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CAMERA DEI DEPUTATI
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N. 1346 |
i lavoratori del Mezzogiorno;
i lavoratori che risiedono in centri urbani medio-piccoli;
le donne (28 per cento, contro il 12 per cento degli uomini);
le persone con meno di venticinque anni (36 per cento);
le persone con un grado di istruzione inferiore alla licenza media (32 per cento);
i lavoratori che operano nel settore privato (21 per cento contro il 5 per cento degli impiegati del settore pubblico);
i lavoratori con contratto a termine (il 40 per cento di questi, una misura di oltre tre volte superiore all'incidenza dei lavoratori a tempo indeterminato, pari all'11 per cento);
chi opera nel settore dell'agricoltura, caccia e pesca (rappresentano il 50 per cento dei lavoratori a basso reddito) e chi svolge professioni non qualificate (il 42 per cento).
Percepire un basso reddito da lavoro non si traduce necessariamente in una situazione di disagio economico. In realtà, solo nel 28,7 per cento dei casi i bassi redditi da lavoro rappresentano le uniche entrate da lavoro della famiglia (circa 1.212.000 persone, nel 45,5 per cento dei casi una donna), contro il 71,3 per cento di coloro che vivono in famiglie con due o più redditi da lavoro (78,2 per cento nel Nord e 63,9 per cento nel Mezzogiorno). Inoltre, dei 4,2 milioni di percettori di bassi redditi da lavoro, il 34,4 per cento, pari a 1,5 milioni di unità, vive in contesti familiari disagiati. Di questi poco più di 765 mila sono genitori (l'85,5 per cento in coppia), 135.000 risultano coniugi/partner in coppie senza figli e 268.000 sono figli; infine 235.000 sono persone sole.
Le indicazioni che si traggono dall'analisi degli indicatori di deprivazione mostrano che almeno una volta negli ultimi dodici mesi una famiglia italiana su venti non ha avuto risorse economiche sufficienti per acquistare il cibo, quasi una famiglia su dieci ha incontrato difficoltà nell'affrontare le spese per cure mediche e la stessa percentuale si è trovata almeno una volta nell'anno in arretrato con il pagamento delle bollette. Le famiglie in cui sono presenti figli minori e quelle composte da persone sole rappresentano le tipologie più spesso associate a condizioni di disagio e maggiormente esposte al ritardo nei pagamenti. Le condizioni di deprivazione sono maggiormente stringenti nel Mezzogiorno.
I segnali di disagio economico trovano conferma negli indicatori relativi alla percezione da parte delle famiglie rispetto alle difficoltà ad arrivare a fine mese, a risparmiare e a sostenere il carico delle spese per la casa, per pagare l'affitto, il mutuo e per gli altri debiti diversi dal mutuo.
Per ciò che riguarda la qualità degli alloggi in Italia nel 2004, si può osservare che la mancanza delle dotazioni di base riguarda una quota molto modesta di famiglie. Tali circostanze, che si verificano in modo piuttosto uniforme sul territorio, si addensano nelle situazioni di maggiore disagio economico. Difetti importanti nell'abitazione di residenza sono più frequenti nel Mezzogiorno rispetto ai corrispondenti valori medi nazionali.
L'incidenza delle spese per l'abitazione sul reddito è del 9,2 per cento per le famiglie più ricche e del 30,7 per cento per le più povere (in particolare, quelle che vivono in
circa una famiglia su quattro del Mezzogiorno, dove risiede il 69 per cento delle famiglie e il 72 per cento delle persone povere;
quasi un quarto delle famiglie numerose (con tre e più figli minorenni);
tre volte di più gli anziani soli e le coppie di anziani rispetto a singoli e coppie in cui la persona di riferimento ha un'età inferiore ai sessantacinque anni;
quattro volte di più le famiglie dove due o più componenti sono in cerca di occupazione;
anche le famiglie con occupazioni stabili, a basso profilo professionale e quindi a basso reddito.
Un'analisi multivariata, che tiene conto contemporaneamente di molte variabili, applicata ai dati dell'indagine sui consumi delle famiglie nel 2004, individua quattro distinti gruppi di famiglie povere, differenziate in base alle principali caratteristiche strutturali della povertà:
1) quelle unipersonali con persona di riferimento anziana: questo gruppo è caratterizzato dalla maggiore presenza di persone di riferimento donna, anziana, generalmente sola, rappresenta il 19,1 per cento con 511.000 famiglie e 689.000 individui;
2) le coppie anziane con persona di riferimento ritirata dal lavoro: 33,2 per cento, pari a circa 887.000 famiglie e oltre 2 milioni di individui;
3) le famiglie con persona di riferimento in cerca di occupazione residenti nel Mezzogiorno: 8,1 per cento, per un ammontare di 216.000 famiglie e 713.000 individui; raccoglie le situazioni di maggiore difficoltà;
4) le famiglie sempre residenti nel Mezzogiorno con persona di riferimento occupata in attività a basso contenuto professionale: il 39,7 per cento delle povere, per un ammontare di circa 1 milione di famiglie e 4 milioni di individui; mostrano un grado di povertà mediamente inferiore a quello degli altri gruppi.
Questi dati ci illustrano un fenomeno che va combattuto attraverso meccanismi di redistribuzione del reddito che ottengano una ripartizione migliore delle risorse tra i diversi strati di cui è composta la popolazione.
Le politiche di lotta alla povertà, come sappiamo, perseguono un duplice obiettivo: da un lato, costruire una rete di sicurezza, allo scopo di garantire ad ogni persona un livello minimo di sussistenza, promuovendone allo stesso tempo il reinserimento sociale; dall'altro, prevenire le situazioni di povertà e di esclusione, attraverso misure che, agendo specificamente sui fattori responsabili di tali fenomeni, sappiano agire a favore degli individui «a rischio», prima che si rompano i legami dell'inclusione sociale. Da un'analisi di questo tipo possono scaturire risposte di strategie politiche molto più articolate e quindi maggiormente efficaci. Ad esempio, per le situazioni di povertà cronica e profonda - che si configurano spesso come casi di vera e propria esclusione sociale - si dovrà agire sul lato della spesa, assicurando interventi di assistenza e di reinserimento; per i soggetti vicini alla
1. In attuazione dei princìpi di cui all'articolo 3 della Costituzione, è istituito un sistema di rilevazione precoce dei rischi di povertà, al fine di prevenire le situazioni di degrado e di perdita totale e irreversibile delle capacità e delle risorse economiche dei soggetti ritenuti a maggiore rischio.
2. Il sistema di rilevazione precoce dei rischi di povertà è strutturato ai sensi dell'articolo 2 ed è fondato su una serie di parametri che consentono di:
a) acquisire i dati necessari per la conoscenza, il monitoraggio e la previsione delle situazioni di povertà;
b) fornire gli elementi di informazione sulle evidenze riscontrate ai fini dell'attuazione di una adeguata politica di intervento;
c) supportare la definizione di strategie di intervento, valutandone gli effetti nel tempo.
3. Il sistema di rilevazione precoce dei rischi di povertà è adottato come metodo ufficiale di rilevazione della fascia di popolazione situata al di sopra della soglia di povertà, come definita ai sensi dell'articolo 2, comma 4.
4. Il sistema di rilevazione precoce dei rischi di povertà può essere utilizzato dalle amministrazioni e dagli enti pubblici e privati, titolari di competenze relative all'indagine delle condizioni economiche della popolazione e all'adozione delle politiche sociali di sostegno nonché degli interventi finalizzati alla rimozione dei fattori di rischio di povertà, ai sensi di quanto previsto dalla legge 8 novembre 2000, n. 328.
1. Il sistema di rilevazione precoce dei rischi di povertà è strutturato in due componenti fondamentali: gli indicatori quantitativi e gli indicatori di contesto.
2. Gli indicatori quantitativi forniscono una valutazione teorica della relazione funzionale tra benessere, bisogni, risorse e capacità di utilizzare in modo proficuo queste ultime. Ai fini dell'impiego di tali indicatori e tenuto conto della impossibilità pratica di misurare la capacità di far buon uso delle risorse, si considera il benessere quale rapporto esclusivamente tra risorse e bisogni, intendendosi per le risorse le spese per beni di consumo e il reddito pro-capite. I bisogni sono stimati in base alle caratteristiche familiari utilizzando un coefficiente di equivalenza, il quale indica, rispetto alla famiglia standard di riferimento, composta da due persone, di quanto necessita una famiglia con caratteristiche diverse per godere dello stesso tenore di vita. I coefficienti di equivalenza sono i seguenti:
a) famiglia composta da una persona: 0,60;
b) famiglia composta da due persone: 1,00;
c) famiglia composta da tre persone: 1,33;
d) famiglia composta da quattro persone: 1,63;
e) famiglia composta da cinque persone: 1,90;
f) famiglia composta da sei persone: 2,16;
g) famiglia composta da sette o da più persone: 2,40.
3. Al fine di individuare la soglia di povertà e la soglia di allerta sociale, entro le quali si collocano le posizioni di rischio di povertà, sono utilizzate le seguenti variabili economiche:
a) reddito disponibile netto;
b) spesa complessiva;
c) spese per generi alimentari e per bevande non alcoliche;
d) spese per bevande alcoliche e per tabacchi;
e) spese per vestiario e per calzature; spese relative all'abitazione, per i servizi di fornitura di acqua, elettricità, gas e di eventuali altri combustibili;
f) spese per arredo, per elettrodomestici e per manutenzione dell'abitazione; spese per servizi sanitari; spese per trasporti; spese per comunicazioni;
g) spese per servizi e beni ricreativi e culturali; spese per istruzione; spese per alberghi, per ristoranti e per altri servizi del settore turistico e della ristorazione; spese per beni e per servizi di natura diversa da quelli elencati al presente comma;
h) numero di automobili possedute dal nucleo familiare;
i) numero dei componenti del nucleo familiare;
l) numero di soggetti ultrasessantacinquenni appartenenti al nucleo familiare o aventi il proprio domicilio presso di esso.
4. La soglia di povertà è individuata mediante la seguente procedura:
a) individuazione del valore medio nazionale pro-capite di ciascuna variabile economica indicata al comma 3 rilevata dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) risultante per l'anno d'interesse;
b) assunzione del valore medio nazionale pro-capite di cui alla lettera a) quale parametro di soglia della povertà per la famiglia standard composta da due persone;
c) calcolo della soglia di povertà per le famiglie composte da un numero variabile di persone, moltiplicando il valore medio nazionale pro-capite per i rispettivi coefficienti di equivalenza.
5. La soglia di allerta sociale si ottiene maggiorando la soglia di povertà individuata ai sensi del comma 4 del 20 per cento.
6. I dati forniti dall'ISTAT, dall'Istituto nazionale della previdenza sociale, dal Ministero dell'economia e delle finanze, dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, dalle regioni, dalle province, dai comuni e dalle aziende sanitarie locali consentono di rilevare il numero di famiglie che rientra nelle soglie di cui ai commi 3, 4 e 5. Tale numero costituisce un indicatore statico di allerta; rapportandolo al totale della popolazione, si ottiene l'indice di diffusione della povertà il quale consente una mappatura territoriale e per categoria lavorativa dell'allerta sociale. Dalla variazione percentuale degli indicatori quantitativi e degli indici di diffusione si ricavano gli indicatori dinamici che servono a monitorare le dinamiche di impoverimento.
7. Gli indicatori di contesto permettono di inquadrare i fenomeni di allerta sociale in base al contesto socio-culturale del territorio di appartenenza, ai fattori ambientali, alle strutture istituzionali e amministrative, alle reti dei servizi sociali e sanitari accessibili, nonché alla sicurezza al fine della redazione di una mappatura qualitativa dei processi di impoverimento.
8. Ai fini di cui al comma 7, gli indicatori di contesto per individuare i fattori di rischio sociale e ambientale di macro-aree socio-economiche sono i seguenti:
a) habitat: scarsa qualità dell'ambiente di vita;
b) salute: scarsa qualità dei processi di prevenzione e di tutela della salute;
c) lavoro: inadeguata possibilità di accesso al mondo del lavoro e precarietà della condizione lavorativa;
d) risorse umane: inadeguate promozione e tutela delle risorse umane e locali;
e) sicurezza: presenza di forme criminali nel territorio e di altri fattori di
f) famiglia: elementi di crisi della struttura familiare;
g) comunicazione: difficoltà di accesso ai mezzi di comunicazione;
h) pubblica amministrazione: scarsa qualità dei servizi erogati;
i) rappresentanza: presenza di discriminazione su base sessuale, religiosa, razziale, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali;
l) inserimento sociale: assenza di reti sociali informali;
m) consumi: difficoltà di accesso a beni e servizi non essenziali.
9. Per valutare ogni macro-area di rischio di cui al comma 8 si utilizza un insieme di almeno cinque indicatori, che possono differire da un'area all'altra. L'obiettivo finale è la determinazione di un indicatore complessivo di contesto da utilizzare quale coefficiente correttivo degli indicatori quantitativi di cui al comma 2, che può assumere valori maggiori, minori o uguali a uno a seconda che vi siano condizioni al di sopra, al di sotto o esattamente in corrispondenza del livello standard di rischio su base nazionale.
10. L'analisi dei rischi socio-ambientali è costituita da:
a) delimitazione territoriale;
b) selezione dei fenomeni rilevanti;
c) formazione di gruppi di analisi locali con il compito di rilevare l'evoluzione della situazione di rischio sulle aree territoriali di competenza. Ogni gruppo sarà composto da tre a dieci persone, scelte tra rappresentanti delle amministrazioni locali, membri delle Forze di polizia, assistenti sociali, sacerdoti, ricercatori presso uffici studi con rilevanza regionale, rappresentanti di associazioni della cittadinanza, rappresentanti dei servizi sanitari locali e della dirigenza sanitaria;
d) interpretazione dei dati ed elaborazione di mappe territoriali per ogni sub-area e per gruppi di sub-aree.
11. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta della commissione di cui all'articolo 3, sono ulteriormente specificati gli indicatori di cui al presente articolo, ne sono stabilite le relative modalità di applicazione e si provvede all'eventuale revisione e aggiornamento degli indicatori medesimi, sulla base delle indicazioni fornite dalla citata commissione ai sensi dell'articolo 3, comma 1, lettera a).
1. È istituita presso la Presidenza del Consiglio dei ministri una commissione di cinque esperti, nominati dal Presidente del Consiglio dei ministri, con i seguenti compiti:
a) proporre, ogni triennio, alla Presidenza del Consiglio dei ministri eventuali aggiornamenti o revisioni degli indicatori previsti dall'articolo 2 per la definizione del sistema di rilevazione precoce dei rischi di povertà;
b) monitorare il funzionamento e gli effetti derivanti dall'attuazione del sistema di rilevazione precoce dei rischi di povertà, nonché la conformità allo stesso sistema delle azioni delle amministrazioni e degli enti, pubblici e privati, interessati;
c) redigere, ogni triennio, un documento recante l'elenco delle aree a rischio di povertà che richiedono interventi in via prioritaria;
d) predisporre, per la Presidenza del Consiglio dei ministri, una relazione annuale sullo stato di attuazione della presente legge sulla base di dati periodicamente acquisiti dalle amministrazioni e dagli enti, pubblici e privati, interessati;
e) fornire supporto alla Presidenza del Consiglio dei ministri, nelle relazioni con i Paesi esteri e con le amministrazioni
2. Per l'adempimento dei propri compiti, la commissione di cui al presente articolo può avvalersi della collaborazione delle amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, degli enti pubblici, delle regioni e degli enti locali. La commissione può altresì avvalersi della collaborazione di ulteriori esperti e può affidare l'effettuazione di studi e di ricerche a istituzioni pubbliche e private, nonché a gruppi o a singoli ricercatori, mediante apposite convenzioni.
3. Le modalità di organizzazione e di funzionamento della commissione di cui al presente articolo sono stabilite con apposito regolamento del Presidente del Consiglio dei ministri, emanato entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400.
4. Per l'adempimento dei compiti della commissione ai fini dell'attuazione della presente legge è autorizzata la spesa di un milione di euro a decorrere dall'anno 2006.
1. All'onere derivante dall'attuazione della presente legge, pari a un milione di euro annui a decorrere dall'anno 2006, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2006-2008, nell'ambito dell'unità previsionale di base di parte corrente «Fondo speciale» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2006, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al medesimo Ministero.
2. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
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