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PDL 1181

XV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 1181



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

MASCIA, ACERBO, CACCIARI, CANNAVÒ, DEIANA, DURANTI, DANIELE FARINA, FOLENA, FORGIONE, FRIAS, LOMBARDI, MANTOVANI, MUNGO, PROVERA

Modifica all'articolo 69 della legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di tutela giurisdizionale dei diritti dei detenuti

Presentata il 22 giugno 2006


      

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Onorevoli Colleghi! - La sentenza della Corte costituzionale 11 febbraio 1999, n. 26, ha finalmente sollevato la questione dell'insufficiente tutela giurisdizionale dei diritti dei detenuti. La Corte ha infatti ritenuto che il nostro ordinamento penitenziario non presenta meccanismi procedurali di garanzia per le persone private della libertà personale di fronte ad atti dell'amministrazione penitenziaria lesivi dei loro diritti. La lettura del combinato disposto degli articoli 35 e 69 della legge 26 luglio 1975, n. 354 (ordinamento penitenziario), evidenzia una lacuna di tutela giurisdizionale: l'articolo 35, infatti, prevede la possibilità per il detenuto di presentare reclamo al magistrato di sorveglianza; ma il successivo articolo 69, al comma 6, prevede una procedura giurisdizionalizzata solo per due casi di reclamo, sicuramente non fra i più ricorrenti nella vita detentiva, ossia: a) l'attribuzione della qualifica lavorativa, la mercede e la remunerazione, nonché lo svolgimento delle attività di tirocinio e di lavoro, e le assicurazioni sociali; b) le condizioni di esercizio del potere disciplinare, la costituzione e la competenza dell'organo
 

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disciplinare, la contestazione degli addebiti e la facoltà di discolpa.
      La Corte costituzionale ha chiarito che: «il procedimento che si instaura attraverso l'esercizio del diritto di reclamo, delineato nell'articolo 35 dell'ordinamento penitenziario, nonché nell'articolo 70 del regolamento di esecuzione (decreto del Presidente della Repubblica 29 aprile 1976, n. 431)» successivamente abrogato dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230, «è, all'evidenza, privo dei requisiti minimi necessari perché lo si possa ritenere sufficiente a fornire un mezzo di tutela qualificabile come giurisdizionale». Nulla, invece, è previsto attualmente circa le modalità di svolgimento della procedura o l'efficacia delle decisioni conseguenti. Solo per quanto concerne il reclamo, si prevede - per coloro i quali, rispetto all'esecuzione delle pene, sono investiti di una specifica responsabilità (l'amministrazione penitenziaria e il magistrato di sorveglianza) - un obbligo di informazione, verso il detenuto che ha presentato il reclamo: un obbligo generico cui non corrisponde alcun rimedio in caso di violazione e che, comunque, è fine a se stesso, non essendo preordinato all'esercizio conseguente di un diritto di impugnativa da parte dell'interessato.
      Rispetto a tale questione, la giurisprudenza, ormai consolidata, ritiene:

          a) che la decisione del magistrato è presa de plano, al di fuori cioè di ogni formalità processuale e di ogni contraddittorio;

          b) che la decisione di accoglimento del reclamo si risolve in una segnalazione o in una sollecitazione all'amministrazione penitenziaria, senza forza giuridica cogente e senza alcuna specifica stabilità;

          c) che avverso la decisione del magistrato di sorveglianza non sono ammessi né ulteriori reclami al tribunale di sorveglianza, né, soprattutto, il ricorso per cassazione.

      Da tutto quanto sopra evidenziato emerge, in maniera inequivocabile, che il reclamo di detenuti o internati, ancorché rivolto al magistrato, non si distingue da una semplice doglianza, in assenza del potere dell'interessato di agire in un procedimento con tutte le garanzie necessarie e dovute, in aperto contrasto con quelle invece previste dalla Costituzione in caso di «violazione dei diritti». E ciò in una situazione in cui la persona detenuta vive in una situazione di privazione della libertà personale e di movimento.
      Non si può non ricordare, a tale proposito, che - come sancisce l'articolo 64 delle regole penitenziarie europee, di cui alla raccomandazione del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa del 12 febbraio 1987 - «la pena detentiva non deve aggravare le sofferenze inerenti ad essa», con espresso riferimento alla «sofferenza» dovuta alla privazione della libertà personale e alla limitazione della libertà di movimento.
      La difficile quotidianità della vita in carcere, e le altrettanto complesse esigenze connesse al trattamento che deve essere finalizzato al reinserimento sociale, impongono il riconoscimento dei diritti fondamentali dei detenuti. Il detenuto deve essere considerato soggetto titolare di diritti e di aspettative legittime che egli deve poter tutelare e difendere senza bisogno di mediazioni.
      Come sottolineato anche da Giancarlo Zappa, già presidente del tribunale di sorveglianza di Brescia, nella sua relazione al Convegno internazionale promosso dall'associazione Antigone sul tema «L'Ombudsman e la tutela dei diritti umani delle persone private della libertà personale», tenutosi a Padova nel 1997, non poteva non meravigliare che dottrina e giurisprudenza continuassero a negare la natura di diritto alle legittime aspettative del detenuto determinate da atti unilaterali dell'amministrazione penitenziaria, atti sui quali peraltro i TAR si erano da tempo dichiarati incompetenti rispetto alle prerogative della magistratura di sorveglianza. Il diritto alla salute, il diritto alle relazioni affettive, il diritto alla corrispondenza riservata, il diritto alla privacy, il diritto al «trattamento» non possono essere liberamente

 

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disponibili proprio perché non è sulla loro compressione che deve fondarsi la carcerazione. Anzi, per dare attuazione al dettato costituzionale, e cioè affinché la pena sia umana e risocializzante, al detenuto deve essere assicurata integrale tutela dei propri diritti riconosciuti dall'ordinamento.
      Con la presente proposta di legge, che scaturisce dalla riflessione e dall'impegno dell'associazione Antigone sulle problematiche del carcere, si vuole rimediare a questa lacuna normativa nel rispetto della decisione della Corte costituzionale, ed anzi dando compiuto seguito alla espressa sollecitazione che ne è venuta al legislatore. La proposta è costituita da un unico articolo che estende le garanzie giurisdizionali previste all'articolo 69, comma 6, dell'ordinamento penitenziario, a tutti i reclami dei detenuti e degli internati concernenti atti dell'amministrazione penitenziaria lesivi dei loro diritti.
      La procedura giurisdizionale che si propone è quella di cui all'articolo 14-ter dell'ordinamento penitenziario, già prevista per le altre ipotesi di reclamo al magistrato di sorveglianza su atti dell'amministrazione penitenziaria, assicurando il diritto al contraddittorio, il diritto alla difesa e, conseguentemente, al ricorso in cassazione. Non vi è dubbio, infatti, che ogni diritto violato meriti simili garanzie. È ovviamente vero che la nuova tutela giurisdizionale dei diritti dei detenuti sollecitata dalla Corte costituzionale potrebbe indurre un carico di lavoro eccessivo per i magistrati, che rischierebbero infatti di essere invasi da istanze di reclamo dei detenuti. Proprio per evitare ciò, e per evitare che la tutela giurisdizionale dei diritti dei detenuti si riduca ad un ulteriore aggravio burocratico per i magistrati di sorveglianza, nel formulare questa proposta di legge si ribadisce la necessità di introdurre nel nostro ordinamento figure non giurisdizionali di tutela dei diritti dei detenuti, così come prefigurato in diverse proposte di legge presentate sia nella scorsa sia nell'attuale legislatura alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica relativamente all'istituzione del Garante dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, abilitato a svolgere efficacemente un ruolo preventivo, mediatorio e propositivo rispetto alle legittime richieste dei detenuti, così riducendo i casi in cui risulti necessario rivolgersi al giudice.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

      1. Il comma 6 dell'articolo 69 della legge 26 luglio 1975, n. 354, è sostituito dal seguente:

      «6. Decide, con ordinanza impugnabile soltanto per cassazione, secondo la procedura di cui all'articolo 14-ter, sui reclami dei detenuti e degli internati concernenti atti dell'amministrazione penitenziaria lesivi dei loro diritti».


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