      1. In conformità con quanto previsto nel programma di cui all'articolo 3, gli interventi dello Stato hanno per oggetto progetti di riconversione totale o parziale delle produzioni di materiale bellico in attività di produzione manifatturiera o di servizi per uso civile da parte di imprese localizzate sul territorio nazionale.
      2. I progetti di riconversione di cui al comma 1 devono prevedere comunque il reimpiego del personale eccedente a causa della soppressione o riduzione delle produzioni belliche.

 

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      3. I progetti di riconversione di cui al presente articolo possono riguardare anche attività di ricerca e sviluppo, di progettazione e di promozione commerciale.
      4. Le procedure di erogazione dei finanziamenti dei progetti di riconversione di cui al presente articolo sono disciplinate con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con i Ministri delle attività produttive, della difesa e dell'istruzione, dell'università e della ricerca.

Art. 6.

      1. Con le modalità determinate dal programma di cui agli articoli 2 e 3 e dai relativi progetti di attuazione, possono essere altresì finanziate la costruzione e l'attività di un centro di ricerche e sviluppo sull'innovazione tecnologica per usi civili, in particolare nei campi della mobilità sostenibile, delle energie rinnovabili e dell'efficienza energetica, del settore biomedico, nonché della tutela e del recupero del patrimonio ambientale e culturale.

Art. 7.

      1. Fermo restando l'obbligo della previsione nel programma e nei progetti predisposti ai sensi degli articoli 3 e 4 del pieno reimpiego del personale utilizzato, il Ministero delle attività produttive effettua interventi in favore dei dipendenti di imprese operanti nel settore militare interessate da un processo di riconversione.
      2. Le procedure di erogazione dei finanziamenti degli interventi di cui al comma 1 sono disciplinate con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con i Ministri delle attività produttive e del lavoro e delle politiche sociali.
      3. Nel caso di particolari situazioni di crisi nelle aziende del settore militare dovute a condizioni di mercato o a decisioni

 

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di ridimensionamento di produzioni militari, il Governo si attiva per individuare gli interventi che, a livello nazionale e dell'Unione europea, possono favorire la riconversione delle aziende interessate e la limitazione dell'impatto economico territoriale, nonché l'eventuale ricollocazione dei lavoratori coinvolti. L'agenzia regionale competente può intervenire con risorse finanziarie aggiuntive.


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