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PDL 1363

XV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 1363



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa del deputato ANGELA NAPOLI

Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno degli abusi e della corruzione nell'espletamento dei concorsi e degli esami pubblici

Presentata il 13 luglio 2006


      

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Onorevoli Colleghi! - Negli ultimi anni molti fatti di cronaca, anche giudiziaria, hanno posto all'attenzione della opinione pubblica il problema della regolarità e della correttezza dei pubblici concorsi.
      Mentre in altri settori della vita amministrativa dello Stato vi sono state numerose iniziative che hanno fatto luce, sia pure parzialmente, sulle aree di malaffare connesse all'esplicazione di potestà pubblicistiche, il reclutamento del personale tramite concorso non ha fruito di una azione di moralizzazione nemmeno paragonabile.
      La voce pubblica continua a individuare negli esiti delle procedure concorsuali il frutto delle pressioni e delle intromissioni di centrali di potere palesi od occulte, più che il risultato di selezioni mirate a individuare le capacità e il merito dei candidati.
      La normativa via via emanata per garantire trasparenza ed efficienza nello svolgimento dei concorsi pubblici non pare avere sortito l'effetto moralizzatore auspicato, tanto più che le regole dettate sono in moltissimi casi derogate da questa o quella lex specialis che ne vanifica lo spirito. L'alone di sospetto che circonda tali procedure concorsuali del resto è determinato da elementi oggettivi che non possono essere sottaciuti.
      La casistica delle problematiche relative all'espletamento dei pubblici concorsi è quanto mai varia.
      Innanzitutto la selezione del personale amministrativo avviene nella maggior parte dei casi attraverso lo svolgimento di prove scritte costituite da elaborati o temi la cui correzione e valutazione è effettuata utilizzando parametri del tutto discrezionali, che sfuggono a qualsiasi possibilità di
 

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controllo, con una violazione evidente dei princìpi di parità di trattamento e di trasparenza nell'attività amministrativa.
      Inoltre non sempre la preparazione dei commissari è congruente e di livello adeguato rispetto ai campi di materia investiti dalle prove.
      I tempi nei quali vengono indetti i pubblici concorsi, quelli di svolgimento delle prove, della loro correzione, della pubblicazione delle graduatorie e infine della nomina dei vincitori sono spesso assurdi. Si va infatti dall'estremo di concorsi le cui prove consistono in elaborati estremamente complessi, la cui correzione incredibilmente avviene (senza qui usare iperboli) in pochi minuti, a concorsi che si protraggono per anni e anni fino a quasi perdersi nel nulla, i cui esiti addirittura vengono superati da quelli di concorsi successivi banditi per ricoprire gli stessi posti.
      Non è raro, in particolare per concorsi relativi a carriere comportanti grandi responsabilità, che risultino vincitori i candidati eccellenti già da prima indicati dall'opinione pubblica come sicuri destinatari del posto.
      I metodi per garantire l'anonimato degli elaborati, usualmente adottati, inoltre, appaiono del tutto inadeguati, in quanto è sufficiente a coloro che sono impegnati nella correzione riconoscere l'incipit o la grafia dei candidati che intendono favorire.
      Quando poi il concorso si fonda anche su di una valutazione di titoli, la stessa formulazione del bando può diventare il mezzo con il quale selezionare surrettiziamente, predisponendo un punteggio adeguato, i concorrenti che si intende aiutare.
      L'introduzione dei cosiddetti «test bilanciati», pur di per sé lodevole tentativo di utilizzare metodi obiettivi di valutazione della cultura dei candidati, sta favorendo - per le modalità con cui essi vengono predisposti - un'ulteriore patologia nei concorsi pubblici. Tale tipo di prova, infatti, basandosi su una apparente scientificità e sistematicità delle domande relative al tipo di lavoro oggetto del concorso, più che valutare la reale preparazione e capacità, sembra fondarsi sul tentativo di far cadere in errore il concorrente, magari su nozioni generali che potrebbero non costituire mai il campo del proprio impegno professionale, mentre viene ignorato quest'ultimo.
      Così, tra commissioni impreparate, metodi che non garantiscono l'imparzialità dell'esame o che non garantiscono la selezione migliore per la pubblica amministrazione, si è creata una vera e propria industria del concorso, che trae i suoi profitti dalla abbondante messe costituita dai giovani e non più giovani senza lavoro. Tale attività, perfettamente lecita da un punto di vista generale, si interseca con i dubbi, i sospetti, le illegittimità scoperte e intuite, le approssimazioni metodologiche e contenutistiche che tutti conoscono e che si è cercato di ricordare, costituendo così una sorta di fabbrica delle illusioni per le centinaia di migliaia di cittadini coinvolti. Lo Stato e gli enti pubblici, con il comportamento non corretto, ingiusto, non imparziale dei responsabili di tale delicato settore, alimentano un commercio infinito di libri, testi, dispense, lezioni, che non garantiscono mai, o quasi mai, sul grado di preparazione richiesta. L'alea è infatti vastissima: avviene che mentre in un concorso svolto in un ente locale per alcuni posti di livello superiore viene data la possibilità di consultazione dei testi normativi, nello stesso ente, in un concorso per impiegati svolto una settimana dopo, tale possibilità viene negata.
      Gli effetti che questo stato di cose produce sono estremamente negativi.
      Innanzitutto, come è evidente, viene frustrata la stessa esigenza di efficienza e imparzialità dell'azione amministrativa, in quanto viene travolta la stessa ratio che sta a monte della scelta costituzionale di utilizzare il metodo concorsuale per la scelta degli impiegati pubblici.
      Ma l'inadeguatezza del personale prescelto è soltanto il minore dei mali.
      Attraverso la possibilità, reale o ritenuta tale dal contesto sociale, di influenzare gli esiti concorsuali, numerosi personaggi
 

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della «prima Repubblica» hanno costruito le loro fortune elettorali.
      La legislazione mirante a colpire la pratica del voto di scambio, che sovente trae alimento proprio dalle situazioni suesposte, risulta del tutto insufficiente per arginare questo fenomeno, che nel passato ha contribuito ad avvilire la vita democratica del vostro Paese, attraverso vasti fenomeni di clientelismo e di controllo dello stesso corpo elettorale.
      Ma il problema è ancora più grave e insidioso.
      Infatti, la stessa macchina amministrativa viene sostanzialmente a perdere le caratteristiche di imparzialità che dovrebbero connotarla. Attraverso il controllo delle procedure concorsuali, infatti, centrali di potere possono puntare ad asservire intere branche della pubblica amministrazione.
      Il fenomeno di «Tangentopoli» non si comprende appieno se non si valuta quanto abbiano inciso i fenomeni descritti nella generazione delle pratiche di corruzione.
      Non a caso gli ultimi anni dei governi del «pentapartito» sono stati contraddistinti dal tentativo di scollegare gli organi politici dal controllo della macchina amministrativa, nel nome di pretese esigenze di moralizzazione, quantomeno sospette alla luce delle vicende emerse negli anni più recenti a carico dei movimenti politici che se ne sono fatti interpreti.
      Sul piano logico questa impostazione risulterebbe ineccepibile se effettivamente i metodi di selezione, soprattutto con riguardo ai ruoli di maggiore importanza, risultassero affidati trasparentemente. In caso contrario il problema tende ad aggravarsi, come dimostra l'esperienza di questi anni, in quanto la burocrazia viene a strutturarsi come depositaria di un potere sostanzialmente insindacabile, che può operare al di fuori di qualsiasi efficace forma di controllo sociale.
      In conclusione, da un lato rischia di perpetuarsi così un vero e proprio potere occulto che controlla l'assegnazione degli incarichi dirigenziali in settori delicatissimi, che costituiscono il cuore della vita democratica della Nazione, e dall'altro lato si creano a tutti i livelli meccanismi clientelari, favoritismi e ingiustizie, che rendono in particolare le giovani generazioni sfiduciate rispetto all'azione dello Stato e alla possibilità di conseguire un dignitoso posto di lavoro attraverso l'impegno personale e il merito.
      Per questo si propone l'istituzione di un'apposita Commissione parlamentare di inchiesta, affinché il Parlamento non si tiri indietro dall'arduo compito di portare finalmente trasparenza ed efficienza nell'azione amministrativa di selezione dei pubblici impiegati, delicato settore in cui non si è ancora avvertita l'opera moralizzatrice da parte della magistratura.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Istituzione e composizione).

      1. È istituita, ai sensi dell'articolo 82 della Costituzione, per la durata della XV legislatura, una Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno degli abusi e della corruzione nell'espletamento dei concorsi e degli esami pubblici, di seguito denominata «Commissione».
      2. La Commissione è composta da venti senatori e da venti deputati nominati, rispettivamente, dal Presidente del Senato della Repubblica e dal Presidente della Camera dei deputati in proporzione al numero dei componenti i gruppi parlamentari.
      3. La Commissione elegge al suo interno l'Ufficio di presidenza, costituito dal presidente, da due vicepresidenti e da due segretari.

Art. 2.
(Finalità).

      1. La Commissione ha il compito di accertare e valutare la correttezza formale e sostanziale dell'operato dei poteri pubblici, nonché l'eventuale esistenza di favoritismi, abusi e corruzione, nell'espletamento delle procedure di reclutamento dei pubblici impiegati e degli esami abilitanti a carriere, ordini o professioni.
      2. In particolare, la Commissione ha il compito di accertare:

          a) la congruità dei criteri adottati nella definizione dei requisiti di ammissione e di preferenza in pubblici concorsi ed esami, nell'adozione dei programmi e nella scelta dei quesiti, delle tracce e di ogni altro elemento concernente il contenuto delle prove d'esame, la regolarità della composizione, della costituzione e delle eventuali variazioni delle commissioni

 

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giudicatrici, la previa adozione da parte delle commissioni giudicatrici di idonei criteri di correzione e valutazione delle prove e l'uniformità nella loro applicazione e la regolarità degli esiti delle prove d'esame, della valutazione dei titoli dei provvedimenti di nomina;

          b) la congruità della normativa vigente in materia di reclutamento dei pubblici impiegati, prospettando le proposte di carattere legislativo e amministrativo ritenute opportune per rendere più efficace e trasparente l'azione dei pubblici poteri al riguardo.

      3. La Commissione riferisce al Parlamento al termine dei suoi lavori nonché ogni volta che lo ritenga opportuno e comunque annualmente.

Art. 3.
(Poteri).

      1. La Commissione procede alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell'autorità giudiziaria.
      2. Per le testimonianze rese davanti alla Commissione si applicano le disposizioni degli articoli da 366 e 384-bis del codice penale.
      3. La Commissione può chiedere, per l'espletamento dei propri lavori, la collaborazione della polizia giudiziaria.
      4. La Commissione può acquisire atti relativi ad indagini svolte da autorità giudiziarie o amministrative. Per gli accertamenti di propria competenza vertenti su fatti oggetto di procedimenti in corso di fronte all'autorità giudiziaria ordinaria o amministrativa, la Commissione può inoltre chiedere atti, documenti e informazioni all'autorità giudiziaria, anche in deroga all'articolo 329 del codice di procedura penale. Se l'autorità giudiziaria, per ragioni di natura istruttoria, ritiene di non potere derogare al segreto, emette decreto motivato di rigetto. Quando le predette ragioni vengono meno, l'attività giudiziaria provvede a trasmettere quanto richiesto.

 

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      5. Gli atti dei procedimenti amministrativi per le abilitazioni professionali e per il reclutamento dei pubblici impiegati, ivi compresi gli atti dei candidati, devono essere conservati a cura della pubblica amministrazione per venti anni dalla fine del relativo procedimento, e comunque fino alla conclusione di ogni procedimento davanti all'autorità giudiziaria o di inchieste parlamentari.

Art. 4.
(Segreto).

      1. Le sedute della Commissione sono pubbliche, salvo che la Commissione medesima disponga diversamente, con deliberazione motivata.
      2. La Commissione stabilisce quali atti e documenti non devono essere divulgati anche in relazione ad esigenze attinenti ad altre istruttorie o inchieste in corso. Devono in ogni caso essere coperti dal segreto gli atti e i documenti attinenti a procedimenti giudiziari nella fase delle indagini preliminari.
      3. I componenti la Commissione, i funzionari e il personale di qualsiasi ordine e grado addetti alla Commissione stessa e ogni altra persona che collabora con la Commissione o compie o concorre a compiere atti di inchiesta sono obbligati al segreto per tutto quanto riguarda gli atti e i documenti di cui al comma 2.
      4. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, la violazione del segreto è punita a norma dell'articolo 326 del codice penale.

Art. 5.
(Organizzazione interna).

      1. L'attività e il funzionamento della Commissione sono disciplinati da un regolamento interno approvato dalla Commissione stessa prima dell'inizio dei lavori. Ciascun componente può proporre la modifica delle norme regolamentari.

 

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      2. La Commissione può avvalersi di tutte le collaborazioni che ritenga necessarie. Non possono far parte del personale addetto alla Commissione o che collabora con la Commissione stessa o compie o concorre a compiere atti d'inchiesta coloro che abbiano partecipato a commissioni giudicatrici di pubblici concorsi.
      3. Per l'espletamento delle sue funzioni la Commissione fruisce di personale, locali e strumenti operativi messi a disposizione dai Presidenti delle Camere, di intesa tra loro.
      4. Le spese per il funzionamento della Commissione sono poste per metà a carico del bilancio interno del Senato della Repubblica e per metà a carico del bilancio interno della Camera dei deputati.


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