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PDL 1462

XV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 1462



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

CAPARINI, ALESSANDRI, ALLASIA, BODEGA, BRIGANDÌ, COTA, DOZZO, FUGATTI, GARAVAGLIA, GIBELLI, GRIMOLDI, MONTANI, PINI, POTTINO, STUCCHI

Disposizioni per l'introduzione di un test di naturalizzazione per gli stranieri e gli apolidi che richiedono la cittadinanza

Presentata il 25 luglio 2006


      

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Onorevoli Colleghi! - La Fondazione ISMU, già Fondazione Cariplo-ISMU dal 1991, ente scientifico autonomo e indipendente che promuove studi e ricerche con particolare riguardo al fenomeno delle migrazioni internazionali, ha dichiarato che a luglio 2005 gli extracomunitari presenti nel nostro Paese erano 3 milioni e 300 mila, il 5,7 per cento della popolazione complessiva, di cui il 16 per cento irregolare. I denunciati stranieri erano il 21,7 per cento del totale, mentre i detenuti rappresentavano oltre il 32 per cento dell'intera popolazione carceraria. L'analisi per grandi aree di provenienza al 1o luglio 2005 ha evidenziato la netta superiorità degli est-europei che, con 1,5 milioni di unità, rappresentavano il 46 per cento dei presenti. Circa 600 mila erano i nordafricani e gli asiatici, mentre erano la metà gli «altri africani» e i latinoamericani. Alla fine del 2002 i lavoratori extracomunitari iscritti all'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) risultavano 1.426.391, a cui si aggiungevano circa 34 mila con contratto di collaborazione coordinata e continuativa. Tra gli assicurati extracomunitari INPS, quasi 350 mila erano domestici, poco più del 74 per cento del totale. Il dato registrava un'impennata nel 2003:
 

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i domestici extracomunitari diventavano più del 93 per cento del totale degli iscritti all'INPS, di cui quasi l'85 per cento donne.
      Importanti sono anche i dati elaborati dall'ISMU su fonti dell'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL): nel 2004 gli assicurati INAIL extracomunitari erano 1.765.578, la maggior parte titolare di un contratto di lavoro atipico. I titolari extracomunitari di imprese, al 30 settembre 2005, erano quasi 200 mila, poco meno del 6 per cento del totale, la maggior parte occupata nel settore delle costruzioni.
      Nell'arco del primo quinquennio degli anni duemila, anche grazie alla crescente disponibilità delle banche a concedere mutui agli immigrati, l'acquisto di case si è più che quadruplicato, arrivando a rappresentare il 14,4 per cento del mercato nazionale nel 2005 (era al 12,6 per cento l'anno precedente). L'accesso alla casa in proprietà è sembrato consolidarsi tanto da giustificare la comparsa di agenzie immobiliari «specializzate», spesso gestite da stranieri che si rivolgono principalmente ai propri connazionali. Oltre all'aumento degli acquisti, è da sottolineare nell'ambito dell'edilizia residenziale pubblica la forte crescita della quota di alloggi assegnati a cittadini stranieri.
      L'incremento di studenti stranieri si è velocizzato soprattutto con i processi di regolarizzazione degli stranieri e con i ricongiungimenti. Nell'anno scolastico 2004/2005 sono stati 361.576 gli allievi extracomunitari, pari al 4,2 per cento della popolazione scolastica. Nell'anno scolastico 1998/1999 gli studenti stranieri non raggiungevano l'1 per cento del totale degli iscritti, sfiorando le 85 mila unità. Da quell'anno, la crescita è diventata rapidamente significativa. I dati indicano che la presenza si è rafforzata ulteriormente nella scuola dell'infanzia (4,58 per cento della popolazione totale) e in quella primaria (5,37 per cento), dove troviamo oltre il 60 per cento degli alunni di cittadinanza non italiana. È cresciuta, pertanto, la percentuale di bambini che percorrono quasi o tutto il loro itinerario formativo all'interno della scuola italiana. L'Albania, il Marocco, la Romania, la Cina e la ex-Jugoslavia (le cinque nazionalità prevalenti negli ultimi anni) raggiungono insieme il 51,35 per cento del totale di alunni con cittadinanza non italiana. A livello di grandi aree geografiche l'anno scolastico 2004/2005 ha registrato un rafforzamento degli alunni provenienti dall'Europa - sia di Paesi membri dell'Unione europea che non - che rappresentano oggi il 47,8 per cento. L'Africa si è confermata il secondo continente di provenienza, mentre cala il peso relativo dell'Asia (11,9 per cento; rappresentava il 14,8 per cento l'anno precedente). È stato il nord est a registrare il maggior numero di presenze, al primo posto in tutti i gradi di scuola, raggiungendo il 7,02 per cento in Veneto e l'8,4 per cento in Emilia-Romagna, diventata nell'anno scolastico 2004/2005 la regione con il maggior tasso di presenza immigrata. La Lombardia ha continuato a essere la regione con la più elevata presenza numerica in valori assoluti (88.170, pari a un quarto della popolazione straniera complessiva). Seguono il nord-ovest con il 6,82 per cento e il centro con una media di presenze pari a 5,67 per cento (Umbria e Marche si sono collocate entrambe sopra il 7 per cento, presentando forti caratteristiche di attrazione). Sud e isole erano molto distanti, avvicinandosi all'1 per cento degli iscritti in complesso solo nell'anno scolastico 2004/2005 e con presenze pressoché irrilevanti nella scuola secondaria di secondo grado.
      A giugno 2005 i detenuti stranieri in Italia erano il 32,26 per cento dell'intera popolazione carceraria. Gli stranieri denunciati per cui era stata esercitata l'azione penale, stando agli ultimi dati relativi al 2003, erano 116.392 su 536.237 denunciati complessivamente; si tratta del 21,7 per cento del totale (dato che, considerando solo il Nord, sale al 30 per cento), di cui quasi il 12,5 per cento donne. È il dato più alto mai registrato: è superiore di quasi tre punti percentuali a quello del 2002 che si fermava al 19 per cento. Le nazionalità più denunciate nel 2003 erano nell'ordine: la marocchina con il 17,1 per cento, la romena con il 12,7 per
 

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cento, l'albanese con il 10,5 per cento, la senegalese con il 6,7 per cento, la tunisina con il 5,9 per cento, l'algerina con il 4,4 per cento, la serba-montenegrina con il 4,2 per cento, la tedesca con il 2,4 per cento, la nigeriana con il 2,3 per cento e all'ultimo posto la cinese con solo il 2 per cento.
      I reati più diffusi: nel 18,4 per cento si trattava di furto, di produzione e spaccio di stupefacenti nel 13 per cento dei casi, di falsità nel 10,1 per cento, di lesioni personali volontarie nel 3,9 per cento e di rapina nel 3,5 per cento. Considerando i reati contro la persona nel biennio 2003/2004 relativi al nord, il 44,7 per cento di stranieri è stato denunciato per tentato omicidio volontario, il 43,5 per cento per omicidio volontario consumato e il 37,59 per cento per violenza sessuale. Vuol dire che ogni due autori noti di omicidio consumato o tentato quasi uno era straniero. Ogni dieci autori noti di violenze sessuali, quattro erano stranieri. Il primato negativo spetta a marocchini, romeni, albanesi e algerini. Considerando i reati contro il patrimonio e quelli connessi agli stupefacenti, il 50,3 per cento dei denunciati per produzione, vendita e spaccio di stupefacenti era straniero. Le nazionalità più denunciate erano la marocchina, rumena, tunisina e albanese. Con riferimento al totale dei denunciati stranieri, nella fascia alta di criminalità rientravano, da est ad ovest, province come Trieste, Gorizia, Udine, Rimini, Ravenna, Ferrara e Rovigo, Bolzano, Verona, La Spezia, Genova, Savona, Imperia, Verbano Cusio Ossola, Torino. Si tratta di province di confine marino o terreste, o di province, come Torino o Verona, dove sono a tutt'oggi particolarmente fiorenti specifiche attività illegali (stupefacenti e prostituzione ), o province delle zone della riviera adriatica e ligure, in cui può arrivare un maggior afflusso, di solito stagionale, attratto dal turismo e dalle occasioni criminali collegate. La situazione peggiore per i reati contro la persona si evidenziava nel nord-ovest. Le tre nazionalità più denunciate nel nord Italia erano la marocchina, la romena e l'albanese.
      Gli attentati negli USA, in Spagna e in Inghilterra, le rivolte nelle banlieues in Francia e i fatti di cronaca italiani (tra i quali quelli relativi alla scuola islamica di via Quaranta e alla moschea di viale Jenner a Milano) inducono a rivedere il modello del multiculturalismo, non più adeguato a dare risposte in una società multietnica. Le migrazioni contemporanee tendono ad assumere sempre più la configurazione della diaspora, fenomeno che implica un movimento e uno scambio costante tra diversi luoghi e differenti culture. La diaspora è una comunità transnazionale, etnica o culturale che si costituisce a seguito della dispersione di un popolo, spesso costretto ad allontanarsi da una patria, non necessariamente rappresentata da uno Stato, nella quale i suoi membri continuano a identificarsi e alla quale, quindi, continuano a fare riferimento, conservando obblighi e legami.
      Questo impone un radicale mutamento di approccio nella definizione dei criteri per l'ottenimento della cittadinanza italiana da parte di un cittadino extracomunitario, oggi regolato dalla legge 5 febbraio 1992, n. 911 successive modificazioni. Tra i vari casi, è previsto che possa essere concessa la cittadinanza allo straniero che risieda legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica. La concessione della cittadinanza avviene con decreto del Presidente della Repubblica (articolo 9 della legge n. 91 del 1992), ovvero con decreto del Ministro dell'interno (articolo 7 della citata legge n. 91 del 1992) su istanza del prefetto competente per territorio in relazione alla residenza del richiedente. L'istanza per l'acquisto della cittadinanza deve essere presentata dal richiedente al prefetto competente e deve comprendere una serie di documenti, ai sensi dell'articolo 1 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 18 aprile 1994, n. 362. Se la documentazione è in regola, e nulla osta alla concessione, al cittadino extracomunitario viene concessa la cittadinanza italiana.
 

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      L'iter per la concessione della cittadinanza è quindi un mero procedimento burocratico del tutto inadeguato a rispondere alle problematiche che le nuove modalità di migrazione impongono. Un iter che non tiene conto di aspetti fondamentali quali, ad esempio, la capacità di parlare la nostra lingua, la conoscenza dei nostri usi e costumi, della nostra storia, del nostro sistema istituzionale e delle regole basilari della nostra società. L'ottenimento della cittadinanza dovrebbe essere la conclusione di un processo che porta lo straniero ad una perfetta integrazione nella comunità nella quale ha deciso di risiedere, non un semplice atto amministrativo totalmente slegato dal contesto sociale nel quale l'immigrato intende integrarsi.
      La presente proposta di legge, mediante una parziale modifica all'articolo 9 della legge n. 91 del 1992, intende colmare questa lacuna facendo in modo che lo straniero, per diventare cittadino italiano, intraprenda un percorso di reale integrazione e assimilazione nella nostra società: condizione imprescindibile affinché l'immigrato possa assumere un ruolo attivo, evitando la ghettizzazione e i fenomeni di devianza.
      A tale fine, per l'immigrato che intende diventare cittadino italiano, è previsto il superamento di un test che ne dimostri il reale livello di integrazione nella nostra società; test che, oltre a comprendere una prova di lingua italiana e locale, in base alla regione di residenza, comprende anche domande di cultura generale, storia, cultura e tradizioni, ordinamento istituzionale della Repubblica. Il test non è da considerare come un ulteriore aggravio delle procedure per l'ottenimento della cittadinanza, ma come un invito all'immigrato ad approfondire la conoscenza del nostro Paese in modo da comprendere al meglio gli usi e costumi, le leggi, i diritti e i doveri che derivano dall'appartenere alla nostra nazione, per poter convivere al meglio con la popolazione autoctona.
      Su tale tema sono ormai numerosi i Paesi che si sono orientati in questa direzione e a titolo esemplificativo citiamo, a livello europeo, la Gran Bretagna e, in ambito extraeuropeo, gli Stati Uniti d'America.
      In Gran Bretagna il «test di naturalizzazione» è stato inserito nella parte prima della legge del 2002 su «Nazionalità, immigrazione ed asilo», in modo, come risulta da un comunicato dell'ambasciata britannica in Roma, di: «aiutare le persone che acquisiscono la cittadinanza britannica ad imparare l'inglese, ad avere una conoscenza pratica della vita nel Regno Unito ed a comprendere le tradizioni democratiche britanniche per facilitare l'integrazione ed aiutarle a lavorare, a dare il proprio contributo e a partecipare alla società». Il test britannico comprende, dunque, un esame di lingua inglese e, a seconda della zona di residenza, di gaelico scozzese o gallese, e di nozioni sulle istituzioni britanniche e sulla democrazia parlamentare, sulla storia del Regno Unito, sulla conoscenza della legge, inclusi i diritti e i doveri dei cittadini, il mercato del lavoro, le fonti d'informazione e su come soddisfare esigenze quotidiane quali la ricerca di una casa o pagare una bolletta.
      Negli Stati Uniti, la procedura per il rilascio della cittadinanza prevede, come elencato nella «guida alla naturalizzazione» edita dal Dipartimento della giustizia degli Stati Uniti - servizio immigrazione e naturalizzazione - che il richiedente, oltre a possedere buoni requisiti morali e assenza di precedenti penali, debba superare un test che dimostri la conoscenza della lingua inglese con la capacità di leggere, scrivere e comprendere frasi di uso quotidiano; inoltre viene richiesta la conoscenza delle nozioni fondamentali della storia e delle istituzioni americane.
      Con la presente proposta di legge si va dunque a modificare la legislazione vigente in materia, in sintonia con le più recenti norme legislative di Paesi come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, allineando la nostra legislazione alla loro, secondo un impostazione ormai universalmente condivisa.
 

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      Si è ritenuto, inoltre, opportuno estendere al caso di acquisto della cittadinanza per naturalizzazione (ai sensi dell'articolo 9 della legge n. 91 del 1992) le cause ostative previste all'articolo 6 della medesima legge per il caso di acquisto conseguente a matrimonio. Per effetto di questo richiamo non risulterà possibile l'acquisto della cittadinanza per chi abbia determinati precedenti penali o in presenza di comprovati motivi inerenti alla sicurezza della Repubblica.
      La proposta di legge si completa con la previsione che subordina l'acquisto della cittadinanza alla rinuncia da parte dello straniero alla propria cittadinanza. Si tratta di una soluzione già nota in altri ordinamenti, quali l'Austria e la Germania, che ha l'ulteriore pregio di evitare casi di doppia cittadinanza.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Test di naturalizzazione).

      1. All'articolo 9 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, sono apportate le seguenti modificazioni:

      a) al comma 1, la lettera e) è sostituita dalla seguente:

          «e) all'apolide che risiede legalmente da almeno cinque anni nel territorio della Repubblica, previo superamento di un test di naturalizzazione»;

      b) al comma 1, la lettera f) è sostituita dalla seguente:

          «f) allo straniero che risiede legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica, previo superamento di un test di naturalizzazione e previa rinuncia alla propria cittadinanza»;

      c) dopo il comma 2 è aggiunto il seguente:

      «2-bis. L'acquisto della cittadinanza ai sensi del presente articolo è precluso nei casi di cui all'articolo 6».

Art. 2.
(Modalità del test).

      1. Il test di naturalizzazione di cui all'articolo 9, comma 1, lettere e) e f), della legge 5 febbraio 1992, n. 91, come modificato dall'articolo 1 della presente legge, è mirato a verificare la conoscenza, da parte del richiedente la cittadinanza italiana, della lingua italiana e locale, dell'educazione civica, della storia, della cultura e delle tradizioni, nonché dell'ordinamento istituzionale della Repubblica.

 

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Art. 3.
(Norme di attuazione).

      1. Le norme di attuazione della presente legge sono adottate, entro sei mesi dalla data della sua entrata in vigore, con regolamento del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro della giustizia, ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400.

Art. 4.
(Abrogazione).

      1. L'articolo 11 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è abrogato.


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