Frontespizio Relazione Progetto di Legge

Nascondi n. pagina

Stampa

PDL 1528

XV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 1528



 

Pag. 1

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa del deputato BALDUCCI

Introduzione dell'articolo 635-ter del codice penale
in materia di inquinamento idrico.

Presentata il 31 luglio 2006


      

torna su
Onorevoli Colleghi! - Il gravissimo stato di inquinamento delle nostre acque pubbliche impone oggi una rinnovata riflessione sugli strumenti preventivi e repressivi di contrasto al fenomeno dilagante delle gravi e grandi illegalità di settore.
      Il mercurio liquido riversato in mare con effetti devastanti per la salute pubblica e per l'ambiente è stato purtroppo solo uno dei più famosi e recenti casi di cronaca che hanno ancora una volta evidenziato la drammaticità di un fatto criminale che non è più - come un tempo - connesso solo a violazioni formali o comunque di ordinario livello entro il contesto degli scarichi illeciti o comunque non autorizzati, ma si è ormai evoluto - grazie a decenni di scarso freno antagonista a livello istituzionale - in un vero e proprio fenomeno delittuoso sistematico e diffuso.
      Servono dunque strumenti giuridici nuovi di contrasto per opporsi ai livelli di maggiore gravità degli inquinamenti idrici illegali.
      La normativa di settore - per quanto sembri paradossale - da sempre è tesa a realizzare un sistema che regolamenta gli scarichi, ma non è inibente in senso prioritario e assoluto verso forme di inquinamento con danno ambientale, tanto è vero che nel contesto di tale storica normativa il principio di fondo è sempre stato (fin dal tempo della legge n. 319 del 1976) che a livello sanzionatorio si deve provare non un danno ambientale, ma il superamento dei limiti tabellari previsti dalla norma. Il reato è formale e non sostanziale (è «inquinante» in modo illecito non lo scarico che provoca un danno, ma quello che supera i parametri stabiliti dalle tabelle previste dalla norma). La prova è dunque sostanzialmente connessa al sistema dei prelievi e delle successive analisi.
 

Pag. 2


      Vediamo infatti che la norma attuale conserva comunque in se stessa un inevitabile vizio genetico di fondo, che non può caratterizzarla come una norma che prevede il danno sostanziale a livello di previsione normativa rispetto all'elemento che viene indicato come «corpo ricettore». Infatti, già la terminologia di corpo ricettore in qualche modo astrae dalla coerenza di tutela ambientale e dalle moderne concettualità rispetto agli habitat e agli ecosistemi naturali. Ma al di là della terminologia conta molto la sostanza. Sotto questo profilo grandi innovazioni rispetto alla citata legge del 1976 non si sono registrate nel rinnovato sistema disciplinatorio in quanto, comunque, il danno previsto anche dal recente decreto legislativo n. 152 del 2006 in ordine alla situazione di «inquinamento» non è il danno sostanziale sulle acque intese come elemento biologico, naturale e paesaggistico, bensì il superamento del livello tabellare. Superamento del livello tabellare è cosa ben diversa dallo stato di inquinamento idrico come danno ambientale in senso stretto. Si veda sul punto la Cassazione, che aveva sottolineato come «il reato di cui all'articolo 51 del decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152, costituisce reato di pericolo, che prescinde dalla prova concreta di un danno. L'inquinamento è considerato presunto dal legislatore allorché siano stati superati determinati valori limite di emissione: al di sotto dei limiti l'inquinamento è ritenuto accettabile dal sistema legale, mentre quando sia superata la soglia di accettabilità viene commesso il reato» (Cassazione penale - sezione III - sentenza del 21 febbraio 2000, n. 1928 - presidente Papadia). Principio assolutamente valido anche in vigenza del citato decreto legislativo n. 152 del 2006, che non va ad intaccare minimamente la concettualità di fondo dell'illecito generale previsto dallo stesso impianto normativo, che è sempre un illecito non di sostanza ma di pura forma. Infatti per il decreto legislativo n. 152 del 2006, come del resto a suo tempo per la legge n. 319 del 1976 e poi per il decreto legislativo n. 152 del 1999, non è inquinante ciò che causa un danno sostanziale e biologico in senso diretto all'elemento acqua (classificato sempre come «corpo ricettore») bensì la violazione delle tabelle allegate alla norma, cioé dei limiti di accettabilità.
      Il fatto che il punto di prelievo deve essere situato prima dell'attingimento dello scarico sul corpo ricettore e cioé sull'elemento idrico che riceve lo scarico, conferma in modo inequivocabile il carattere formale e non sostanziale della norma e del relativo danno illecito. Infatti, l'eventuale illecito (amministrativo o penale) scatta non andando ad esaminare l'effetto dello scarico sull'elemento idrico che lo ha ricevuto, bensì un minuto prima di questo contatto e cioé nel pozzetto di ispezione che rappresenta l'ultimo stadio della traccia dello scarico prima che quest'ultimo si riversi nell'elemento idrico stesso. Quindi si deve dedurre in modo inequivocabile che nell'ottica normativa, disciplinare e soprattutto sanzionatoria, anche del recente decreto legislativo n. 152 del 2006, l'effetto che poi quello scarico, in tabella o fuori tabella, sortirà sul corpo ricettore è totalmente e sostanzialmente irrilevante (soltanto in modo indiretto e incidentale sarà letto nel contesto del discorso sulla bonifica in caso di inquinamento illecito). Quindi il concetto comunque torna sempre all'origine. Si deve andare ad appurare una violazione del decreto legislativo. Ma quali sono le violazioni che santificano e ufficializzano il concetto di inquinamento? Non sono mai violazioni di danno sostanziale sull'elemento acqua, ma sempre e comunque violazioni di tipo formale, cioé violazioni delle tabelle. La misurazione della violazione tabellare, si ripete e si ribadisce, va effettuata nel pozzetto di ispezione sulla linea dello scarico e non nel corpo ricettore. Quindi la violazione è meramente formale e numerica e non sostanziale rispetto all'entità del danno reale nell'elemento di acqua che riceve lo scarico. La giurisprudenza della Cassazione ha creato così i «reati satelliti».
 

Pag. 3


      Dopo l'entrata in vigore delle norme del citato decreto legislativo n. 152 del 2006 in materia di scarichi e tutela delle acque (che è identico sul punto al previgente decreto legislativo n. 152 del 1999) continua ad assumere particolare e primaria importanza sottolineare che concorrono anche con gli illeciti previsti dalla nuova normativa il reato di danneggiamento aggravato in acque pubbliche (articolo 635 secondo comma, numero 3), del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al codice penale) e il reato di violazione al vincolo paesaggistico-ambientale previsto dal decreto legislativo n. 42 del 2004, quando il corso d'acqua o il lago o il tratto di mare risulti «danneggiato» sotto il profilo biologico (moria di pesci, soffocamento della flora acquatica, eccetera) o sotto il profilo paesaggistico (coltri di schiume, acque colorate, eccetera).
      Dunque, mentre il sistema sanzionatorio della normativa di settore è potenzialmente limitato a tali mancati rispetti formali e oltretutto è vincolato, di fatto, al sistema dei prelievi e delle analisi di laboratorio che richiedono sempre un tecnico in loco, il quale non sempre è reperibile, di fatto oggi sul territorio si applica in modo sistematico da parte della polizia giudiziaria e della magistratura il reato virtuale del danneggiamento aggravato riferito alle acque pubbliche.
      Si tratta di una realtà oggettiva ultraventennale che - basandosi su una elaborazione giurisprudenziale, seppure sistematica - è comunque distonica rispetto alla certezza del diritto in senso oggettivo e soggettivo. Si rende dunque necessaria una evoluzione normativa che - partendo da questo dato storico e reale - traduca in termini legislativi certi, organici e puntuali i concetti di diritto connessi a tale costruzione giurisprudenziale che - va sottolineato - fino ad oggi è stata l'unico reale strumento giuridico di contrasto contro i grandi crimini di inquinamento idrico.
      Oltretutto, le procedure per la normativa di settore sono complesse e ricche di possibili irregolarità formali, che spesso provocano la nullità di tutto il complesso di prove analitiche (si pensi, ad esempio, che una irregolare notifica formale del giorno e dell'ora delle analisi in laboratorio al titolare dello scarico genera inesorabilmente nullità di tutto il procedimento nonché dei prelievi e dei successivi esami); e in questo contesto sono del tutto inutili foto o altri documenti sullo stato di danno reale del corso d'acqua che è solo un «corpo ricettore». Dunque, per un organo di polizia non «tecnico» è praticamente difficilissimo trovare la prova di questi illeciti. Per un privato o un attivista di una associazione ambientalista le difficoltà aumentano di conseguenza.
      Nella elaborazione giurisprudenziale del reato di danneggiamento delle acque pubbliche - invece - assicurare la prova di tale reato è molto più semplice, perché si può prescindere da prelievi e da campioni e ogni mezzo è utile in alternativa.
      Si propone dunque di rendere norma di legge una prassi giurisprudenziale e dottrinaria che vede un reato-delitto per chiunque danneggi mediante immissioni di inquinamento acque pubbliche, indipendentemente dalla fonte e dagli strumenti utilizzati.
      Si sottolinea che un rinnovato sistema normativo sull'inquinamento che si illuda di poter affrontare efficacemente la realtà di illegalità sviluppatasi nel settore, con innesto non raro della malavita organizzata, non presenta alcuna possibilità di successo contro i grandi e medi smaltimenti illeciti di reflui ad elevato rischio ambientale, basandosi solo sulle sanzioni innestate sulle leggi di settore che sono tese a regolamentare gli scarichi, ma tutt'al più potrà essere utilizzato per controllare e perseguire le piccole e modeste violazioni di aziende che non hanno scelto di ricorrere ai criteri illeciti, comunque organizzati e per tale motivi occulti, e contro i quali soltanto un'attività investigativa aggressiva e altamente professionale, dotata di strumenti procedurali e sanzionatori efficaci, può sperare di sortire degli effetti concreti.
      Nel contempo, e questo è un punto altrettanto rilevante e pregiudiziale, va sottolineato che la disciplina dettata dalla norma di settore ha creato una stratificazione di princìpi e di concetti che, alla
 

Pag. 4

fine, si è tradotta spesso in un geroglifico inaccessibile che ha generato confusioni e incertezze applicative e interpretative.
      Ciò ha reso difficile, spesso traumatica, l'applicazione sistematica della norma giacché, da un lato, coloro che erano destinatari degli obblighi hanno spesso trovato difficoltà nel percepire l'esatta natura ed entità delle procedure da seguire e, dall'altro, coloro che erano destinati a verificare il rispetto di questi obblighi non chiari non avevano a loro volta, ed è naturale, un quadro lineare della situazione impositiva e regolamentativa.
      Si sono così generati, in un paradosso esemplificativo, eccessi di zelo aziendale inutili, omissioni aziendali in buona fede ma non giustificabili formalmente, controlli e denunce di estrema rigidità, omissioni totali e sistematiche di verifiche e di denunce per casi più gravi, ma difficili da capire e da controllare.
      In questo alveo di realtà di fatto hanno proliferato i soggetti in malafede che, sfruttando la farraginosità delle norme, hanno approfittato per eludere tutto e tutti, dando luogo a un sistema di illegalità diventato diritto acquisito e, contestualmente, i «sonnolenti» organi di vigilanza hanno trovato facili scusanti per giustificare la loro «narcosi».
      La chiarezza espositiva normativa per un delitto di inquinamento da ricollegare ai casi gravi e criminali è dunque un dato preliminare e irrinunciabile. Se i princìpi sono pochi e chiari, tutti li percepiscono (e li possono percepire) e si può dunque pretenderne il rispetto con serenità e tranquillità. Il principio chiaro crea lo spartiacque tra chi opera con onestà e chi ricorre alla malafede per creare «cortine fumogene».
      Oggi vi è necessità di norme brevi, chiare e immediatamente applicabili e verificabili. In questo e in tutti gli altri campi della legislazione ambientale.
      Ed è stata questa la linea di principio di fondo che ha ispirato la strutturazione del sistema sanzionatorio che si propone.
      La ragione principale dell'inserimento di tale nuova fattispecie criminosa nell'ambito del codice penale risiede in una maggiore attitudine alla sintesi della normazione codicistica e per una finalità che si potrebbe definire di «orientamento culturale» dei cittadini, volta a identificare a livello normativo-codicistico i beni giuridici fondanti la convivenza civile nella società.
      Da ciò emerge una seconda caratteristica delle fattispecie criminose in questione, e cioé il passaggio dalla tradizionale utilizzazione in ipotesi del genere di figure contravvenzionali allo strumento maggiormente repressivo del delitto, e ciò per esprimere soprattutto il ben maggiore disvalore di tali violazioni e, inoltre, per evitare che entrino in funzione quei meccanismi prescrizionali tanto frequenti nelle contravvenzioni.
 

Pag. 5


torna su
PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

      1. Dopo l'articolo 635-bis del codice penale è inserito il seguente:

      «Art. 635-ter. - (Inquinamento idrico). - Chiunque introduce, in violazione di specifiche disposizioni normative, nelle acque pubbliche superficiali o sotterranee, sostanze solide o liquide o semiliquide o fangose, in modo da determinare il pericolo di un rilevante deterioramento dello stato dell'acqua o del suolo, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 20.000 a euro 200.000.
      La pena è da due a sei anni e la multa da euro 50.000 a euro 400.000 se il deterioramento si verifica o se dal fatto deriva un pericolo per la vita o l'incolumità delle persone.
      La pena è della reclusione da tre a dieci anni e della multa da euro 100.000 a euro 500.000 se dal fatto deriva un disastro ambientale o se il fatto è commesso in una zona naturale protetta.
      Le pene sono aumentate se il fatto è commesso da un associato per delinquere ai sensi degli articoli 416 e 416-bis quando la commissione del reato rientra tra le finalità dell'associazione.
      Quando i delitti previsti dal presente articolo siano commessi per colpa, si applicano le pene rispettivamente stabilite ridotte di un terzo.
      La condanna per alcuno dei delitti previsti dal presente articolo comporta:

          1) l'interdizione temporanea dai pubblici uffici;

          2) l'interdizione temporanea dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese;

          3) l'incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione;

 

Pag. 6

          4) la pubblicazione della sentenza penale di condanna.

      Per i delitti previsti dal presente titolo, con la sentenza di condanna e con quella prevista dall'articolo 444 del codice di procedura penale, il giudice ordina il ripristino dello stato dei luoghi nei modi tecnicamente possibili, demandando per l'esecuzione la polizia giudiziaria, con spese a carico del soggetto responsabile».


Frontespizio Relazione Progetto di Legge
torna su