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PDL 1221

XV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 1221



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa del deputato FLUVI

Disposizioni per la tutela della concorrenza e dei diritti
dei consumatori nel settore degli «outlet»

Presentata il 27 giugno 2006


      

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Onorevoli Colleghi! - Le piccole e medie imprese del commercio al dettaglio nel settore abbigliamento, tessile, calzaturiero e intimo (cosiddetto «settore moda») patiscono ormai da tempo la concorrenza talora anomala di una tipologia di esercizi, i cosiddetti «factory outlet center», che rappresentano veri e propri centri commerciali costituiti da molteplici punti vendita al dettaglio, gestiti spesso direttamente dai produttori di beni di marca, o comunque caratterizzati dalla vendita di merci ormai fuori catalogo o difettate, offerte a prezzi ovviamente più bassi di quelli correnti sul mercato.
      In mancanza di una specifica programmazione, sia sul piano commerciale che edilizio, i «factory outlet» generano di fatto una attività di vendita «a saldo» o in promozione lungo l'intero arco dell'anno, in sostanziale elusione della vigente normativa statale e regionale.
      Tutto ciò costituisce un pericolo reale per la sopravvivenza dei negozi tradizionali, rischia di arrecare grave nocumento a tutto il «sistema moda-Italia» e mette in serio pericolo le relazioni con i consumatori.
      Il fenomeno dei «factory outlet» nasce negli Stati Uniti alla fine degli anni '70 e, visto il successo, negli anni '80 conosce già un notevole sviluppo.
      Gli «outlet» nascono come spacci aziendali multipli, con superfici di circa 5.000 metri quadri; si trasformano poi in «outlet factory store», di dimensioni fino a 35.000 metri quadri, e alla fine divengono «Outlet Leisure & Tourist Park», con superfici anche superiori.
 

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      Le prime tre strutture di questo tipo in Europa sono state realizzate in Gran Bretagna nel 1992.
      Il principio su cui si fonda il «factory outlet» prevede la possibilità per il consumatore di acquistare tutti i prodotti a prezzi molto scontati rispetto ai listini, posto che in questi centri dovrebbero essere commercializzati soltanto prodotti derivanti da scorte accumulate per eccessi di produzione, resi di merci, stock di fine stagione, prodotti «fallati», articoli di campionario e simili.
      Peraltro le associazioni di categoria del commercio del settore moda hanno denunciato più volte pratiche non rispettose delle vigenti disposizioni sui prezzi esposti presso una serie di «factory outlet», che si possono riassumere nei punti seguenti:

          1) in alcuni casi non sono esposti i prezzi, ma è unicamente presente un cartellino che indica che la vetrina è in allestimento;

          2) molti cartelli fanno genericamente riferimento a un prezzo consigliato, ad una riduzione del prezzo per lo più dal 30 al 70 per cento, e alle caratteristiche del prodotto in merito alla sua «anzianità» e al possibile precedente utilizzo per esposizioni e sfilate;

          3) frequente è l'esposizione di sconti sui cartellini dei prezzi, con un prezzo originario barrato, la percentuale di sconto e il conseguente prezzo finale;

          4) abbastanza utilizzato è il cartellino con la sola percentuale di sconto e il prezzo;

          5) sembra viceversa assente la normale esposizione del prezzo, senza alcun riferimento a riduzioni su prezzi consigliati, a prezzi originari barrati, a percentuali di sconto.

      Si rileva che l'allestimento delle vetrine, oltre a non essere contemplato dalla normativa vigente per un eventuale esonero dall'obbligo dell'esposizione dei prezzi, non può sicuramente protrarsi senza limiti di tempo. Non è inoltre adeguatamente disciplinata la pubblicizzazione delle riduzioni di prezzo su un «fantomatico» prezzo consigliato (si ricorda, al riguardo, che la normativa vigente sulla concorrenza condiziona fortemente la pratica dei prezzi consigliati, e comunque si tratta di scelte nel prezzo che non possono assolutamente essere propagandate come occasione per il consumatore, se non nel rispetto delle norme vigenti). Infatti, se fosse consentito pubblicizzare durante l'intero anno una riduzione percentuale su un determinato prezzo, ne verrebbero incentivate pratiche che porterebbero a indicare un prezzo iniziale elevato per poi, paradossalmente, offrire riduzioni anche sensibili su tale prezzo, e ciò in netto contrasto con la normativa vigente e senza garanzie per il consumatore che si tratti effettivamente di un'occasione favorevole di acquisto, senza dimenticare che, anche qualora si tratti, in effetti, di un'occasione favorevole di acquisto, le leggi regionali prevedono precisi adempimenti e limitazioni.
      Inoltre, il riferimento all'anzianità del prodotto potrebbe far ritenere che si tratta di vendita a saldo, cosa impossibile da farsi al di fuori dei periodi determinati dalle regioni. Le stesse leggi regionali, in genere, prevedono che solamente per le vendite di liquidazione, per le vendite di fine stagione e per le vendite promozionali si indichino il prezzo originario barrato, la percentuale di sconto e il prezzo finale, insieme all'obbligo della comunicazione ai comuni dei periodi e della durata. Gli stessi princìpi valgono per i negozi che espongono cartellini con una percentuale di sconto, così da accreditare l'effettuazione di una vendita straordinaria.
      Tali politiche commerciali rischiano di assestare un colpo grave alla stessa sopravvivenza del sistema distributivo tradizionale, se non si provvede agli opportuni interventi sulla filiera della distribuzione.
      È comprensibile, dunque, la preoccupazione palesata dagli operatori del commercio tradizionale per l'ampliarsi di un fenomeno che fa principalmente capo all'industria

 

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nazionale della moda, che, in un periodo di crisi, sta invadendo il mercato con un'offerta molto superiore alla domanda, generando talvolta un sistema di produzione destinato già fin dall'origine al sistema dei «factory outlet».
      Altro aspetto cui occorre prestare attenzione riguarda lo stesso consumatore.
Infatti, il rischio che anche questa categoria sociale possa, al di là delle apparenze, risultare danneggiata è molto concreto, in quanto il consumatore si reca nel «tempio» dello sconto con l'illusione di risparmiare e si trova invece ad acquistare merce fuori moda e molto spesso articoli d'importazione invenduti nel mercato europeo e che arrivano nel nostro sistema distributivo a prezzi che, anche se apparentemente scontati, restano ancora alquanto elevati.
      Un ruolo non trascurabile viene talora svolto dalle stesse grandi firme della moda, che impongono ai negozi situati nei centri storici e nelle principali vie commerciali cittadine di esibire i capi di abbigliamento griffati nelle vetrine, mentre contemporaneamente riforniscono i «factory outlet» a prezzi assai inferiori, esponendo l'anello fondamentale del commercio al dettaglio tradizionale alla fastidiosa accusa di praticare prezzi ingiustificatamente elevati.
      L'articolo 1 definisce l'obiettivo della presente proposta di legge, che è quello di evitare che la promozione dell'attività commerciale esercitata negli «outlet» ingeneri confusione nel consumatore e crei fenomeni di distorsione della concorrenza.
      L'articolo 2 detta le definizioni di «promozione», di «outlet» e di «factory outlet center», al fine di sgombrare il campo da possibili equivoci sulla natura dell'attività pubblicizzata.
      L'articolo 3 pone il divieto di utilizzazione del termine «outlet» da parte di esercizi commerciali che non presentano specifiche caratteristiche, così da impedire che chiunque possa beneficiare di una arbitraria pubblicità indotta.
      L'articolo 4 detta norme concernenti la pubblicità dei prezzi a tutela del consumatore, obbligando gli esercenti che operano all'interno degli «outlet», qualora intendano pubblicizzare sconti e ribassi rispetto a un prezzo iniziale, a rendere trasparenti gli elementi indispensabili per poter valutare la veridicità delle asserzioni. Inoltre, si specifica che anche gli «outlet» possono effettuare vendite promozionali e saldi, ma in questo caso rendendo esplicito il raffronto tra il prezzo delle merci nei periodi di vendita ordinari e quello «scontato».
      L'articolo 5, infine, precisa le sanzioni, diverse a seconda che si tratti di violazione del divieto di utilizzo abusivo del termine «outlet» o di infrazione agli obblighi di trasparenza dei prezzi.
      La presente proposta di legge, che non comporta oneri a carico del bilancio dello Stato, si pone l'obiettivo di introdurre i necessari princìpi per salvaguardare non solo gli operatori del commercio ma anche lo stesso consumatore, in modo da evitare che la denominazione «outlet» venga usata impropriamente e possa in tale modo generare confusione nel pubblico, nonché operare all'interno del mercato fenomeni di distorsione della concorrenza. Se ne raccomanda, pertanto, la sollecita approvazione.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Finalità).

      1. La presente legge stabilisce i princìpi da applicare alla promozione dell'attività commerciale esercitata negli «outlet», come definiti all'articolo 2, in relazione agli effetti distorsivi della concorrenza che la medesima attività può comportare, ferma restando la potestà legislativa delle regioni in materia di commercio.

Art. 2.
(Definizioni).

      1. Ai fini di cui alla presente legge, si intende:

          a) per «promozione», la pubblicizzazione delle condizioni di acquisto dei prodotti in commercio negli «outlet»;

          b) per «outlet»:

              1) un esercizio commerciale nel quale un imprenditore rivende professionalmente e continuativamente al consumatore finale merci appartenenti al settore moda, che sono state prodotte almeno dodici mesi prima della data della vendita stessa o che presentano difetti non occulti di produzione;

              2) un centro commerciale, denominato «factory outlet center», avente le caratteristiche di cui alla lettera g) del comma 1 dell'articolo 4 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, composto da esercizi commerciali, come definiti al numero 1) della presente lettera, la cui superficie di vendita complessiva è pari o superiore ai due terzi della superficie totale di vendita del centro commerciale stesso.

 

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Art. 3.
(Uso della denominazione di «outlet»).

      1. La denominazione di «outlet» può essere impiegata esclusivamente nelle insegne, nelle ditte, nei marchi e nella pubblicità riferiti agli esercizi e ai centri commerciali che presentano le caratteristiche individuate ai sensi dell'articolo 2.

Art. 4.
(Informazione e tutela del consumatore).

      1. Gli «outlet» sono tenuti a rispettare la disciplina sulle vendite straordinarie e sulle vendite sottocosto, di cui all'articolo 15 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, e alle leggi regionali in materia di commercio.
      2. I prodotti esposti per la vendita al dettaglio nelle vetrine esterne o all'ingresso dei locali e nelle immediate adiacenze dell'esercizio commerciale devono recare, in modo chiaro e ben leggibile, mediante l'uso di un cartello o con altre modalità idonee allo scopo, il prezzo di vendita al pubblico.
      3. Se l'esercente intende pubblicizzare, in periodi diversi da quelli di effettuazione delle vendite straordinarie, l'offerta delle merci a un prezzo inferiore a quello di listino o a quello consigliato dal produttore o dal fornitore, ovvero a quello di mercato, sul cartello e nei diversi supporti utilizzati deve essere fatto riferimento:

          a) al prezzo di listino o al prezzo consigliato o al prezzo di mercato;

          b) allo sconto o al ribasso espresso in percentuale rispetto ai prezzi indicati alla lettera a);

          c) al prezzo finale di vendita al pubblico.

      4. Durante il periodo di effettuazione delle vendite straordinarie, l'esercente ha l'obbligo di indicare, oltre al prezzo finale di vendita al pubblico, lo sconto o il

 

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ribasso rispetto ai prezzi normalmente praticati nell'esercizio commerciale.

Art. 5.
(Sanzioni).

      1. Ferma restando l'applicazione delle disposizioni vigenti in materia di pubblicità ingannevole, l'uso della denominazione di «outlet» in violazione dell'articolo 3 è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 euro a 30.000 euro. In caso di violazione grave o di recidiva, il sindaco dispone la sospensione dell'attività di vendita per un periodo non inferiore a cinque giorni e non superiore a trenta giorni.
      2. In caso di violazione delle disposizioni dell'articolo 4, comma 3, si applica, ferma restando l'applicazione delle disposizioni vigenti in materia di pubblicità ingannevole, la sanzione amministrativa pecuniaria da 1.000 euro a 6.000 euro.


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