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PDL 1925

XV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 1925


 

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PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE

d'iniziativa dei deputati

GIANFRANCO CONTE, BENEDETTI VALENTINI, BERTOLINI, BORGHESI, BRUNO, CONTENTO, DEL MESE, FILIPPI, FINCATO, GALLETTI, GIOVANARDI, LA MALFA, LEDDI MAIOLA, LEO, LEONE, PEDRIZZI, ANTONIO PEPE, REINA, NICOLA ROSSI, TOLOTTI, ULIVI

Modifica all'articolo 53 della Costituzione in materia di princìpi generali della legislazione tributaria e garanzia dei diritti del contribuente

Presentata il 10 novembre 2006


      

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Onorevoli Colleghi! - I fondamentali princìpi ispiratori dei moderni ordinamenti tributari sono stati da lungo tempo riconosciuti dagli studiosi dell'economia e della scienza delle finanze. Già nel 1776, Adam Smith enunziava le quattro regole della tassazione: giustizia, certezza, comodità, economicità. Altri studiosi hanno poi approfondito queste prime riflessioni, sovente enucleando aspetti impliciti nella severa semplicità degli assiomi smithiani.
      Se questi princìpi, frutto di riflessione teorica e di osservazione empirica, possono considerarsi espressivi di esigenze razionali intrinseche a ciascun ordinamento tributario, la loro realizzazione legislativa può conseguire maggiore o minore grado di efficacia, e può comunque tradursi in scelte di indirizzo anche assai differente, secondo la diversità degli orientamenti politici, la cui enunciazione si rinviene sovente nelle leggi fondamentali degli Stati.
      Già lo Statuto albertino, all'articolo 25, affermava l'obbligo dei cittadini a contribuire indistintamente, nella proporzione dei loro averi, ai carichi dello Stato, subordinando con l'articolo 30 la legittimità dell'imposizione e della riscossione di qualunque tributo al consenso dalle due Camere
 

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e alla sanzione del Re (quale terzo organo legislativo).
      La Costituzione della Repubblica italiana, nell'articolo 23, ha conservato la riserva di legge per l'imposizione di prestazioni personali e patrimoniali, configurandola tuttavia come riserva relativa. L'articolo 53 enunzia l'obbligo generale di concorrere alle spese pubbliche, collegandolo alla capacità contributiva di ciascun soggetto e ponendo a base del sistema tributario il criterio della progressività, riferito peraltro non ai singoli tributi, bensì al loro complesso.
      Questi essenziali princìpi si collocano ovviamente all'interno del sistema costituzionale, alla luce del quale sono stati interpretati dalla giurisprudenza che ne ha fatto applicazione. Nel tempo, è tuttavia divenuta evidente la necessità di integrarne l'enunciazione, individuando regole e limiti cui devono attenersi l'amministrazione finanziaria e lo stesso legislatore, a garanzia dei diritti del cittadino considerato nella sua qualità di contribuente.
      A questo si è inteso provvedere con la legge 27 luglio 2000, n. 212, che reca il titolo significativo: «Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente». Salutata con interesse dalla dottrina, questa legge ha fra l'altro statuito alcune regole fondamentali relative all'efficacia, all'interpretazione e all'applicazione delle leggi tributarie, con lo scopo precipuo di configurare i rapporti fra il cittadino e l'amministrazione secondo princìpi di buona fede e di leale collaborazione. Essa ha tenuto presente la nota difficoltà della materia e la spesso lamentata oscurità dei dettati normativi, e ha introdotto alcuni accorgimenti intesi a porvi rimedio, almeno per quanto risultava possibile sul piano dei princìpi, l'effettiva pratica della semplificazione e della chiarezza restando poi rimessa ai comportamenti coerenti del legislatore primario e secondario.
      Tuttavia, sono divenuti presto palesi alcuni limiti del tentativo operato, che si fondava sull'autolimitazione imposta dal legislatore a se medesimo, attraverso l'indicazione di princìpi e regole la cui osservanza rimane tuttavia per molta parte affidata alle contingenti esigenze della politica legislativa, alle urgenze sempre stringenti del pubblico erario e spesso anche alle capacità individuali di coloro che concepiscono e materialmente redigono le disposizioni normative.
      Così, nello stesso anno in cui entrava in vigore lo statuto del contribuente, il decreto-legge 30 settembre 2000, n. 268 (Misure urgenti in materia di imposte sui redditi delle persone fisiche e di accise), convertito, con modificazioni, dalla legge 23 novembre 2000, n. 354, all'articolo 01, dichiarava inapplicabili al contenuto del decreto medesimo le prescrizioni della legge n. 212 del 2000, «in quanto incompatibili». Se ciò poteva comprendersi in relazione a un provvedimento d'urgenza emanato a breve distanza, meno giustificabile appariva il fatto che la legge finanziaria per il 2001, con espressa deroga, prorogasse i termini per la liquidazione e l'accertamento dell'imposta comunale sugli immobili (legge 23 dicembre 2000, n. 388, articolo 18, comma 4: proroga più volte ripetuta negli anni successivi). Né con questo si arrestava l'abuso: ché, anzi, la legge finanziaria per l'anno successivo, intervenendo in materia di imposta sulla pubblicità e diritto sulle pubbliche affissioni, consentiva ai comuni, in via permanente, di deliberarne le tariffe entro il 31 marzo di ogni anno, con applicazione retroattiva dal 1o gennaio del medesimo anno (articolo 10, comma 1, della legge 28 dicembre 2001, n. 448).
      È difficile numerare, da allora, le deroghe autorizzate dal legislatore - in forma espressa o, più sovente, implicita - ai princìpi da esso così solennemente affermati sotto il titolo di «Statuto dei diritti del contribuente». Il recente decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, contiene non meno di dieci disposizioni espressamente dichiarate applicabili al periodo d'imposta in corso alla data della sua entrata in vigore. Né devono tacersi i casi in cui il legislatore non si è limitato a ordinare l'applicazione di nuove norme tributarie ad un periodo d'imposta in corso, ma ha imposto al contribuente di
 

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calcolare gli acconti dovuti per il periodo d'imposta in corso non sulla base del tributo effettivamente corrisposto nel periodo precedente, bensì su quello che si sarebbe determinato applicando le nuove norme contestualmente introdotte, prescrivendo quindi un oneroso ricalcolo dell'imposta riferita all'anno precedente (così l'articolo 36, comma 34, del citato decreto-legge n. 223 del 2006, e già gli articoli 5-quinquies, comma 4, e 11-quater, comma 10, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248).
      Ciò non significa certamente che sia riuscito vano il tentativo di stabilire norme generali a tutela dei diritti del contribuente: lo dimostra la giurisprudenza che - nelle sedi di merito come presso il giudice di legittimità - ne ha valorizzato le potenzialità interpretative, annettendovi «una rilevanza del tutto particolare nell'ambito della legislazione tributaria e una sostanziale superiorità rispetto alle altre disposizioni vigenti in materia», dalla quale discende la sua funzione di «orientamento ermeneutico e applicativo vincolante nell'interpretazione del diritto», e concludendo quindi che «qualsiasi dubbio interpretativo o applicativo sul significato e sulla portata di qualsiasi disposizione tributaria, che attenga ad ambiti materiali disciplinati dalla legge n. 212 del 2000, deve perciò essere risolto dall'interprete nel senso più conforme ai princìpi dello statuto del contribuente, cui la legislazione tributaria, anche antecedente, deve essere adeguata» (Cassazione, sezione tributaria sentenza 14 aprile 2004, n. 7080). La Suprema Corte di cassazione (sezione tributaria, sentenza 10 dicembre 2002, n. 17576) ha ritenuto infatti che questo privilegiato valore ermeneutico dei princìpi dello statuto dei contribuenti si fondi su due rilievi: quello secondo cui «l'interpretazione conforme a statuto si risolve, in definitiva, nell'interpretazione conforme alle norme costituzionali richiamate, che lo statuto stesso dichiara esplicitamente di attuare nell'ordinamento tributario», e l'altro, conseguente, secondo il quale alcuni dei princìpi ivi enunziati devono ritenersi «immanenti nell'ordinamento stesso già prima dell'entrata in vigore dello statuto e, quindi, vincolanti l'interprete in forza del fondamentale canone ermeneutico dell'interpretazione adeguatrice a Costituzione: cioè del dovere dell'interprete di preferire, nel dubbio, il significato e la portata della disposizione interpretata conformi a Costituzione».
      Sembra dunque opportuno conferire ad alcuni dei princìpi enunziati nello statuto del contribuente una formale dignità costituzionale, innestandoli nel tronco vivo e vitale della Costituzione, affinché divengano regole vincolanti della legislazione e canoni inviolabili per il contribuente, l'amministrazione e il giudice.
      Non tutte le disposizioni della legge n. 212 del 2000 devono o possono assumere questa forma, perché non tutte possiedono qualità di princìpi generali; e anche tra quelle che come tali si presentano, ve ne sono alcune che una prudente valutazione consiglia di non elevare al rango di norme della legge fondamentale.
      Tali sono, ad esempio, le disposizioni contenute nell'articolo 2, che riguardano la formulazione dei testi normativi tributari, cui pur dovrebbe riservare la massima cura un legislatore conscio del dovere di non imporre ai cittadini l'osservanza di norme oscure perché mal concepite e peggio enunziate: ma a questo non può certamente ovviarsi con prescrizioni del tutto esteriori e formali, che - anche laddove sono state osservate - non hanno dato luogo a significativi progressi, sì invece con l'attenzione quotidiana alla precisione, all'inequivocità, alla correttezza del linguaggio legislativo.
      Neppure si ritiene opportuno riprodurre la norma del medesimo articolo, che vieta di inserire disposizioni di carattere tributario nelle leggi e negli atti aventi forza di legge che non abbiano oggetto tributario, con eccezione di quelle strettamente inerenti all'oggetto della legge medesima. L'omogeneità dei testi normativi è un antico desideratum, che tuttavia difficilmente potrà conseguirsi finché non si restringa l'ambito delle materie in diritto o in fatto rimesse alla disciplina legislativa,
 

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non si muti l'ordine delle competenze normative in favore di un uso più largo delle fonti secondarie, e ancor più finché non si abbandonerà la pretesa e il vizio di voler tutto regolare minutamente, con norme speciali - e talora di speciale favore - per ogni più ristretto àmbito o interesse. D'altronde, come l'esperienza ha dimostrato, una regola che già preveda la propria eccezione reca in se stessa il tarlo dell'inefficacia.
      Per ragione diversa non viene qui riproposto il contenuto dell'articolo 4 della medesima legge, secondo cui è precluso al Governo disporre con decreto-legge l'istituzione di nuovi tributi non meno che estendere a categorie di soggetti passivi diversi l'applicazione di già esistenti tributi. Gravi e ben noti sono gli abusi cui ha dato e dà luogo la decretazione d'urgenza; tuttavia, non ci sembra possibile denegarne l'uso proprio in quella materia tributaria rispetto alla quale sembrano più forti e persuasive le ragioni che inducono ad ammettere leggi con efficacia immediata. Forse - ma su ciò si vorrebbe sollecitare il contributo di una più profonda riflessione - l'uso del decreto-legge potrebbe restringersi ai casi eccezionali in cui si renda necessario istituire un nuovo tributo straordinario con applicazione istantanea e durata limitata nel tempo.
      Si tralasciano anche le disposizioni che vietano di superare, nella legislazione tributaria, il termine ordinario di prescrizione stabilito dal codice civile, e limitano in dieci anni il termine massimo entro cui può prescriversi l'obbligo di conservazione di atti e documenti agli effetti tributari. Si tratta infatti di disposizioni che rinviano ad elementi sistematici, pur di altissima dignità, quali sono gli istituti della prescrizione stabiliti nel codice civile, ma che non potrebbero inserirsi nel dettato costituzionale senza rivestirsi di un eccesso di rigidezza.
      Si propone invece di collocare nell'articolo 53 della Costituzione, che già enunzia i princìpi della generalità dell'imposizione, della capacità contributiva e della progressività del sistema tributario, la regola dell'irretroattività, con limiti espressi al ricorso all'interpretazione autentica; di specificare questa regola escludendo l'applicazione di nuove norme al periodo d'imposta corrente nel caso dei tributi periodici; di apprestare espressa salvaguardia in favore del contribuente verso l'imposizione repentina di nuovi adempimenti, dalla cui omissione possano derivare responsabilità giuridicamente sanzionate; di vietare, infine, espressamente e senza eccezioni la proroga dei termini di prescrizione e di decadenza per gli accertamenti tributari. Si tratta di norme volte, in ultima istanza, a garantire la certezza del diritto in un àmbito particolarmente sensibile, ove più forte - per le ragioni sovente pressanti della finanza pubblica - è la tentazione di far prevalere una discrezionalità legislativa talvolta prossima all'arbitrio.
      L'espressa previsione di limiti all'interpretazione autentica nella materia tributaria è monito al legislatore affinché curi fin dall'origine la proprietà, la chiarezza e la compiutezza dei precetti la cui osservanza viene imposta al cittadino contribuente. Una norma siffatta consentirà al giudice delle leggi un più penetrante scrutinio, soprattutto nei casi in cui, sotto specie di interpretazione, avvenga che siano introdotte surrettizie modificazioni nella disciplina vigente, tanto più perniciose in quanto l'efficacia retroattiva, che è propria delle norme interpretative, vulnera insieme con la certezza del diritto le competenze della giurisdizione, che il Costituente volle presidio all'ordinato svolgimento dei rapporti fra i cittadini non meno che di quelli fra essi e lo Stato.
      Il divieto della retroattività costituisce garanzia necessaria per la certezza dei doveri e dei diritti promananti dalla legge. Nei rapporti fra il cittadino e il fisco - tanto più nei moderni ordinamenti che richiedono al contribuente di conferire una parte non piccola del proprio reddito ai bisogni della cosa comune - la possibilità di prevedere quanto dell'entrata annua di una famiglia, di un'attività, di un'impresa dovrà essere destinato all'adempimento dell'obbligo tributario, consente di programmare ordinatamente le
 

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spese, senza soggiacere a mutamenti imprevisti che possono pregiudicare l'adempimento degli impegni assunti o il conseguimento dei risultati attesi. Vi è inoltre da considerare come la retroattività di una norma tributaria possa giungere alla lesione del principio della capacità contributiva, che - per essere giustamente applicato - deve riferirsi a una situazione attuale, o almeno i cui effetti permangano nel presente, come da tempo ebbe a riconoscere la Corte costituzionale (sentenza 23 maggio 1966, n. 44).
      Di questo principio costituisce quasi naturale corollario la prescrizione secondo cui, nei tributi periodici, le innovazioni riguardanti la disciplina sostanziale dei tributi devono trovare applicazione soltanto dal periodo d'imposta successivo a quello in corso nel momento in cui sono entrate in vigore. Anche qui, il fine è quello di escludere l'applicazione retroattiva di norme nuove, che il contribuente non poteva conoscere né prevedere nel momento in cui formulava le proprie previsioni e compiva operazioni sopra queste fondate: si tratta, in sostanza, di tutelare l'affidamento.
      Queste disposizioni possono indirettamente produrre anche un effetto benefico sulla condotta del legislatore, troppo spesso incline a trasgredire un principio tanto generalmente riconosciuto nella teoria, quanto frequentemente violato nella prassi, quello che lucidamente enunziava Francesco Saverio Nitti nella sua «Scienza delle finanze» (IV edizione, Napoli, 1912, pagina 406): «in materia tributaria niente più nuoce della instabilità». La mutevolezza delle leggi, e segnatamente delle leggi tributarie, è infatti occasione di incertezze e di errori per il contribuente, ostacolo all'ordinato funzionamento dell'amministrazione finanziaria, causa di aggravio per l'intero sistema, svantaggio per l'ordinamento che, nella competizione internazionale, si vede preferire legislazioni straniere più stabili e consolidate. È lecito sperare che l'apposizione di limiti costituzionali alla libido novandi legislativa possa favorire più razionali e ordinati processi di produzione normativa.
      Alle medesime finalità risponde il precetto, secondo il quale non possono prevedersi adempimenti a carico dei contribuenti, la cui scadenza sia fissata anteriormente al sessantesimo giorno dalla data di entrata in vigore delle leggi che li prevedono, ovvero dell'adozione dei necessari provvedimenti di attuazione. Se - come è noto adagio - ignorantia legis non excusat, è tuttavia necessario che sia data al cittadino soggetto alla legge la possibilità di averne effettiva conoscenza: perciò, nella stessa sfera penale in cui trova la sua più rigida applicazione, questo principio è stato opportunamente temperato dalla Corte costituzionale (sentenza 24 marzo 1988, n. 364), che, pronunziandosi sull'articolo 5 del codice penale, ne ha dichiarato l'illegittimità costituzionale nella parte in cui non esclude dall'inescusabilità l'ignoranza inevitabile. La disposizione qui proposta mira ad assicurare ai destinatari delle norme, in una materia sovente complessa quale è la legislazione tributaria, la possibilità di conoscerle, di intenderne il significato e l'applicazione alle proprie situazioni soggettive, imponendo un termine minimo per ogni nuovo adempimento. Il termine è stabilito anche in considerazione del numero, spesso elevato, dei contribuenti che possono risultare tenuti ai nuovi obblighi, nonché del fatto che per eseguire l'adempimento prima non dovuto essi possono trovarsi nella necessità di valersi di professionisti, esperti e intermediari.
      Si prevede, infine, che i termini di prescrizione e di decadenza per gli accertamenti dei tributi non possano essere prorogati. La proroga dei termini stabiliti dalle leggi generali che disciplinano i singoli tributi è raramente conseguenza di eventi eccezionali, più spesso invece il frutto dell'imprevidenza del legislatore o dell'inadeguata organizzazione dell'amministrazione, il cui peso viene riversato sul contribuente, costretto a documentare circostanze che secondo un ragionevole affidamento poteva ritenere consolidate dal decorso del tempo. Valgano al proposito le parole autorevoli di Luigi Einaudi, che censurando la pratica delle proroghe così
 

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concludeva: «La prescrizione è istituto sacro, al pari e più della non retroattività delle leggi; e dovrebbe essere perentoriamente vietato di sorpassare di un giorno solo il termine fissato dalla legge vigente» («Prediche inutili» dispensa seconda, Torino, 1956, pagina 90).
      La presente proposta di legge costituzionale mira quindi a sancire, attraverso il loro innesto nella Carta fondamentale della Repubblica, alcuni princìpi di garanzia, che si ritiene debbano ispirare il rapporto fra lo Stato e i cittadini nel doveroso adempimento degli obblighi tributari, attraverso i quali si forniscono i mezzi per il funzionamento degli organismi necessari alla vita collettiva.
      Non ci si attende da ciò un rivolgimento epocale nel funzionamento del sistema tributario o l'instaurazione ab imis di un nuovo atteggiamento dei cittadini nei confronti degli adempimenti fiscali, che non potrà aversi se non attraverso la fondazione di uno spirito civico nel quale la res publica sia sentita veramente come la cosa di tutti, alla cui conservazione e al cui incremento ognuno è interessato a concorrere. Impresa né rapida né agevole, specialmente nelle presenti, difficili contingenze, in cui i mali che ogni giorno si manifestano nelle diverse regioni d'Italia sono resi più acuti e invincibili dalle ristrettezze finanziarie dello Stato; impresa che potrà tuttavia riuscire se - invece di approfondire divisioni reali o artificiose fra le parti del territorio o le classi della società - si ricercheranno tutte le ragioni che possono unire la nazione verso un fine lucidamente compreso e concordemente perseguito.
      Questa proposta di legge costituzionale viene rassegnata all'esame della Camera dei deputati con l'auspicio che il solenne riconoscimento costituzionale di alcuni princìpi di giustizia e di ragione, per altro già noti all'ordinamento, possa riuscire mezzo utile al promovimento dell'utile generale, della crescita civile e sociale, della libertà e della dignità dell'esercizio della cittadinanza attraverso il godimento dei diritti e l'adempimento dei doveri che da essa discendono.
 

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PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE

Art. 1.

      1. All'articolo 53 della Costituzione, sono aggiunti, in fine, i seguenti commi:

      «L'adozione di norme interpretative in materia tributaria può essere disposta soltanto in casi eccezionali e con legge ordinaria, qualificando come tali le disposizioni di interpretazione autentica.
      Tranne che nel caso previsto dal terzo comma, le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo. Relativamente ai tributi periodici, le modifiche introdotte si applicano solo a decorrere dal periodo d'imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore delle disposizioni che le prevedono.
      Le disposizioni tributarie non possono prevedere adempimenti a carico dei contribuenti, la cui scadenza sia fissata anteriormente al sessantesimo giorno dalla data della loro entrata in vigore o dell'adozione dei provvedimenti di attuazione in esse espressamente previsti.
      I termini di prescrizione e di decadenza per gli accertamenti dei tributi non possono essere prorogati».


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