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PDL 1686

XV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 1686



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

DILIBERTO, SGOBIO, LICANDRO, BELLILLO, CANCRINI, CESINI, CRAPOLICCHIO, DE ANGELIS, GALANTE, NAPOLETANO, PAGLIA- RINI, PIGNATARO, TRANFAGLIA, SOFFRITTI, VACCA, VENIER

Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, in materia di cittadinanza

Presentata il 22 settembre 2006


      

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Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di legge intende semplificare le norme relative all'acquisto della cittadinanza italiana per gli stranieri regolarmente soggiornanti nel nostro paese. L'intento è quello di introdurre nel nostro ordinamento, dominato dall'unico principio dello jus sanguinis, - in base al quale è cittadino italiano solo chi nasce da genitori italiani, - anche il cosiddetto jus soli, che prevede la possibilità di divenire cittadini italiani anche per i bambini che nascono in Italia da genitori stranieri regolarmente soggiornanti. Viene, inoltre, ridotto a tre anni per gli stranieri il periodo di permanenza necessario per la richiesta di acquisizione della cittadinanza, uniformando così la normativa italiana a quella degli altri Paesi europei che prevedono un soggiorno più breve rispetto agli attuali dieci anni.
      Con la scelta di semplificare le norme, attualmente contenute nella legge 5 febbraio 1992, n. 91, dal titolo «Nuove norme sulla cittadinanza», certamente non si intende risolvere la molteplicità dei problemi legati alla questione dell'immigrazione ed alla necessità, oseremmo dire, l'imperio, di avviare una vera politica che punti alla creazione di una società che sappia reinventarsi come davvero multiculturale. In questo senso sarebbe sbagliato pensare che la sola cittadinanza possa rappresentare la soluzione ai problemi legati all'immigrazione. Si tratta, al contrario, di mettere in moto una pluralità di interventi che investano in primo luogo la creazione di una cultura nuova che
 

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trovi nell'altro, il «diverso» per colore della pelle, lingua, tradizione, religioni e cultura, motivo di arricchimento e non di minaccia.
      Negli ultimi anni, il clima di generale sospetto nei confronti degli «stranieri» si è andato ulteriormente diffondendo: l'attentato alle Torri gemelle, la recrudescenza degli atti di terrorismo e la risposta elaborata dalla maggioranza dei governi occidentali con la politica di «lotta al terrore» hanno contribuito ad esasperare ciò che è stato erroneamente definito «scontro di civiltà»: immigrazione, terrorismo, Islam, ordine pubblico sono divenuti, cosi, termini strettamente collegati tra loro.
      Certamente il tema della costruzione di società multiculturali è problema che investe non solo l'Italia ma la maggior parte dei Paesi europei: la Francia è stata, lo scorso autunno, teatro della cosiddetta rivolta delle banlieue, mentre è di pochi giorni fa l'arresto a Londra di una ventina di giovani di origine pakistana, cittadini britannici, accusati di essere vicini ad organizzazioni terroristiche di matrice fondamentalista islamica. Due episodi che hanno investito Paesi dell'Unione europea che si pensavano all'avanguardia sotto il profilo dell'integrazione dei cittadini di origine straniera e della costruzione di una società multiculturale.
      In un saggio pubblicato recentemente, l'economista indiano, premio Nobel, Amartya Sen ha riproposto il tema della multiculturalità come problema centrale delle democrazie occidentali, sottolineando che «l'importanza della libertà culturale, fondamentale per la dignità di ognuno, deve essere distinta dall'esaltazione e dalla difesa di ogni forma di eredità culturale che non tenga conto delle scelte che le persone farebbero se avessero l'opportunità di vedere le cose criticamente e conoscessero adeguatamente le altre opzioni possibili nella società in cui vivono». La libertà culturale pretende, in primis, l'impegno a contrastare l'adesione automatica alle tradizioni quando le persone (compresi i giovani) ritengano giusto cambiare il loro modo di vivere. Al contrario, la tendenza attuale è quella, da una parte, di considerare «cultura» e «differenze culturali» solo la religione, dall'altra si fa strada quella che lo stesso Sen ha definito «pluralità di monoculturalismi», vale a dire, società dove il tentativo di mantenere «culture separate» si è andato sostituendo al concetto di multiculturalità. L'uccisione della giovane pakistana Hina, accusata dalla famiglia di voler abbandonare la tradizione del proprio Paese, perché aveva scelto di convivere con il proprio fidanzato e la costruzione del «muro di Padova» al fine di tenere separato dalla città il quartiere dove vivono gli stranieri immigrati, da questo punto di vista, rappresentano due facce della stessa medaglia.
      L'azione legislativa nella precedente legislatura, inoltre, non ha aiutato sul terreno dell'incontro tra cittadini italiani e stranieri: la cosiddetta legge «Bossi-Fini» (legge n. 189 del 2002) è solo la punta dell'iceberg di una politica che ha visto nell'immigrato, peggio se clandestino, solo ed unicamente una persona dalla quale guardarsi, una possibile e permanente minaccia, da trattare come problema di mero ordine pubblico.
      Il problema, dunque, come abbiamo già sottolineato, non è solo quello di facilitare l'acquisizione della cittadinanza italiana agli stranieri che sono nati nel nostro Paese, ma di promuovere soprattutto nei cittadini di seconda e terza generazione, nelle giovani generazioni, un «senso di appartenenza» alle società nelle quali vivono. Un concetto dal quale, al momento, siamo ancora parecchio lontani.
      Si tratta dunque, in conclusione, di mettere in campo una pluralità di interventi - di cui la cittadinanza rappresenta solo un aspetto - tra i quali la scuola, luogo privilegiato per la costruzione di una cultura dell'integrazione tra i giovani provenienti da Paesi diversi, alla quale vanno indirizzate risorse umane, professionali ed economiche maggiori; il diritto di voto agli stranieri per le elezioni amministrative ed europee, valorizzando l'azione di quei comuni che stanno sperimentando l'esperienza dei consiglieri stranieri cosiddetti «aggiunti», perché possano finalmente diventare
 

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consiglieri a pieno titolo, ed infine l'abrogazione della legge Bossi-Fini, per la costruzione di una nuova politica dell'immigrazione, che faciliti la permanenza degli stranieri nel nostro Paese, punti all'eliminazione della indistinta criminalizzazione dell'immigrato clandestino, semplifichi le possibilità di incontro tra lavoratore straniero e datore di lavoro, renda più facili i ricongiungimenti familiari.
      La presente proposta di legge vuole semplificare le norme contenute nella legislazione vigente introducendo, come già detto, il principio dello jus soli, in base al quale il figlio di genitori stranieri di cui almeno uno sia regolarmente residente in Italia da almeno tre anni, acquista la cittadinanza italiana al momento della nascita. A questa può comunque rinunciare entro un anno dal conseguimento della maggiore età. Anche al minore figlio di stranieri regolarmene soggiornanti può essere concessa la cittadinanza, diversamente da quanto attualmente previsto. L'articolo 2 intende porre un argine all'uso improprio dei matrimoni tra cittadino italiano e straniero prolungando i tempi di acquisizione della cittadinanza dagli attuali sei mesi a due anni.
      Altra innovazione importante è contenuta all'articolo 3 che interviene sull'articolo 9 della legge vigente, diminuendo i tempi di attesa per la concessione della cittadinanza, in particolare nelle ipotesi di cui alla lettera f), dagli attuali dieci anni a tre anni.
      Le ipotesi circa la necessità di sottoporre lo straniero a possibili test linguistici o culturali non trovano la nostra approvazione: in questo senso ci sentiamo di utilizzare le parole dello scrittore anglo-pakistano Hanif Kureishi: «Gli altri, le persone normali, musulmani o di qualsiasi altra religione, si sentiranno solo umiliati dal dover superare un esame di cittadinanza». La normativa vigente, già prevede, peraltro, all'articolo 10, che «Il decreto di concessione della cittadinanza non ha effetto se la persona a cui si riferisce non presta, entro sei mesi dalla notifica del decreto medesimo, giuramento di essere fedele alla Repubblica e di osservare la Costituzione e le leggi dello Stato».
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Modifica all'articolo 1 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, in materia di acquisto della cittadinanza per i nati ed i figli minori residenti in Italia).

      1. All'articolo 1, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 91, dopo la lettera b), sono aggiunte le seguenti:

          «b-bis) chi è nato nel territorio della Repubblica da genitori stranieri di cui almeno uno sia regolarmente residente in Italia da almeno tre anni;

          b-ter) il minore figlio di genitori stranieri di cui almeno uno sia regolarmente residente in Italia da almeno tre anni».

Art. 2.
(Modifica all'articolo 5 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, in materia di acquisto della cittadinanza per matrimonio).

      1. L'articolo 5, della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è sostituito dal seguente:

      «Art. 5. - 1. Il coniuge, straniero o apolide, di cittadino italiano, acquista la cittadinanza italiana quando risiede legalmente da almeno due anni nel territorio della Repubblica, ovvero dopo due anni dalla data del matrimonio se, al momento dell'adozione del decreto di cui all'articolo 7, comma 1, non è intervenuto scioglimen- to, annullamento o cessazione degli effetti civili e non sussiste separazione legale».

Art. 3.
(Modifica all'articolo 9 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, in materia di acquisto della cittadinanza).

      1. L'articolo 9, della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è sostituito dal seguente:

      «Art. 9. - 1. La cittadinanza italiana può essere concessa con decreto del Presidente

 

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della Repubblica, sentito il Consiglio di Stato, su proposta del Ministro dell'interno:

          a) allo straniero del quale il padre o la madre o uno degli ascendenti in linea retta di secondo grado sono stati cittadini per nascita, o che è nato nel territorio della Repubblica e, in entrambi i casi, vi risiede legalmente da almeno tre anni;

          b) allo straniero maggiorenne adottato da cittadino italiano che risiede legalmente nel territorio della Repubblica da almeno tre anni successivamente all'adozione;

          c) allo straniero che ha prestato servizio, anche all'estero, per almeno tre anni alle dipendenze dello Stato;

          d) al cittadino di uno Stato membro dell'Unione europea se risiede legalmente da almeno due anni nel territorio della Repubblica;

          e) all'apolide che risiede legalmente da almeno tre anni nel territorio della Repubblica;

          f) allo straniero che risiede legalmente da almeno tre anni nel territorio della Repubblica».

Art. 4.
(Modifica all'articolo 11 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, in materia di rinuncia alla cittadinanza).

      1. All'articolo 11 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, dopo il comma 1 è aggiunto il seguente:

      «1-bis). Nei casi di cui alle lettere b-bis) e b-ter) del comma 1 dell'articolo 1, il soggetto può rinunciare, se in possesso di altra cittadinanza, alla cittadinanza italiana, entro un anno dal compimento della maggiore età».


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