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PDL 1298

XV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 1298



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

CAMILLO PIAZZA, PELLEGRINO, BONELLI

Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul lavoro sommerso e sul lavoro precario in Italia

Presentata il 5 luglio 2006

      

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Onorevoli Colleghi! - L'Italia che lavora si trova, nel 2006, più provvisoria, meno garantita e meno fiduciosa. Se è vero che il nostro è un Paese composto, nella sua maggioranza, da operai e da impiegati a posto fisso, in questo posto ormai non si resta più tutta la vita, anzi, in media, solo dieci anni.
      Le generazioni precedenti potevano vantare trenta, quarant'anni di servizio nella medesima azienda. I giovani di oggi, e anche i lavoratori che sono già inseriti nel mondo del lavoro, sanno che a loro questo molto difficilmente capiterà.
      Una delle novità di questi ultimi anni è il ritorno, nel nostro Paese, alle migrazioni interne, anche se quantitativamente e qualitativamente diverse da quelle degli anni cinquanta e sessanta. Da un censimento del 2002 risulta, infatti, che un milione e trecentomila persone si sono spostate in un'altra città o regione dove c'è più lavoro.
      Il confronto sul problema occupazionale oggigiorno non può limitarsi a risolvere il quesito se superare oppure abrogare la tanto contestata legge n. 30 del 2003, correggerla o lasciarla intatta, ma deve andare oltre e analizzare il mondo del lavoro in modo pragmatico.
      Secondo un recente studio dell'Osservatorio del lavoro della provincia di Milano, sono aumentate le persone che lavorano, ma l'occupazione effettiva ristagna. Il che vuole dire, innanzitutto, che il lavoro precario è una realtà che non coinvolge più solo i giovani, ma tutti i lavoratori.
      Se è vero che cresce il numero degli occupati (+2,1 per cento), cresce anche il numero dei disoccupati (+3 per cento),
 

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mentre calano coloro che cercano il primo impiego.
      Molti rinunciano a cercare lavoro per quello che viene definito «effetto scoraggiamento», mettendosi da parte.
      Altri trovano lavori «in nero», alterando quindi anch'essi il dato percentuale della disoccupazione statisticamente rilevato.
      Oltre tre milioni di persone hanno un'occupazione precaria, nel senso che sono lavoratori dipendenti con un contratto a termine e sanno con certezza che a una certa data si troveranno senza lavoro, ma non sanno affatto se e quando ne troveranno un altro.
      I dati nella provincia di Milano mostrano che nel 2005 erano più di centomila le persone che hanno lavorato a tempo determinato per una durata media di 53,2 giorni rispetto agli 82,3 del 2004. Le nuove assunzioni a tempo determinato sono maggiori di quelle a tempo indeterminato: 37,9 per cento contro 36,2.
      Negli ultimi cinque anni questa tipologia di lavoro è aumentata di più per gli ultra quarantenni, dato che ai giovani, ai quali doveva essere rivolta come forma di primo impiego, viene offerto il più conveniente contratto di avviamento.
      Un altro milione è formato da varie figure contrattuali atipiche: collaboratori coordinati e continuativi (co.co.co.), utilizzati ancora nel pubblico impiego; collaboratori con contratti a progetto (co.co.pro.), nuova figura, creata dalla legge n. 30 del 2003, che sostituisce i co.co.co.; lavoratori in affitto; persone che svolgono lavori occasionali, apprendisti e altre figure.
      Molti di loro hanno un reddito annuo inferiore alla media, perché tra un'occupazione e l'altra non ricevono alcun salario, oppure percepiscono solamente la cosiddetta «indennità di disponibilità», che equivale a meno di un terzo del salario medio. A parte la carenza di altre tutele e diritti (sanità, maternità, ferie), la maggior parte di questi lavoratori è destinata a vedersi attribuire una pensione miserevole, dell'ordine del 30 per cento o meno di un salario medio.

      Dall'indagine «Rapporto 2006 sull'economia del Mezzogiorno», condotta dalla SVIMEZ (Associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno) negli ultimi quattro anni è proprio nelle regioni dell'Italia meridionale che risultano maggiormente accentuate le distanze tra il nostro mercato del lavoro e quello degli altri Paesi dell'Unione europea.
      Il Mezzogiorno infatti si caratterizza per una quota più elevata di lavoro a tempo determinato e una minore percentuale di occupati part-time a dimostrazione di una concreta diffusione delle tipologie contrattuali che accentuano la precarietà del sistema (le diverse forme di contratti temporanei) e una minore diffusione di forme, quali appunto il part-time, maggiormente correlate alle esigenze di segmenti dell'offerta di lavoro (le donne in primo luogo) che al Mezzogiorno rimangono fuori dal mercato.
      Secondo le valutazioni della SVIMEZ nel 2005 in Italia il 13,4 per cento (pari a 3,26 milioni di unità) delle unità di lavoro totali sarebbe rappresentato da lavoro non regolare.
      Una conferma del dualismo del nostro mercato del lavoro viene da un'analisi del tasso di irregolarità (quota delle unità di lavoro irregolari sul totale delle unità di lavoro del settore) per area geografica: nel Mezzogiorno risulta irregolare più di un lavoratore su quattro (23 per cento), nel centro-nord tale quota è di circa il 10 per cento.
      Una recentissima indagine della NIDILI-CGIL ha simulato una situazione sul futuro pensionistico dei precari, mettendo in luce un aspetto preoccupante: con 35 anni di anzianità e 57 anni di età un lavoratore non riuscirebbe a raggiungere una pensione superiore a 367 euro al mese.

      Secondo un'indagine svolta dall'IRES (Istituto di ricerche economiche e sociali) sui lavoratori atipici, i processi di precarizzazione del lavoro hanno riguardato soprattutto le donne, che costituiscono il 60 per cento del totale impiegato in varie forme di lavoro precario.
 

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      Quella che la legge n. 30 del 2003 ha definito «flessibilità» ha dato purtroppo a imprenditori senza scrupoli la possibilità di far lavorare le persone per i periodi che interessano all'azienda e di licenziarli quando non servono più, o anche soltanto per prenderne altri economicamente più «convenienti», mantenendo così tutti i lavoratori dipendenti nel precariato.
      Le aziende in difficoltà tendono a licenziare, a mettere in mobilità lunga o ad avviare al prepensionamento soprattutto i lavoratori e le lavoratrici ultraquarantenni. Chiunque abbia superato questa soglia di età è oggi consapevole che, ai primi segni di crisi, il suo posto di lavoro è a rischio e che, in caso di licenziamento, sarà molto difficile trovarne un altro di pari livello professionale e con pari retribuzione. Le aziende in crescita, infatti, preferiscono non assumerli poiché i giovani, si sa, costano meno e sono freschi di studi. L'allungamento in atto dell'età pensionabile rende particolarmente critica la condizione di tale fascia di forza lavoro.
      Ancora più penalizzato è il lavoro femminile. A parità di formazione professionale e di mansioni svolte, le donne guadagnano sistematicamente il 20 per cento in meno dei colleghi uomini. Le differenze retributive di genere esistono anche negli altri Paesi europei, ma in Italia assumono una precisa specificità: si accentuano ai livelli più alti dell'istruzione.
      Per anni si è pensato che il problema derivasse dal possesso di competenze insufficienti o sbagliate da parte delle donne rispetto alle richieste del mondo del lavoro. Ma poiché oggi, come rilevano le analisi dell'OCSE, le donne studiano di più, ottengono voti migliori, si laureano più in fretta, le discriminazioni indirette che incidono, poi, sul salario si spiegano solo alla luce dei modelli culturali di genere che ancora oggi spingono i datori di lavoro a considerare le donne un cattivo investimento, una risorsa poco affidabile, dato che su di loro ancora gravano molte problematiche del welfare, quali la divisione dei compiti in famiglia, la carenza di asili nido o l'assistenza ai genitori anziani.
      In questo quadro, gli obiettivi da prefiggersi dovrebbero essere molteplici:

          1) ridare visibilmente centralità al lavoro produttivo;

          2) semplificare drasticamente l'attuale «giungla contrattuale» tanto nel privato quanto nel pubblico impiego;

          3) regolare attivamente i passaggi dal bacino dei contratti a tempo determinato, che possono continuare a svolgere funzioni utili per le persone come per le aziende, al bacino di quelli a tempo indeterminato, in modo da evitare la trappola della precarietà senza fine;

          4) favorire, vigilando affinché ciò realmente avvenga, il passaggio dal bacino del lavoro nero al bacino del lavoro regolare;

          5) programmare e realizzare interventi per il controllo sistematico delle pari opportunità nel mondo del lavoro, abbattendo le cause di discriminazioni settoriali, contrattuali e sociali e intervenendo sulla rilevazione dei problemi, affinché diventino oggetto di dibattito e di negoziazione;

          6) sviluppare e favorire l'accesso, per mezzo di adeguati incentivi, a nuovi tipi di organizzazione del lavoro e alla formazione continua per tutto l'arco della vita attiva; un processo, questo, indispensabile sia alle aziende, per assicurare loro personale provvisto di elevate competenze professionali e organizzative, sia alle categorie lavorative più svantaggiate, come gli ultra quarantenni, affinché non debbano sentirsi tecnologicamente «obsoleti»;

          7) limitare l'uso e la durata dei contratti a tempo determinato, allo scopo principalmente di fare di essi meccanismi davvero efficaci di accumulazione di esperienze professionali da parte delle persone e di verifica delle competenze dei neo-assunti da parte delle aziende.

      Un altro rilevante fenomeno del nostro mercato del lavoro è sicuramente quello del lavoro sommerso. Sono almeno altri

 

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tre milioni le persone che lavorano in nero. Una parte di queste lo fa sicuramente per convenienza, come secondo o terzo lavoro. Ma una parte rilevante è costretta a farlo perché questa è l'unica forma che propongono le aziende, piccole e grandi, oppure perché dinanzi all'offerta di retribuzioni che sono regolate da un contratto, ma miserevoli, i lavoratori preferiscono ricevere salari in nero ma di entità maggiore.
      Ricordiamo che in Italia la quota dei lavoratori invisibili, ovvero gli irregolari, è notevolmente più alta di quella registrata negli altri Paesi sviluppati.
      Tutti i Governi europei hanno fatto fino ad oggi l'errore di concepire il lavoro irregolare come se fosse un fenomeno collaterale all'economia contemporanea, invece che un elemento strettamente intrecciato ad essa. In Italia, ad esempio, il lavoro nero produce almeno il 15 per cento del PIL e, dai dati rilevati dall'ISTAT, questa categoria rappresenta il 15 per cento «ufficiale» dei lavoratori, pari a circa 200 miliardi di euro di evasione fiscale e contributiva che, se riemergesse, potrebbe contribuire a rimpinguare le casse dello Stato.
      Se il grado di protezione dei lavoratori atipici è basso, quello degli irregolari è nullo.
      Per questa ragione una legge complessiva per il lavoro che, insieme con gli altri problemi delineati, non affrontasse in una prospettiva e con metodi innovativi anche la necessità di far passare il maggior numero di persone dal bacino del lavoro irregolare a quello del lavoro regolare, sarebbe del tutto inefficace.
      Un discorso a parte meritano le donne lavoratrici, le quali, a causa della maggiore debolezza sul mercato del lavoro e delle loro esigenze di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, sono costrette spesso ad accettare un'occupazione del tutto o parzialmente irregolare.
      Politiche che rafforzino l'occupazione delle donne e riducano i vari impedimenti esterni possono avere risultati socio-economici che ripagano ampiamente dei costi sostenuti per realizzarle.
      Nella «Strategia europea per l'occupazione», in particolare, si prevede che ogni Stato membro è tenuto a eliminare il lavoro non dichiarato, semplificando il contesto in cui operano le imprese, rimuovendo i disincentivi e fornendo incentivi adatti nel quadro del sistema fiscale e previdenziale, dotandosi di una maggiore capacità di far rispettare le norme e di applicare le sanzioni, e soprattutto a promuovere politiche finalizzate a contrastare ogni forma di discriminazione e di disuguaglianza.
      Approfondire la comprensione del lavoro precario e di quello sommerso - soprattutto nella sua componente femminile - è fondamentale e prioritario anche per rispettare i nostri impegni con l'Europa. Questo è l'obiettivo che si prefigge la proposta di legge che sottoponiamo alla vostra attenzione.
      La presente proposta di legge prevede infatti l'istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta che attraverso il suo regolare e continuativo lavoro, possa contribuire a fare luce sugli aspetti quantitativi e qualitativi del lavoro precario e sommerso presente nel nostro Paese, agevolando in questo senso il lavoro del legislatore, e creare le condizioni affinché in Italia possa ripartire uno sviluppo più equo e una produttività socialmente ed economicamente più sostenibile.

 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Istituzione e funzioni della Commissione).

      1. È istituita per la durata della XV legislatura, ai sensi dell'articolo 82 della Costituzione, una Commissione parlamentare di inchiesta sul lavoro sommerso e sul lavoro precario in Italia, di seguito denominata «Commissione», con il compito di accertare la dimensione, le caratteristiche e le responsabilità delle varie parti coinvolte nel fenomeno.
      2. La Commissione ha il compito, in particolare, di:

          a) approfondire gli aspetti meno conosciuti del mondo del lavoro, attraverso attività conoscitive e audizioni di responsabili qualificati di enti pubblici, imprese private, sindacati, libere associazioni e organismi riconosciuti dallo Stato che, attraverso la loro attività, hanno monitorato le varie realtà lavorative;

          b) verificare la diffusione e la gravità di eventuali irregolarità contrattuali e del fenomeno del lavoro sommerso; a seguito dell'attività di verifica svolta ai sensi della presente lettera, la Commissione può promuovere gli opportuni controlli da parte delle autorità competenti;

          c) individuare le misure normative e amministrative, da sviluppare in ambito nazionale, idonee:

              1) a contrastare adeguatamente il fenomeno del lavoro sommerso, tenendo peraltro conto delle caratteristiche delle singole realtà territoriali e dei settori dove tale fenomeno più si sviluppa, e a promuovere la collaborazione tra le regioni al fine di creare una rete di informazione e di azione trasversale a supporto dell'operato dello Stato in questo campo;

              2) a rafforzare in tutto il territorio nazionale i programmi europei finalizzati

 

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alla promozione di un lavoro che garantisca il rispetto dei diritti e della dignità dei lavoratori;

              3) a sostenere e a favorire l'attività degli enti e degli organismi a vario titolo preposti a promuovere, regolarizzare, tutelare e vigilare in merito a tutte le categorie di lavoratori senza discriminazioni e disuguaglianze.

Art. 2.
(Composizione della Commissione).

      1. La Commissione è composta da quindici senatori e da quindici deputati nominati, rispettivamente, dal Presidente del Senato della Repubblica e dal Presidente della Camera dei deputati, in proporzione al numero dei componenti i gruppi parlamentari, comunque assicurando la presenza di un rappresentante per ciascun gruppo esistente in almeno un ramo del Parlamento.
      2. Il Presidente del Senato della Repubblica e il Presidente della Camera dei deputati, di intesa tra loro, entro dieci giorni dalla nomina dei suoi componenti, convocano la Commissione per l'elezione dell'ufficio di presidenza, costituito dal presidente, un vicepresidente e un segretario. Per l'elezione del vicepresidente e del segretario, in caso di parità di voti è proclamato eletto il componente con maggiore anzianità parlamentare. In caso di parità di voti tra deputati e senatori di pari anzianità parlamentare, è proclamato eletto il senatore più anziano di età.

Art. 3.
(Attività di indagine).

      1. La Commissione procede alle indagini con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell'autorità giudiziaria e può acquisire copia di atti e documenti relativi ad indagini svolte da altra autorità amministrativa o giudiziaria. Se le copie di atti e documenti acquisiti ai sensi del

 

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presente comma sono coperti da segreto, la Commissione garantisce il mantenimento del regime di segretezza.
      2. Per quanto concerne l'opponibilità del segreto di Stato, d'ufficio, professionale e bancario, si applica la normativa vigente in materia.
      3. Per le testimonianze rese davanti alla Commissione si applicano le disposizioni degli articoli da 366 a 384-bis del codice penale.
      4. La Commissione stabilisce quali atti e documenti non devono essere divulgati. Devono in ogni caso essere coperti dal segreto gli atti e i documenti attinenti a procedimenti giudiziari nella fase delle indagini preliminari.

Art. 4.
(Obbligo del segreto).

      1. I componenti la Commissione, il personale addetto alla stessa e ogni altra persona che collabora con la Commissione o compie o concorre a compiere atti di inchiesta oppure ne viene a conoscenza per ragioni di ufficio o di servizio sono obbligati al segreto per tutto quanto riguarda gli atti e i documenti di cui all'articolo 3, commi 1, secondo periodo, e 4.
      2. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, la violazione dell'obbligo di cui al comma 1, nonché la diffusione, in tutto o in parte, anche per riassunto o informazione, di atti o documenti del procedimento di inchiesta dei quali è stata vietata la divulgazione, sono punite ai sensi dell'articolo 326 del codice penale.

Art. 5.
(Relazioni).

      1. La Commissione riferisce al Parlamento sull'attività svolta al termine dei suoi lavori e ogni qual volta lo ritenga opportuno. In ogni caso la prima relazione, contenente anche eventuali proposte di adeguamento della normativa vigente, è

 

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presentata al Parlamento entro otto mesi dalla costituzione della Commissione.

Art. 6.
(Funzionamento).

      1. Per l'espletamento delle sue funzioni, la Commissione fruisce di personale, locali e strumenti operativi messi a disposizione dai Presidenti delle Camere, di intesa tra loro.
      2. Le spese per il funzionamento della Commissione sono ripartite in parti uguali tra il Senato della Repubblica e la Camera dei deputati e sono poste a carico dei rispettivi bilanci interni.

Art. 7.
(Entrata in vigore).

      1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.


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