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PDL 1278

XV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 1278



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

GARAGNANI, ARACU, BAIAMONTE, BERNARDO, BOCCIARDO, BONDI, BRUSCO, CARLUCCI, CECCACCI RUBINO, COLUCCI, DI VIRGILIO, FABBRI, FERRIGNO, FRANZOSO, GIRO, MARINELLO, MAZZARACCHIO, MISTRELLO DESTRO, MONDELLO, PALMIERI, PELINO, PICCHI, ROMELE, SANZA, SIMEONI, STAGNO D'ALCONTRES, STRADELLA

Princìpi fondamentali in materia di diritto allo studio e di libertà di scelta del percorso educativo

Presentata il 4 luglio 2006


      

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Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di legge si propone di rendere omogeneo il quadro normativo in materia di diritto allo studio e libertà di scelta del percorso educativo: le norme oggi vigenti in Italia, nel campo del diritto allo studio e della scuola in genere, non garantiscono, infatti, ancora un effettivo pluralismo educativo. Le famiglie e gli studenti che scelgono scuole non statali (anche comunali, per quanto riguarda la scuola materna) sono in condizioni di grave svantaggio economico rispetto alle altre famiglie e agli altri studenti. Nel settore della scuola materna, ad esempio, gli enti locali hanno dato vita a un «submonopolio culturale». I cittadini, le famiglie che preferiscono ricorrere a strutture scolastiche ed educative non statali e non comunali devono poi sostenerne in proprio i relativi costi, dopo avere peraltro contribuito a pagare, a beneficio altrui, i costi della scuola statale e comunale. Le leggi approvate da alcune regioni costituiscono finalmente un notevole passo avanti nel riconoscimento del ruolo oggettivo di «servizio pubblico» svolto da strutture educative private, mentre la normativa adottata recentemente in altre rimane ancorata a una concezione pubblicistica e totalizzante della scuola, muovendosi nel solco di una logica ormai superata che non si può o non si vuole abbandonare. Pur nel riconoscimento della piena autonomia delle regioni di regolamentare questo importante settore, occorre riconoscere che l'attuale situazione vede la convivenza di sistemi scolastici aperti al privato sociale o caratterizzati da un arroccamento sul ruolo del pubblico, determinando così situazioni di notevole disparità fra i cittadini di uno stesso Stato.
      Pare importante sottolineare che in alcune regioni si è di fronte non al riconoscimento
 

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di una libertà, ma al semplice, facoltativo e discrezionale allargamento di una offerta che resta sempre governata dal potere pubblico: governata tanto più ferreamente quanto più il denaro delle convenzioni è indispensabile alla sopravvivenza delle scuole «private».
      Occorre, pertanto, favorire l'attuazione del dettato costituzionale dell'articolo 33, quarto comma, che recita: «La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali».
      Equipollenza di trattamento scolastico, si intende su tutti gli aspetti della vita scolastica, compresi quelli economici, proprio perché la Costituzione non ne esclude nessuno. Il «senza oneri per lo Stato», di cui all'articolo 33, terzo comma, della Costituzione, in relazione alla istituzione di scuole da parte di «enti e privati», va letto alla luce dei contenuti di cui al quarto comma del citato articolo 33 nei riguardi degli alunni di scuole paritarie. «Senza oneri», significa che nessuno può obbligare lo Stato a erigere scuole non statali; nel contempo Stato e regioni possono decidere di sostenere le scuole esistenti, o agevolare i genitori nel compito costituzionale e civile di educare i propri figli.
      Vi è, invece, l'obbligo statale di garantire almeno una scuola dell'obbligo gratuita per tutti i cittadini in base all'articolo 34, secondo comma, della Costituzione. Non vi è riscontro che la scuola dell'obbligo debba essere assicurata solo a chi frequenta le scuole statali. Anzi. La nostra Costituzione si basa sul principio dell'uguaglianza di tutti i cittadini e sul dovere dello Stato di rimuovere le cause che la impediscono. Tocca allo Stato, quindi, garantire non solo l'insegnamento e l'apprendimento, ma anche l'effettivo esercizio di tali libertà a parità di condizioni.
      Entrando in Europa, è venuta ulteriormente a maturare non solo l'esigenza di riformare lo Stato, ma anche di rivedere alcune impostazioni e concezioni che miravano a limitare la libertà di educazione. In Europa siamo, con la Grecia, le uniche due nazioni a non avere compiutamente legiferato in merito alla parità scolastica. Dobbiamo pertanto definitivamente colmare questa carenza. In materia di istruzione scolastica, l'articolo 138 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, ha da tempo delegato alle regioni le seguenti funzioni amministrative:

          a) la programmazione dell'offerta formativa integrata tra istruzione e formazione professionale;

          b) la programmazione sul piano regionale nei limiti delle disponibilità di risorse umane e finanziarie, della rete scolastica, sulla base dei piani provinciali, assicurando il coordinamento con la programmazione di cui alla lettera a);

          c) la suddivisione, sulla base anche delle proposte degli enti locali interessati, del territorio regionale in ambiti funzionali al miglioramento dell'offerta formativa;

          d) la determinazione del calendario scolastico;

          e) i contributi alle scuole non statali;

          f) le iniziative e le attività di promozione relative all'ambito delle funzioni conferite.

      Bisogna quindi tenere conto del ruolo delle regioni in merito ai contributi per la scuola non statale, d'altronde confermate dal nuovo testo dell'articolo 117 della Costituzione e dalle pronunce della Corte costituzionale in materia.
      Quanto alle spese degli enti locali per il «diritto allo studio», va rilevato che di queste non sono destinatari i gestori delle scuole, ma le famiglie degli alunni per specifici servizi (libri, trasporti, mense eccetera) che agevolano l'esercizio del diritto allo studio e non coprono assolutamente gli esborsi effettivi.
      La scuola non statale svolge a tutti gli effetti un servizio «pubblico» per chiunque lo desideri, svolto sotto il controllo degli organi dello Stato e degli enti locali.

 

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      Oggi tale scuola è in grave crisi economica; non aiutarla comporterebbe, come insana conseguenza, far mancare il servizio in aree geografiche in cui non esistono offerte educative statali o comunali, e in ogni caso una presa in carico per l'ente locale (impossibilitato a farlo) di tutti i costi ingentissimi attualmente ricadenti sui gestori di scuole e sulle famiglie, con il conseguente obbligo di organizzare e gestire una scuola che attualmente funziona bene, è aperta a tutti, è di qualità.
      L'attribuzione alle regioni delle funzioni amministrative in materia di istruzione scolastica ha indubbiamente risposto ad una esigenza diffusa nel Paese.
      In questa ottica, si è provveduto in passato a decentrare alle regioni le relative competenze in materia di formazione professionale e, più di recente, di impostazione delle politiche attive per il lavoro finalizzate alla creazione di occupazione.
      Possiamo dire in sintesi che il ruolo dello Stato-gestore si va trasformando sempre più nel ruolo dello Stato-regolatore.
      Il ruolo dello Stato egemone tende ad essere occupato, nell'ambito politico, da una articolazione democratica delle istituzioni con riconoscimento a pieno titolo di soggetti diversi, caratterizzati nell'ambito dell'organizzazione economica, dalla logica della economia di mercato, e, nell'ambito della società civile, dall'ideale di una società «aperta», sempre più permeabile al riconoscimento e alla valorizzazione dei concetti di multiculturalità.
      A sua volta il concetto di «pubblico», sinonimo in passato di «statale», è stato inteso in senso sempre più allargato, di esercizio di funzioni rispetto a finalità comuni, sollecitando in ogni campo il pluralismo dei servizi e il decentramento dei poteri.
      In particolare, il decentramento dei poteri nella sua forma estrema di autonomia decisionale delle istituzioni periferiche ha portato a un mutamento nelle strutture dei sistemi formativi, modificandone gli assetti e soprattutto l'organizzazione dell'insegnamento.
      In questa mutata prospettiva, ai fattori di crescita prodotti dalle innovazioni dei sistemi formativi con la modernizzazione dei processi di istruzione, si aggiungono nuovi elementi, quali la formazione continua e l'autonomia delle istituzioni scolastiche.
      È soprattutto l'autonomia ad aprire gli spazi per una radicale innovazione delle logiche del sistema: una autonomia che si esplica da un lato nella elaborazione di distinti progetti educativi e nella gestione delle singole istituzioni scolastiche, anche in relazione a particolari esigenze delle persone e della comunità territoriale, e dall'altro persegue finalità generali e obiettivi comuni che la società assegna al sistema nazionale dell'istruzione.
      In questo clima culturale, superata la vecchia contrapposizione ideologica fra scuola dello Stato laica e scuola privata cattolica, si è giunti alla definizione anche della dialettica più complessa fra ruolo della scuola gestita dallo Stato e ruolo di una scuola paritaria riconosciuta, insieme alla scuola statale, quale «secondo pilastro» del sistema nazionale di istruzione nella erogazione di un servizio educativo e formativo valido per l'intera società, e perciò anch'esso pubblico.
      All'antica contrapposizione fra scuola dello Stato e scuola dei privati, si è sostituita una diversa visione della scuola che, per essere «pubblica» ossia di tutti ed avere perciò accesso al finanziamento dello Stato, deve tendere, pur nell'ambito di progetti educativi diversi, alla formazione di soggetti liberi e capaci di autonomia critica e perciò essere fondata sulla libertà di apprendimento e sulla libertà di insegnamento.
      In quest'ottica diventa dunque necessario che gestori statali e non statali assolvano alla medesima funzione pubblica in un sistema fondato su una convergenza culturale e sociale circa gli obiettivi formativi e governato da norme comuni.
      Un sistema educativo così concepito è sicuramente la migliore garanzia alle legittime aspettative degli studenti e delle loro famiglie di potere contare su di un
 

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quadro normativo omogeneo con standard minimi uguali per tutti e quindi di potere scegliere in assoluta libertà.
      In questo ambito, la presente proposta di legge valorizza al massimo il ruolo delle regioni chiamate a definire le modalità di attuazione di una effettiva libertà di scelta delle famiglie tra scuole pubbliche e private, e nel contempo garantisce alle famiglie la tutela di un diritto imprescindibile sancito dalla Carta costituzionale per tutti i cittadini.
      Occorre, infatti, precisare che la presente proposta di legge non si muove nell'ottica di penalizzare o restringere le competenze regionali, che devono essere salvaguardate a tutti gli effetti e valorizzate purché non ledano diritti fondamentali del cittadino, quale quello della libertà di educazione che è riconosciuto dalla normativa statale e regionale.
      È evidente che uno Stato anche «federale», non può non porre, in questo come in altri settori, parametri e standard minimi di assistenza validi in ogni parte del suo territorio, come esplicitato d'altronde nel nuovo testo dell'articolo 117 della Carta costituzionale, che alla lettera m) del secondo comma, nell'ambito della legislazione esclusiva dello Stato, vi include fra l'altro la «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale».
      In conclusione, proprio l'applicazione del principio di sussidiarietà riconosciuto da molti statuti regionali e da tutte le leggi fondamentali delle regioni richiede l'introduzione delle disposizioni previste dalla presente proposta di legge.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Norme generali).

      1. La Repubblica considera la libertà di apprendimento, istruzione ed educazione come diritto fondamentale dell'individuo.
      2. La Repubblica riconosce e tutela le iniziative di istruzione e di educazione promosse da enti pubblici e privati, da singoli o da associazioni di cittadini, da istituzioni, da società cooperative tra genitori o tra genitori e insegnanti da associazioni private dotate di personalità giuridica che corrispondono alle norme generali sull'istruzione, sono coerenti con la domanda formativa delle famiglie e rispondono alle esigenze di un agevole inserimento dei giovani nel mondo del lavoro.
      3. L'iniziativa privata nel campo dell'istruzione e dell'educazione, promossa e gestita dai soggetti di cui al comma 2, si esplica secondo i princìpi di cui all'articolo 33 della Costituzione.
      4. La presente legge definisce i princìpi fondamentali in materia di diritto allo studio e di libertà di scelta del percorso educativo, ai sensi dell'articolo 117, terzo comma, della Costituzione.
      5. Per le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano restano ferme le competenze ad esse riconosciute dai rispettivi statuti e dalle relative norme di attuazione.

Art. 2.
(Servizi e interventi per il diritto allo studio).

      1. Il diritto allo studio si articola nell'insieme dei servizi e degli interventi finalizzati a promuovere il successo formativo degli studenti e a garantire la libertà

 

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di scelta del percorso educativo all'interno del sistema nazionale di istruzione.
      2. I servizi e gli interventi di cui al comma 1 comprendono:

          a) misure per favorire l'accesso degli studenti ai sussidi didattici;

          b) borse di studio per i capaci e meritevoli privi di mezzi, in attuazione di quanto previsto all'articolo 34, terzo comma, della Costituzione;

          c) buoni-scuola per la copertura, in tutto o in parte, dei costi di iscrizione a scuole paritarie;

          d) altri interventi comunque rivolti al perseguimento delle finalità di cui al comma 1.

Art. 3.
(Princìpi in materia di buoni-scuola).

      1. I buoni-scuola di cui all'articolo 2, comma 2, lettera c), consistono in un contributo in favore dei soggetti esercenti la patria potestà sul minore o dei suoi rappresentanti legali, da utilizzare per il pagamento delle spese di iscrizione presso scuole paritarie aventi sede legale nel territorio regionale.
      2. L'ammontare del contributo è determinato da ciascuna regione in relazione al reddito, alle disagiate condizioni economiche, al numero dei componenti il nucleo familiare e all'entità delle spese scolastiche gravanti complessivamente sul medesimo nucleo familiare, prendendo come parametro di riferimento la spesa media annua statale per studente, in relazione a ciascun ciclo di istruzione.
      3. Al fine di garantire l'erogazione dei contributi di cui al presente articolo, le regioni rimodulano gli interventi e i servizi di cui all'articolo 2, comma 2, lettere a), b) e c).
      4. La spesa per studente di cui al comma 2 viene dichiarata annualmente con decreto del Ministro dell'istruzione, da adottare entro in 31 luglio di ogni anno.

 

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Art. 4.
(Compiti delle regioni).

      1. Le regioni promuovono e disciplinano, nel rispetto di quanto stabilito dagli articoli 2 e 3, i servizi e gli interventi necessari per garantire il diritto allo studio, nonché il sostegno dei processi educativi, in un quadro di collaborazione con gli enti locali, con l'amministrazione periferica della pubblica istruzione, con gli organi collegiali territoriali della scuola, con le istituzioni scolastiche autonome, con le agenzie formative, con le famiglie e con le forze sociali presenti sul loro territorio.
      2. La continuità dei servizi e degli interventi è garantita mediante l'approvazione da parte delle regioni di appositi piani pluriennali di attuazione.
      3. Le regioni adeguano la propria normativa alle disposizioni della presente legge entro sei mesi dalla data della sua entrata in vigore.

Art. 5.
(Disposizione finanziaria).

      1. Dall'attuazione della presente legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.


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