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PDL 1208

XV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 1208



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

SGOBIO, DILIBERTO, PAGLIARINI, BELLILLO, CANCRINI, CESINI, CRAPOLICCHIO, DE ANGELIS, GALANTE, LICANDRO, NAPOLETANO, FERDINANDO BENITO PIGNATARO, SOFFRITTI, TRANFAGLIA, VACCA, VENIER

Istituzione di un nuovo meccanismo di indicizzazione automatica delle retribuzioni da lavoro dipendente

Presentata il 27 giugno 2006


      

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Onorevoli Colleghi! - Lo scivolamento verso la soglia di povertà di milioni di lavoratori e pensionati è un dato che nessuno può più mistificare, confermato anche dalle indagini dei principali istituti statistici nazionali e internazionali.
      Nel corso degli ultimi tredici anni, infatti, nel nostro Paese, è stata operata una gigantesca rapina, a tutto vantaggio della rendita finanziaria e del grande capitale, ai danni dei redditi da lavoro che hanno registrato una perdita costante, aggravata, inoltre, dalla progressiva riduzione delle tutele sociali, delle prestazioni assistenziali e previdenziali, dall'incremento vertiginoso dei prezzi al consumo, delle tariffe, delle spese per l'istruzione, per le cure sanitarie, per la casa, per i trasporti. Milioni di famiglie di lavoratori e pensionati sono scivolate, dunque, verso la soglia della povertà e, spesso, nell'indigenza. È tornata, dopo decenni dalla sua scomparsa, la cosiddetta sindrome della «quarta settimana» in virtù della quale pur lavorando, il salario non è più sufficiente a coprire le spese sostenute in un intero mese.
      È all'estate del 1992 che occorre risalire per individuare il momento in cui le retribuzioni da lavoro dipendente hanno smesso di crescere, non riuscendo più a tenere il passo del caro vita. In quel periodo, infatti, fu varata la cosiddetta politica dei redditi, sancita dall'accordo interconfederale siglato tra Governo, Confindustria e sindacati, a seguito del quale
 

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venivano definitivamente abrogati gli accordi sindacali e le norme di legge aventi per oggetto l'indicizzazione automatica delle retribuzioni dei lavoratori e delle lavoratrici pubblici e privati all'inflazione rilevata dall'ISTAT, la cosiddetta «scala mobile», che sarebbero stati sostituiti con un modello contrattuale basato sull'inflazione programmata da contrattare, comparto per comparto, ad ogni rinnovo dei contratti collettivi nazionali di lavoro.
      Con l'avvio dei cosiddetti «accordi concertativi» degli anni 1992-1993, che dunque abolirono la scala mobile e introdussero con i rinnovi contrattuali un nuovo automatismo collegato al recupero dell'inflazione programmata, i lavoratori si sarebbero fatti carico della crisi di sistema attraverso la moderazione salariale, ma in contropartita avrebbero dovuto ottenere il severo controllo sui prezzi e le tariffe.
      Ben presto, però, ci si è accorti di quanto la politica dei redditi avesse favorito i soli ricchi, dato che le riforme del salario e del modello contrattuale introdotte dagli accordi concertativi hanno di fatto impedito il miglioramento delle condizioni economiche e sociali dei lavoratori dipendenti, condannandoli a un progressivo impoverimento: la perdita costante di potere d'acquisto subita, a partire da quell'accordo, da salariati e pensionati è stata del 13,3 per cento per gli impiegati e del 9 per cento per gli operai.
      Tali premesse accreditano il sospetto che l'accordo sulla politica dei redditi sia nato con lo scopo di comprimere le rivendicazioni salariali. Con quell'accordo, infatti, fu varato un nuovo sistema per regolare le relazioni tra sindacati confederali, associazioni dei datori di lavoro e Governo, la cosiddetta «concertazione», intesa come metodo di confronto triangolare per affrontare le tematiche che di volta in volta si determinavano, superando nei fatti il sindacato «conflittuale».
      Questa pratica ha favorito nel tempo il rallentamento della crescita delle retribuzioni reali, mentre parti sempre più consistenti dei salari diventavano variabili legate ai rendimenti aziendali.
      Infatti, le dinamiche salariali successive a quell'accordo, basate sul solo recupero dell'inflazione programmata, non solo hanno impedito di avere salario fresco aggiuntivo, ma non sono neanche riuscite a tutelare i redditi da lavoro dall'aumento del costo della vita.
      Peraltro, in un regime di bassi salari, la diminuzione costante del loro valore reale non solo non favorisce lo sviluppo dell'occupazione, ma accompagna la tendenza all'aumento della disoccupazione. Tutti gli indicatori economici confermano inoltre un dato che molti deprecano: ossia la discesa dell'Italia al dodicesimo posto, davanti solo a Portogallo e Grecia, per la consistenza dei salari reali, in un'epoca in cui essi aumentano nel resto d'Europa.
      Per capire meglio quanto sopra affermato, basta guardare l'excursus delle retribuzioni dal dopoguerra in poi, anni certamente difficili e scanditi da scontri di ordine politico e sindacale mirati al miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, in cui parte importante furono i rinnovi contrattuali, mirati a ottenere reali aumenti salariali, e gli accordi interconfederali sulla scala mobile.
      Fino al 1992, la retribuzione era composta da due livelli nazionali, la scala mobile e il rinnovo del contratto nazionale, e dal livello aziendale.
      La scala mobile, introdotta in Italia nel dopoguerra, prima con accordi di comparto e poi con accordi interconfederali (accordi interconfederali del 1945 e 1946), tutelava i salari, gli stipendi e le pensioni, rivalutando gli stessi, con cadenza trimestrale, al tasso di inflazione determinato dall'aumento dei prezzi dei generi di consumo.
      Dal 1975 la scala mobile, applicata sino a quel momento solo all'industria, fu estesa per via di un accordo sindacale alle altre categorie produttive e ai pensionati.
      Il 1982 è l'inizio di una stagione che sferra un pesante attacco al mondo del lavoro, attraverso il ricorso ai licenziamenti politici, all'uso smodato della cassa integrazione al ricatto crescente dei datori di lavoro e con l'aggressione al salario, fino al disconoscimento dell'accordo del
 

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1975 sulla scala mobile; tale clima ha spontaneamente e irrimediabilmente generato l'avvio di uno scontro sociale sfociato in immediati scioperi in tutta Italia.
      Nell'anno successivo, il 1983, CGIL-CISL-UIL e Confindustria firmano un accordo di riduzione del 15 per cento del punto unico di contingenza e congelano i rinnovi contrattuali per diciotto mesi.
      Nel 1984 il Governo Craxi, con decreto-legge, nell'intento di abbassare il costo del lavoro, riduce tre dei dodici punti di contingenza spettanti ai lavoratori per l'adeguamento dell'anno precedente, provocando la grande manifestazione di protesta svoltasi a Roma il 23 marzo 1984, dei 600.000 lavoratori autoconvocati. In tale contesto storico-sociale, al fine di «dirimere» la questione, fu indetto il referendum abrogativo del decreto sulla scala mobile, il cui esito ne determinò la definitiva abrogazione, e a seguito del quale la Confindustria abbandonò immediatamente e unilateralmente l'accordo in vigore, che dal quel momento non fu più applicato.
      Il 31 luglio 1992, con la firma del protocollo triangolare di intesa tra Governo e parti sociali, la scala mobile è stata definitivamente soppressa.
      Oggi, a quasi quindici anni da quell'evento, i lavoratori sono costretti a scioperare per ottenere meno di quanto garantiva loro la vecchia scala mobile.
      Ad abbassare ulteriormente i salari reali sono intervenute le politiche di flessibilizzazione e precarizzazione del lavoro salariato attuate nella XIV legislatura, prima fra tutte l'approvazione della legge n. 30 del 2003, che hanno contribuito a destrutturare la contrattazione collettiva e che si sono rivelate come una delle modalità aggiuntive di decurtazione del salario.
      È quindi necessario prendere atto definitivamente che la politica dei sacrifici necessari, della concertazione, dello scambio di salario contro occupazione è destinata al fallimento, perché alla sua base c'è la pretesa di poter «comporre» gli interessi dei lavoratori con quelli dei loro datori di lavoro.
      Occorre oramai invertire la rotta, affrontando il tema della redistribuzione della ricchezza prodotta dal Paese, sottraendola alla rendita finanziaria, restituendone una quota consistente a chi questa ricchezza produce, cioè ai lavoratori.
      La presente proposta di legge intende definire legislativamente un nuovo meccanismo che difenda in modo automatico il valore reale delle retribuzioni, visto che il rimando alla contrattazione pura e semplice si è dimostrato inefficace a raggiungere tale obiettivo.
      La reintroduzione di un meccanismo automatico di rivalutazione delle retribuzioni costituirebbe un grande elemento di giustizia sociale, tale da ridurre sensibilmente la disuguaglianza prodottasi in questi anni, difendendo i settori più deboli e precari dei lavoratori e riducendo in questo modo notevolmente il ricatto occupazionale. Ripristinare la scala mobile vuol dire tornare ad avere salari in grado di reggere i colpi del caro vita, uscendo dalla assurda situazione che vivono oggi i lavoratori, costretti a scioperare per ottenere una parziale restituzione di quanto perso a causa dell'inflazione.
      Il partito dei Comunisti italiani, a mezzo dei suoi parlamentari, ha già presentato nelle legislature precedenti analoghe proposte di legge per l'istituzione di un nuovo meccanismo di indicizzazione automatica delle retribuzioni da lavoro dipendente.
      Anche oggi con la presente proposta di legge - che sarà affiancata da altre iniziative in difesa del reddito, del diritto a una pensione pubblica dignitosa, contro la precarietà e l'esclusione sociale, interventi che crediamo dovrebbero far parte di una piattaforma sociale che rimetta il mondo del lavoro al centro della politica economica del Paese - intendiamo ripristinare un meccanismo di adeguamento automatico delle retribuzioni, svincolato dai contratti nazionali e utile a restituire dignità ai rinnovi contrattuali, rinnovi che devono servire a ottenere reali incrementi salariali e miglioramenti normativi. Si tratta, a nostro avviso, del solo intervento capace di conservare il valore reale delle retribuzioni
 

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da lavoro dipendente, difendendolo dall'aumento dell'inflazione.
      In particolare, il meccanismo individuato non viola la contrattazione tra le parti sociali né si sostituisce ad essa, ma anzi la presuppone, poiché interviene solo nel caso in cui l'inflazione programmata sia inferiore a quella reale, lasciando inalterati i contenuti degli accordi sindacali vigenti in materia. Riteniamo inoltre che la nostra proposta restituisca alla contrattazione tra le parti i suoi caratteri propri, che non sono quelli di rincorrere l'inflazione, ma di redistribuire socialmente, secondo i rapporti di forza sindacalmente determinatisi, l'aumento di produttività e il conseguente aumento dei profitti e di intervenire nel merito delle questioni normative e organizzative che regolano il rapporto di lavoro e l'esercizio concreto della prestazione lavorativa, con lo scopo di migliorare le condizioni e l'ambiente di lavoro.
      In sostanza, la difesa per legge del valore reale delle retribuzioni è una condizione necessaria e favorevole e non un ostacolo al dispiegarsi della contrattazione sindacale e all'elevamento della qualificazione dei suoi obiettivi.
      Infine, va sottolineato che la vecchia obiezione secondo cui la scala mobile con riadeguamento automatico delle retribuzioni a scadenza trimestrale avrebbe favorito le impennate inflazionistiche appare tesi assai discutibile e, in effetti, sottoposta a radicale contestazione da molti autorevoli economisti, dal momento che il riadeguamento opera solo nel caso del verificarsi di uno scostamento tra la realtà e le previsioni. In tal modo, il meccanismo proposto può, al contrario, fungere da efficace deterrente nei confronti di tendenze all'innalzamento dei prezzi.
      Auspichiamo pertanto la sollecita approvazione della presente proposta di legge, nella convinzione che la salvaguardia del valore reale delle retribuzioni dei lavoratori e delle lavoratrici dipendenti di fronte a un'inflazione che le sole intese pattizie non riescono a neutralizzare rappresenti la più corretta applicazione del dettato costituzionale relativo al diritto della lavoratrice e del lavoratore a percepire costantemente nel tempo una retribuzione adeguata dalla quantità e alla qualità del proprio lavoro.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

      1. Al fine di tutelare i salari e gli stipendi dei lavoratori dipendenti dall'aumento dei prezzi e delle tariffe, la presente legge disciplina l'adeguamento automatico e periodico dei salari e degli stipendi.
      2. Ai fini di cui al comma 1, le retribuzioni mensili corrisposte dai datori di lavoro pubblici e privati ai propri lavoratori dipendenti sono incrementati, con cadenza trimestrale, di un ammontare determinato applicando alla retribuzione di cui all'articolo 27 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1955, n. 797, e successive modificazioni, corrisposto nel trimestre precedente, la percentuale stabilita con la procedura di cui al comma 3 del presente articolo.
      3. Le retribuzioni di cui al comma 2 sono incrementate, con cadenza trimestrale, dell'importo determinato con la seguente procedura:

          a) l'indice ISTAT relativo all'andamento dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati è fissato convenzionalmente a 100, alla data di entrata in vigore della presente legge, ai fini del computo di cui alla lettera b);

          b) per ogni variazione pari a un punto percentuale dell'indice ISTAT, come fissato convenzionalmente alla lettera a), è corrisposto un incremento di retribuzione nella misura dell'80 per cento della suddetta variazione, ai sensi del secondo comma dell'articolo unico della legge 13 agosto 1980, n. 427, e successive modificazioni;

          c) ai fini di cui alla lettera b), le frazioni di punto pari o superiori allo 0,50 per cento sono arrotondate all'unità superiore.

 

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      4. Il Presidente del Consiglio dei ministri, con proprio decreto da adottare con cadenza trimestrale, stabilisce l'ammontare dell'incremento di retribuzione di cui al comma 2 calcolato in base a quanto previsto dal comma 3.
      5. Le pensioni erogate dagli enti previdenziali pubblici e privati, nonché le indennità di disoccupazione, di cassa integrazione guadagni, straordinaria e ordinaria, e di mobilità sono integrate con la medesima periodicità e nella stessa misura stabilite ai sensi dei commi 2 e 3.
      6. Alla quantificazione e alla copertura degli eventuali oneri derivanti dall'applicazione della presente legge si provvede annualmente in sede di legge finanziaria.
    


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