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PDL 106

XV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 106



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

CORDONI, DELBONO, MOTTA, BELLANOVA, CODURELLI, LENZI, MIGLIOLI, ROSSI GASPARRINI, AMICI, BRANDOLINI, CARBONELLA, CARTA, CECCUZZI, CHIAROMONTE, D'ANTONA, DATO, FEDI, FILIPPESCHI, FINCATO, FRANCI, GRASSI, GRILLINI, LUMIA, MARTELLA, NARDUCCI, OTTONE, RANIERI, SAMPERI, ZANOTTI

Riforma della normativa processuale del lavoro

Presentata il 28 aprile 2006


      

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Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di legge affronta e propone una riforma del processo del lavoro con l'intenzione di garantire celerità e certezza alla soluzione delle controversie che riguardano i licenziamenti e i trasferimenti, con l'obiettivo di risolvere questioni che attengono al processo previdenziale, in particolare con riferimento agli accertamenti sanitari connessi a controversie previdenziali e a controversie in serie. Inoltre, si predispone una riforma complessiva delle tecniche normative di composizione e di soluzione delle controversie individuali di lavoro, intervenendo sulla conciliazione, sull'arbitrato, sulla formazione di conciliatori e di arbitri, nonché sulle risorse finanziarie.
      La proposta di legge adotta una prospettiva ambiziosa che si affianca alla Carta dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori (atto Camera n. 104) per ripercorrere la medesima strada seguita con la diade normativa costituita dallo Statuto dei diritti dei lavoratori (legge n. 300 del 1970) e della riforma del processo del lavoro nel 1973 (con la legge n. 533).
      L'articolato si ispira e recepisce larga parte dell'analisi e delle proposte già formulate, durante la XIII legislatura, dalla Commissione per lo studio e la revisione della normativa processuale del lavoro,
 

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presieduta da Raffaele Foglia e, a livello comunitario, riprende i contenuti della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, firmata a Nizza il 7 dicembre 2000, ha reso più visibile il valore fondamentale della tutela contro ogni licenziamento ingiustificato (articolo 30).
      Al pari degli altri settori della giustizia, per i quali importanti modifiche sono state recentemente introdotte, il contenzioso del lavoro attraversa, non da poco, una crisi determinata essenzialmente dal progressivo allungamento dei tempi di definizione dei processi, crisi ancora più evidente per la peculiarità del rito introdotto dal legislatore del 1973, informato a princìpi di oralità e di celerità.
      L'urgenza del recupero di funzionalità del processo del lavoro suggerisce, pertanto, un intervento normativo con riferimento alle controversie che trattano i momenti più delicati e patologici del rapporto di lavoro. Il bilanciamento degli opposti interessi - del lavoratore alla conservazione del posto, del datore di lavoro all'organizzazione del lavoro - consiglia, nella specie, di ridisegnare la tutela reintegratoria contro il licenziamento ingiustificato nelle forme di un'azione tipica urgente a cognizione sommaria, così da imprimere a siffatte azioni una durata ragionevole.
      La riforma intende garantire celerità al giudizio, mediante una procedura d'urgenza, con la conseguenza di escludere queste controversie dalla procedura preventiva obbligatoria di conciliazione.
      Non si intendono peraltro escludere totalmente queste controversie dalla conciliazione e dall'arbitrato, sia perché è da ritenere che anche le controversie per licenziamento possano utilmente trovare soluzione in sede conciliativa o arbitrale, sia perché non si può dimenticare che, pur restando nell'area dell'accesso volontario alla giustizia «alternativa», esiste già nell'ordinamento una procedura conciliativa e arbitrale applicabile: quella prevista per le sanzioni disciplinari (articolo 7 della legge n. 300 del 1970), che potrebbe essere migliorata e implementata.
      Nella proposta di legge sono, pertanto, collegate l'introduzione di una specifica procedura d'urgenza giudiziale e la promozione della procedura conciliativo-arbitrale prevista per le sanzioni disciplinari, con un collegio che opera presso la direzione provinciale del lavoro o con un collegio espressamente previsto dal contratto collettivo.
      Per quanto riguarda il licenziamento disciplinare (per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo) è ormai indubitabile la sua qualificazione come sanzione rientrante nella tipologia prevista nell'articolo 7 della legge n. 300 del 1970. Questo anche nel settore del lavoro alle dipendenze di pubbliche amministrazioni, ad opera della contrattazione collettiva di comparto. Questo anche sotto il profilo delle conseguenze in caso di mancato rispetto delle garanzie procedimentali poste dal citato articolo 7 (illegittimità e non nullità; con conseguente applicazione della tutela reale o della tutela obbligatoria a seconda del campo di applicazione).
      La scelta è quella di rafforzare il canale costituito dal ricorso al collegio di conciliazione e arbitrato del medesimo articolo 7, escludendo però qualsiasi altra applicazione di procedure di conciliazione o di arbitrato (tranne quelle eventualmente introdotte dalla contrattazione collettiva):

          1) sempre mantenendolo quale alternativa volontaria al ricorso alla giustizia ordinaria;

          2) chiarendo alcuni passaggi interpretativi;

          3) introducendo o migliorando alcuni elementi a carattere promozionale.

      Già nella formulazione vigente del richiamato articolo è rinvenibile il favore dell'ordinamento per la procedura conciliativo-arbitrale, collegandovi vantaggi quali: la perdita di efficacia del provvedimento disciplinare qualora il datore di lavoro non provveda a nominare il proprio rappresentante e, soprattutto, la sospensione della sanzione (sospensione cautelare in caso di licenziamento per giusta

 

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causa), con permanenza di tale effetto anche nel caso in cui il datore di lavoro opti per l'accertamento in via giudiziale. Si consideri che la specialità che già ora è riconosciuta alla disciplina procedimentale dell'articolo 7 consente di separare questa fattispecie dalla regolamentazione generale in materia di conciliazione e arbitrato.
      La procedura di conciliazione e arbitrato, così come prevista dall'articolo 7, con i correttivi in chiave promozionale esaminati, viene affiancata da una speciale procedura d'urgenza, che si estende anche a risolvere alcuni nodi interpretativi in materia di risarcimento del danno e di ripetibilità o meno delle somme percepite dal lavoratore, escludendo l'obbligo di conciliazione preventiva.
      È prevista una procedura d'urgenza nelle vesti di un'azione sommaria, basata su un'ordinanza, reclamabile in appello, affiancata da una misura coercitiva forte che interviene in materia di risarcimento del danno. Passaggio decisivo è quello della irripetibilità delle somme, somme che corrispondono alla retribuzione versata nel periodo intercorso tra il provvedimento di condanna e la sentenza di riforma dichiarativa della legittimità del licenziamento.
      La tutela reintegratoria contro il licenziamento ingiustificato è ridisegnata nelle forme di un'azione tipica urgente a cognizione sommaria, così da imprimere a siffatte azioni una durata ragionevole.
      La procedura d'urgenza si applica sia nell'ambito della tutela reale sia in quello della tutela obbligatoria; sia ai datori di lavoro privati sia alle pubbliche amministrazioni. E contemporaneamente si chiarisce la questione del regime da applicare in caso di nullità del licenziamento, con riconduzione di tutte le ipotesi nell'ambito della tutela reale. Attualmente, si tende a ritenere che in alcune ipotesi di licenziamento nullo si applichino i princìpi civilistici ordinari e non, quindi, la tutela reale.
      La procedura d'urgenza si applica anche al recesso del committente nel campo del lavoro economicamente dipendente, così come disciplinato nella proposta di legge recante «Carta dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori» (atto Camera n. 104); essa si applica anche all'accertamento della legittimità del termine apposto al contratto di lavoro; alle controversie in materia di trasferimenti, di cui all'articolo 2103 del codice civile, e alle controversie individuali in materia di trasferimento d'azienda o di suo ramo, di cui all'articolo 2112 del medesimo codice civile.
      Esce confermata anche per queste ipotesi (termine, trasferimento, licenziamento non disciplinare) l'esclusione dell'obbligo di qualsiasi procedura conciliativa, ma nel contempo senza accesso a quella prevista dall'articolo 7 della legge n. 300 del 1970.
      Il termine per l'impugnazione, a pena di decadenza, è di centoventi giorni. Questo termine viene espressamente previsto anche in caso di nullità del licenziamento.
      La competenza è del tribunale. L'ordinanza diventa irrevocabile in mancanza di reclamo in appello. Successivamente si passa al giudizio di legittimità in Cassazione.
      Elemento qualificante è la predisposizione di una misura coercitiva di carattere pecuniario che preveda il destino delle somme corrisposte o da corrispondere al lavoratore, ad esempio nel periodo che intercorre tra il provvedimento di condanna e la sentenza di riforma.
      Altro passaggio decisivo è la previsione che il giudice tratti con priorità tali cause. È evidente però che si deve contemporaneamente passare a individuare strumenti di deflazione del carico lavorativo dei giudici, completando la riforma con quella della conciliazione e dell'arbitrato.
      Nel capo II è previsto un intervento destinato a risolvere alcune questioni che riguardano il processo previdenziale, in particolare con riferimento agli accertamenti sanitari e alle controversie in serie.
      Nel capo III è predisposta una riforma complessiva delle tecniche normative di composizione e di soluzione delle controversie individuali di lavoro, intervenendo sulla conciliazione, sull'arbitrato, sulla formazione di conciliatori e di arbitri, nonché sulle risorse finanziarie.
 

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      Nel settore delle controversie di lavoro, la conciliazione e l'arbitrato non hanno mai registrato quella diffusione e adesione auspicabili fin dalla riforma introdotta dal legislatore del 1973, allo scopo di alleggerire il carico di lavoro dei magistrati addetti alla trattazione delle controversie di lavoro e, al contempo, di offrire, in un processo fortemente caratterizzato da una parte debole, strumenti efficaci e veloci di risoluzione delle controversie.
      Siffatta aporia seguita all'intervento riformatore del legislatore del 1973, diventava vera e propria diffidenza ove gli strumenti alternativi di risoluzione delle controversie si misuravano con il contenzioso del lavoro pubblico, nei confronti del quale resisteva, tenacemente, la convinzione di una sorta di incompatibilità tra controversie di competenza del giudice amministrativo e composizione negoziale come alternativa alla tutela giurisdizionale dei diritti del lavoratore.
      La riforma introdotta con i decreti legislativi n. 80 e n. 387 del 1998, e successivamente dal decreto legislativo n. 165 del 2001, preordinata, in primis, a deflazionare e a semplificare l'enorme contenzioso del lavoro, regolamentando il circuito alternativo e parallelo a quello ordinario di giustizia, ha, invece, rilanciato gli istituti della conciliazione e dell'arbitrato, partendo proprio dal settore pubblico, aggiungendo alla conciliazione, relegata a strumento occasionale e marginale dal legislatore del 1973, il predicato dell'obbligatorietà.
      L'esperienza sin qui maturata nel settore pubblico induce a pervenire a un complessivo giudizio di favore verso lo strumento conciliativo, consolidatosi anche nel confronto con le esperienze comparatistiche, specie in ambito comunitario, in cui le alternative dispute resolution (ADR) costituiscono un'esperienza molto diffusa nella giustizia civile.
      Può, invero, affermarsi, senza tema di smentita, che:

          1) un numero percentualmente irrisorio di domande si è riversato dalla sede precontenziosa alla sede giudiziale;

          2) raramente l'ente pubblico diserta la seduta, così consentendo un utile approfondimento dei termini della controversia;

          3) l'eventuale esperimento negativo della conciliazione va probabilmente riconnesso alla peculiarità della questione sostanziale via via controversa e alla complessità delle problematiche organizzative e gestionali sottese alle questioni controverse.

      Tali dati confortanti, unitamente a un'oggettiva riflessione sull'insuccesso del modello vigente per il lavoro privato - per la scarsa impegnatività dello strumento, per l'assoluta carenza di incentivi positivi e negativi, per le parti in lite e per il ceto tecnico-forense, per l'incontrollato aumento del carico di lavoro - hanno indotto a introdurre nella proposta di legge un meccanismo che miri a fare della fase conciliativa una fase precontenziosa, a giudizio formalmente già iniziato.
      Il meccanismo disegnato conserva l'obbligatorietà del tentativo di conciliazione giacché esso tende a soddisfare l'interesse generale sotto un duplice profilo: evitando, da un lato, che l'aumento delle controversie attribuite al giudice ordinario in materia di lavoro provochi un sovraccarico dell'apparato giudiziario, ostacolandone il funzionamento; favorendo, dall'altro, la composizione preventiva della lite e assicurando alle posizioni sostanziali un soddisfacimento più immediato rispetto a quello conseguibile attraverso il processo.
      Sulla base delle prime esperienze applicative del nuovo articolo 412-bis codice di procedura civile e alla luce delle più recenti indicazioni della Corte costituzionale, è apparso opportuno esplicitare l'esclusione dell'obbligo di conciliazione, ratione materiae, per le controversie previdenziali (nelle quali gli spazi di disponibilità sono ristretti in considerazione del regime pubblicistico che le caratterizza), per i procedimenti sommari o d'urgenza (per i quali la tutela del diritto azionato è tanto più efficace quanto più è tempestivo l'intervento giudiziale), ivi comprese le

 

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controversie in materia di trasferimenti e di licenziamenti che, ai sensi di quanto previsto nel capo I, sono assoggettate a una procedura sommaria tipica, per le cause relative ai rapporti di lavoro instaurati con le pubbliche amministrazioni cosiddette «privatizzate» (per le considerazioni innanzi esposte).
      Con riferimento agli arbitrati si propone di connotare l'istituto in guisa tale da filtrare, in termini selettivi, il ricorso alla giustizia del lavoro al fine di consentire, a quest'ultima, di intervenire nelle controversie di maggiore rango con le dovute professionalità e tempestività, e da costituire una reale attrattiva per la celerità e la stabilità del ricorso all'arbitrato.
      Ma soprattutto si ritiene necessaria una formazione completa e specialistica della figura dell'arbitro (oltre che dei conciliatori), evitando di limitarsi a un semplice trasferimento di sede della soluzione della controversia. L'arbitro non può essere una figura analoga o derivata da quella del giudice e, in ogni caso, anche le figure professionalmente più complete sotto il profilo della conoscenza del dato giuridico vanno formate per i profili tipici che devono essere posseduti da un arbitro.
      È, pertanto, previsto il superamento della riforma introdotta nel 1998, che non si è rivelata efficiente, quanto meno perché si è spesso tradotta in un mero allungamento dei tempi del giudizio.
      L'obiettivo è quello di mantenere ferme:

          1) sia le esigenze di mantenimento di garanzie: vincolo del rispetto delle norme inderogabili di legge e di contratto collettivo, con conseguente impugnabilità del lodo,

          2) sia le esigenze di celerità della soluzione.

      La proposta di legge prevede l'inserimento della conciliazione all'interno del giudizio: la conciliazione è tentata dal giudice o dal conciliatore da questi appositamente designato tra quelli iscritti a un apposito albo, una volta che la controversia sia conosciuta in tutti i suoi risvolti.
      La conservazione della concorrente disciplina arbitrale, espressione dell'autonomia negoziale collettiva, è volta a favorire un sistema integrato dell'arbitrato nelle controversie di lavoro che si avvalga dell'apporto di importanti accordi. Peraltro le divergenze che, nei vari accordi, emergono in ordine all'ambito di impugnabilità dei lodi vengono risolte, con l'articolato proposto, riconducendo a unità il regime delle impugnazioni sicché anche per l'arbitrato previsto dalla contrattazione collettiva si applica il regime di impugnazione introdotto con la novella, id est l'impugnabilità, per qualsiasi vizio, davanti alla corte d'appello.
      L'intervento si sposa con quello già adottato, come opzione promozionale, nella citata proposta di legge recante «Carta dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori», in cui il favore nei confronti della risoluzione della controversia in sede arbitrale si ottiene mediante il riconoscimento di benefìci sugli importi monetari riconosciuti in favore della lavoratrice o del lavoratore.
      Passando più direttamente al dettaglio dell'articolato, nel capo I sono proposti:

          1) aggiustamenti sostanziali funzionali a un più spedito iter processuale;

          2) modifiche di natura procedurale;

          3) interventi di natura ordinamentale.

      La disciplina proposta si applica a tutte le ipotesi di licenziamento, nell'ambito sia della tutela obbligatoria che reale, anche con riferimento alle ipotesi di previo accertamento giudiziale della natura subordinata del rapporto ovvero della legittimità del termine apposto al contratto. L'intervento normativo si estende, inoltre, con opportuni adattamenti, alle controversie in materia di trasferimenti di cui agli articoli 2103 e 2112 del codice civile. L'intervento normativo si estende, altresì, al recesso del committente nei contratti caratterizzati dalla dipendenza economica del prestatore di lavoro.

 

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      Sono stati inclusi nel campo di applicazione della proposta di legge i datori di lavoro pubblico cosiddetti «privatizzati», al fine di assecondare gli intenti legislativi volti alla tendenziale uniformità della disciplina del settore pubblico e di quello privato, che ha suggerito di non differenziare gli strumenti processuali.
      Il procedimento si svolge con una cognizione libera da formalità, in contraddittorio delle parti, e si conclude con la conoscenza tendenzialmente completa delle questioni, di fatto e di diritto, controverse (articolo 2).
      La tipicità dell'azione prevede lo strumento del mutamento del rito, anche in considerazione della peculiare connotazione del termine di impugnativa del licenziamento: il giudice provvederà a disporre la regolarizzazione dell'atto introduttivo nelle forme di cui al comma 3 dell'articolo 2 quando la domanda sia stata proposta irritualmente (se proposta ai sensi degli articoli 414 e seguenti del codice di rito dispone procedersi con forma sommaria, se proposta erroneamente con forma sommaria, dispone la regolarizzazione ai sensi degli stessi articoli). L'onere della prova, con riferimento al numero dei dipendenti occupati in azienda e ai motivi che hanno determinato il provvedimento espulsivo, grava sul datore di lavoro che ha di fatto la conoscenza dei relativi dati (articolo 2, comma 5).
      Elemento qualificante dell'azione sommaria disegnata dal progetto di riforma è senza dubbio l'idoneità dell'ordinanza a divenire irrevocabile in mancanza di reclamo.
      L'azione introdotta è peculiare anche quanto al regime delle impugnazioni:

          1) l'ordinanza emessa dal tribunale, in funzione di giudice del lavoro, è reclamabile alla sezione lavoro della corte d'appello;

          2) la sentenza della corte d'appello è ricorribile in Cassazione (articolo 3).

      A garanzia dell'attuazione effettiva del provvedimento (ordinanza o sentenza) di condanna alla reintegra, è prevista una forte misura coercitiva di carattere pecuniario, individuata sul modello francese delle astreinte, connotata dalla irripetibilità delle somme (corrisposte o da corrispondere) in caso di successiva sentenza (di primo grado o d'appello) dichiarativa della legittimità del licenziamento. Per evitare ingiustificati arricchimenti del lavoratore, in caso di successiva sentenza dichiarativa della legittimità del licenziamento, il lavoratore può trattenere solo una somma corrispondente alla retribuzione per il periodo intercorso tra il provvedimento di condanna e la sentenza di riforma, mentre le ulteriori somme percepite o percipiende sono devolute a un fondo speciale. La riforma del provvedimento dichiarativo dell'illegittimità del trasferimento comporta, invece, un obbligo di restituzione delle somme già percepite (articolo 4).
      Per attuare l'astreinte è data al lavoratore la possibilità di accedere alla procedura cautelare di cui all'articolo 669-sexies e seguenti del codice di procedura civile, con la quale richiedere al giudice, dell'ordinanza o della sentenza di reintegra, la liquidazione delle somme dovute per i giorni di ritardo (articolo 4, comma 2).
      La relativa ordinanza è immediatamente eseguibile e reclamabile o al collegio del tribunale o al collegio di appello, a seconda del provvedimento reclamato.
      La caratteristica urgente e sommaria del procedimento porta alla eliminazione del tentativo di conciliazione e della relativa procedura extra giudiziale, essendo questa in contrasto con i tempi ristretti della novella (articolo 6).
      La modifica della normativa sostanziale concerne esclusivamente la decadenza, nel quando e nel quomodo, dell'impugnativa del licenziamento: il termine, innalzato a centoventi giorni, diventa anche termine di decadenza dall'azione giudiziale (articolo 7). Il medesimo termine, salvo diversa indicazione, si applica anche ai casi di nullità del licenziamento o del recesso e agli altri casi disciplinati nel medesimo capo (articolo 7, commi 2 e 3).

 

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      Sul piano ordinamentale si prevede, per rafforzare la celerità dell'azione, che il giudice tratti con priorità tali cause (articolo 8).
      Si intende risolvere anche la controversa questione della riconduzione del licenziamento nullo per causa di maternità o di paternità nell'ambito del licenziamento discriminatorio (articolo 9).
      La sottrazione dall'obbligo di conciliazione non impedisce, anzi richiede, una valorizzazione della volontarietà del ricorso alla procedura di conciliazione e arbitrato già prevista dall'articolo 7 dello Statuto dei diritti dei lavoratori, legge n. 300 del 1970 (articolo 10).
      Rispetto alla situazione data, si interviene:

          1) vincolando con più determinazione il datore di lavoro alla sospensione della sanzione e, quindi, a non eseguire la sanzione del licenziamento prima dei venti giorni di tempo a disposizione del lavoratore per l'impugnazione in sede di collegio di conciliazione e arbitrato. È questo l'effetto che rende conveniente il ricorso a tale procedura;

          2) prevedendo vincoli di attività, se non un vero e proprio termine per la pronuncia da parte del collegio, e le relative conseguenze;

          3) precisando il regime di impugnazione del lodo, vincolando al rispetto delle disposizioni inderogabili di legge e di contratto collettivo, oltre ai vizi del consenso, incapacità e vizi di eccesso di mandato;

          4) intervenendo sul costo economico della costituzione del collegio e sulla riduzione degli oneri dovuti sulle somme acquisite dal lavoratore.

      Il capo I si chiude con la previsione della istituzione di un fondo destinato a partecipare, anche parzialmente, agli oneri sostenuti per effetto di decisioni che modificano provvedimenti che hanno riconosciuto la legittimità del licenziamento.
      Il capo II prevede l'inserimento nel codice di procedura civile di due nuovi articoli, rispettivamente dedicati a fornire certezza e celerità nell'ambito degli accertamenti sanitari connessi a controversie previdenziali e assistenziali obbligatorie e alle cosiddette «controversie in serie o seriali» (articoli 443-bis e 443-ter del codice di procedura civile).
      Il capo III adotta, per quanto riguarda la conciliazione, una soluzione che contempla:

          1) la revisione dell'obbligo del tentativo di conciliazione, da cui sono escluse le controversie previdenziali, le controversie che ricevono trattazione sommaria o d'urgenza, le controversie nell'ambito del lavoro pubblico (articolo 410, secondo comma, del codice di procedura civile);

          2) che la fase conciliativa è una fase precontenziosa a giudizio già iniziato (conciliazione endogiudiziale);

          3) che la difesa tecnica è coinvolta nella fase precontenziosa;

          4) che l'ingiustificata assenza del ricorrente o di entrambe le parti all'udienza fissata per la conciliazione comporta l'estinzione del processo, mentre l'assenza della parte convenuta può dare luogo all'emanazione di un'ordinanza provvisoria di pagamento totale o parziale delle somme domandate o a provvedimenti anticipatori della decisione di merito (articolo 412, primo comma, del codice di procedura civile);

          5) che la conciliazione è tentata dal giudice o dal conciliatore appositamente designato tra quelli iscritti a un apposito albo;

          6) che se la conciliazione è raggiunta, il relativo processo verbale acquista efficacia di titolo esecutivo con decreto del giudice (articolo 411, terzo comma, del codice di procedura civile);

          7) che se la conciliazione non riesce viene redatto verbale con l'indicazione succinta delle ipotesi di soluzione della controversia allo stato degli atti (articolo 412, quarto comma, del codice di procedura civile);

 

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          8) che in qualunque fase della conciliazione, ovvero in caso di esito negativo della conciliazione, le parti possono decidere di affidare allo stesso conciliatore la decisione di risolvere in via arbitrale le controversie.

      La proposta di legge si fonda, quanto alla disciplina dell'arbitrato, sui seguenti princìpi base:

          1) la possibilità di affidare il mandato in via arbitrale allo stesso conciliatore in ogni fase del tentativo di conciliazione (articolo 412-bis, primo comma, del codice di procedura civile);

          2) la possibilità di ricorso all'arbitrato dopo il fallimento del tentativo di conciliazione;

          3) la necessità che la richiesta di deferimento ad arbitri risulti da atto scritto contenente, a pena di nullità, il termine entro il quale l'arbitro dovrà pronunciarsi e i criteri per la liquidazione dei compensi spettanti all'arbitro (articolo 412-bis, secondo comma, del codice di procedura civile);

          4) l'obbligo per l'arbitro del rispetto delle norme inderogabili di legge e del contratto collettivo (articolo 412-bis, terzo comma, del codice di procedura civile);

          5) l'impugnabilità del lodo, per qualsiasi vizio, davanti alla corte d'appello (articolo 412-ter, primo comma, del codice di procedura civile);

          6) l'esecutività del lodo nonostante l'impugnazione (articolo 412-ter, secondo comma, del codice di procedura civile);

          7) il mantenimento della concorrente disciplina arbitrale eventualmente prevista da accordi o da contratti collettivi (articolo 412-quater del codice di procedura civile).

      Va, inoltre, rimarcato che l'autorevolezza del conciliatore deriverà dalla sua nomina, da parte del giudice, attingendo a un albo dei conciliatori esperti in materie giuslavoristiche, tenuto dal presidente del tribunale (articolo 21). Si tratta di una disciplina transitoria. L'iscrizione definitiva avverrà solo dopo il primo anno di attuazione della legge e dopo la frequenza ad appositi programmi di formazione professionale per la preparazione allo svolgimento della funzione di conciliatore e di arbitro (articolo 21, comma 2).
      Quanto alla gratuità, o meno, dell'operato del conciliatore, è prevista la indennizzabilità.
      La norma pertanto, non è senza oneri per lo Stato, essendo l'importo dell'indennità per il conciliatore fissato in 100 euro, qualunque sia l'esito del tentativo di conciliazione, indennità elevata a 150 euro, ove il tentativo si concluda con la conciliazione, e ridotta a 75 euro ove il tentativo non possa essere espletato per mancata presentazione delle parti o del convenuto (articolo 22).

 

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PROPOSTA DI LEGGE

Capo I
CONTROVERSIE IN MATERIA DI LICENZIAMENTI, TRASFERIMENTI, APPOSIZIONE DEL TERMINE

Art. 1.

      1. La disciplina di cui al presente capo si applica alle controversie individuali in materia di:

          a) licenziamenti, anche qualora presuppongano la risoluzione di questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro, ovvero alla legittimità del termine apposto al contratto;

          b) recesso del committente nei rapporti di lavoro economicamente dipendente;

          c) trasferimento ai sensi dell'articolo 2103 e dell'articolo 2112 del codice civile.

Art. 2.

      1. Ai fini di cui all'articolo 1 la domanda si propone con ricorso al tribunale in funzione di giudice del lavoro.
      2. Il giudice, convocate le parti, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede, nel modo che ritiene più idoneo allo scopo urgente del procedimento, all'acquisizione e alla valutazione degli elementi di prova relativi ai fatti allegati, e provvede con ordinanza all'accoglimento o al rigetto della domanda.
      3. Ove la domanda sia proposta ai sensi degli articoli 414 e seguenti del codice di procedura civile, il giudice, anche d'ufficio, dispone con ordinanza che la causa prosegua ai sensi del comma 2.
      4. Il giudice adito in via sommaria, ove rilevi che la causa deve essere trattata

 

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secondo le forme ordinarie, dispone, con ordinanza, il mutamento di rito per la prosecuzione del processo ai sensi degli articoli 414 e seguenti del codice di procedura civile.
      5. Nelle controversie in materia di licenziamento l'onere della prova relativa al numero dei dipendenti occupati dal datore di lavoro grava su quest'ultimo. Resta fermo quanto previsto dall'articolo 5 della legge 15 luglio 1966, n. 604.

Art. 3.

      1. Contro l'ordinanza di cui al comma 2 dell'articolo 2 è ammesso ricorso alla sezione lavoro della corte d'appello, nelle forme di cui all'articolo 414 e seguenti del codice di procedura civile, entro il termine perentorio di trenta giorni dalla comunicazione alle parti dell'ordinanza stessa, a pena di decadenza.

Art. 4.

      1. Il giudice, con l'ordinanza o la sentenza di condanna alla reintegrazione della lavoratrice o del lavoratore nel posto di lavoro, determina la somma dovuta dal datore di lavoro per l'eventuale ritardo nell'esecuzione del provvedimento, entro il limite massimo di quattro retribuzioni globali di fatto giornaliere e il limite minimo di due retribuzioni globali di fatto giornaliere per ogni giorno di ritardo, tenuto conto delle dimensioni dell'organizzazione produttiva.
      2. La lavoratrice o il lavoratore può chiedere, con ricorso al giudice che ha ordinato la reintegrazione, la liquidazione della somma dovuta. L'onere della prova dell'effettiva reintegrazione grava sul datore di lavoro. Il giudice provvede nelle forme di cui al primo comma dell'articolo 669-sexies del codice di procedura civile e decide con ordinanza con la quale liquida le spese del procedimento; il provvedimento è immediatamente esecutivo e contro lo stesso è ammesso reclamo ai sensi

 

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dell'articolo 669-terdecies del medesimo codice di procedura civile.
      3. Le somme corrisposte o ancora da corrispondere alla lavoratrice o al lavoratore ai sensi dei commi 1 e 2 sono irripetibili dal datore di lavoro in caso di riforma del provvedimento con cui è stata ordinata la reintegrazione. In tale caso, la lavoratrice o il lavoratore trattiene solo la somma corrispondente alla retribuzione per il periodo intercorso tra il provvedimento di condanna alla reintegrazione e il provvedimento di riforma. Le ulteriori somme percepite o da percepire sono devolute al fondo di cui all'articolo 11.
      4. In caso di riforma del provvedimento dichiarativo dell'illegittimità del trasferimento, la lavoratrice o il lavoratore è tenuto a restituire le somme già percepite ai sensi dei commi 1 e 2.

Art. 5.

      1. All'articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

          a) al primo comma dopo le parole: «il giudice con» sono inserite le seguenti: «l'ordinanza o»;

          b) al quarto comma dopo le parole: «Il giudice con» sono inserite le seguenti: «l'ordinanza o»;

          c) al quinto comma dopo la parola: «deposito» sono inserite le seguenti: «dell'ordinanza o»;

          d) al sesto comma dopo le parole: «La sentenza» sono inserite le seguenti: «o l'ordinanza»;

          e) al decimo comma dopo le parole: «non ottempera» sono inserite le seguenti: «all'ordinanza o».

Art. 6.

      1. Alle controversie instaurate ai sensi dell'articolo 1 della presente legge non si applicano le disposizioni di cui agli articoli

 

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da 410 a 412-bis del codice di procedura civile.
      2. L'articolo 5 della legge 11 maggio 1990, n. 108, è abrogato.

Art. 7.

      1. Il primo comma dell'articolo 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, è sostituito dal seguente:

      «Il licenziamento del datore di lavoro o il recesso del committente deve essere impugnato a pena di decadenza entro centoventi giorni dalla ricezione della sua comunicazione, ovvero dalla comunicazione dei motivi, ove non contestuale, con ricorso depositato nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro».

      2. Il termine di decadenza, di cui al primo comma dell'articolo 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, come sostituito dal comma 1 del presente articolo, si applica anche ai casi di nullità del licenziamento o del recesso e nonché agli altri casi disciplinati dall'articolo 1 della presente legge.

Art. 8.

      1. Le controversie, sommarie o ordinarie, relative alle materie di cui all'articolo 1 della presente legge devono essere trattate dal giudice con priorità con la sola eccezione dei procedimenti cautelari e di quelli previsti dall'articolo 28 della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni.
      2. La tempestiva trattazione e conclusione delle controversie relative ai provvedimenti di cui all'articolo 1 è assicurata dai responsabili degli uffici anche con apposite misure organizzative.

Art. 9.

      1. All'articolo 3 della legge 11 maggio 1990, n. 108, dopo le parole: «legge 9 dicembre 1977, n. 903,» sono inserite le

 

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seguenti: «nonché dell'articolo 54 del testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, e successive modificazioni,».

Art. 10.

      1. In caso di licenziamento disciplinare, si applica l'articolo 7 della legge 20 maggio 1970, n. 300.
      2. Il datore di lavoro non può adottare il licenziamento prima che siano trascorsi cinque giorni dai ricevimento del provvedimento da parte della lavoratrice o del lavoratore, durante i quali la lavoratrice o il lavoratore può comunicare al datore di lavoro di essere intenzionato a scegliere tra il ricorso in giudizio e la promozione della costituzione del collegio di conciliazione ed arbitrato previsto dal sesto comma dell'articolo 7 della legge 20 maggio 1970, n. 300. La richiesta scritta della promozione della costituzione del collegio deve comunque essere presentata nel termine di venti giorni, ai sensi di quanto stabilito dal medesimo sesto comma dell'articolo 7 della legge n. 300 del 1970.
      3. Il licenziamento intimato dal datore di lavoro rimane sospeso fino alla pronuncia da parte del collegio di conciliazione ed arbitrato.
      4. In caso di licenziamento per giusta causa il datore di lavoro adotta il provvedimento della sospensione cautelare.
      5. Se il datore di lavoro non consente l'attivazione del collegio di conciliazione ed arbitrato, non adempiendo agli obblighi su di lui gravanti, ovvero adisce l'autorità giudiziaria, il licenziamento rimane sospeso fino alla definizione del giudizio.
      6. Il collegio di conciliazione ed arbitrato si pronuncia entro quarantacinque giorni, determinandosi in mancanza la perenzione del procedimento e il mancato pagamento dei compensi di cui al comma 8. È possibile un prolungamento del termine in casi di particolare complessità, documentati da riunioni a cadenza almeno quindicinale.
      7. In caso di emanazione del lodo, si applica quanto previsto dai commi terzo e

 

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quarto dell'articolo 412-bis del codice di procedura civile.
      8. La contrattazione collettiva determina i criteri per la liquidazione dei compensi spettanti al terzo componente del collegio di conciliazione ed arbitrato scelto di comune accordo tra le parti.
      9. Sugli importi monetari riconosciuti a favore della lavoratrice o del lavoratore è riconosciuto il beneficio dell'abbattimento, in misura pari al 50 per cento dell'aliquota applicabile per il calcolo dei contributi di previdenza e assistenza sociale, nonché della ritenuta ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche.

Art. 11.

      1. Con regolamento adottato con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, è disciplinata l'istituzione di un fondo, finanziato con risorse provenienti da datori di lavoro, da lavoratrici o da lavoratori, secondo misure fissate dai contratti collettivi nazionali sottoscritti dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, e destinato a partecipare, anche parzialmente, agli oneri sostenuti per effetto di decisioni che modificano provvedimenti che hanno riconosciuto la legittimità del licenziamento.
      2. Al fondo di cui al comma 1 sono destinate le somme di cui al comma 3 dell'articolo 4.

Capo II
CONTROVERSIE IN MATERIA DI
PREVIDENZA E ASSISTENZA
OBBLIGATORIE

Art. 12.

      1. Dopo l'articolo 443 del codice di procedura civile sono inseriti i seguenti:

      «Art. 443-bis. - (Accertamenti sanitari connessi a controversie di previdenza e assistenza

 

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obbligatorie). - Nei casi in cui l'assicurato o l'assistito abbia presentato ricorso contro un provvedimento relativo a prestazioni previdenziali o assistenziali, che comportino l'accertamento dello stato di condizioni psico-fisiche, l'amministrazione competente, ove non ritenga di accogliere il ricorso, sottopone l'accertamento a un collegio medico, composto da un sanitario designato dall'amministrazione competente, da un sanitario nominato dal ricorrente o dall'istituto di patronato che l'assiste, e da un terzo sanitario nominato dalla responsabile della competente direzione generale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali tra i medici specialisti in medicina legale, o in medicina del lavoro di cui all'articolo 146 delle disposizioni per l'attuazione del presente codice, ovvero tra i sanitari appartenenti ai ruoli di un ente previdenziale diverso da quello che è parte della controversia.
      Espletati gli accertamenti medico-legali, il collegio, coerentemente alle risultanze degli accertamenti, tenta la conciliazione della controversia. In caso di esito positivo, viene redatto un verbale che, sottoscritto dalle parti, è vincolante per le medesime. In caso di esito negativo del tentativo di conciliazione, il presidente del collegio redige una dettagliata relazione medico-legale nella quale dà atto degli accertamenti effettuati e delle conclusioni conseguite nonché dei motivi del dissenso.
      Il compenso dei componenti del collegio, posto a carico dell'amministrazione competente per l'erogazione della prestazione, è determinato in conformità di convenzioni stipulate con la Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri.

      Art. 443-ter. - (Controversie di serie). - In caso di controversie in materia di previdenza e assistenza obbligatorie riguardanti, anche potenzialmente, un numero consistente di soggetti e aventi ad oggetto questioni analoghe, le amministrazioni interessate sono tenute a informare i Ministeri competenti e a promuovere incontri anche con gli istituti di patronato che hanno fornito assistenza nelle medesime

 

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controversie, al fine di chiarire gli aspetti delle questioni in discussione e individuare, per quanto possibile, ipotesi di soluzione.
      In attesa dell'esito degli incontri di cui al primo comma, il giudice, su istanza di parte, può rinviare la trattazione della causa».

Capo III
CONCILIAZIONE E ARBITRATO

Art. 13.

      1. L'articolo 410 del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:

      «Art. 410. - (Tentativo di conciliazione). - Chi intende proporre in giudizio una domanda relativa ai rapporti previsti dall'articolo 409 è tenuto ad esperire il tentativo di conciliazione previsto dai commi terzo e seguenti del presente articolo.
      Sono escluse dall'obbligo di cui al primo comma le controversie riguardanti le seguenti materie:

          a) controversie previdenziali;

          b) controversie per le quali sono stabiliti dalla legge procedimenti sommari o da esperire in via d'urgenza;

          c) controversie relative ai rapporti di lavoro di cui all'articolo 63 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.

      Il giudice, ricevuto il ricorso, ove non possa fissare la comparizione delle parti per condurre personalmente il tentativo di conciliazione o per la trattazione entro il termine previsto dall'articolo 416, entro trenta giorni dalla data del deposito, con proprio decreto designa un conciliatore, liberamente scelto tra quelli contenuti nell'apposito albo, con il compito di esperire entro il termine suddetto il tentativo di conciliazione della controversia.
      Il decreto di cui al terzo comma deve essere emanato entro quindici giorni dalla data di presentazione del ricorso. Il decreto, con allegato il ricorso, fissa il giorno, la data e il luogo stabiliti per la

 

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comparizione delle parti. Il decreto e il ricorso sono notificati al convenuto, a cura dell'attore, entro dieci dalla pronuncia, salvo quanto disposto dall'articolo 417.
      Il convenuto deve costituirsi almeno dieci giorni prima della data fissata per il tentativo di conciliazione, dichiarando la residenza o eleggendo domicilio nel comune presso cui ha sede il giudice, e depositando nella cancelleria del giudice una memoria difensiva. La memoria deve contenere tutti gli elementi difensivi di cui all'articolo 416 e comporta i medesimi effetti processuali.
      Qualora il giudice non abbia fissato l'udienza per il tentativo di conciliazione presso di sé, subito dopo la scadenza del termine per il deposito della memoria difensiva, l'intero fascicolo viene trasmesso al conciliatore.
      Qualora il convenuto proponga domanda in via riconvenzionale a norma del secondo comma dell'articolo 416, con istanza contenuta nella stessa memoria, a pena di decadenza della riconvenzionale medesima, deve espressamente chiedere al giudice lo spostamento della data fissata per esperire il tentativo di conciliazione.
      Il decreto che sposta la data di comparizione, unitamente alla memoria difensiva, è notificato, a cura del convenuto, all'attore, entro dieci giorni dalla data in cui è stato pronunciato.
      Il tentativo di conciliazione di cui al settimo comma, a istanza del ricorrente, non viene esperito nel caso che il ricorrente dimostri di aver effettuato senza esito, prima del giudizio, un tentativo di conciliazione nel rispetto delle modalità di cui ai commi terzo, quarto e quinto dell'articolo 412-quater».

Art. 14.

      1. L'articolo 411 del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:

      «Art. 411. - (Procedura del tentativo di conciliazione). - Il tentativo di conciliazione è da espletare nel termine di trenta giorni e si svolge in un'unica seduta, salvo che il giudice o il conciliatore non ravvisino

 

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concrete possibilità di accordo in tale caso possono rinviare una sola volta la seduta entro un termine non superiore a trenta giorni dalla data iniziale.
      Il giudice o il conciliatore svolgono un ruolo attivo al fine di pervenire alla conciliazione e possono proporre, sulla base degli atti presentati, eventuali proposte di soluzione.
      Se la conciliazione riesce si forma processo verbale che deve essere sottoscritto dal giudice o dal conciliatore, dalle parti e, ove presenti, dai loro difensori. L'autografia della sottoscrizione, o la loro impossibilità a sottoscrivere, è certificata dal giudice o dal conciliatore.
      Ove la conciliazione sia stata raggiunta davanti al conciliatore, questi trasmette il relativo verbale entro cinque giorni alla cancelleria del giudice.
      Il giudice, accertata la regolarità formale del verbale di conciliazione, lo dichiara esecutivo con decreto.
      Sugli importi monetari riconosciuti a favore della lavoratrice o del lavoratore è riconosciuto il beneficio dell'abbattimento, in misura pari al 50 per cento dell'aliquota applicabile per il calcolo dei contributi di previdenza e assistenza sociale, nonché della ritenuta ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche».

Art. 15.

      1. L'articolo 412 del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:

      «Art. 412. - (Mancata conciliazione). - Se entrambe le parti, o la parte che ha presentato il ricorso, non compaiono al tentativo di conciliazione, il giudice o il conciliatore ne dà atto nel processo verbale e il giudice dichiara estinto il processo direttamente o dopo aver ricevuto gli atti dal conciliatore, salvo il caso di motivo riconosciuto giustificato dal giudice o dal conciliatore che, in tale caso, fissa una nuova data per la comparizione entro il termine perentorio di trenta giorni. In caso di mancata comparizione, del convenuto, il giudice o il conciliatore ne dà atto nel processo verbale.

 

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      In caso di mancata comparizione del convenuto, il giudice, ricevuti gli atti nei termini di cui ai commi quarto e quinto, su istanza di parte, può, con accertamento allo stato degli atti, in via provvisoria, emettere un'ordinanza che dispone il pagamento totale o parziale delle somme domandate e disporre, con lo stesso pagamento, ulteriori provvedimenti anticipatori della decisione di merito.
      Se la conciliazione non riesce si redige un verbale del tentativo di conciliazione. In esso le parti possono indicare la soluzione, anche parziale, sulla quale concordano, precisando, quando è possibile, l'ammontare del credito che spetta alla lavoratrice o al lavoratore. In quest'ultimo caso, per la pare su cui si è concordato, il processo verbale acquista efficacia di titolo esecutivo ai sensi di quanto stabilito dal quinto comma dell'articolo 411.
      Nello stesso verbale il conciliatore espone gli estremi del tentativo, le eventuali proposte indirizzate alle parti per pervenire a un accordo, e quanto altro ritenga utile portare alla conoscenza del giudice per il prosieguo del procedimento. Il verbale del tentativo di conciliazione viene acquisito agli atti del processo.
      Il conciliatore, salva l'ipotesi di cui all'articolo 412-bis, trasmette il verbale di mancata conciliazione al giudice entro cinque giorni. Il giudice, salvo che non debba dichiarare estinto il processo ai sensi del primo comma, emette il decreto di fissazione di udienza davanti a sé entro quindici giorni.
      Il provvedimento di fissazione dell'udienza è depositato nella cancelleria del giudice, dove le parti possono prenderne visione. Il decreto è notificato a cura dell'attore al convenuto non costituito, senza pregiudizio degli effetti processuali già verificatisi».

Art. 16.

      1. L'articolo 412-bis del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:

      «Art. 412-bis. - (Risoluzione arbitrale delle controversie). - In qualunque fase

 

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del tentativo di conciliazione, o al suo termine in caso di mancata riuscita, le parti possono affidare allo stesso conciliatore il mandato a risolvere in via arbitrale la controversia.
      Il compromesso deve risultare da atto scritto contenente, a pena di nullità, il termine per l'emanazione del lodo, nonché i criteri per la liquidazione dei compensi spettanti all'arbitro.
      L'arbitro decide sulla controversia nel rispetto delle norme inderogabili di legge e del contratto collettivo di lavoro, sulla base dei documenti in suo possesso e acquisendo, ove necessario, altri mezzi istruttori. Si applica la disposizione del terzo comma dell'articolo 429.
      Il lodo acquista efficacia esecutiva con il deposito presso la cancelleria del giudice.
      Si applica quanto previsto dall'articolo 411, sesto comma».

Art. 17.

      1. L'articolo 412-ter del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:

      «Art. 412-ter. - (Impugnazione del lodo arbitrale). - Il lodo arbitrale può essere impugnato, per qualsiasi vizio, ivi comprese la violazione e la falsa applicazione di legge dei contratti e degli accordi collettivi di lavoro, entro trenta giorni dalla sua notificazione alle parti, davanti alla corte d'appello in funzione di giudice del lavoro.
      L'impugnazione non sospende l'esecutività del lodo».

Art. 18.

      1. L'articolo 412-quater del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:

      «Art. 412-quater. - (Ulteriori modalità del tentativo di conciliazione). - La conciliazione, nelle materie di cui all'articolo 409, può essere svolta presso le sedi previste dai contratti collettivi di lavoro sottoscritti

 

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dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello nazionale, nonché presso le direzioni provinciali del lavoro.
      Gli accordi di conciliazione raggiunti nelle sedi di cui al primo comma, sottoscritti dalle parti interessate e dal conciliatore, acquistano efficacia di titolo esecutivo, ove depositati presso la cancelleria del tribunale competente. Si applica il quinto comma dell'articolo 411.
      Il tentativo di conciliazione effettuato ai sensi del primo comma, ove non si pervenga a una conciliazione, tiene luogo del tentativo di cui all'articolo 410 e determina la procedibilità dell'azione giudiziaria ove sia stato effettuato con le seguenti modalità:

          a) da un conciliatore iscritto all'albo dei conciliatori e degli arbitri istituito presso ogni tribunale, su richiesta congiunta delle parti;

          b) sulla base di memorie scritte dell'attore e del convenuto che illustrano le ragioni di fatto e di diritto della pretesa della resistenza.

      Il verbale del tentativo di conciliazione deve essere redatto e sottoscritto dal conciliatore, dalle parti e, ove presenti, dai loro difensori. In tale verbale il conciliatore espone gli estremi del tentativo, le eventuali proposte indirizzate alle parti per pervenire a un accordo, e quanto altro ritenga utile portare a conoscenza del giudice per il procedimento. A esso devono essere allegate le memorie di cui al terzo comma, lettera b).
      Il verbale di mancata conciliazione è depositato presso la cancelleria del giudice competente unitamente al ricorso di cui all'articolo 414. Il giudice, ove accerti che sono state rispettate le condizioni di cui al terzo comma, e che la domanda corrisponde all'oggetto per il quale è stato esperito il tentativo di conciliazione, procede direttamente a fissare l'udienza di discussione ai sensi dell'articolo 415.
      Il verbale di conciliazione è acquisito agli atti del procedimento e produce tutti

 

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gli ulteriori effetti del tentativo di conciliazione esperito ai sensi degli articoli 410, 411 e 412».

Art. 19.

      1. Dopo l'articolo 412-quater del codice di procedura civile, è inserito il seguente:

      «Art. 412-quinquies. - (Arbitrato in materia di lavoro previsto dalla contrattazione collettiva). - Nell'ambito delle sedi di cui all'articolo 412-quater le parti possono deferire ad arbitri la controversia.
      Il lodo arbitrale è dichiarato esecutivo dal giudice cui è trasmesso a cura delle strutture interessate, nei modi e nei tempi stabiliti dall'articolo 412-ter e dal quinto comma dell'articolo 412-quater, ove sia presente la richiesta scritta con la quale le parti dichiarano di richiedere una pronuncia arbitrale, l'indicazione dell'arbitro o del collegio arbitrale al quale viene richiesto il lodo, la delimitazione dell'oggetto sul quale viene richiesto il lodo, il termine entro il quale il lodo dovrà essere pronunciato.
      Ai lodi di cui al presente articolo si applicano le disposizioni di cui all'articolo 412-ter».

Art. 20.

      1. All'articolo 415 del codice di procedura civile è aggiunto, in fine, il seguente comma:

      «Per i procedimenti per i quali sia esperito il tentativo di conciliazione, i termini di cui ai commi secondo, terzo, quarto, quinto e sesto decorrono dalla data di trasmissione del verbale di mancata conciliazione».

      2. All'articolo 418 del codice di procedura civile è aggiunto, in fine, il seguente comma:

      «Per i procedimenti per i quali sia stato disposto il tentativo obbligatorio di conciliazione, eventuali domande in via riconvenzionale

 

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sono disposte tassativamente con le procedure di cui all'articolo 410».

      3. II primo comma dell'articolo 420 del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:

      «Nell'udienza fissata per la discussione della causa il giudice interroga liberamene le parti presenti. La mancata comparizione delle parti, senza giustificato motivo, costituisce comportamento valutabile dal giudice ai fini della decisione. Le parti possono, se ricorrono gravi motivi, modificare le domande, eccezioni e conclusioni già formulate, previa autorizzazione del giudice».

      4. Il terzo comma dell'articolo 420 del codice di procedura civile è abrogato e al settimo comma del medesimo articolo 420, le parole: «a norma del quinto comma» sono sostituite dalle seguenti: «a norma del quarto comma».
      5. Il quarto comma dell'articolo 420 del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:

      «Quando il giudice ritiene la causa matura per la decisione, o se sorgono questioni attinenti alla giurisdizione o alla competenza o altre pregiudiziali la cui decisione può definire il giudizio, il giudice invita le parti alla discussione e pronuncia sentenza anche non definitiva dando lettura del dispositivo».

Art. 21.

      1. Presso ogni tribunale è istituito un albo dei conciliatori e degli arbitri, di seguito denominato «albo», esperti in materie giuslavoristiche, tenuto dal presidente della sezione lavoro del tribunale stesso.
      2. All'albo possono iscriversi professori universitari di materie giuslavoristiche, avvocati e commercialisti di comprovata esperienza nel campo del lavoro, consulenti del lavoro, funzionari delle direzioni provinciali e regionali del lavoro. Dopo il primo anno di attuazione della presente legge, all'albo possono iscriversi esclusivamente

 

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coloro che hanno frequentato programmi di formazione professionale per la preparazione allo svolgimento delle funzioni di conciliatore e di arbitro e ottenuto la relativa certificazione.
      3. La domanda di iscrizione all'albo, con allegati i titoli che dimostrano il possesso delle necessarie competenze, deve essere presentata al presidente del tribunale, che procede all'esame dei titoli per l'ammissione.
      4. Gli iscritti all'albo svolgono, su nomina del giudice, la funzione di conciliatori delle controversie di lavoro, ai sensi dell'articolo 410 del codice di procedura civile. Essi possono essere nominati in qualità di conciliatori nelle sedi di cui all'articolo 412-quater del codice di procedura civile.
      5. 1 giudici scelgono i conciliatori e gli arbitri tenendo conto della loro esperienza in relazione al tipo di vertenza e con modalità tali da distribuire gli incarichi tra gli iscritti all'albo, evitando profili di incompatibilità.
      6. Il presidente della sezione lavoro del tribunale vigila sul comportamento dei conciliatori, che deve essere improntato all'indipendenza e all'imparzialità nella prestazione del servizio. Egli dispone la cancellazione dall'albo quando ravvisa che non sussistono più le condizioni per il mantenimento dell'iscrizione.
      7. Il tentativo di conciliazione deve essere svolto, per quanto possibile, negli stessi locali ove hanno sede gli uffici giudiziari.
      8. Per le conciliazioni effettuate ai sensi dell'articolo 410 del codice di procedura civile ai conciliatori spetta un'indennità definita con decreto del Ministro della giustizia per ogni vertenza trattata, senza alcuna distinzione in relazione al valore della controversia. Nel caso in cui in sede di conciliazione non siano stabiliti i criteri per la ripartizione dell'onere, esso è diviso in parti uguali tra le due parti.
      9. Per le conciliazioni raggiunte ai sensi dell'articolo 412-quater del codice di procedura civile, il compenso è stabilito dalle strutture presso cui il conciliatore è chiamato,
 

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fermo restando che in mancanza di un accordo per la ripartizione dell'onere, esso è diviso in parti uguali tra le parti.

Art. 22.

      1. Per i primi tre anni dalla data in vigore della presente legge, gli oneri per il pagamento dell'indennità di cui al comma 8 dell'articolo 21 ai conciliatori nominati dal giudice ai sensi dello stesso articolo sono a carico dello Stato.
      2. L'importo dell'indennità di cui al comma 1 è fissato in 100 euro per ogni caso che il tentativo di conciliazione esperito, indipendentemente dal suo esito. Nel caso che il tentativo si concluda con la conciliazione definitiva della controversia, l'indennità è elevata a 150 euro. Nel caso che il tentativo non abbia luogo per la mancata presentazione di entrambi le parti o del convenuto l'indennità è di 75 euro.
      3. Le domande per l'iscrizione all'albo, indirizzate al presidente della sezione lavoro del tribunale, possono essere depositate nella cancelleria o inviate a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento, a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge.
      4. Il presidente della sezione lavoro del tribunale, entro due mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, esaminate le domande presentate ai sensi dell'articolo 21, determina l'elenco degli iscritti all'albo. L'albo è aggiornato con cadenza semestrale.


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