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PDL 1932

XV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 1932


 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa del deputato FOLENA

Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul ruolo del Governo italiano nella vicenda relativa alle informazioni concernenti il possesso e l'uso di armi di distruzione di massa da parte del regime iracheno, nonché sulle cause che hanno portato al conflitto in Iraq nell'anno 2003

Presentata il 10 novembre 2006


      

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Onorevoli Colleghi! - Come è noto, i Governi degli Stati Uniti e del Regno Unito hanno dichiarato che la guerra in Iraq si è resa necessaria a causa del possesso, da parte del regime iracheno, di armi di distruzione di massa di varia natura: atomica e nucleare, chimica, batteriologica. Su tale aspetto l'ONU aveva condotto delle ispezioni nel Paese mediorientale, durate diversi anni. Tali ispezioni, che a detta degli ispettori nelle settimane prima della guerra erano state condotte con una collaborazione del regime iracheno, e che poi sono state interrotte dall'inizio del conflitto, non hanno portato ad alcuna conclusione tale da giustificare l'attacco armato. L'Amministrazione degli USA, in sede di Consiglio di sicurezza, presentò quelle che definì come «prove» del possesso o della costruzione di armi non convenzionali da parte dell'Iraq. Tali elementi furono giudicati insufficienti dagli stessi responsabili delle ispezioni ONU e dal Consiglio di sicurezza dell'ONU.
      Il Governo del Regno Unito, inoltre, produsse una relazione, che fu presentata come prova inconfutabile, la quale successivamente si rivelò essere in larga parte il frutto degli studi di un ricercatore riferiti al periodo del primo conflitto iracheno e quindi risalenti a più di dieci anni prima.
      Sono passati ormai tre anni dalla fine della guerra in Iraq e le forze anglo-americane occupano il Paese (lo stesso Consiglio di sicurezza dell'ONU, nella risoluzione n. 1483 del 22 maggio 2003,
 

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parlava di «potenze occupanti»). Nessuna arma di distruzione di massa è stata reperita. Il Consiglio di sicurezza, nella citata risoluzione n. 1483, riaffermava «che è importante disarmare l'Iraq delle sue armi di distruzione di massa e, alla fine, confermare l'avvenuto disarmo dell'Iraq», confermando implicitamente che l'unica parziale legittimazione a posteriori dell'intervento in Iraq sarebbe rappresentata dal reperimento di tali armi. Lo stesso Segretario di Stato degli USA aveva sostenuto che, se fosse stato a conoscenza allora dei dati sulle armi irachene oggi disponibili, si sarebbe opposto al conflitto. Il capo della task force per il rinvenimento delle armi proibite in Iraq ha sostenuto che tali ordigni non sono stati trovati e che probabilmente non sono mai esistiti. L'opinione pubblica mondiale si interroga su quanto avvenuto e chiede l'evidenza del possesso o meno di armi di distruzione di massa da parte del regime iracheno. Grandi testate giornalistiche hanno sensibilizzato i propri lettori sull'importanza di scoprire la verità circa le cause reali che hanno scatenato la guerra.
      In questo contesto, negli USA, nel Regno Unito e in Spagna, sono state avviate delle indagini istituzionali volte a scoprire se tali armi fossero realmente nelle mani di Saddam Hussein. Si tratta di una questione capitale per la credibilità di quei governi tanto che il Primo ministro inglese, pur respingendo l'accusa di aver mentito al Parlamento e all'opinione pubblica, aveva assicurato la piena collaborazione all'indagine. Anche il Governo italiano in carica all'epoca di tali fatti ha sempre appoggiato la tesi sostenuta dagli USA e dal Regno Unito. Il Presidente del Consiglio dei ministri e il Ministro degli affari esteri del precedente Governo, tanto nel riferire al Parlamento quanto in dichiarazioni pubbliche, anche dopo la guerra, avevano affermato con sicurezza l'esistenza di armi di distruzione di massa in Iraq. In particolare, l'allora Presidente del Consiglio dei ministri aveva considerato, nelle comunicazioni alle Camere del 6 febbraio 2003, come vere le informazioni contenute nel dossier che il Segretario di Stato americano Colin Powell ha presentato al Consiglio di sicurezza dell'ONU.
      A distanza di poco meno di un anno dalla fine del conflitto autorevoli esponenti del Governo USA avevano in parte ammesso che il conflitto non era stato causato dai motivi inizialmente dichiarati (il possesso delle armi da parte del regime e i conseguenti pericoli per la sicurezza internazionale), quanto dalla volontà di produrre un cambiamento di regime politico.
      L'interrogativo che si è posto allora e che si pone ancora oggi l'opinione pubblica italiana (tra le più sensibili al mondo alle ragioni della pace e all'opposizione a quel conflitto armato), quindi, era e continua ad essere il seguente: il Governo italiano era a conoscenza di informazioni sui motivi che hanno scatenato il conflitto e sull'attendibilità delle prove fornite, informazioni non rese pubbliche dagli USA e dal Regno Unito, o tali Governi hanno tenuto all'oscuro l'Italia? E, nel primo caso, perché il Governo italiano non aveva fornito al Parlamento tali informazioni? O, nel secondo caso, perché il Governo italiano non aveva predisposto proprie indagini al fine di valutare l'attendibilità delle prove e conseguentemente la veridicità delle dichiarazioni dei governi degli USA e del Regno Unito in merito alla necessità di un attacco all'Iraq?
      Dalle cronache parlamentari e politiche di quei giorni, infatti, è evidente l'adesione dell'Italia e del suo Governo alle tesi esposte da Regno Unito e Stati Uniti:

          1) nella 242a seduta del Senato della Repubblica il 25 settembre 2002, il Presidente del Consiglio dei ministri e Ministro degli affari esteri ad interim intervenendo per comunicazioni sulla questione irachena e sul Vertice di Pratica di Mare testualmente affermò: «Il problema che è posto oggi davanti alla comunità internazionale è chiaramente definito. Si tratta di disarmare un regime politico dittatoriale, quello dell'Iraq, che ha, sin qui, bellicosamente oltraggiato le decisioni delle Nazioni Unite sul controllo dei propri sistemi d'armamento, compresi quelli, ormai prossimi,

 

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idonei alla costruzione di un ordigno nucleare. Un regime che ha giocato al gatto con il topo nel corso delle ispezioni internazionali, che sono terminate, già nel 1998, con il ritiro degli ispettori; un regime che minaccia di usare, o di passare ad altri perché li usino, formidabili strumenti di sterminio chimici e batteriologici (...).
      L'obiettivo del disarmo iracheno è stato affidato, per oltre dieci anni, alla strategia del containment, alle sanzioni commerciali e ad un regime di ispezioni delle Nazioni Unite che, come ho appena ricordato, è entrato in crisi fin dal 1998 (...). Questa strategia è sostanzialmente fallita, come dimostrano gli elementi di prova sul riarmo di Saddam Hussein, di cui i Governi e le intelligence dell'Alleanza occidentale sono a conoscenza (una parte di questi, tra l'altro, è stata resa nota ieri dal Primo ministro inglese Tony Blair nel suo intervento alla Camera dei comuni)»;

          2) il 16 ottobre 2002 (in occasione della visita di Stato in Russia il Presidente del Consiglio dei ministri ebbe ad esprimere pubblicamente la propria convinzione della inesistenza in Iraq di armi di distruzione di massa, provocando sconcerto tra gli osservatori e gli analisti politici al punto che il direttore de Il Foglio ebbe a scrivere, tra l'altro, sul quotidiano: «Compiacere Vladimir Putin può essere piacevole, soprattutto se si vuole a ogni costo essere compiaciuti, ma dimenticare un discorso parlamentare impegnativo come quello rivolto dal Cavaliere alla Camera dei deputati non è cosa saggia»;

          3) successivamente il Presidente del Consiglio dei ministri ebbe a correggere tale dichiarazione sostenendo che si trattava di un parere personale, ma ancora una volta sollevando critiche diffuse (per tutte editoriale a firma U.T. su Il Sole 24 ore del 17 ottobre 2002: «Quello che l'Iraq sia ormai disarmato è solo un parere personale. Un diritto che può vantare il leader di un partito, l'imprenditore, il Presidente del Milan, il cittadino. Ma il Presidente del Consiglio non ha pareri personali: soprattutto quando è anche Ministro degli esteri e ancor di più quando è all'estero. Il suo è il parere di un Paese intero»;

          4) ancora, il Presidente del Consiglio dei ministri nell'Aula del Senato della Repubblica il 19 febbraio 2003, tornò parzialmente alle sue originarie argomentazioni: «Naturalmente tutti ci rendiamo conto che è impossibile andare a cercare il classico ago nel pagliaio in un Paese più grande della Francia, soprattutto tenendo conto che non si cercano soltanto missili con testate nucleari, che probabilmente davvero non ci sono, ma armi biologiche o chimiche che possono essere terribili anche in piccole quantità. Le domande cui sinora l'Iraq non ha risposto sono: dove sono andate a finire le 6.500 bombe a testata biologica, la cui esistenza era stata verificata dagli ispettori nel 1999; dove sono andate a finire le 100.000 tonnellate di agenti chimici da utilizzare per la realizzazione di bombe chimiche e biologiche; dove sono andati a finire gli 8.500 litri di antrace, di cui si sa per certa l'esistenza». Analoghe argomentazioni erano state ribadite nella seduta del Senato della Repubblica del 19 marzo 2003 e in un intervento sul quotidiano Il Foglio riportato nel sito INTERNET del Governo italiano. Alla Camera dei deputati, il 6 febbraio 2003, il Presidente del Consiglio affermò inoltre che «Il popolo iracheno e la comunità internazionale sono di fronte alla sfida di un regime - testimoniata con tragica eloquenza da dieci anni di storia, dalle reazioni plurime degli ispettori e da ultimo dal rapporto Powell di ieri - che costituisce un pericolo vitale per il Medioriente e per il mondo». E che occorreva «convincere il dittatore iracheno a disvelare il possesso e le postazioni delle sue armi di distruzione di massa» dando quindi credito al rapporto del Segretario di Stato USA Colin Powell, rapporto contestato in sede di Consiglio di sicurezza dai capi ispettori dell'ONU e dell'Agenzia internazionale dell'energia atomica (AEIA) Blix ed El-Baradei;

          5) era poi emersa la vicenda di un falso dossier sul presunto acquisto da parte dell'Iraq di consistenti quantitativi di uranio; tale documentazione era stata utilizzata

 

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in diverse sedi e in particolare (come richiamato dal Presidente del Consiglio dei ministri Berlusconi nel suo intervento del 25 settembre 2002), dal Premier inglese Tony Blair il 24 settembre e successivamente il 26 settembre dal segretario di Stato USA Colin Powell davanti alla Commissione esteri del Senato statunitense, nonché dal Presidente degli Stati Uniti nel discorso sullo Stato dell'Unione del gennaio 2003;

          6) dopo la pubblicazione delle prime notizie di stampa su tale vicenda il direttore del settimanale Panorama (organo di informazione che rientrava nelle società controllate dall'allora Presidente del Consiglio dei ministri) intervenne rivelando il ruolo centrale avuto dal periodico relativamente al falso dossier e dichiarando in una intervista a La Repubblica del 20 luglio 2003: «È andato tutto come ha già raccontato Elisabetta Burba. Ha avuto quei documenti da una sua fonte, me li ha fatti vedere, abbiamo fatto le verifiche. Lei è andata anche in Niger, io ho preso contatti con l'ambasciata americana, per avvertirli che lei sarebbe andata a portare il dossier», e alla domanda sul perché della scelta dell'ambasciata americana e non dei servizi segreti italiani risponde: «Gli Stati Uniti erano impegnati nella ricerca delle armi irachene di distruzione di massa, sembrava la scelta più logica»;

          7) dalle dichiarazioni del dottor Rossella risultava che tale dossier fu consegnato all'ambasciata americana nel mese di ottobre 2002; in realtà, ben prima di questa data, emergeva che in diverse sedi la notizia del presunto traffico di uranio era già nota, tant'è che l'ex ambasciatore americano in Gabon Joseph Wjlson, nel febbraio del 2002, veniva inviato in Niger per esaminare la veridicità delle informazioni pervenute;

          8) è fatto notorio e storicamente accertato che la decisione di attaccare militarmente l'Iraq sia stata determinata dalla asserita presenza di armi chimiche e batteriologiche pronte all'uso e dalla minaccia della realizzazione di un programma di riarmo nucleare; è altrettanto noto che sia gli ispettori ONU che dell'AEIA, manifestarono costantemente la necessità di proseguire le ispezioni sottolineando la disponibilità del regime iracheno alla cooperazione;

          9) anche l'appoggio italiano alla coalizione militare a guida USA fu determinato da tali circostanze come esplicitamente dichiarato dallo stesso Presidente del Consiglio dei ministri sempre nella seduta del Senato della Repubblica del 19 febbraio 2003: «Gli Stati Uniti non resteranno soli nell'impresa di impedire la proliferazione delle armi di distruzione di massa in mano a chi ha già violato così cinicamente la legalità internazionale e non esiterebbe a mettere a rischio la sicurezza anche dei nostri cittadini, come peraltro ha già fatto nei confronti del suo stesso popolo. Per questi motivi il Governo ha autorizzato, secondo i trattati bilaterali e lo spirito delle alleanze liberamente contratte dall'Italia e ribadite nel tempo da tutti i suoi Governi, anche dagli ultimi Governi di centro-sinistra, tutte le misure necessarie ad assicurare dal punto di vista logistico la possibilità della pressione militare sull'Iraq»;

          10) a meno di un anno dalla conclusione del conflitto, di fronte alla crescente richiesta di chiarimenti da parte delle pubbliche opinioni e di fronte alle dichiarazioni rese dall'ispettore statunitense David Kay, i Governi degli Stati Uniti d'America e del Regno Unito avevano deciso di dare vita a commissioni di inchiesta sui fatti che si riteneva avessero portato i servizi di intelligence a fornire informazioni errate o deliberatamente manipolate.

      Dalla essenziale cronologia riportata è quindi di tutta evidenza che anche il Governo italiano dell'epoca, oltre ad altri soggetti pubblici o privati, ha avuto un ruolo importante in questa complessa vicenda ed è altresì noto che sino ad ora nessuna seria attività di inchiesta è stata condotta sui fatti descritti e sulle conseguenti decisioni assunte; da qui l'esigenza di fare finalmente chiarezza al fine di dissipare

 

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ogni dubbio e anche per fornire cooperazione formale alle commissioni di inchiesta istituite nei Paesi citati.

      Onorevoli Colleghi, in una situazione in cui in Iraq non è garantita la sicurezza, l'obiettivo di realizzare «il diritto del popolo iracheno di determinare liberamente il proprio avvenire e di avere il controllo delle proprie risorse naturali», menzionato dalla citata risoluzione ONU n. 1483 del 2003, appare assai incerto e lontano nel tempo, e l'Italia è diventata e continua ad essere «potenza occupante», con un contingente militare sotto il comando anglo-americano, è fondamentale per il Parlamento e per il Paese sapere se è stata raccontata tutta la verità sul conflitto, sulle sue cause e sul suo svolgimento, ma soprattutto sul ruolo che l'Italia e il Governo allora in carica hanno ricoperto.
      Per questi motivi si ritiene urgente e importante avviare anche in Italia una inchiesta parlamentare, così come è avvenuto altrove. La presente proposta di legge istituisce a tale fine una apposita Commissione parlamentare di inchiesta.
      Scoprire la verità su quanto avvenuto è nell'interesse del Paese e della credibilità delle istituzioni agli occhi dei cittadini italiani e di quelli del resto del mondo.

 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Istituzione, funzioni e durata della Commissione parlamentare di inchiesta).

      1. È istituita, ai sensi dell'articolo 82 della Costituzione, una Commissione parlamentare di inchiesta sul ruolo del Governo italiano nella vicenda relativa alle informazioni concernenti il possesso e l'uso di armi di distruzione di massa da parte del regime iracheno, nonché sulle cause che hanno portato al conflitto in Iraq nell'anno 2003, di seguito denominata «Commissione».
      2. La Commissione ha il compito di:

          a) accertare, svolgendo tutte le necessarie indagini, quale ruolo è stato svolto dal Governo italiano nella vicenda relativa al presunto possesso e alla possibilità di un immediato uso di armi di distruzione di massa da parte del regime iracheno;

          b) accertare il ruolo svolto dai servizi di intelligence italiani e dagli altri soggetti pubblici o privati che a vario titolo si sono occupati della vicenda, con particolare riferimento all'attendibilità degli elementi di prova che sono stati posti a base delle convinzioni maturate e delle decisioni assunte dal Governo italiano;

          c) accertare più in generale le motivazioni che hanno portato al conflitto iracheno e se queste corrispondano alle motivazioni dichiarate nelle sedi internazionali dai Governi a qualunque titolo coinvolti nel conflitto, in particolare dal Governo italiano;

          d) accertare se in Iraq, alla data di inizio delle ostilità, fossero presenti o meno armi di distruzione di massa di tipo atomico o nucleare, chimico, batteriologico

 

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o di altra natura, proibite dalle convenzioni internazionali e dalle risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell'ONU;

          e) accertare la veridicità degli elementi di prova sulle responsabilità del regime iracheno riguardo alla creazione o alla detenzione di armi di distruzione di massa e se tali informazioni fossero o meno a conoscenza del Governo italiano e, più in generale, valutare le informazioni riguardo alle cause scatenanti del conflitto, la conoscenza di esse da parte del Governo italiano e la corrispondenza rispetto alle comunicazioni rese al Parlamento;

          f) riferire al Parlamento sull'esito dell'inchiesta.

      3. La Commissione conclude i propri lavori entro un anno dalla data della sua istituzione e presenta al Parlamento la relazione finale entro i successivi due mesi.

Art. 2.
(Composizione della Commissione).

      1. La Commissione è composta da venti senatori e da venti deputati nominati, rispettivamente, dal Presidente del Senato della Repubblica e dal Presidente della Camera dei deputati, in modo da rispecchiare la consistenza proporzionale di ciascun gruppo parlamentare e comunque assicurando la presenza di un rappresentante per ciascun gruppo costituito in almeno un ramo del Parlamento.
      2. L'ufficio di presidenza della Commissione, composto dal presidente, da due vicepresidenti e da due segretari, è eletto a scrutinio segreto dalla Commissione stessa tra i suoi componenti. Nella elezione del presidente, se nessuno riporta la maggioranza assoluta dei voti, si procede al ballottaggio tra i due candidati che hanno ottenuto il maggior numero di voti. In caso di parità di voti, è proclamato eletto o entra in ballottaggio il più anziano di età.
      3. Per l'elezione, rispettivamente, dei due vicepresidenti e dei due segretari,

 

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ciascun componente la Commissione scrive sulla propria scheda un solo nome. Sono eletti coloro che hanno ottenuto il maggior numero di voti. In caso di parità di voti, si procede ai sensi del comma 2.

Art. 3.
(Poteri della Commissione).

      1. La Commissione procede alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e le stessi limitazioni dell'autorità giudiziaria.
      2. Per le testimonianze davanti alla Commissione, si applicano le disposizioni degli articoli da 366 e 384-bis del codice penale.

Art. 4.
(Svolgimento dei lavori di inchiesta).

      1. La Commissione può acquisire copie di atti e documenti relativi a indagini e inchieste parlamentari, anche se coperti dal segreto. In tale ultimo caso la Commissione garantisce il mantenimento del regime di segretezza.
      2. La Commissione stabilisce quali atti e documenti non devono essere divulgati, anche in relazione ad esigenze attinenti ad altre istruttorie o inchieste in corso. Devono in ogni caso essere coperti dal segreto gli atti e i documenti attinenti a procedimenti giudiziari nella fase delle indagini preliminari.
      3. L'attività della Commissione e il funzionamento della Commissione sono disciplinati da un regolamento interno approvato dalla Commissione stessa prima dell'inizio dei lavori. Ciascun componente può proporre la modifica delle norme regolamentari.
      4. La Commissione può organizzare la propria attività anche attraverso uno o più gruppi di lavoro, costituiti secondo il regolamento di cui al comma 3.
      5. Tutte le volte che lo ritenga opportuno, la Commissione può riunirsi in seduta segreta.

 

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      6. La Commissione può avvalersi dell'opera di agenti e ufficiali di polizia giudiziaria e delle collaborazioni che ritenga necessarie. Può richiedere informazioni e documenti al Servizio per le informazioni e la sicurezza militare, al Servizio per le informazioni e la sicurezza democratica e al Comitato esecutivo per i servizi di informazione e sicurezza. Può altresì richiedere al Governo e alle Forze armate tutti gli atti e i documenti necessari alle indagini di propria competenza. Può inoltre richiedere atti e documenti a Governi stranieri e ad organizzazioni internazionali, a Forze armate straniere e a servizi di intelligence stranieri. Nel caso di Governi stranieri e di organizzazioni internazionali la richiesta è avanzata direttamente, fatte salve le norme di diritto internazionale vigenti, e ne viene data comunicazione al Governo italiano il quale non può opporre alcuna azione atta a ritardare o impedire la trasmissione dei documenti o degli atti. Nel caso di Forze armate e di servizi di intelligence stranieri la richiesta è inoltrata al Governo dello Stato interessato.
      7. La Commissione, nell'ambito dei suoi lavori, può chiedere di interrogare o di audire membri di Governi stranieri e di organizzazioni internazionali in carica durante il conflitto o membri delle Forze armate, di polizia o di intelligence di altri Stati o comunque funzionari dei Governi e di organizzazioni internazionali o delle loro emanazioni dirette o indirette, nel rispetto delle norme di diritto internazionale vigenti. Inoltre, la Commissione può richiedere documenti e atti degli Organi parlamentari di altri Stati che indagano su materie analoghe a quelle di cui all'articolo 1 e può chiedere di interrogare o di audire membri di tali Organi.
      8. La Commissione o una sua delegazione può recarsi, anche al di fuori del territorio nazionale, ovunque sia necessario per acquisire informazioni utili ai suoi compiti di indagine.
      9. La Commissione può acquisire, anche in deroga a quanto stabilito dall'articolo 329 del codice di procedura penale,
 

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copie di atti o documenti relativi a procedimenti o inchieste in corso presso l'autorità giudiziaria o altri organi inquirenti. L'autorità giudiziaria provvede tempestivamente e può ritardare la trasmissione di quanto richiesto, con decreto motivato, solo per ragioni di natura istruttoria. Il decreto ha efficacia per trenta giorni e può essere rinnovato. Quando le suddette ragioni vengono meno, l'autorità giudiziaria provvede senza ritardo a trasmettere quanto richiesto.
      10. La Commissione può avvalersi della collaborazione di personale particolarmente qualificato ed esperto delle diverse discipline, nella qualità di consulente, nonché di organi pubblici.
      11. Per l'espletamento delle sue funzioni la Commissione fruisce di personale, locali e strumenti operativi messi a disposizione dai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, d'intesa tra loro.
      12. Le spese di funzionamento della Commissione sono poste per metà a carico del bilancio interno del Senato della Repubblica e per metà a carico del bilancio interno della Camera dei deputati.

Art. 5.
(Obbligo del segreto).

      1. I componenti della Commissione, il personale addetto alla stessa ed ogni altra persona che collabora con la Commissione o compie o concorre a compiere atti di inchiesta, oppure ne viene a conoscenza per ragioni di ufficio o di servizio, sono obbligati al segreto per tutto quanto riguarda gli atti e i documenti di cui all'articolo 4, comma 2.
      2. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, la violazione del segreto di cui al comma 1, nonché la diffusione in tutto o in parte, anche per riassunto o informazione, di atti o documenti del procedimento di inchiesta dei quali è stata vietata la divulgazione, sono punite ai sensi dell'articolo 326 del codice penale.

 

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Art. 6.
(Trasmissione delle risultanze
alle autorità competenti).

      1. Le risultanze delle indagini compiute dalla Commissione sono trasmesse, al termine dei lavori della stessa Commissione, all'autorità giudiziaria competente per territorio, all'autorità giudiziaria militare competente per territorio, alla Corte penale internazionale e al Consiglio di sicurezza dell'ONU.

Art. 7.
(Entrata in vigore).

      1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.


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