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CAMERA DEI DEPUTATI
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N. 1932 |
1) nella 242a seduta del Senato della Repubblica il 25 settembre 2002, il Presidente del Consiglio dei ministri e Ministro degli affari esteri ad interim intervenendo per comunicazioni sulla questione irachena e sul Vertice di Pratica di Mare testualmente affermò: «Il problema che è posto oggi davanti alla comunità internazionale è chiaramente definito. Si tratta di disarmare un regime politico dittatoriale, quello dell'Iraq, che ha, sin qui, bellicosamente oltraggiato le decisioni delle Nazioni Unite sul controllo dei propri sistemi d'armamento, compresi quelli, ormai prossimi,
2) il 16 ottobre 2002 (in occasione della visita di Stato in Russia il Presidente del Consiglio dei ministri ebbe ad esprimere pubblicamente la propria convinzione della inesistenza in Iraq di armi di distruzione di massa, provocando sconcerto tra gli osservatori e gli analisti politici al punto che il direttore de Il Foglio ebbe a scrivere, tra l'altro, sul quotidiano: «Compiacere Vladimir Putin può essere piacevole, soprattutto se si vuole a ogni costo essere compiaciuti, ma dimenticare un discorso parlamentare impegnativo come quello rivolto dal Cavaliere alla Camera dei deputati non è cosa saggia»;
3) successivamente il Presidente del Consiglio dei ministri ebbe a correggere tale dichiarazione sostenendo che si trattava di un parere personale, ma ancora una volta sollevando critiche diffuse (per tutte editoriale a firma U.T. su Il Sole 24 ore del 17 ottobre 2002: «Quello che l'Iraq sia ormai disarmato è solo un parere personale. Un diritto che può vantare il leader di un partito, l'imprenditore, il Presidente del Milan, il cittadino. Ma il Presidente del Consiglio non ha pareri personali: soprattutto quando è anche Ministro degli esteri e ancor di più quando è all'estero. Il suo è il parere di un Paese intero»;
4) ancora, il Presidente del Consiglio dei ministri nell'Aula del Senato della Repubblica il 19 febbraio 2003, tornò parzialmente alle sue originarie argomentazioni: «Naturalmente tutti ci rendiamo conto che è impossibile andare a cercare il classico ago nel pagliaio in un Paese più grande della Francia, soprattutto tenendo conto che non si cercano soltanto missili con testate nucleari, che probabilmente davvero non ci sono, ma armi biologiche o chimiche che possono essere terribili anche in piccole quantità. Le domande cui sinora l'Iraq non ha risposto sono: dove sono andate a finire le 6.500 bombe a testata biologica, la cui esistenza era stata verificata dagli ispettori nel 1999; dove sono andate a finire le 100.000 tonnellate di agenti chimici da utilizzare per la realizzazione di bombe chimiche e biologiche; dove sono andati a finire gli 8.500 litri di antrace, di cui si sa per certa l'esistenza». Analoghe argomentazioni erano state ribadite nella seduta del Senato della Repubblica del 19 marzo 2003 e in un intervento sul quotidiano Il Foglio riportato nel sito INTERNET del Governo italiano. Alla Camera dei deputati, il 6 febbraio 2003, il Presidente del Consiglio affermò inoltre che «Il popolo iracheno e la comunità internazionale sono di fronte alla sfida di un regime - testimoniata con tragica eloquenza da dieci anni di storia, dalle reazioni plurime degli ispettori e da ultimo dal rapporto Powell di ieri - che costituisce un pericolo vitale per il Medioriente e per il mondo». E che occorreva «convincere il dittatore iracheno a disvelare il possesso e le postazioni delle sue armi di distruzione di massa» dando quindi credito al rapporto del Segretario di Stato USA Colin Powell, rapporto contestato in sede di Consiglio di sicurezza dai capi ispettori dell'ONU e dell'Agenzia internazionale dell'energia atomica (AEIA) Blix ed El-Baradei;
5) era poi emersa la vicenda di un falso dossier sul presunto acquisto da parte dell'Iraq di consistenti quantitativi di uranio; tale documentazione era stata utilizzata
6) dopo la pubblicazione delle prime notizie di stampa su tale vicenda il direttore del settimanale Panorama (organo di informazione che rientrava nelle società controllate dall'allora Presidente del Consiglio dei ministri) intervenne rivelando il ruolo centrale avuto dal periodico relativamente al falso dossier e dichiarando in una intervista a La Repubblica del 20 luglio 2003: «È andato tutto come ha già raccontato Elisabetta Burba. Ha avuto quei documenti da una sua fonte, me li ha fatti vedere, abbiamo fatto le verifiche. Lei è andata anche in Niger, io ho preso contatti con l'ambasciata americana, per avvertirli che lei sarebbe andata a portare il dossier», e alla domanda sul perché della scelta dell'ambasciata americana e non dei servizi segreti italiani risponde: «Gli Stati Uniti erano impegnati nella ricerca delle armi irachene di distruzione di massa, sembrava la scelta più logica»;
7) dalle dichiarazioni del dottor Rossella risultava che tale dossier fu consegnato all'ambasciata americana nel mese di ottobre 2002; in realtà, ben prima di questa data, emergeva che in diverse sedi la notizia del presunto traffico di uranio era già nota, tant'è che l'ex ambasciatore americano in Gabon Joseph Wjlson, nel febbraio del 2002, veniva inviato in Niger per esaminare la veridicità delle informazioni pervenute;
8) è fatto notorio e storicamente accertato che la decisione di attaccare militarmente l'Iraq sia stata determinata dalla asserita presenza di armi chimiche e batteriologiche pronte all'uso e dalla minaccia della realizzazione di un programma di riarmo nucleare; è altrettanto noto che sia gli ispettori ONU che dell'AEIA, manifestarono costantemente la necessità di proseguire le ispezioni sottolineando la disponibilità del regime iracheno alla cooperazione;
9) anche l'appoggio italiano alla coalizione militare a guida USA fu determinato da tali circostanze come esplicitamente dichiarato dallo stesso Presidente del Consiglio dei ministri sempre nella seduta del Senato della Repubblica del 19 febbraio 2003: «Gli Stati Uniti non resteranno soli nell'impresa di impedire la proliferazione delle armi di distruzione di massa in mano a chi ha già violato così cinicamente la legalità internazionale e non esiterebbe a mettere a rischio la sicurezza anche dei nostri cittadini, come peraltro ha già fatto nei confronti del suo stesso popolo. Per questi motivi il Governo ha autorizzato, secondo i trattati bilaterali e lo spirito delle alleanze liberamente contratte dall'Italia e ribadite nel tempo da tutti i suoi Governi, anche dagli ultimi Governi di centro-sinistra, tutte le misure necessarie ad assicurare dal punto di vista logistico la possibilità della pressione militare sull'Iraq»;
10) a meno di un anno dalla conclusione del conflitto, di fronte alla crescente richiesta di chiarimenti da parte delle pubbliche opinioni e di fronte alle dichiarazioni rese dall'ispettore statunitense David Kay, i Governi degli Stati Uniti d'America e del Regno Unito avevano deciso di dare vita a commissioni di inchiesta sui fatti che si riteneva avessero portato i servizi di intelligence a fornire informazioni errate o deliberatamente manipolate.
Dalla essenziale cronologia riportata è quindi di tutta evidenza che anche il Governo italiano dell'epoca, oltre ad altri soggetti pubblici o privati, ha avuto un ruolo importante in questa complessa vicenda ed è altresì noto che sino ad ora nessuna seria attività di inchiesta è stata condotta sui fatti descritti e sulle conseguenti decisioni assunte; da qui l'esigenza di fare finalmente chiarezza al fine di dissipare
Onorevoli Colleghi, in una situazione in cui in Iraq non è garantita la sicurezza, l'obiettivo di realizzare «il diritto del popolo iracheno di determinare liberamente il proprio avvenire e di avere il controllo delle proprie risorse naturali», menzionato dalla citata risoluzione ONU n. 1483 del 2003, appare assai incerto e lontano nel tempo, e l'Italia è diventata e continua ad essere «potenza occupante», con un contingente militare sotto il comando anglo-americano, è fondamentale per il Parlamento e per il Paese sapere se è stata raccontata tutta la verità sul conflitto, sulle sue cause e sul suo svolgimento, ma soprattutto sul ruolo che l'Italia e il Governo allora in carica hanno ricoperto.
Per questi motivi si ritiene urgente e importante avviare anche in Italia una inchiesta parlamentare, così come è avvenuto altrove. La presente proposta di legge istituisce a tale fine una apposita Commissione parlamentare di inchiesta.
Scoprire la verità su quanto avvenuto è nell'interesse del Paese e della credibilità delle istituzioni agli occhi dei cittadini italiani e di quelli del resto del mondo.
1. È istituita, ai sensi dell'articolo 82 della Costituzione, una Commissione parlamentare di inchiesta sul ruolo del Governo italiano nella vicenda relativa alle informazioni concernenti il possesso e l'uso di armi di distruzione di massa da parte del regime iracheno, nonché sulle cause che hanno portato al conflitto in Iraq nell'anno 2003, di seguito denominata «Commissione».
2. La Commissione ha il compito di:
a) accertare, svolgendo tutte le necessarie indagini, quale ruolo è stato svolto dal Governo italiano nella vicenda relativa al presunto possesso e alla possibilità di un immediato uso di armi di distruzione di massa da parte del regime iracheno;
b) accertare il ruolo svolto dai servizi di intelligence italiani e dagli altri soggetti pubblici o privati che a vario titolo si sono occupati della vicenda, con particolare riferimento all'attendibilità degli elementi di prova che sono stati posti a base delle convinzioni maturate e delle decisioni assunte dal Governo italiano;
c) accertare più in generale le motivazioni che hanno portato al conflitto iracheno e se queste corrispondano alle motivazioni dichiarate nelle sedi internazionali dai Governi a qualunque titolo coinvolti nel conflitto, in particolare dal Governo italiano;
d) accertare se in Iraq, alla data di inizio delle ostilità, fossero presenti o meno armi di distruzione di massa di tipo atomico o nucleare, chimico, batteriologico
e) accertare la veridicità degli elementi di prova sulle responsabilità del regime iracheno riguardo alla creazione o alla detenzione di armi di distruzione di massa e se tali informazioni fossero o meno a conoscenza del Governo italiano e, più in generale, valutare le informazioni riguardo alle cause scatenanti del conflitto, la conoscenza di esse da parte del Governo italiano e la corrispondenza rispetto alle comunicazioni rese al Parlamento;
f) riferire al Parlamento sull'esito dell'inchiesta.
3. La Commissione conclude i propri lavori entro un anno dalla data della sua istituzione e presenta al Parlamento la relazione finale entro i successivi due mesi.
1. La Commissione è composta da venti senatori e da venti deputati nominati, rispettivamente, dal Presidente del Senato della Repubblica e dal Presidente della Camera dei deputati, in modo da rispecchiare la consistenza proporzionale di ciascun gruppo parlamentare e comunque assicurando la presenza di un rappresentante per ciascun gruppo costituito in almeno un ramo del Parlamento.
2. L'ufficio di presidenza della Commissione, composto dal presidente, da due vicepresidenti e da due segretari, è eletto a scrutinio segreto dalla Commissione stessa tra i suoi componenti. Nella elezione del presidente, se nessuno riporta la maggioranza assoluta dei voti, si procede al ballottaggio tra i due candidati che hanno ottenuto il maggior numero di voti. In caso di parità di voti, è proclamato eletto o entra in ballottaggio il più anziano di età.
3. Per l'elezione, rispettivamente, dei due vicepresidenti e dei due segretari,
1. La Commissione procede alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e le stessi limitazioni dell'autorità giudiziaria.
2. Per le testimonianze davanti alla Commissione, si applicano le disposizioni degli articoli da 366 e 384-bis del codice penale.
1. La Commissione può acquisire copie di atti e documenti relativi a indagini e inchieste parlamentari, anche se coperti dal segreto. In tale ultimo caso la Commissione garantisce il mantenimento del regime di segretezza.
2. La Commissione stabilisce quali atti e documenti non devono essere divulgati, anche in relazione ad esigenze attinenti ad altre istruttorie o inchieste in corso. Devono in ogni caso essere coperti dal segreto gli atti e i documenti attinenti a procedimenti giudiziari nella fase delle indagini preliminari.
3. L'attività della Commissione e il funzionamento della Commissione sono disciplinati da un regolamento interno approvato dalla Commissione stessa prima dell'inizio dei lavori. Ciascun componente può proporre la modifica delle norme regolamentari.
4. La Commissione può organizzare la propria attività anche attraverso uno o più gruppi di lavoro, costituiti secondo il regolamento di cui al comma 3.
5. Tutte le volte che lo ritenga opportuno, la Commissione può riunirsi in seduta segreta.
1. I componenti della Commissione, il personale addetto alla stessa ed ogni altra persona che collabora con la Commissione o compie o concorre a compiere atti di inchiesta, oppure ne viene a conoscenza per ragioni di ufficio o di servizio, sono obbligati al segreto per tutto quanto riguarda gli atti e i documenti di cui all'articolo 4, comma 2.
2. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, la violazione del segreto di cui al comma 1, nonché la diffusione in tutto o in parte, anche per riassunto o informazione, di atti o documenti del procedimento di inchiesta dei quali è stata vietata la divulgazione, sono punite ai sensi dell'articolo 326 del codice penale.
1. Le risultanze delle indagini compiute dalla Commissione sono trasmesse, al termine dei lavori della stessa Commissione, all'autorità giudiziaria competente per territorio, all'autorità giudiziaria militare competente per territorio, alla Corte penale internazionale e al Consiglio di sicurezza dell'ONU.
1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
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