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PDL 1522

XV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 1522



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa del deputato LAURINI

Introduzione dell'articolo 340-bis del codice penale,
concernente il reato di oltraggio a pubblico ufficiale

Presentata il 28 luglio 2006


      

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Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di legge si prefigge di introdurre nel nostro ordinamento una «nuova» fattispecie di oltraggio a pubblico ufficiale. Mi riferisco al concetto di «nuovo» avendo ben presente che le diverse polemiche che questa figura giuridica ha suscitato intorno a sé, fino alla sua abrogazione nel 1999, necessitano oggi di un'attenta e doverosa riflessione.
      Innanzitutto, voglio evidenziare che nel corso degli anni, dal lontano 1968, la Corte costituzionale, chiamata più volte a pronunciarsi sui rilievi di costituzionalità dell'articolo 341 del codice penale, non ha mai ritenuto la figura dell'oltraggio in contrasto con il nostro sistema di valori, ma ha ripetutamente invitato il Parlamento a rivederne la disciplina al fine di armonizzarla con il nuovo assetto dei princìpi costituzionali.
      Un invito che non solo non è stato accolto ma, quando finalmente il Parlamento ha deciso di intervenire, anziché apportare le giuste modifiche ha cancellato il reato di oltraggio dall'ordinamento, pensando in tale modo di ristabilire pari dignità sociale tra autorità amministrativa e cittadini. Eppure gli episodi di collisione tra libertà e autorità nei rapporti tra Stato e cittadino sono ben lungi dall'essere risolti, segno che i mezzi approntati non risultano efficaci.
      L'errore di fondo quando ci si appella alla pari dignità sociale si rinviene nel voler trattare in egual modo situazioni differenti. In una democrazia liberale, le peggiori insidie covano in quei tentativi, retaggio di una certa filosofia, che tendono ad appiattire ogni differenziazione sociale. Trattare situazioni differenti in maniera uguale è la peggiore delle discriminazioni.
      In questo senso un pubblico ufficiale nell'esercizio delle funzioni pubbliche affidategli dallo Stato rappresenta la comunità
 

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stessa e svilirne l'autorità (che non è imperio), mortifica il senso stesso delle Istituzioni e dello Stato, al quale è negato il dovuto rispetto come garante della sicurezza e della legalità all'interno della compagine sociale.
      Per questo motivo, credo sia necessario riparare al vulnus che si è venuto a creare dopo il 1999, non ripristinando quella vecchia concezione di oltraggio che costituisce un retaggio storico che a noi non appartiene, ma avendo ben presente che ciò che si vuole salvaguardare è il rispetto delle Istituzioni, senza concedere un indiscriminato privilegio ad alcune categorie di persone.
      Argomentare sul reato di oltraggio richiede, anzitutto, una considerazione sul rapporto tra Stato e cittadino alla luce dei princìpi che sorreggono il nostro ordinamento democratico.
      Come sappiamo il Parlamento, con la legge 25 giugno 1999, n. 205, di delega al Governo per la depenalizzazione di alcuni reati minori, ha abrogato l'articolo 341 del codice penale che descriveva il reato di oltraggio a pubblico ufficiale, compiendo una valutazione della fattispecie e ritenendola non più adeguata all'attuale contesto sociale.
      Ciò non significa che siano divenute lecite le condotte volte ad offendere l'onore e il prestigio di un pubblico ufficiale, in quanto i comportamenti previsti dall'articolo 341 del codice penale sono oggi ricondotti alla fattispecie di ingiuria di cui all'articolo 594 del medesimo codice, posta a presidio dell'onore e decoro di qualsiasi persona, aggravata dalla circostanza prevista dall'articolo 61, n. 10 (reato commesso ai danni di un pubblico ufficiale).
      Tra le ragioni che hanno convinto il legislatore ad eliminare il reato di oltraggio dal nostro sistema giuridico, predominano sicuramente: l'eccessiva indeterminatezza della fattispecie, che poneva il problema dell'individuazione delle condotte realmente offensive; l'eccessivo peso sanzionatorio in conflitto con il principio di offensività che impone la proporzione tra fatto e pena; la procedibilità d'ufficio, ritenuta causa di eccessivo lavoro per gli uffici giudiziari.
      A decorrere dal 1968 sono state sollevate numerose questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 341 per conflitto con il principio di uguaglianza enunciato dall'articolo 3 della Costituzione e con il principio di offensività di cui al terzo comma, dell'articolo 27 della stessa Carta costituzionale.
      La Corte costituzionale, ad ogni modo, ha sempre respinto la questione fino all'importante sentenza del 25 luglio 1994, n. 341, con la quale ha dichiarato incostituzionale l'articolo 341 limitatamente alla parte in cui prevedeva la pena di sei mesi come minimo edittale, sottolineando che lo stesso risaliva al codice Rocco del 1930 e rispecchiava perfettamente quello che nel regime fascista era il rapporto di imperio tra Stato e cittadino. Una concezione autoritaria sicuramente estranea allo spirito della Costituzione repubblicana, nella quale il rapporto tra amministrazione e cittadino è strumentale alla cura e all'interesse della società.
      Le osservazioni della Corte danno una connotazione al concetto di «onore» che si configura non tanto come ossequio dovuto al pubblico ufficiale, bensì come riconoscimento e rispetto del rigoroso adempimento dei suoi doveri al fine di promuovere il buon andamento e il funzionamento della pubblica amministrazione, di cui all'articolo 97 della Costituzione.
      Facendo un ulteriore passo indietro, il codice Zanardelli del 1889 prevedeva, all'articolo 194, una figura dell'oltraggio che rispondeva all'impulso positivista delle democrazie del XIX secolo, con sanzioni più miti e con la possibile alternativa della multa alla detenzione, distinguendo tra l'offesa arrecata «a causa» delle funzioni del pubblico ufficiale e quella arrecata «nell'esercizio» delle stesse, per le quali disponeva rilievi sanzionatori diversi.
      Importante era poi la discriminante della reazione legittima, secondo la quale il fatto non è punibile quando il pubblico ufficiale «abbia dato corso al fatto eccedendo con atti arbitrari i limiti delle sue
 

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attribuzioni». L'esimente, eliminata dal codice del 1930, è stata poi ripristinata nel nostro ordinamento dall'articolo 4 del decreto legislativo luogotenenziale n. 288 del 1944 in forma pressoché pedissequa.
      Posto, quindi, che il nostro ordinamento riconosce una causa di giustificazione della reazione del privato a seguito di un atto arbitrario del pubblico ufficiale, rimane da analizzare il rapporto tra il reato di «oltraggio» e quello di «ingiuria», avendo ben chiaro che le due fattispecie proteggono beni giuridici diversi.
      La stessa Corte, nella citata sentenza n. 341 del 1994, ha riconosciuto la «plurioffensività» del reato di oltraggio, giustificando in tale modo un trattamento sanzionatorio più grave di quello riservato all'ingiuria in considerazione e a tutela di un interesse che supera quello della persona fisica e investe il prestigio e il buon andamento dell'amministrazione. Del resto, il reato di oltraggio è inserito nel libro II, titolo II, che è nella rubrica del codice penale «Dei delitti contro la pubblica amministrazione», mentre quello di ingiuria è inquadrato nei delitti contro l'onore della persona.
      In tutte e due le fattispecie è menzionato il concetto di «onore» che, secondo l'opinione comune, è riferito alle qualità morali di una persona, mentre il concetto di «prestigio» cui si riferisce il reato di oltraggio è una specificazione del concetto di «decoro» determinata dalla particolare posizione che riveste il soggetto e che coinvolge la dignità della pubblica amministrazione.
      Da ultimo, il reato di ingiuria è perseguibile a querela di parte ed è punito alternativamente o con la reclusione o con la pena pecuniaria, mentre il reato di oltraggio previsto dall'articolo 341 prevedeva obbligatoriamente la pena detentiva e la procedibilità d'ufficio.
      Alla luce di quanto esposto, è chiaro che ripensare oggi al reato di oltraggio, impone una valutazione del concetto di «offesa» in relazione ai parametri socio-culturali che consentono di ritenere oltraggioso un dato fatto in rapporto a tutte le circostanze, alla realtà rappresentata dal caso concreto e al grado dell'offesa desumibile dalla forma di aggressione.
      La presente proposta di legge, pertanto, sviluppa la fattispecie di oltraggio facendo propri i rilievi di bilanciamento che emergono dalle pronunce della Corte costituzionale, secondo la quale il principio di offensività di cui all'articolo 27, terzo comma, della Costituzione, impone che la proporzione tra il fatto e la pena sia vincolante anche per il legislatore, che non può non tenerne conto quando deve incidere sulla libertà personale, accertandosi che i danni prodotti all'individuo e alla società non siano maggiori dei vantaggi ottenuti per la tutela della pubblica amministrazione.
      La proposta di legge consta di un solo articolo con il quale si introduce l'articolo 340-bis del codice penale. In base a questa disposizione chiunque con qualsiasi mezzo produce un'offesa a un pubblico ufficiale a causa o nell'esercizio delle sue funzioni è punito o con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a euro 1.500.
      È prevista, inoltre, una forma «aggravata» di oltraggio, descritta dal terzo comma, che si configura quando il fatto è stato commesso con violenza e minaccia. In questa ipotesi è prevista solo la reclusione fino a un anno insieme a una sanzione pecuniaria fino a euro 2.000.
      Quando dalla violenza deriva una lesione personale al pubblico ufficiale, la pena della reclusione è aumentata fino al massimo di un terzo.
      Da ultimo, l'articolo prevede la procedibilità d'ufficio soltanto per i fatti che si sono concretizzati mediante minaccia o violenza, lasciando le ipotesi più lievi punibili a discrezione della parte offesa che può proporre querela nei termini stabiliti dalla legge.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

      1.      1. Dopo l'articolo 340 del codice penale è inserito il seguente:

      «Art. 340-bis. (Oltraggio a un pubblico ufficiale). - Chiunque offende l'onore o il prestigio di un pubblico ufficiale, in sua presenza e a causa o nell'esercizio delle sue funzioni, è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a euro 1.500. La stessa pena si applica a chi commette il fatto mediante comunicazione telefonica o altro mezzo telematico ovvero con scritto o disegno diretti al pubblico ufficiale e a causa delle sue funzioni. Quando il fatto di cui al primo comma è commesso con violenza o minaccia si applica la pena della reclusione fino a un anno e della multa fino a euro 2.000. La pena è aumentata fino a un terzo se dal fatto deriva una lesione personale. Nei casi previsti dai commi primo e secondo il delitto è punibile a querela della persona offesa».


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