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PDL 1870

XV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 1870


 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa del deputato ADENTI

Modifica della denominazione del titolo professionale
di perito industriale

Presentata il 27 ottobre 2006


      

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Onorevoli Colleghi! - Il regolamento per l'esercizio della professione di perito industriale è stato emanato l'11 febbraio 1929 con regio decreto n. 275; tuttavia, l'istituzione della categoria professionale era già stata prevista dalla legge 24 giugno 1923, n. 1395, recante disposizioni per la tutela del titolo e dell'esercizio professionale degli ingegneri e degli architetti, la quale, all'articolo 7, secondo comma, prevedeva, per il tramite di apposito regolamento, l'istituzione e la formazione in ogni provincia di albi speciali per i periti agrimensori (geometri) e per le altre categorie di periti tecnici.
      Orbene, in epoche come quelle tra le due guerre, prima, e della ricostruzione postbellica, poi, conseguente al disastro economico e strutturale della seconda guerra mondiale, la Nazione aveva necessità di avvalersi delle capacità progettuali di quadri tecnici di livello intermedio, i quali, in quanto provvisti di formazione tecnica superiore di estrazione ingegneristica, potessero celermente entrare nel mondo produttivo per dare impulso e rilancio all'economia del Paese.
      Infatti, l'articolo 16 del citato regolamento, di cui al regio decreto 11 febbraio 1929, n. 275, dispone che «Spettano ai periti industriali, per ciascuno nei limiti delle rispettive specialità di meccanico, elettricista, edile, tessile, chimico, minerario, navale ed altre analoghe, le funzioni esecutive per i lavori alle medesime inerenti», riconoscendo loro la competenza alla progettazione, esecuzione e direzione nei limiti delle rispettive competenze e, in generale, «mansioni direttive nel funzionamento industriale delle aziende pertinenti alle specialità stesse».
      Gli indirizzi specializzati sono stati aggiornati con decreto del Presidente della Repubblica 30 settembre 1961, n. 1222 («Sostituzione degli orari e dei programmi di insegnamento negli istituti tecnici»),
 

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che, nella formulazione originaria, ne annoverava ben 31, ridotti a 26 con accorpamenti successivi (decreto del Ministro della funzione pubblica 9 marzo 1994, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 100 del 2 maggio 1994, e regolamento di cui al decreto del Ministro della pubblica istruzione 27 aprile 1995, n. 263).
      Cosicché, dopo aver conseguito il diploma di maturità, l'accesso alla professione è subordinato al superamento di un esame di Stato, al quale si viene ammessi solo dopo aver svolto un periodo di praticantato della durata di un biennio.
      In tema di professioni, solo in questi anni e affannosamente l'Italia ha adeguato la normativa scolastica a quella dell'Unione europea, che già con la direttiva 89/48/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1988, stabiliva un «sistema generale di riconoscimento dei diplomi di istruzione superiore che sanciscono formazioni professionali di una durata minima di tre anni».
      A questa è seguita la direttiva 92/51/CEE del Consiglio, del 18 giugno 1992, relativa ad un secondo sistema generale di riconoscimento della formazione professionale, che integra la direttiva 89/48/CEE, considerando anche i gradi di formazione inferiore non previsti dal sistema generale iniziale.
      La direttiva 89/48/CEE è stata recepita con il decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 115 («Attuazione della direttiva 89/48/CEE relativa ad un sistema generale di riconoscimento dei diplomi di istruzione superiore che sanciscono formazioni professionali di una durata minima di tre anni»), ma il sistema formativo e professionale nazionale ha accusato un serio ritardo nell'armonizzare la propria normativa con quella comunitaria.
      Le citate direttive comunitarie si prefiggono l'obiettivo precipuo di rendere possibile l'esercizio della libera professione in uno Stato membro diverso da quello nel quale i professionisti hanno acquisito le loro qualifiche professionali. A tale fine, le direttive introducono il principio del riconoscimento reciproco delle condizioni di accesso alle quali gli Stati membri subordinano l'esercizio delle professioni sulla base della formazione scolastica, universitaria e delle disposizioni legislative che le regolamentano.
      Pertanto, viene previsto che un Paese membro ospitante non possa rifiutare ad un cittadino di un altro Stato membro l'accesso o l'esercizio di una professione se il richiedente possiede il diploma che nello Stato membro di origine è richiesto per accedere o esercitare tale professione.
      Ai sensi degli articoli 1, primo comma, lettera d), della direttiva 89/48/CEE e 1, primo comma, lettera f), della direttiva 92/51/CEE, costituisce professione regolamentata un'attività le cui modalità di accesso o di esercizio siano direttamente o indirettamente disciplinate da norme di natura giuridica, cioè da disposizioni di legge, di regolamento o amministrative.
      La direttiva 2001/19/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 maggio 2001 (che integra la direttiva 92/51/CEE) è stata recepita in Italia con il decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 277, il quale, con l'articolo 1 (che introduce l'articolo 2-bis del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 115), definisce la formazione regolamentata quale «qualsiasi formazione direttamente orientata all'esercizio di una determinata professione e consistente in un ciclo di studi post-secondari di durata minima di tre anni oppure di durata equivalente a tempo parziale in un'università o in un altro istituto di livello di formazione equivalente e, se del caso, nella formazione professionale, nel tirocinio o nella pratica professionale richiesti oltre il ciclo di studi post-secondari; la struttura e il livello professionale del tirocinio o della pratica professionale devono essere stabiliti dalle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative dello Stato membro interessato o soggetti al controllo o all'autorizzazione dell'autorità designata a tal fine».
      L'allegato A annesso al decreto legislativo n. 115 del 1992, come sostituito dal decreto legislativo n. 277 del 2003, annovera tra le professioni regolamentate quella del perito industriale. Inoltre, la direttiva 2005/36/CE del Parlamento europeo
 

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e del Consiglio, del 7 settembre 2005, recante il riconoscimento delle qualifiche professionali, colloca i professionisti con formazione scolastica universitaria di durata minima di tre anni, tra i quali compare il «perito industriale», al quarto livello di qualifica; mentre i professionisti con formazione di rango universitario di durata superiore a tre anni, tra i quali si annoverano invece i tecnici laureati, sono collocati al quinto livello.
      Anche a livello europeo esistono figure professionali esercenti attività professionali di tipo ingegneristico analoghe a quella del perito industriale.
      Tuttavia, in Europa, il professionista tecnico con formazione regolamentata ai sensi della direttiva 2001/19/CE possiede una denominazione simile e facilmente riconoscibile, tanto da facilitare la comprensione di quale professionista si tratti. Infatti, a titolo esemplificativo, si ricorda che in Francia il professionista tecnico in area ingegneristica con formazione universitaria o parificata di almeno tre anni, viene denominato ingenieur-maître, in Germania Diplom-Ingenieur, in Gran Bretagna incorporated engineer, in Spagna ingeniero tecnico, in Grecia ingegnere tecnico. Da quanto appena detto, traspare in maniera evidente come tali titoli professionali, pur in presenza di differenze linguistiche locali, sono tanto simili tra loro quanto estremamente differenti dalla denominazione di perito industriale, avente la medesima formazione regolamentata e qualificazione professionale.
      La denominazione del professionista tecnico italiano è stata mutuata dalla vecchia formulazione della citata legge n. 1395 del 1923, la quale, dettando disposizioni per la tutela del titolo e dell'esercizio professionale di ingegneri e architetti, prevedeva l'istituzione di categorie professionali di «periti» in diverse branche dell'ingegneria industriale, utilizzando così un termine che, allo stato attuale, risulta etimologicamente obsoleto.
      Questa diversità linguistica non è di poco conto, se si considera che la libera circolazione dei professionisti per l'esercizio delle relative attività in ambito comunitario può essere ostacolata anche da differenze linguistiche, che rendono incomprensibile il titolo professionale italiano di «perito industriale».
      Pertanto, ferme restando le competenze attribuite per legge ai periti industriali, si propone la sostituzione della denominazione del relativo titolo professionale con quella di «ingegnere tecnico», più vicina alla denominazione comunitaria del professionista tecnico avente la medesima formazione curriculare, con ciò senza modificare le attività professionali riservate per legge e determinate dalla vigente normativa di settore.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Finalità).

      1. La presente legge, al fine di assicurare una maggiore intelligibilità del titolo professionale di perito industriale, adegua la relativa denominazione alle denominazioni utilizzate nell'ambito dell'Unione europea per identificare il libero professionista esercente l'attività regolamentata con pari livello di qualificazione e di formazione.

Art. 2.
(Denominazione del titolo professionale).

      1. A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, in tutte le disposizioni di legge e di regolamento vigenti, la denominazione «perito industriale» è sostituita dalla denominazione «ingegnere tecnico».
      2. La disposizione di cui al comma 1 non modifica le competenze, le attività e gli adempimenti previsti dalla normativa vigente concernente l'esercizio della relativa professione.


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