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PDL 32

XV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 32



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

BOATO, RUGGERI, BUEMI, BALDUCCI

Modifiche alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di «affettività in carcere»

Presentata il 28 aprile 2006


      

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Onorevoli Colleghi! - «Vogliamo tenere assieme cose che possono apparire impossibili, ma non devono esserlo, cioè un carcere vivibile in cui la pena non abbia nulla di afflittivo oltre la perdita della libertà». Sono parole dell'allora direttore generale del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, Alessandro Margara, pronunciate l'11 marzo del 1999 durante l'audizione alla II Commissione (Giustizia) della Camera dei deputati in ordine al nuovo regolamento di attuazione dell'ordinamento penitenziario. Il diritto all'affettività in carcere, disse Margara in quella sede, è, e forse era ritenuto, un tema impossibile. Non lo è più, almeno nel confronto sociale e culturale. Non dovrebbe esserlo - è la ragione di questa proposta di legge - nell'ordinamento penitenziario e nel suo regolamento di esecuzione (rispettivamente, la legge 26 luglio 1975, n. 354, e il regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230).
      La presente proposta di legge (già presenntata dal proponente nella XIV legislatura) costituisce l'esito positivo di un molteplice lavoro: di analisi, di studio e di confronto fra le associazioni impegnate in ordine alle problematiche del carcere; di un lavoro politico e parlamentare svolto nella XIII e nella XIV legislatura; e, infine, del gruppo tecnico coordinato appunto dal dottor Alessandro Margara, fra i padri della «legge Gozzini», il quale come direttore del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria e come magistrato di sorveglianza, ha attribuito e, per così dire, restituito al mondo penitenziario piena legittimità fra i temi di uno Stato di diritto.
 

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      Alla definizione e alla valutazione di questa proposta di legge - da ultimo nella giornata di studi «Carcere: salviamo gli affetti» che si era tenuta presso la casa di reclusione di Padova il 10 maggio 2002, a cura della rivista «Ristretti Orizzonti» - hanno preso parte operatori penitenziari, avvocati, magistrati di sorveglianza, detenuti, operatori sociali, esperti in materia come Sergio Segio e Sergio Cusani e parlamentari di diverse forze politiche. Un appello della citata rivista e della Conferenza nazionale volontariato giustizia sui temi del sistema penitenziario, per un impegno di ordine legislativo e politico, era stato sottoscritto da oltre cinquanta parlamentari appartenenti ad ogni schieramento politico. Così come altri appelli ed altre iniziative sono stati promossi, in questi anni, da associazioni come Antigone o come il Gruppo Abele, da riviste come «Fuoriluogo», da organizzazioni internazionali nelle sedi istituzionali dell'Unione europea, nelle realtà più aperte a esperienze e a progetti di mutamento o in altre realtà dove, al contrario, più difficili, arretrate e complesse erano e sono le condizioni in cui operano e vivono tutti i soggetti che appartengono al sistema penitenziario.
      Nella XIII legislatura, il tema dell'affettività in carcere - con la proposta del nuovo regolamento di esecuzione dell'ordinamento penitenziario, elaborata sotto la responsabilità dell'allora Sottosegretario di Stato alla giustizia, Franco Corleone, e del direttore del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, Alessandro Margara - da argomento teorico divenne materia di governo. Il progetto di riforma del regolamento - con i nuovi articoli e la sua innovativa impostazione di pensiero e di prospettiva, elaborati in riferimento anche alle misure relative al trattamento penitenziario previste all'articolo 28 della legge 26 luglio 1975, n. 354 - venne riformulato, dopo il parere del Consiglio di Stato n. 61 del 2000, con lo stralcio delle misure più innovative in materia di affettività dal testo definitivo approvato dal Consiglio dei ministri nel giugno del 2000 ed attualmente in vigore.
      Le obiezioni del Consiglio di Stato erano motivate sotto due profili. Da una parte, il «forte divario fra il modello trattamentale teorico» prefigurato nel nuovo regolamento penitenziario e l'inadeguatezza del «carcere reale». Dall'altra parte, con un rilievo di ordine non solo procedurale, rinviando l'introduzione di norme a favore del diritto all'affettività a scelte legislative e non al regolamento di esecuzione della legge penitenziaria: «nel silenzio della legge», si disse, il diritto all'affettività non è scelta che possa essere legittimamente effettuata in sede «regolamentare attuativa o esecutiva».
      Nella sua versione originaria, lo schema del regolamento - come ebbe modo di affermare il dottor Margara appunto nell'audizione, cui si è già fatto riferimento, alla Commissione Giustizia della Camera dei deputati dell'11 marzo 1999 - all'articolo 58, considerava il tema dell'affettività «nell'ambito dei rapporti con la famiglia, uno degli elementi del trattamento previsto dall'articolo 28 della legge penitenziaria. Nel quadro di tali rapporti - spiegava Margara - è prevista la possibilità che essi siano mantenuti in forma diversa dal colloquio: una di esse è la visita, vale a dire un colloquio in ambiente senza separazioni, con possibilità di spostamento, come oggi avviene in molte aree verdi presenti in numerosi istituti italiani. Un altro aspetto è rappresentato da una sorta di permesso interno, rilasciato dal direttore, che consente di fruire di incontri con i propri familiari in ambienti separati dai colloqui». L'espressione concepita nel progetto di nuovo regolamento, sottolineava Margara, cioè quella di «unità abitative», era ed è presente nelle normative di altri Paesi e, aggiungeva Margara, «nelle stesse indicazioni contenute nelle regole internazionali».
      Quel parere del Consiglio di Stato non incise, e non avrebbe potuto farlo, sul riconoscimento del diritto all'affettività come parte di una politica per i diritti nel carcere e per il sistema penitenziario, che nella XIII legislatura ebbe una sostanziale, seppure non esaustiva, svolta riformatrice con l'approvazione delle leggi sulle detenute
 

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madri e sul lavoro dei detenuti e nella XIV legislatura con la proposta di legge sul difensore civico per le persone private della libertà personale, confluita in un testo unificato la cui discussione generale ebbe inizio in Aula alla Camera dei deputati nell'ultima parte della stessa legislatura, il 27 ottobre 2005. Il punto di svolta di quel progetto di nuovo regolamento e, sostanzialmente, del nuovo regolamento, era che il carcere non è una dimensione estranea, esterna, alla società, alle sue istituzioni. Ne è parte, seppure, e a lungo, il sistema penitenziario sia stato ritenuto una sorta di «discarica sociale», per usare un'espressione radicale ma efficace, chiamato a non riconoscere diritti e prospettive ma a recludere, appunto, e spesso, molti dei problemi che il sistema sociale o la politica non ritenevano propri.
      «Il no del Consiglio di Stato - osserva, a questo proposito Franco Corleone, nel suo libro dedicato agli anni di governo, intitolato La Giustizia come metafora - non al merito della proposta, ma alla possibilità di utilizzare lo strumento regolamentare, ha impedito l'avvio sperimentale, che sarebbe stato di grande utilità, di esperienze analoghe a quelle strutturalmente concepite nei Paesi europei in cui il carcere non è interpretato come luogo deputato all'annullamento dei diritti e delle emozioni, della sessualità e dell'affettività. Il diritto all'affettività è stato banalmente unificato, per una delle stupide semplificazioni d'uso corrente, con il diritto alla sessualità: è una scelta che il nuovo regolamento riconosceva come tale, ma non è necessariamente un obbligo alla sessualità».
      Il diritto all'affettività, come già affermato, da anni è diventato tema effettivo in altri Paesi europei, in primo luogo in Olanda, e patrimonio comunitario con la risoluzione sulle condizioni carcerarie approvata dal Parlamento europeo il 17 dicembre 1998. Una risoluzione in cui si affermava esplicitamente - in primo luogo nel caso di coniugi entrambi detenuti, con la previsione di sezioni miste, ma in generale per tutti i detenuti, ritenendo essenziali i rapporti affettivi - che «venga preso in considerazione l'ambiente familiare dei condannati, favorendo soprattutto la detenzione in un luogo vicino al domicilio della famiglia e promuovendo l'organizzazione di visite familiari e intime in appositi locali».
      Il tentativo di reinserire il diritto all'affettività, dopo il parere del Consiglio di Stato negativo sotto i profili ricordati, nella discussione, alla fine della XIII legislatura, delle modifiche alla legge Simeone-Saraceni, non ebbe esito positivo, al pari, nella medesima legislatura, di altre due proposte di legge, l'una dell'onorevole Pisapia, l'altra dell'onorevole Folena, di modifica delle norme regolamentari in materia di colloqui e di permessi.
      La presente proposta di legge, come nelle precedenti legislature è stato ricordato, intende riproporre temi propri della cultura giuridica, dei diritto penale che dal nuovo regolamento penitenziario ad oggi hanno fatto conseguire alcuni difficili, forse parziali, ma importanti progressi.
      Progressi ispirati ai principi tutelati e riconosciuti dal nuovo regolamento, posti in essere grazie a chi nel mondo penitenziario opera - nessuno escluso - e vive: funzionari, polizia penitenziaria, i medici che lavorano nelle carceri, i detenuti, le associazioni di volontariato e di assistenza, le istituzioni locali e le università. Molto di più è avvenuto nella società di quanto non sia stato possibile innovare nella legislazione, fino al muro che nella passata legislatura è stato innalzato con i provvedimenti che hanno evidenziato una concezione afflittiva della pena esclusivamente per i più deboli e i più emarginati, per chi ha già conosciuto il carcere. La questione della non adeguata tutela giurisdizionale dei diritti dei detenuti, richiamata, come è noto, dalla sentenza della Corte costituzionale n. 26 dell'11 febbraio 1999, dunque non è esclusivamente attuale, ma appare ancor più grave, per i fenomeni che induce e per le dimensioni che la configurano non già come un problema del sistema penitenziario, al pari delle difficili condizioni di lavoro di chi vi opera, ma quale una patologia del nostro sistema sociale e dello Stato di diritto.
 

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      La proposta di legge di riforma dell'ordinamento penitenziario, frutto del pensiero giuridico del dottor Alessandro Margara, sempre ad iniziativa del presentatore di questa proposta di legge depositata il 3 novembre 2005 e riproposta fra i temi essenziali della legislatura che ha oggi inizio, recupera non soltanto alcune delle norme che erano previste nel progetto originario di riforma del regolamento di esecuzione penitenziario, ma costituisce la metà essenziale di un percorso legislativo riformatore che è in questa fase compito fondamentale riprendere e riproporre alla valutazione dell'intero Parlamento.
      All'articolo 1 si modifica l'articolo 28 della legge 26 luglio 1975, n. 354, che, attualmente, riguarda i rapporti con la famiglia («Particolare cura è dedicata a mantenere, migliorare o stabilire le relazioni dei detenuti e degli internati con le famiglie»). Al proposito, si ritiene debba essere considerata anche l'affettività in senso più ampio. Pertanto, alla rubrica dell'articolo («Rapporti con la famiglia»), si è proposto di aggiungere «e diritto all'affettività». Si propone, inoltre, di introdurre un nuovo comma, che recita: «Particolare cura è altresì dedicata a coltivare i rapporti affettivi. A tal fine i detenuti e gli internati hanno diritto a una visita al mese della durata minima di sei ore e massima di ventiquattro ore con le persone autorizzate ai colloqui. Le visite si svolgono in locali adibiti o realizzati a tale scopo, senza controlli visivi e auditivi». In questo modo si lascia un ampio spazio alla definizione della natura di quelli che possono essere i «rapporti affettivi»: con un familiare, un convivente, o anche di amicizia. Questa visita potrebbe avvenire con qualsiasi persona che già effettua i colloqui ordinari; l'assenza dei controlli visivi e auditivi serve a garantire la riservatezza dell'incontro.
      All'articolo 2 e all'articolo 3 vengono introdotte altre due norme, anch'esse volte a garantire il diritto all'affettività, che incidono sulla parte che riguarda la concessione dei permessi.
      All'articolo 2 si interviene sull'articolo 30 della legge 26 luglio 1975, n. 354, che prevede i cosiddetti «permessi di necessità», attualmente concessi solo in caso di morte o di malattie gravissime dei familiari. Si propone di sostituire il secondo comma («Analoghi permessi possono essere concessi eccezionalmente per eventi di particolare gravità») con il seguente: «Analoghi permessi possono essere concessi per eventi familiari di particolare rilevanza», quindi eliminando sia il presupposto della «eccezionalità» sia quello della «gravità», sempre interpretato come attinente ad eventi luttuosi o comunque inerenti lo stato di salute dei familiari del detenuto. Con la modifica introdotta si intende fare riconoscere che anche gli eventi non traumatici hanno una «particolare rilevanza» nella vita di una famiglia, quindi rappresentano un fondato motivo perché la persona detenuta vi sia partecipe.
      All'articolo 3 si modifica l'articolo 30-ter della legge 26 luglio 1975, n. 354, che riguarda i permessi premio; è previsto un ulteriore periodo di permesso, oltre ai quarantacinque giorni (al massimo) oggi concessi per «coltivare interessi affettivi, culturali o di lavoro».
      Alla fine dell'articolo si propone di introdurre un nuovo comma recante: «Ai condannati che hanno tenuto regolare condotta ai sensi del comma 8, il magistrato di sorveglianza può concedere, oltre ai permessi di cui al comma 1, un ulteriore permesso della durata di dieci giorni per ogni semestre di carcerazione per coltivare specificatamente interessi affettivi». Anche in questo caso gli «interessi affettivi» sono da considerare in senso ampio, quindi il permesso non deve necessariamente essere trascorso con i familiari, con un coniuge o un convivente, ma può essere trascorso con qualsiasi persona con la quale vi sia un legame affettivo.
      All'articolo 4, per quanto riguarda i detenuti che non possono avere colloqui regolari - ad esempio perché i loro familiari o amici abitano lontano dal luogo di detenzione - si prevede la possibilità di sostituire i colloqui non effettuati con telefonate di quindici minuti. Di conseguenza, si propone che il quinto comma
 

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dell'articolo 18 della legge n. 354 del 1975 («Può essere autorizzata nei rapporti con i familiari e, in casi particolari, con terzi, corrispondenza telefonica con le modalità e le cautele previste dal regolamento») sia sostituito dal seguente: «Per ciascun colloquio ordinario non effettuato è concesso ai detenuti e agli internati un colloquio telefonico aggiuntivo, con le persone autorizzate, della durata di quindici minuti. La telefonata può essere effettuata con costo a carico del destinatario». Le telefonate non dovrebbero, quindi, essere limitate ai soli familiari, ma riguardare tutte le persone con le quali vi sia un rapporto affettivo anche fuori della previsione dei «casi particolari».
      Onorevoli colleghi, con la presente proposta di legge si intende ottenere che sia garantito il diritto ad un'affettività intesa in senso ampio: dalla sessualità, all'amicizia, al rapporto familiare. Un diritto all'affettività che sia, in primo luogo, diritto ad avere incontri, in condizioni di intimità, con le persone con le quali si intrattiene un rapporto di affetto.
      La detenzione carceraria consiste nella privazione della libertà, ma non deve comportare anche la privazione della dignità delle persone. L'affermazione di questo elementare, ma fondamentale principio, deve ispirare lo Stato di diritto in rapporto alle persone detenute.
      È, dunque, non retorico rinnovare l'appello che proponemmo e che fu dei soggetti professionali e delle associazioni che operano nel sistema penitenziario, per un tempestivo esame di questa proposta di legge il cui obiettivo è di civiltà giuridica: garantire la dignità nella prioritaria sfera affettiva delle persone che si trovano detenute in carcere.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

      1. All'articolo 28 della legge 26 luglio 1975, n. 354, è aggiunto, in fine, il seguente comma:

      «Particolare cura è altresì dedicata a coltivare i rapporti affettivi. A tale fine i detenuti e gli internati hanno diritto ad una visita al mese della durata minima di sei ore e massima di ventiquattro ore con le persone autorizzate ai colloqui. Le visite si svolgono in locali adibiti o realizzati a tale scopo, senza controlli visivi e auditivi».

      2. Alla rubrica dell'articolo 28 della legge 26 luglio 1975, n. 354, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «e diritto all'affettività».

Art. 2.

      1. Il secondo comma dell'articolo 30 della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, è sostituito dal seguente:

      «Analoghi permessi possono essere concessi per eventi familiari di particolare rilevanza».

Art. 3.

      1. All'articolo 30-ter della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, è aggiunto, in fine, il seguente comma:

      «8-bis. Ai condannati che hanno tenuto regolare condotta ai sensi del comma 8, il magistrato di sorveglianza può concedere, oltre ai permessi di cui al comma 1, un

 

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ulteriore permesso della durata di dieci giorni per ogni semestre di carcerazione per coltivare specificatamente interessi affettivi».

Art. 4.

      1. Il quinto comma dell'articolo 18 della legge 26 luglio 1975, n. 354, è sostituito dal seguente:

      «Per ciascun colloquio ordinario non effettuato è concesso ai detenuti e agli internati un colloquio telefonico aggiuntivo, con le persone autorizzate, della durata di quindici minuti. La telefonata può essere effettuata con costo a carico del destinatario».


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