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PDL 938

XV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 938



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

MASCIA, FRIAS, FRANCO RUSSO

Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, in materia di riconoscimento della cittadinanza italiana

Presentata il 30 maggio 2006


      

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Onorevoli Colleghi! - Il fenomeno immigratorio è questione epocale: non solo richiede l'impegno politico prioritario dei Governi e dei Parlamenti, ma investe valori di fondo che segnano il grado di civiltà di un Paese, di una società. Nel corso di questi anni le politiche concrete dell'Italia e dell'Europa si sono misurate spesso su un terreno che ha rimosso o cancellato la condizione di vita quotidiana degli immigrati. I morti senza nome sepolti nei nostri mari o nelle isole, come Lampedusa, fanno notizia per qualche giorno. Poi quelle persone, che cercano di sfuggire alla fame e alle guerre, diventano numeri. Numeri che non possono superare i flussi programmati, salvo entrare automaticamente nella categoria dei clandestini; fantasmi che turbano i sonni e alimentano le insicurezze dei cittadini italiani a cui sono proposti come responsabili di tutti i guai, o comunque come sicuri criminali. Nella migliore delle ipotesi diventano braccia da sfruttare per una stagione.
      Nelle dichiarazioni e nelle statistiche, che pure segnano la differenza tra civiltà e barbarie, non si va mai oltre un pur meritevole concetto di solidarietà umana, fermo restando un contesto dato, cioè un'operazione di razionalizzazione dentro questo mercato, dentro questo sviluppo. Così si tenta persino di ordinare la domanda
 

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e l'offerta di immigrazione, ridotta essa stessa allo statuto di merce. In tal modo non si vedono o non si vogliono vedere, le persone, il dolore, la sofferenza e la deprivazione. In tal modo non si riesce a partire dalla considerazione della persona, dell'immigrato, per ragionare sul modello di sviluppo, ma lo si riduce invece ad entità di compatibilità.
      La collocazione sempre precaria sul mercato del lavoro dello straniero extracomunitario o la sua condizione spesso di clandestino, condizioni non scelte ma subite per sopravvivere, ne sono la concreta testimonianza. Non è un caso che la cosiddetta «legge Bossi-Fini» (legge n. 189 del 2002), nel costruire persino un doppio binario giuridico nel trattamento di cittadini italiani e stranieri extracomunitari, trasformi il permesso di soggiorno in contratto di soggiorno. Fissa per legge, cioè, che la permanenza in Italia dello straniero extracomunitario è limitata al periodo in cui il suo lavoro sarà considerato utile alla nostra economia o alle nostre famiglie. Si nega così, in via di principio, la cittadinanza piena agli immigrati e per questo si consente loro di accedere al massimo alla categoria dell'elemosina per giustificare le ricorrenti sanatorie cui attingere manodopera per i nostri lavori poveri.
      Parliamo di un fenomeno sociale e per questo politico. Un modello sociale, il nostro, che genera lavoro povero e che, all'estremo di questo lavoro povero, non è in grado di garantire nemmeno la copertura. Un fenomeno che chiama in causa l'organizzazione del lavoro e la distribuzione del reddito da lavoro. Ma questa è la condizione prodotta da una globalizzazione capitalista che causa crisi, che genera mobilità assoluta delle merci e dei capitali, ma non consente quella degli uomini e delle donne.
      La clandestinità, dunque, si presenta come patologia propria di un sistema socio-economico, di un mondo attraversato da guerre «preventive ed infinite», e di un impianto legislativo che tenta di costruire fortezze invalicabili. Ma l'immigrazione è ormai fenomeno strutturale, che non verrà impedito con i cannoneggiamenti alle frontiere e con i rimpatri forzati, né verrà disincentivato con i regimi separati che negano diritti e generano precarietà. Si tratta perciò di invertire le politiche italiane ed europee fin qui praticate e di tradurle in modelli di società e di sviluppo davvero alternativi.
      In questo contesto, la questione del diritto di voto ai cittadini stranieri extracomunitari si impone con particolare rilevanza. Essa rappresenta simbolicamente e concretamente il riconoscimento dei diritti civili, giuridici e politici, requisiti indispensabili per una effettiva partecipazione in una realtà sociale. Non è un caso che la maggioranza dei cittadini italiani si dichiari favorevole al diritto di voto per chi lavora e paga le tasse. Perché questo è nell'ordine del buon senso comune. Ma riconoscere la legittimità del diritto di voto, significa, nella società globale, anche riconoscere altre soggettività in un quadro di diritti universali e universalmente riconosciuti. Significa invertire la tendenza ad imporre precarietà per garantire lavori e servizi. Significa affrontare per tutte e tutti, italiani e stranieri, la questione della rappresentanza politica e istituzionale, anche mettendo in discussione gli attuali sistemi.
      Il diritto di voto chiama in causa una nuova stagione di diritti fondamentali per tutte e tutti, in un mondo attraversato da migrazioni irrefrenabili e da soggetti migranti destinati a incrociare e a relazionarsi con altre storie, culture, abitudini. Il livello di accoglienza e di ricchezza umana e sociale che si potrà trarre da queste esperienze (o il suo contrario) è destinato a segnare la vita delle nostre città e dei nostri quartieri, nonché il grado di civile convivenza del continente Europa. Per queste ragioni, consideriamo necessario, oggi, affrontare insieme la questione dei diritti, ponendo il tema della cittadinanza.
      Il primo provvedimento organico sulla cittadinanza italiana è rappresentato dalla legge 13 giugno 1912, n. 555. Questa legge, pur con dei limiti, ha introdotto nell'ordinamento italiano un sistema omogeneo destinato a rimanere in vigore, sia pure con significative modifiche, per ottant'anni
 

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fino cioè, all'entrata in vigore della legge 5 febbraio 1992, n. 91. Tale legge, pur essendo stata approvata da più di un decennio, risente del clima socio-economico di quegli anni, ed ha recepito solo marginalmente il fenomeno rappresentato dall'immigrazione dall'estero di consistenti flussi di stranieri senza alcun precedente legame con l'Italia. Anche confrontandola con quelle degli altri Stati membri dell'Unione europea, la legge 5 febbraio 1992, n. 91, non appare in grado di recepire la domanda derivante dalle attuali dimensioni del fenomeno dell'immigrazione. Di qui la totale inadeguatezza della normativa vigente in tema di concessione della cittadinanza. Un esempio per tutti è rappresentato dallo ius sanguinis, il diritto di sangue, il principio in base al quale è cittadino italiano chi nasce da genitori italiani o chi ha uno degli ascendenti in linea diretta di secondo grado con cittadinanza italiana. Tale criterio fondante si contrappone allo ius soli, basato sul luogo di nascita, che nella normativa vigente è subordinato a condizioni fortemente restrittive.
      La diversità socio-culturale rappresenta per il nostro Paese una ricchezza da non disperdere e uno dei pilastri della costruzione democratica della Repubblica. Non a caso riteniamo che la parola chiave sia «interculturalità» concettualmente diversa dalla parola «integrazione», che mantiene un'ambiguità di fondo. Il fine ultimo è dunque creare un maggiore senso di identificazione, nel rispetto delle diversità linguistiche, religiose e etiche, e un maggiore coinvolgimento nelle istituzioni politiche, anche, e non solo, attraverso il diritto di voto.
      La cittadinanza è la condizione giuridica di chi appartiene a uno Stato ed è titolare dei diritti politici, che si esercitano secondo il suo ordinamento, e dei relativi obblighi. L'odierno dibattito politico concentra la sua attenzione sul problema del diritto di voto dei cittadini stranieri. Per le ragioni di ordine sociale, etico e politico che abbiamo fin qui illustrato, si rende necessario fare un salto in avanti ed affrontare il tema dei diritti degli stranieri in modo più complessivo. È fin troppo evidente che è il diritto di voto a dover discendere dallo status di cittadino e non viceversa. Il concetto di cittadinanza esprime dal punto di vista giuridico il complesso di diritti e doveri che legano i cittadini allo Stato.
      La presente proposta di legge si pone un obiettivo rilevante: riconoscere la cittadinanza quale diritto soggettivo, ovvero riconoscere tale condizione giuridica quale posizione direttamente garantita dal legislatore, in modo da assicurare al titolare il soddisfacimento di una propria utilità sostanziale.
      Tale obiettivo è raggiunto tenendo conto di due criteri fondanti: scardinare i rigidi princìpi che hanno ispirato la normativa vigente ampliando e semplificando i criteri di acquisizione della cittadinanza italiana, tra cui, fondamentale, l'abbassamento a tre anni dell'obbligo di risiedere in Italia; snellire la procedura di acquisizione affidando gli adempimenti burocratici - la cui disposizione è rinviata ad un apposito regolamento - alla prefettura- ufficio territoriale del Governo della provincia nel cui territorio risulta risiedere il richiedente. Ne consegue pertanto che la cittadinanza diventa a tutti gli effetti un diritto soggettivo, designando la posizione giuridica del cittadino nei confronti della pubblica amministrazione.
      Riteniamo che questi due aspetti insieme possano garantire il necessario adeguamento delle parti sostanziali della normativa vigente all'attuale situazione socio-economica caratterizzata da un fenomeno immigratorio rilevante.
      La presente proposta di legge è concepita come modifica della normativa vigente (legge 5 febbraio 1992, n. 91) di cui tuttavia si mantengono inalterate alcune parti (in particolare gli articoli 1, 2, 12, 14, 17, 19, 20, 21, 23). Altri articoli della medesima legge sono stati invece abrogati perché incompatibili con il nuovo impianto o perché ripresi con qualche modifica in altre parti del presente progetto di legge.
      L'articolo 1 prevede i casi che precludono il riconoscimento della cittadinanza, ovvero la condanna per uno dei delitti previsti nel libro secondo, titolo I, capi I, II e III del codice penale e la sussistenza
 

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di comprovati motivi inerenti alla sicurezza della Repubblica.
      L'articolo 2 stabilisce che l'organo competente per il riconoscimento della cittadinanza è il prefetto. Questo articolo estende tale procedura a tutti casi in cui è previsto il riconoscimento della cittadinanza (vedi articolo 4 della presente proposta di legge) consegnando al prefetto competente per territorio il compito di istruire la pratica di riconoscimento della cittadinanza, verificare la sussistenza dei requisiti e concluderla attraverso il rilascio dell'«attestato di riconoscimento della cittadinanza italiana».
      L'articolo 3 prevede il respingimento delle istanze da parte del prefetto qualora sussistano cause ostative.
      L'articolo 4 introduce i requisiti per il riconoscimento della cittadinanza. È qui che al principio dello ius sanguinis si affianca quello dello ius soli, estendendo ai figli degli stranieri nati sul territorio della Repubblica il riconoscimento della cittadinanza. L'obbligo di residenza per la presentazione dell'istanza è abbassato per tutti i casi a tre anni.
      L'articolo 5 stabilisce le condizioni in base alle quali è previsto un nuovo riconoscimento della cittadinanza se persa ai sensi dell'articolo 12 della legge 5 febbraio 1992, n. 91.
      L'articolo 6 stabilisce l'esercizio dei diritti civili per l'apolide e per lo straniero a cui è riconosciuto lo status di rifugiato.
      L'articolo 7 stabilisce norme per gli stranieri, maggiorenni e minorenni, adottati da cittadini italiani in caso di revoca dell'adozione.
      L'articolo 8 stabilisce il termine di un anno per la definizione del procedimento di riconoscimento della cittadinanza.
      L'articolo 9 stabilisce le modalità di conservazione o rinuncia della cittadinanza italiana.
      L'articolo 10 stabilisce l'abrogazione delle disposizioni incompatibili con la legge, fatte salve le disposizioni più favorevoli previste da leggi italiane o da accordi internazionali, e rimanda l'emanazione delle disposizioni necessarie per l'attuazione della legge ad un regolamento, abrogando quelle oggi in vigore.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

      1. L'articolo 6 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è sostituito dal seguente:

      «Art. 6. - 1. Precludono il riconoscimento della cittadinanza ai sensi delle lettere a), b), d), e), f), g) ed i) del comma 1 dell'articolo 9:

          a) la condanna per uno dei delitti previsti nel libro secondo, titolo I, capi I, II e III, del codice penale;

          b) la sussistenza, nel caso specifico, di comprovati motivi inerenti alla sicurezza della Repubblica.

      2. La riabilitazione fa cessare gli effetti preclusivi della condanna.
      3. Il riconoscimento della cittadinanza è sospeso fino a comunicazione della sentenza definitiva, qualora sia stata promossa azione penale per uno dei delitti di cui al comma 1, lettera a)».

Art. 2.

      1. L'articolo 7 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è sostituito dal seguente:

      «Art. 7. - 1. La cittadinanza è riconosciuta con atto del prefetto competente per territorio, denominato "attestato di riconoscimento della cittadinanza italiana", a richiesta dell'interessato, presentata al sindaco del comune di residenza o alla competente autorità consolare».

Art. 3.

      1. L'articolo 8 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è sostituito dal seguente:

      «Art. 8. - 1. Il prefetto competente per territorio respinge l'istanza di riconoscimento

 

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della cittadinanza di cui all'articolo 7 ove sussistano le cause ostative previste all'articolo 6. Ove si tratti di ragioni inerenti la sicurezza della Repubblica, è richiesto il parere conforme del Consiglio di Stato. L'istanza respinta può essere riproposta dopo due anni dall'emanazione del relativo provvedimento.
      2. L'emanazione dell'ordinanza di rigetto dell'istanza è preclusa quando dalla data di presentazione dell'istanza medesima, corredata dalla prescritta documentazione, sia decorso il termine di un anno.
      3. L'attestato di riconoscimento della cittadinanza italiana di cui all'articolo 7 non ha effetto se la persona a cui si riferisce non presta, entro sei mesi dalla notifica dell'attestato medesimo, giuramento di essere fedele alla Repubblica e di osservare la Costituzione e le leggi dello Stato».

Art. 4.

      1. Il comma 1 dell'articolo 9 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è sostituito dal seguente:

      «1. La cittadinanza italiana è riconosciuta dal prefetto della provincia di residenza:

          a) allo straniero o all'apolide del quale il padre o la madre o uno degli ascendenti in linea diretta di secondo grado sono stati cittadini per nascita, o che è nato nel territorio della Repubblica e, in entrambi casi, vi risiede legalmente da almeno tre anni;

          b) allo straniero maggiorenne adottato da cittadino italiano;

          c) allo straniero minorenne adottato da cittadino italiano;

          d) allo straniero che ha prestato servizio, anche all'estero, per almeno tre anni alle dipendenze dello Stato italiano;

          e) al cittadino di uno Stato membro dell'Unione europea se risiede legalmente da almeno tre anni nel territorio della Repubblica;

 

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          f) all'apolide che risiede legalmente da almeno tre anni nel territorio della Repubblica;

          g) allo straniero che risiede legalmente da almeno tre anni nel territorio della Repubblica;

          h) ai figli di stranieri nati sul territorio della Repubblica;

          i) al coniuge, straniero o apolide, di cittadino italiano che risiede legalmente nel territorio della Repubblica da almeno sei mesi ovvero dopo tre anni dalla data del matrimonio, se non vi è stato scioglimento, annullamento o cessazione degli effetti civili e se non sussiste separazione legale».

Art. 5.

      1. L'articolo 13 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è sostituito dal seguente:

      «Art. 13. - 1. A coloro che hanno perduto la cittadinanza, la stessa è nuovamente riconosciuta se:

          a) avendola perduta per non aver ottemperato all'intimazione di abbandonare l'impiego o la carica accettati da uno Stato, da un ente pubblico estero o da un ente internazionale, ovvero il servizio militare per uno Stato estero, dichiarano di volerla riacquistare, sempre che abbiano stabilito la residenza da un anno nel territorio della Repubblica e dimostrino di avere abbandonato l'impiego o la carica o il servizio militare, assunti o prestati nonostante l'intimazione di cui all'articolo 12;

          b) dichiarano di volerla riacquistare e hanno stabilito o stabiliscono, entro un anno dalla dichiarazione, la residenza nel territorio della Repubblica;

          c) assumendo o avendo assunto un pubblico impiego alle dipendenze dello Stato italiano, anche all'estero, dichiarano di volerla riacquistare;

          d) è decorso un anno dalla data in cui hanno stabilito la residenza nel territorio della Repubblica, salvo espressa rinuncia entro lo stesso termine.

 

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      2. Nei casi indicati al comma 1, lettere b), c) e d), il riacquisto della cittadinanza non ha effetto se viene inibito con atto del prefetto competente per territorio in presenza di gravi e comprovati motivi e previo conforme parere del Consiglio di Stato. Tale inibizione può intervenire entro il termine di un anno dal verificarsi delle condizioni stabilite».

Art. 6.

      1. L'articolo 16 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è sostituito dal seguente:

      «Art. 16. - 1. L'apolide che risiede legalmente nel territorio della Repubblica è soggetto alla legge italiana per quanto attiene all'esercizio dei diritti civili.
      2. Lo straniero riconosciuto rifugiato dallo Stato italiano secondo le condizioni stabilite dalla legge o dalle convenzioni internazionali è equiparato all'apolide ai fini dell'applicazione delle disposizioni della presente legge».

Art. 7.

      1. Gli stranieri di cui alle lettere b) e c) del comma 1 dell'articolo 9 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, come sostituito dall'articolo 4 della presente legge, qualora l'adozione sia revocata, conservano la cittadinanza italiana. Qualora la revoca intervenga durante la maggiore età dell'adottato, lo stesso, se in possesso di altra cittadinanza può comunque rinunciare alla cittadinanza italiana, anche se riacquistata, entro un anno dalla revoca stessa.
      2. I figli minorenni di coloro ai quali è riconosciuta la cittadinanza ai sensi dell'articolo 9 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, come modificato dall'articolo 4 della presente legge, acquistano la cittadinanza italiana e, divenuti maggiorenni, possono rinunciarvi, se in possesso di altra cittadinanza.
      3. Le disposizioni delle lettere b) e c) del comma 1 dell'articolo 9 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, come sostituito dall'articolo 4 della presente legge, si

 

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applicano anche agli adottati anteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge.

Art. 8.

      1. Il termine per la definizione dei procedimenti di riconoscimento della cittadinanza è di trecentosessantacinque giorni dalla data di presentazione della domanda.
      2. Il riconoscimento della cittadinanza o il suo eventuale riacquisto, hanno effetto, salvo quanto stabilito all'articolo 13, comma 2, della legge 5 febbraio 1992, n. 91, come sostituito dall'articolo 5 della presente legge, dal giorno successivo a quello del rilascio dell'attestato di riconoscimento della cittadinanza italiana di cui all'articolo 7, comma 1, della legge 5 feb- braio 1992, n. 91, come sostituito dall'articolo 2 della presente legge.

Art. 9.

      1. Il cittadino che possiede, acquista o riacquista la cittadinanza straniera conserva quella italiana, ovvero può ad essa rinunciare qualora risieda o stabilisca la propria residenza all'estero.
      2. Lo straniero che acquista la cittadinanza italiana può conservare la propria cittadinanza di origine, in conformità alla legge dello Stato di appartenenza, ovvero può comunicare all'ufficiale dello stato civile o alla competente autorità consolare italiana la rinuncia alla cittadinanza di origine.

Art. 10.

      1. Sono abrogati gli articoli 3, 4, 5, 10, 11 e 15 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, nonché il regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 12 ottobre 1993, n. 572, e successive modificazioni, e il regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 18 aprile 1994, n. 362.

 

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      2. Restano salve le norme più favorevoli previste da leggi o accordi internazionali in vigore per l'Italia.
      3. Con regolamento adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono emanate le disposizioni per l'attuazione della medesima legge.
    


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