|
|
CAMERA DEI DEPUTATI
|
N. 106 |
CORDONI, DELBONO, MOTTA, BELLANOVA, CODURELLI, LENZI, MIGLIOLI, ROSSI GASPARRINI, AMICI, BRANDOLINI, CARBONELLA, CARTA, CECCUZZI, CHIAROMONTE, D'ANTONA, DATO, FEDI, FILIPPESCHI, FINCATO, FRANCI, GRASSI, GRILLINI, LUMIA, MARTELLA, NARDUCCI, OTTONE, RANIERI, SAMPERI, ZANOTTI
1) sempre mantenendolo quale alternativa volontaria al ricorso alla giustizia ordinaria;
2) chiarendo alcuni passaggi interpretativi;
3) introducendo o migliorando alcuni elementi a carattere promozionale.
Già nella formulazione vigente del richiamato articolo è rinvenibile il favore dell'ordinamento per la procedura conciliativo-arbitrale, collegandovi vantaggi quali: la perdita di efficacia del provvedimento disciplinare qualora il datore di lavoro non provveda a nominare il proprio rappresentante e, soprattutto, la sospensione della sanzione (sospensione cautelare in caso di licenziamento per giusta
1) un numero percentualmente irrisorio di domande si è riversato dalla sede precontenziosa alla sede giudiziale;
2) raramente l'ente pubblico diserta la seduta, così consentendo un utile approfondimento dei termini della controversia;
3) l'eventuale esperimento negativo della conciliazione va probabilmente riconnesso alla peculiarità della questione sostanziale via via controversa e alla complessità delle problematiche organizzative e gestionali sottese alle questioni controverse.
Tali dati confortanti, unitamente a un'oggettiva riflessione sull'insuccesso del modello vigente per il lavoro privato - per la scarsa impegnatività dello strumento, per l'assoluta carenza di incentivi positivi e negativi, per le parti in lite e per il ceto tecnico-forense, per l'incontrollato aumento del carico di lavoro - hanno indotto a introdurre nella proposta di legge un meccanismo che miri a fare della fase conciliativa una fase precontenziosa, a giudizio formalmente già iniziato.
Il meccanismo disegnato conserva l'obbligatorietà del tentativo di conciliazione giacché esso tende a soddisfare l'interesse generale sotto un duplice profilo: evitando, da un lato, che l'aumento delle controversie attribuite al giudice ordinario in materia di lavoro provochi un sovraccarico dell'apparato giudiziario, ostacolandone il funzionamento; favorendo, dall'altro, la composizione preventiva della lite e assicurando alle posizioni sostanziali un soddisfacimento più immediato rispetto a quello conseguibile attraverso il processo.
Sulla base delle prime esperienze applicative del nuovo articolo 412-bis codice di procedura civile e alla luce delle più recenti indicazioni della Corte costituzionale, è apparso opportuno esplicitare l'esclusione dell'obbligo di conciliazione, ratione materiae, per le controversie previdenziali (nelle quali gli spazi di disponibilità sono ristretti in considerazione del regime pubblicistico che le caratterizza), per i procedimenti sommari o d'urgenza (per i quali la tutela del diritto azionato è tanto più efficace quanto più è tempestivo l'intervento giudiziale), ivi comprese le
1) sia le esigenze di mantenimento di garanzie: vincolo del rispetto delle norme inderogabili di legge e di contratto collettivo, con conseguente impugnabilità del lodo,
2) sia le esigenze di celerità della soluzione.
La proposta di legge prevede l'inserimento della conciliazione all'interno del giudizio: la conciliazione è tentata dal giudice o dal conciliatore da questi appositamente designato tra quelli iscritti a un apposito albo, una volta che la controversia sia conosciuta in tutti i suoi risvolti.
La conservazione della concorrente disciplina arbitrale, espressione dell'autonomia negoziale collettiva, è volta a favorire un sistema integrato dell'arbitrato nelle controversie di lavoro che si avvalga dell'apporto di importanti accordi. Peraltro le divergenze che, nei vari accordi, emergono in ordine all'ambito di impugnabilità dei lodi vengono risolte, con l'articolato proposto, riconducendo a unità il regime delle impugnazioni sicché anche per l'arbitrato previsto dalla contrattazione collettiva si applica il regime di impugnazione introdotto con la novella, id est l'impugnabilità, per qualsiasi vizio, davanti alla corte d'appello.
L'intervento si sposa con quello già adottato, come opzione promozionale, nella citata proposta di legge recante «Carta dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori», in cui il favore nei confronti della risoluzione della controversia in sede arbitrale si ottiene mediante il riconoscimento di benefìci sugli importi monetari riconosciuti in favore della lavoratrice o del lavoratore.
Passando più direttamente al dettaglio dell'articolato, nel capo I sono proposti:
1) aggiustamenti sostanziali funzionali a un più spedito iter processuale;
2) modifiche di natura procedurale;
3) interventi di natura ordinamentale.
La disciplina proposta si applica a tutte le ipotesi di licenziamento, nell'ambito sia della tutela obbligatoria che reale, anche con riferimento alle ipotesi di previo accertamento giudiziale della natura subordinata del rapporto ovvero della legittimità del termine apposto al contratto. L'intervento normativo si estende, inoltre, con opportuni adattamenti, alle controversie in materia di trasferimenti di cui agli articoli 2103 e 2112 del codice civile. L'intervento normativo si estende, altresì, al recesso del committente nei contratti caratterizzati dalla dipendenza economica del prestatore di lavoro.
1) l'ordinanza emessa dal tribunale, in funzione di giudice del lavoro, è reclamabile alla sezione lavoro della corte d'appello;
2) la sentenza della corte d'appello è ricorribile in Cassazione (articolo 3).
A garanzia dell'attuazione effettiva del provvedimento (ordinanza o sentenza) di condanna alla reintegra, è prevista una forte misura coercitiva di carattere pecuniario, individuata sul modello francese delle astreinte, connotata dalla irripetibilità delle somme (corrisposte o da corrispondere) in caso di successiva sentenza (di primo grado o d'appello) dichiarativa della legittimità del licenziamento. Per evitare ingiustificati arricchimenti del lavoratore, in caso di successiva sentenza dichiarativa della legittimità del licenziamento, il lavoratore può trattenere solo una somma corrispondente alla retribuzione per il periodo intercorso tra il provvedimento di condanna e la sentenza di riforma, mentre le ulteriori somme percepite o percipiende sono devolute a un fondo speciale. La riforma del provvedimento dichiarativo dell'illegittimità del trasferimento comporta, invece, un obbligo di restituzione delle somme già percepite (articolo 4).
Per attuare l'astreinte è data al lavoratore la possibilità di accedere alla procedura cautelare di cui all'articolo 669-sexies e seguenti del codice di procedura civile, con la quale richiedere al giudice, dell'ordinanza o della sentenza di reintegra, la liquidazione delle somme dovute per i giorni di ritardo (articolo 4, comma 2).
La relativa ordinanza è immediatamente eseguibile e reclamabile o al collegio del tribunale o al collegio di appello, a seconda del provvedimento reclamato.
La caratteristica urgente e sommaria del procedimento porta alla eliminazione del tentativo di conciliazione e della relativa procedura extra giudiziale, essendo questa in contrasto con i tempi ristretti della novella (articolo 6).
La modifica della normativa sostanziale concerne esclusivamente la decadenza, nel quando e nel quomodo, dell'impugnativa del licenziamento: il termine, innalzato a centoventi giorni, diventa anche termine di decadenza dall'azione giudiziale (articolo 7). Il medesimo termine, salvo diversa indicazione, si applica anche ai casi di nullità del licenziamento o del recesso e agli altri casi disciplinati nel medesimo capo (articolo 7, commi 2 e 3).
1) vincolando con più determinazione il datore di lavoro alla sospensione della sanzione e, quindi, a non eseguire la sanzione del licenziamento prima dei venti giorni di tempo a disposizione del lavoratore per l'impugnazione in sede di collegio di conciliazione e arbitrato. È questo l'effetto che rende conveniente il ricorso a tale procedura;
2) prevedendo vincoli di attività, se non un vero e proprio termine per la pronuncia da parte del collegio, e le relative conseguenze;
3) precisando il regime di impugnazione del lodo, vincolando al rispetto delle disposizioni inderogabili di legge e di contratto collettivo, oltre ai vizi del consenso, incapacità e vizi di eccesso di mandato;
4) intervenendo sul costo economico della costituzione del collegio e sulla riduzione degli oneri dovuti sulle somme acquisite dal lavoratore.
Il capo I si chiude con la previsione della istituzione di un fondo destinato a partecipare, anche parzialmente, agli oneri sostenuti per effetto di decisioni che modificano provvedimenti che hanno riconosciuto la legittimità del licenziamento.
Il capo II prevede l'inserimento nel codice di procedura civile di due nuovi articoli, rispettivamente dedicati a fornire certezza e celerità nell'ambito degli accertamenti sanitari connessi a controversie previdenziali e assistenziali obbligatorie e alle cosiddette «controversie in serie o seriali» (articoli 443-bis e 443-ter del codice di procedura civile).
Il capo III adotta, per quanto riguarda la conciliazione, una soluzione che contempla:
1) la revisione dell'obbligo del tentativo di conciliazione, da cui sono escluse le controversie previdenziali, le controversie che ricevono trattazione sommaria o d'urgenza, le controversie nell'ambito del lavoro pubblico (articolo 410, secondo comma, del codice di procedura civile);
2) che la fase conciliativa è una fase precontenziosa a giudizio già iniziato (conciliazione endogiudiziale);
3) che la difesa tecnica è coinvolta nella fase precontenziosa;
4) che l'ingiustificata assenza del ricorrente o di entrambe le parti all'udienza fissata per la conciliazione comporta l'estinzione del processo, mentre l'assenza della parte convenuta può dare luogo all'emanazione di un'ordinanza provvisoria di pagamento totale o parziale delle somme domandate o a provvedimenti anticipatori della decisione di merito (articolo 412, primo comma, del codice di procedura civile);
5) che la conciliazione è tentata dal giudice o dal conciliatore appositamente designato tra quelli iscritti a un apposito albo;
6) che se la conciliazione è raggiunta, il relativo processo verbale acquista efficacia di titolo esecutivo con decreto del giudice (articolo 411, terzo comma, del codice di procedura civile);
7) che se la conciliazione non riesce viene redatto verbale con l'indicazione succinta delle ipotesi di soluzione della controversia allo stato degli atti (articolo 412, quarto comma, del codice di procedura civile);
8) che in qualunque fase della conciliazione, ovvero in caso di esito negativo della conciliazione, le parti possono decidere di affidare allo stesso conciliatore la decisione di risolvere in via arbitrale le controversie.
La proposta di legge si fonda, quanto alla disciplina dell'arbitrato, sui seguenti princìpi base:
1) la possibilità di affidare il mandato in via arbitrale allo stesso conciliatore in ogni fase del tentativo di conciliazione (articolo 412-bis, primo comma, del codice di procedura civile);
2) la possibilità di ricorso all'arbitrato dopo il fallimento del tentativo di conciliazione;
3) la necessità che la richiesta di deferimento ad arbitri risulti da atto scritto contenente, a pena di nullità, il termine entro il quale l'arbitro dovrà pronunciarsi e i criteri per la liquidazione dei compensi spettanti all'arbitro (articolo 412-bis, secondo comma, del codice di procedura civile);
4) l'obbligo per l'arbitro del rispetto delle norme inderogabili di legge e del contratto collettivo (articolo 412-bis, terzo comma, del codice di procedura civile);
5) l'impugnabilità del lodo, per qualsiasi vizio, davanti alla corte d'appello (articolo 412-ter, primo comma, del codice di procedura civile);
6) l'esecutività del lodo nonostante l'impugnazione (articolo 412-ter, secondo comma, del codice di procedura civile);
7) il mantenimento della concorrente disciplina arbitrale eventualmente prevista da accordi o da contratti collettivi (articolo 412-quater del codice di procedura civile).
Va, inoltre, rimarcato che l'autorevolezza del conciliatore deriverà dalla sua nomina, da parte del giudice, attingendo a un albo dei conciliatori esperti in materie giuslavoristiche, tenuto dal presidente del tribunale (articolo 21). Si tratta di una disciplina transitoria. L'iscrizione definitiva avverrà solo dopo il primo anno di attuazione della legge e dopo la frequenza ad appositi programmi di formazione professionale per la preparazione allo svolgimento della funzione di conciliatore e di arbitro (articolo 21, comma 2).
Quanto alla gratuità, o meno, dell'operato del conciliatore, è prevista la indennizzabilità.
La norma pertanto, non è senza oneri per lo Stato, essendo l'importo dell'indennità per il conciliatore fissato in 100 euro, qualunque sia l'esito del tentativo di conciliazione, indennità elevata a 150 euro, ove il tentativo si concluda con la conciliazione, e ridotta a 75 euro ove il tentativo non possa essere espletato per mancata presentazione delle parti o del convenuto (articolo 22).
1. La disciplina di cui al presente capo si applica alle controversie individuali in materia di:
a) licenziamenti, anche qualora presuppongano la risoluzione di questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro, ovvero alla legittimità del termine apposto al contratto;
b) recesso del committente nei rapporti di lavoro economicamente dipendente;
c) trasferimento ai sensi dell'articolo 2103 e dell'articolo 2112 del codice civile.
1. Ai fini di cui all'articolo 1 la domanda si propone con ricorso al tribunale in funzione di giudice del lavoro.
2. Il giudice, convocate le parti, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede, nel modo che ritiene più idoneo allo scopo urgente del procedimento, all'acquisizione e alla valutazione degli elementi di prova relativi ai fatti allegati, e provvede con ordinanza all'accoglimento o al rigetto della domanda.
3. Ove la domanda sia proposta ai sensi degli articoli 414 e seguenti del codice di procedura civile, il giudice, anche d'ufficio, dispone con ordinanza che la causa prosegua ai sensi del comma 2.
4. Il giudice adito in via sommaria, ove rilevi che la causa deve essere trattata
1. Contro l'ordinanza di cui al comma 2 dell'articolo 2 è ammesso ricorso alla sezione lavoro della corte d'appello, nelle forme di cui all'articolo 414 e seguenti del codice di procedura civile, entro il termine perentorio di trenta giorni dalla comunicazione alle parti dell'ordinanza stessa, a pena di decadenza.
1. Il giudice, con l'ordinanza o la sentenza di condanna alla reintegrazione della lavoratrice o del lavoratore nel posto di lavoro, determina la somma dovuta dal datore di lavoro per l'eventuale ritardo nell'esecuzione del provvedimento, entro il limite massimo di quattro retribuzioni globali di fatto giornaliere e il limite minimo di due retribuzioni globali di fatto giornaliere per ogni giorno di ritardo, tenuto conto delle dimensioni dell'organizzazione produttiva.
2. La lavoratrice o il lavoratore può chiedere, con ricorso al giudice che ha ordinato la reintegrazione, la liquidazione della somma dovuta. L'onere della prova dell'effettiva reintegrazione grava sul datore di lavoro. Il giudice provvede nelle forme di cui al primo comma dell'articolo 669-sexies del codice di procedura civile e decide con ordinanza con la quale liquida le spese del procedimento; il provvedimento è immediatamente esecutivo e contro lo stesso è ammesso reclamo ai sensi
1. All'articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al primo comma dopo le parole: «il giudice con» sono inserite le seguenti: «l'ordinanza o»;
b) al quarto comma dopo le parole: «Il giudice con» sono inserite le seguenti: «l'ordinanza o»;
c) al quinto comma dopo la parola: «deposito» sono inserite le seguenti: «dell'ordinanza o»;
d) al sesto comma dopo le parole: «La sentenza» sono inserite le seguenti: «o l'ordinanza»;
e) al decimo comma dopo le parole: «non ottempera» sono inserite le seguenti: «all'ordinanza o».
1. Alle controversie instaurate ai sensi dell'articolo 1 della presente legge non si applicano le disposizioni di cui agli articoli
1. Il primo comma dell'articolo 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, è sostituito dal seguente:
«Il licenziamento del datore di lavoro o il recesso del committente deve essere impugnato a pena di decadenza entro centoventi giorni dalla ricezione della sua comunicazione, ovvero dalla comunicazione dei motivi, ove non contestuale, con ricorso depositato nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro».
2. Il termine di decadenza, di cui al primo comma dell'articolo 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, come sostituito dal comma 1 del presente articolo, si applica anche ai casi di nullità del licenziamento o del recesso e nonché agli altri casi disciplinati dall'articolo 1 della presente legge.
1. Le controversie, sommarie o ordinarie, relative alle materie di cui all'articolo 1 della presente legge devono essere trattate dal giudice con priorità con la sola eccezione dei procedimenti cautelari e di quelli previsti dall'articolo 28 della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni.
2. La tempestiva trattazione e conclusione delle controversie relative ai provvedimenti di cui all'articolo 1 è assicurata dai responsabili degli uffici anche con apposite misure organizzative.
1. All'articolo 3 della legge 11 maggio 1990, n. 108, dopo le parole: «legge 9 dicembre 1977, n. 903,» sono inserite le
1. In caso di licenziamento disciplinare, si applica l'articolo 7 della legge 20 maggio 1970, n. 300.
2. Il datore di lavoro non può adottare il licenziamento prima che siano trascorsi cinque giorni dai ricevimento del provvedimento da parte della lavoratrice o del lavoratore, durante i quali la lavoratrice o il lavoratore può comunicare al datore di lavoro di essere intenzionato a scegliere tra il ricorso in giudizio e la promozione della costituzione del collegio di conciliazione ed arbitrato previsto dal sesto comma dell'articolo 7 della legge 20 maggio 1970, n. 300. La richiesta scritta della promozione della costituzione del collegio deve comunque essere presentata nel termine di venti giorni, ai sensi di quanto stabilito dal medesimo sesto comma dell'articolo 7 della legge n. 300 del 1970.
3. Il licenziamento intimato dal datore di lavoro rimane sospeso fino alla pronuncia da parte del collegio di conciliazione ed arbitrato.
4. In caso di licenziamento per giusta causa il datore di lavoro adotta il provvedimento della sospensione cautelare.
5. Se il datore di lavoro non consente l'attivazione del collegio di conciliazione ed arbitrato, non adempiendo agli obblighi su di lui gravanti, ovvero adisce l'autorità giudiziaria, il licenziamento rimane sospeso fino alla definizione del giudizio.
6. Il collegio di conciliazione ed arbitrato si pronuncia entro quarantacinque giorni, determinandosi in mancanza la perenzione del procedimento e il mancato pagamento dei compensi di cui al comma 8. È possibile un prolungamento del termine in casi di particolare complessità, documentati da riunioni a cadenza almeno quindicinale.
7. In caso di emanazione del lodo, si applica quanto previsto dai commi terzo e
1. Con regolamento adottato con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, è disciplinata l'istituzione di un fondo, finanziato con risorse provenienti da datori di lavoro, da lavoratrici o da lavoratori, secondo misure fissate dai contratti collettivi nazionali sottoscritti dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, e destinato a partecipare, anche parzialmente, agli oneri sostenuti per effetto di decisioni che modificano provvedimenti che hanno riconosciuto la legittimità del licenziamento.
2. Al fondo di cui al comma 1 sono destinate le somme di cui al comma 3 dell'articolo 4.
1. Dopo l'articolo 443 del codice di procedura civile sono inseriti i seguenti:
«Art. 443-bis. - (Accertamenti sanitari connessi a controversie di previdenza e assistenza
Pag. 15
Espletati gli accertamenti medico-legali, il collegio, coerentemente alle risultanze degli accertamenti, tenta la conciliazione della controversia. In caso di esito positivo, viene redatto un verbale che, sottoscritto dalle parti, è vincolante per le medesime. In caso di esito negativo del tentativo di conciliazione, il presidente del collegio redige una dettagliata relazione medico-legale nella quale dà atto degli accertamenti effettuati e delle conclusioni conseguite nonché dei motivi del dissenso.
Il compenso dei componenti del collegio, posto a carico dell'amministrazione competente per l'erogazione della prestazione, è determinato in conformità di convenzioni stipulate con la Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri.
Art. 443-ter. - (Controversie di serie). - In caso di controversie in materia di previdenza e assistenza obbligatorie riguardanti, anche potenzialmente, un numero consistente di soggetti e aventi ad oggetto questioni analoghe, le amministrazioni interessate sono tenute a informare i Ministeri competenti e a promuovere incontri anche con gli istituti di patronato che hanno fornito assistenza nelle medesime
1. L'articolo 410 del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:
«Art. 410. - (Tentativo di conciliazione). - Chi intende proporre in giudizio una domanda relativa ai rapporti previsti dall'articolo 409 è tenuto ad esperire il tentativo di conciliazione previsto dai commi terzo e seguenti del presente articolo.
Sono escluse dall'obbligo di cui al primo comma le controversie riguardanti le seguenti materie:
a) controversie previdenziali;
b) controversie per le quali sono stabiliti dalla legge procedimenti sommari o da esperire in via d'urgenza;
c) controversie relative ai rapporti di lavoro di cui all'articolo 63 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.
Il giudice, ricevuto il ricorso, ove non possa fissare la comparizione delle parti per condurre personalmente il tentativo di conciliazione o per la trattazione entro il termine previsto dall'articolo 416, entro trenta giorni dalla data del deposito, con proprio decreto designa un conciliatore, liberamente scelto tra quelli contenuti nell'apposito albo, con il compito di esperire entro il termine suddetto il tentativo di conciliazione della controversia.
Il decreto di cui al terzo comma deve essere emanato entro quindici giorni dalla data di presentazione del ricorso. Il decreto, con allegato il ricorso, fissa il giorno, la data e il luogo stabiliti per la
1. L'articolo 411 del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:
«Art. 411. - (Procedura del tentativo di conciliazione). - Il tentativo di conciliazione è da espletare nel termine di trenta giorni e si svolge in un'unica seduta, salvo che il giudice o il conciliatore non ravvisino
1. L'articolo 412 del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:
«Art. 412. - (Mancata conciliazione). - Se entrambe le parti, o la parte che ha presentato il ricorso, non compaiono al tentativo di conciliazione, il giudice o il conciliatore ne dà atto nel processo verbale e il giudice dichiara estinto il processo direttamente o dopo aver ricevuto gli atti dal conciliatore, salvo il caso di motivo riconosciuto giustificato dal giudice o dal conciliatore che, in tale caso, fissa una nuova data per la comparizione entro il termine perentorio di trenta giorni. In caso di mancata comparizione, del convenuto, il giudice o il conciliatore ne dà atto nel processo verbale.
1. L'articolo 412-bis del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:
«Art. 412-bis. - (Risoluzione arbitrale delle controversie). - In qualunque fase
1. L'articolo 412-ter del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:
«Art. 412-ter. - (Impugnazione del lodo arbitrale). - Il lodo arbitrale può essere impugnato, per qualsiasi vizio, ivi comprese la violazione e la falsa applicazione di legge dei contratti e degli accordi collettivi di lavoro, entro trenta giorni dalla sua notificazione alle parti, davanti alla corte d'appello in funzione di giudice del lavoro.
L'impugnazione non sospende l'esecutività del lodo».
1. L'articolo 412-quater del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:
«Art. 412-quater. - (Ulteriori modalità del tentativo di conciliazione). - La conciliazione, nelle materie di cui all'articolo 409, può essere svolta presso le sedi previste dai contratti collettivi di lavoro sottoscritti
a) da un conciliatore iscritto all'albo dei conciliatori e degli arbitri istituito presso ogni tribunale, su richiesta congiunta delle parti;
b) sulla base di memorie scritte dell'attore e del convenuto che illustrano le ragioni di fatto e di diritto della pretesa della resistenza.
Il verbale del tentativo di conciliazione deve essere redatto e sottoscritto dal conciliatore, dalle parti e, ove presenti, dai loro difensori. In tale verbale il conciliatore espone gli estremi del tentativo, le eventuali proposte indirizzate alle parti per pervenire a un accordo, e quanto altro ritenga utile portare a conoscenza del giudice per il procedimento. A esso devono essere allegate le memorie di cui al terzo comma, lettera b).
Il verbale di mancata conciliazione è depositato presso la cancelleria del giudice competente unitamente al ricorso di cui all'articolo 414. Il giudice, ove accerti che sono state rispettate le condizioni di cui al terzo comma, e che la domanda corrisponde all'oggetto per il quale è stato esperito il tentativo di conciliazione, procede direttamente a fissare l'udienza di discussione ai sensi dell'articolo 415.
Il verbale di conciliazione è acquisito agli atti del procedimento e produce tutti
1. Dopo l'articolo 412-quater del codice di procedura civile, è inserito il seguente:
«Art. 412-quinquies. - (Arbitrato in materia di lavoro previsto dalla contrattazione collettiva). - Nell'ambito delle sedi di cui all'articolo 412-quater le parti possono deferire ad arbitri la controversia.
Il lodo arbitrale è dichiarato esecutivo dal giudice cui è trasmesso a cura delle strutture interessate, nei modi e nei tempi stabiliti dall'articolo 412-ter e dal quinto comma dell'articolo 412-quater, ove sia presente la richiesta scritta con la quale le parti dichiarano di richiedere una pronuncia arbitrale, l'indicazione dell'arbitro o del collegio arbitrale al quale viene richiesto il lodo, la delimitazione dell'oggetto sul quale viene richiesto il lodo, il termine entro il quale il lodo dovrà essere pronunciato.
Ai lodi di cui al presente articolo si applicano le disposizioni di cui all'articolo 412-ter».
1. All'articolo 415 del codice di procedura civile è aggiunto, in fine, il seguente comma:
«Per i procedimenti per i quali sia esperito il tentativo di conciliazione, i termini di cui ai commi secondo, terzo, quarto, quinto e sesto decorrono dalla data di trasmissione del verbale di mancata conciliazione».
2. All'articolo 418 del codice di procedura civile è aggiunto, in fine, il seguente comma:
«Per i procedimenti per i quali sia stato disposto il tentativo obbligatorio di conciliazione, eventuali domande in via riconvenzionale
3. II primo comma dell'articolo 420 del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:
«Nell'udienza fissata per la discussione della causa il giudice interroga liberamene le parti presenti. La mancata comparizione delle parti, senza giustificato motivo, costituisce comportamento valutabile dal giudice ai fini della decisione. Le parti possono, se ricorrono gravi motivi, modificare le domande, eccezioni e conclusioni già formulate, previa autorizzazione del giudice».
4. Il terzo comma dell'articolo 420 del codice di procedura civile è abrogato e al settimo comma del medesimo articolo 420, le parole: «a norma del quinto comma» sono sostituite dalle seguenti: «a norma del quarto comma».
5. Il quarto comma dell'articolo 420 del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:
«Quando il giudice ritiene la causa matura per la decisione, o se sorgono questioni attinenti alla giurisdizione o alla competenza o altre pregiudiziali la cui decisione può definire il giudizio, il giudice invita le parti alla discussione e pronuncia sentenza anche non definitiva dando lettura del dispositivo».
1. Presso ogni tribunale è istituito un albo dei conciliatori e degli arbitri, di seguito denominato «albo», esperti in materie giuslavoristiche, tenuto dal presidente della sezione lavoro del tribunale stesso.
2. All'albo possono iscriversi professori universitari di materie giuslavoristiche, avvocati e commercialisti di comprovata esperienza nel campo del lavoro, consulenti del lavoro, funzionari delle direzioni provinciali e regionali del lavoro. Dopo il primo anno di attuazione della presente legge, all'albo possono iscriversi esclusivamente
1. Per i primi tre anni dalla data in vigore della presente legge, gli oneri per il pagamento dell'indennità di cui al comma 8 dell'articolo 21 ai conciliatori nominati dal giudice ai sensi dello stesso articolo sono a carico dello Stato.
2. L'importo dell'indennità di cui al comma 1 è fissato in 100 euro per ogni caso che il tentativo di conciliazione esperito, indipendentemente dal suo esito. Nel caso che il tentativo si concluda con la conciliazione definitiva della controversia, l'indennità è elevata a 150 euro. Nel caso che il tentativo non abbia luogo per la mancata presentazione di entrambi le parti o del convenuto l'indennità è di 75 euro.
3. Le domande per l'iscrizione all'albo, indirizzate al presidente della sezione lavoro del tribunale, possono essere depositate nella cancelleria o inviate a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento, a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge.
4. Il presidente della sezione lavoro del tribunale, entro due mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, esaminate le domande presentate ai sensi dell'articolo 21, determina l'elenco degli iscritti all'albo. L'albo è aggiornato con cadenza semestrale.
|