PDL 1377
XV LEGISLATURA
CAMERA DEI DEPUTATI
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N. 1377
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PROPOSTA DI LEGGE
d'iniziativa dei deputati
BERTOLINI, PAOLETTI TANGHERONI, LICASTRO SCARDINO
Introduzione dell'articolo 2-bis della legge 14 agosto 1991, n. 281, in materia di divieto di utilizzo delle pelli e delle pellicce ottenute dai cani e dai gatti
Presentata il 13 luglio 2006
Onorevoli Colleghi! - La legge 14 agosto 1991, n. 281, è stata salutata come una delle più avanzate in materia di tutela del «benessere animale». I limiti della normativa sono noti, anche se è innegabile che il provvedimento abbia svolto in modo completo la sua funzione di stimolo: se nella maggior parte dei casi, infatti, le regioni hanno dovuto porre mano
ex novo alla redazione delle rispettive normative in materia, è altresì vero che, in qualche contesto, l'emanazione della legge-quadro ha fatto scattare l'esigenza di adeguare, migliorandola, la normativa regionale previgente relativa alla tutela degli animali da affezione.
La citata legge n. 281 del 1991 ha sancito in modo netto il principio in base al quale gli animali d'affezione, quali esseri viventi, hanno diritto alla dignità e al rispetto delle loro esigenze fisiologiche ed etologiche. Purtroppo l'uomo ha sviluppato, oggi più che mai, un atteggiamento schizofrenico nei confronti del mondo animale: da un lato, si è presa coscienza dei diritti di cui sono depositari gli altri esseri viventi; dall'altro, le violenze perpetrate ai loro danni non diminuiscono, anzi tendono ad aumentare. Ciò che più colpisce e ferisce è che, mentre nel passato le violenze erano «giustificate» dalla necessità di sopravvivenza (difesa, alimentazione eccetera), oggi queste sono determinate da incuria e ignoranza (circhi, corride e combattimenti di vario genere) e dalla pratica indiscriminata dello sfruttamento a scopo di lucro.
Nei riguardi dei cosiddetti «animali da affezione» - cani e gatti in particolare - le violenze e i maltrattamenti assumono
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connotati ancora più odiosi dal momento che provengono proprio da chi ne ha la tutela e che deve, come è stato anche ribadito da una sentenza della Corte di cassazione del 1998, dare loro un'assistenza continua e adeguata.
Proprio nei confronti di questi animali, dai quali l'uomo prende affetto ed emozioni positive, l'
escalation di violenze e di soprusi non conosce limite: l'utilizzo delle pelli e delle pellicce di cani e gatti per la realizzazione di capi di abbigliamento e di articoli di pelletteria è «l'ultima frontiera» di una società nella quale, da una parte, la gestione del rapporto uomo-animale da affezione ha assunto dignità accademica - in Italia sono attive presso le facoltà di medicina veterinaria molte scuole di specializzazione in etologia applicata e benessere degli animali di interesse zootecnico e degli animali da affezione -, ma dall'altra calpesta i diritti più elementari degli esseri viventi.
La presente proposta di legge mira a porre un freno a questa pratica odiosa e a comminare adeguate sanzioni nei confronti di chi si renda responsabile di questa assurda violenza.
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PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1.
1. Dopo l'articolo 2 della legge 14 agosto 1991, n. 281, è inserito il seguente:
«Art. 2-bis. - (Divieto di utilizzo delle pelli e delle pellicce ottenute da cani e gatti). - 1. È vietato utilizzare pelli o pellicce ottenute da cani (canis familiaris) o gatti (felis carus) per produrre o confezionare capi di abbigliamento, articoli di pelletteria o qualsiasi altro prodotto. È vietato, altresì, detenere o commercializzare pelli, pellicce, capi di abbigliamento o articoli di pelletteria costituiti od ottenuti, in tutto o in parte, dalle pelli e dalle pellicce di cane o di gatto, nonché introdurre nel territorio nazionale pelli o pellicce di tali specie animali per qualsiasi finalità o utilizzo.
2. La violazione dei divieti di cui al comma 1 è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 1.600 a euro 9.300 e il materiale sequestrato è immagazzinato e distrutto a spese del soggetto responsabile della violazione. È inoltre disposta la sospensione dell'attività da un minimo di dieci a un massimo di trenta giorni lavorativi qualora la violazione dei divieti sia effettuata nell'esercizio di attività commerciali. Le entrate derivanti dalle sanzioni amministrative di cui al presente comma confluiscono nel fondo di cui all'articolo 8».
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