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PDL 1145

XV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 1145



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

D'AGRÒ, CIRO ALFANO, BERNARDO, FORLANI, GIOVANARDI, LUCCHESE, MARTINELLO, MAZZOCCHI, MAZZONI

Disposizioni in materia di altezza e di distanza tra gli edifici

Presentata il 15 giugno 2006


      

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Onorevoli Colleghi! - L'articolo 41-quinquies della legge 17 agosto 1942, n. 1150, inserito dall'articolo 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765, ha previsto che con decreti ministeriali si provveda a definire e a regolamentare la distanza che i fabbricati da costruire devono avere dalle strade e da altri fabbricati.
      Con due decreti interministeriali si è provveduto sull'argomento e, in particolare, con il decreto del Ministro per i lavori pubblici, di concerto con il Ministro per l'interno, 2 aprile 1968, n. 1444, sono stati fissati i limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati da applicare ai nuovi piani regolatori e relativi piani particolareggiati e lottizzazioni convenzionate.
      Ricordiamo che il decreto in questione nasce da una esigenza di carattere sanitario, per garantire che le nuove costruzioni abbiano un'altezza adeguata rispetto agli edifici già esistenti e siano a una distanza tale da non «rubare» aria e luce agli edifici confinanti.
      L'articolo 2 dello stesso decreto ha, tra l'altro, precisato, ai fini della definizione di zone territoriali omogenee, che per zona B) «si considerano parzialmente edificate le zone in cui la superficie coperta degli edifici esistenti non sia inferiore al 12,5 per cento (un ottavo) della superficie fondiaria della zona e nelle quali la densità territoriale sia superiore ad 1,5 mc/mq», mentre si considerano zone territoriali omogenee C) «le parti del territorio destinate a nuovi complessi insediativi, che risultino inedificate o nelle quali la edificazione preesistente non raggiunga i limiti di superficie e densità di cui alla precedente lettera B)».
 

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      Per le stesse zone territoriali omogenee è precisato che è prescritta in tutti i casi la distanza minima assoluta di metri 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici esistenti (articolo 9), mentre è stabilito - nella zona B - che «l'altezza massima dei nuovi edifici non può superare l'altezza degli edifici preesistenti e circostanti, con la eccezione di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate» (articolo 8).
      L'articolo 9, ultimo comma, infine, precisa che: «Sono ammesse distanze inferiori a quelle indicate nei precedenti commi, nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche».
      Il decreto in questione prevede già, quindi, le deroghe o meglio le eccezioni alle prescrizioni relative alle altezze e alle distanze.
      In considerazione di quanto sopra, diversi comuni hanno previsto nei loro piani regolatori generali la possibilità che, in alcune aree, la distanza tra fabbricati debba considerarsi equamente a carico di ogni proprietario nella misura di cinque metri, non necessariamente cumulabili, dal confine.
      Nel rispetto delle norme dei piani regolatori generali sono state rilasciate migliaia di concessioni edilizie che hanno permesso la realizzazione di migliaia di edifici costruiti a distanza di cinque metri dal confine e non necessariamente di dieci metri dagli edifici esistenti.
      Su istanza di singoli proprietari, che si sono ritenuti danneggiati, a seguito della costruzione di edifici nell'area confinante, ci sono state varie sentenze dei tribunali amministrativi regionali (TAR) e del Consiglio di Stato e, soprattutto, della Corte di cassazione che, in particolare, con sentenza n. 158 del 10 gennaio 2003, ha stabilito l'obbligo inderogabile dei dieci metri.
      I comuni, però, nel frattempo, attraverso i propri strumenti urbanistici e usufruendo delle eccezioni che il decreto interministeriale sembrava ammettere, hanno «diviso a metà» l'onere, prevedendo «solo» la distanza dal confine di cinque metri.
      Tali norme di attuazione sono state, appunto, considerate illegittime dalla citata sentenza n. 158 del 2003 con l'obbligo di ripristinare le distanze e pagare al vicino i danni per il mancato godimento di luce e aria (1.000 euro per anno).
      Una situazione assurda, da guerra civile fra vicini (risulta che nel solo comune di Venezia dal 1968 al 1996 sono state rilasciate circa 20.000 concessioni edilizie in deroga al decreto del 1968).
      È evidente che tale situazione ha creato disparità nei riguardi dei proprietari che non si possono ritenere abusivi, né si possono considerare illegittime le concessioni rilasciate; tuttavia, sulla base della sentenza citata, gli stessi proprietari confinanti, i cui diritti non siano passati in prescrizione, possono pretendere risarcimenti per i danni subiti.
      Per porre rimedio a tali paradossali situazioni si ritiene possibile procedere, a cura dei comuni, con integrazioni ai piani regolatori generali che vadano a specificare i limiti delle norme dei «dieci metri», oppure con interventi del legislatore regionale o attraverso una norma statale di principio, trattandosi certamente di legislazione concorrente, che precisi e chiarisca la portata del decreto interministeriale n. 1444 del 1968.
      A sostegno delle norme contenute nella presente proposta di legge e dei diritti, non solo dei confinanti, ma anche di quanti hanno costruito nel convincimento che le previsioni degli strumenti urbanistici comunali ed il rilascio di concessione edilizia fossero dati sufficienti per ritenere legittime le loro azioni e le costruzioni realizzate, è da ricordare la sentenza della Corte costituzionale del 30 gennaio 1980, n. 5, che, pur pronunciandosi in materia di indennità di esproprio, ha precisato che «il diritto di edificare continua ad inerire alla proprietà e alle altre situazioni che comprendono la legittimazione a costruire anche se di esso sono stati tuttavia compressi e limitati portata e contenuto», ed ancora: «Ne consegue altresì che la concessione a edificare non è attributiva di
 

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diritti nuovi ma (...) non adempie a funzione sostanzialmente diversa da quella dell'antica licenza, avendo lo scopo di accertare la ricorrenza delle condizioni previste dall'ordinamento per l'esercizio dei diritto», ed infine, circa la disparità di trattamento tra terreni inseriti all'interno o all'esterno del perimetro di centri edificati, ricorda praticamente che il diritto del proprietario delle aree immediatamente adiacenti non può essere sacrificato per non creare disparità di trattamento, senza adeguate ragioni.
      Altra questione è quella esaminata dalla sentenza della Corte costituzionale del 18 aprile 1996, n. 120, concernente il caso di chi deve costruire ad una certa distanza da un fabbricato abusivo, ma «sanato».
      Fra i casi che il presente provvedimento intenderebbe risolvere vi sono certamente anche quelli relativi alla questione sopracitata e la sentenza in questione, pur ritenendo le norme in vigore costituzionalmente legittime, ricorda che «ravvisare l'obbligo del frontista che ha costruito successivamente ad osservare la distanza legale rispetto al precedente edificio (....) si risolve in un riconoscimento del primo abuso, che non è invece meritevole di tutela».
      Molti comuni, infatti, se non avessero provveduto a regolamentare l'argomento tramite i propri strumenti urbanistici, si sarebbero trovati con lotti edificabili per disposizioni del proprio Piano regolatore generale (PRG), ma di fatto esclusi dalla edificazione per dover rispettare norme sopravvenute e chiaramente penalizzanti rispetto ai confinanti che avevano potuto costruire a 2-3 metri dal confine.
      A tal fine la presente proposta di legge intende tutelare quei cittadini che, sulla base delle norme dei vari strumenti urbanistici e delle attestazioni degli uffici tecnici comunali, hanno realizzato edifici con regolare concessione edilizia, a distanza inferiore ai dieci metri dall'edificio confinante.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

      1. Le regioni disciplinano, anche con previsioni di carattere generale, la materia delle distanze minime tra fabbricati e dalle strade e delle altezze massime degli edifici, fissando i limiti entro i quali gli strumenti urbanistici possono regolare la materia. La distanza minima tra fabbricati, non uniti o aderenti, posti su fondi finitimi, non potrà, in ogni caso, essere inferiore a quella prevista dall'articolo 873 del codice civile. Dall'approvazione della disciplina comunale, gli articoli 8 e 9 del decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, non trovano più applicazione.
      2. Sono fatte salve le previsioni, anche di carattere generale, contenute negli strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica comunale e i relativi titoli abilitativi formati in conformità alle medesime, ancorché in contrasto con gli articoli 8 e 9 del citato decreto del Ministro dei lavori pubblici n. 1444 del 1968, purché siano conformi alla rimanente disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della loro approvazione o formazione, non siano in contrasto con il disposto dell'articolo 873 del codice civile e non siano stati annullati con provvedimento amministrativo inoppugnabile o con sentenza passata in giudicato.


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