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PDL 1867

XV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 1867


 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

VICHI, FLUVI, BRESSA, SERENI, AMENDOLA, BARATELLA, BIANCHI, BIANCO, CALGARO, CARBONELLA, CARRA, CHICCHI, CRISCI, D'ANTONA, GIANNI FARINA, FARINONE, FILIPPESCHI, FINCATO, FOGLIARDI, FRIGATO, FRONER, GALEAZZI, GAROFANI, GRASSI, LARATTA, MARGIOTTA, GIORGIO MERLO, MISIANI, MOTTA, OTTONE, PEDULLI, PERTOLDI, QUARTIANI, RIGONI, NICOLA ROSSI, RUGGERI, SAMPERI, STRIZZOLO, TESSITORE, TOLOTTI, VANNUCCI, VICO, VILLARI

Delega al Governo per la revisione del trattamento tributario della famiglia secondo il metodo del quoziente familiare

Presentata il 27 ottobre 2006


      

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Onorevoli Colleghi! - Con la presente proposta di legge ci proponiamo di modificare il sistema fiscale che, con la normativa vigente, penalizza la famiglia monoreddito con figli a carico.
      Già la Corte costituzionale, con sentenza 15 luglio 1976, n. 179, aveva invitato il Parlamento a correggere questa distorsione, ma, nonostante la reiterazione della sollecitazione, la situazione è rimasta invariata; anche se il Parlamento con l'articolo 19 della legge 29 dicembre 1990, n. 408, aveva delegato il Governo a predisporre appositi decreti legislativi il cui iter, tuttavia, pur iniziato, non si è concluso. Ha pesato probabilmente sulle «inadempienze» la considerazione che l'introduzione del quoziente familiare avrebbe comportato una forte diminuzione delle entrate.
      Nella scorsa legislatura, poi, la maggioranza ha scelto di puntare sulla sostanziale eliminazione del carattere progressivo dell'imposizione fiscale, verso due sole aliquote (23 per cento e 33 per cento), eliminazione che renderebbe meno incisiva la valorizzazione del reddito familiare. Giova ricordare però che la «riforma Tremonti» è stata accompagnata da
 

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un aspro dibattito, sostenendo alcuni partiti della sua stessa maggioranza che sarebbe stato meglio utilizzare per le imprese e per le famiglie le risorse che si stavano destinando ai redditi più alti.
      Oggi si conviene che ogni politica fiscale debba partire dal recupero dell'evasione e che le risorse recuperate possono essere utilizzate anche per un abbassamento della pressione fiscale nel nostro Paese. La nostra proposta si colloca in questa prospettiva, utilizzando parte delle risorse recuperate per correggere l'iniqua penalizzazione della famiglia. Ciò è possibile introducendo nel nostro sistema il quoziente familiare, uno dei possibili strumenti, non l'unico, ma il più equo anche in riferimento a deduzioni e detrazioni.
      Tutta la letteratura specifica, ivi comprese le numerose indagini del Parlamento, concorda nel ritenere il sistema fiscale francese (appunto a quoziente familiare) il più giusto ed il più efficace per la famiglia. Mentre quello italiano si caratterizza per una singolare contraddizione: si fonda sulla tassazione a base individuale (che a parità di reddito penalizza le famiglie monoreddito) e contemporaneamente determina le tariffe sulla base del reddito familiare, se non addirittura sul patrimonio della famiglia.
      La nostra proposta ha indubbiamente un possibile effetto indotto di politica demografica; non dimentichiamo però che la famiglia è prima di tutto, e sempre, una vocazione, una scelta di vita.
      Ci muoviamo su due binari paralleli, del quoziente familiare che è riferito ai diritti della famiglia, e delle deduzioni e delle detrazioni che attengono ai diritti dell'individuo; è demandata poi al decreto delegato l'armonizzazione dei diversi strumenti, la cui combinazione non è neutra, poiché dipende dal valore sociale che si annette all'investimento nelle generazioni future, al contrasto delle povertà e agli obiettivi di carattere demografico.
      Questi obiettivi oggi sono affrontati con un sistema di deduzioni/detrazioni, in una specie di «scala di corrispondenza» opportunamente graduata in funzione del reddito.
      Non si riesce però a risolvere alcune contraddizioni, in primo luogo la cosiddetta «trappola della povertà» per gli incapienti; in secondo luogo il fatto che vi sia un livello in cui all'aumento del reddito lordo corrisponde una diminuzione del reddito netto. E il fatto incontestabile che le famiglie monoreddito siano penalizzate.
      Aggiungiamo che il sistema delle deduzioni/detrazioni è sostanzialmente rigido e che la migliore delle scale di corrispondenza non è neutra rispetto alle possibili scelte delle famiglie. Un problema che non è risolto neppure con un incremento dei servizi; rimane al fondo il problema di riconoscere che le famiglie sono il luogo delle decisioni di consumo, della loro libertà di scelta; un problema che si affronta meglio con il quoziente familiare.
      La nostra proposta ha ovviamente delle conseguenze sul versante delle entrate, di cui parleremo più avanti. Ci preme scansare, prima di tutto, una possibile contrarietà di carattere ideologico, pregiudiziale: alcuni pensano che il quoziente familiare comporterebbe una minore tensione al lavoro da parte del coniuge, in particolare delle donne.
      Questa preoccupazione però non ha riscontro nei Paesi in cui il quoziente familiare è già in vigore, Paesi che hanno tassi di occupazione femminile molto più alti del nostro; perché lo stato di disoccupazione molto raramente è frutto di scelte personali, quasi sempre è determinato dal mercato. Bisogna ricordare poi che, nelle nuove condizioni di instabilità familiare, la scelta lavorativa di tutti e due i coniugi è condizionata anche dall'esigenza di garantirsi sicurezza e previdenza per il futuro, di indipendenza e di dignità personale, indipendentemente dalle decisioni di paternità e maternità.
      La scelta di avere figli, sostenuta dal quoziente familiare e da una migliore rete dei servizi, pone semmai l'esigenza di rafforzare le politiche di sostegno del congedo, del part time, del reingresso nel mondo del lavoro.
      Consideriamo più fondata invece l'osservazione che la famiglia con due percettori di reddito gode di un livello di
 

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benessere «sociale» inferiore rispetto a quella con un solo reddito. In sostanza lavorare comporta costi maggiori di gestione familiare, mentre c'è un'economia nella presenza continua in famiglia di uno dei due coniugi; vi è cioè un deficit di benessere che vuole una compensazione e che, a seconda del reddito, può variare dall'1 al 30 per cento.
      Generalmente questo problema è risolto attribuendo al coniuge a carico un coefficiente inferiore ad 1 (fra lo 0,5 e lo 0,67); nella presente relazione sono contenute delle tabelle che illustrano la nostra scelta. Si vedrà che il coefficiente assegnato al coniuge è inferiore ad 1 e che la somma dei coefficienti che noi proponiamo è inferiore a quella della stessa scala di equivalenza, proprio per tener conto dei bonus.
      Alle considerazioni fin qui svolte, e che noi riteniamo di facile evidenza, crediamo utile aggiungerne alcune altre fondanti, discriminanti, perché altrimenti sarebbe difficile sfuggire al dilemma quoziente familiare-deduzioni e detrazioni.
      Partiamo ovviamente dal presupposto che le famiglie numerose abbiano minore capacità di spesa, e che i bisogni aumentino con l'ampliamento del nucleo, anche se in misura meno che proporzionale. E dal presupposto che la scala di equivalenza si può sostenere solo fino ad un certo reddito, al di sopra la scelta di avere figli non è correlata al sistema fiscale. Poniamo quindi un limite all'applicazione del quoziente familiare; per esigenze di bilancio, poi, saremo costretti ad affidare alle leggi finanziarie l'indicazione di limiti intermedi di reddito.
      La vera differenza, di fondo, è che nel sistema vigente la casalinga e gli altri familiari sono considerati «carichi detraibili», e i figli sono una semplice scelta individuale; mentre nella nostra proposta casalinghe e figli sono soggetti che partecipano al possesso del reddito familiare, e i figli sono un investimento che si trasferisce, come bene, all'intera società. E per questo è inevitabile che l'unità impositiva più opportuna sia la famiglia e non l'individuo, perché oggi più che mai è decisiva la struttura del consumo.
      Ritorniamo ad una questione che abbiamo accantonato; si dice che il problema sia la fornitura di servizi. Rispondiamo che sì, ci vogliono più servizi; ma il quoziente familiare non è un sussidio paragonabile ad un servizio, è uno strumento per una fiscalità più giusta e più equa. Esso non è contrattabile con un doveroso, ineliminabile incremento dei servizi, con una migliore qualificazione degli stessi, con una maggiore flessibilità del lavoro, con obbligatori piani regolatori degli orari della città.
      L'introduzione del quoziente familiare (divisione di tutto il reddito familiare per la somma dei coefficienti attribuiti ai suoi componenti: 1 al primo percettore di reddito, 0,65 al coniuge, 0,5 al primo figlio, 1 al secondo e al terzo, 0,5 agli altri e ai non autosufficienti; applicazione a questo risultato delle aliquote vigenti e somma del numero delle parti) comporta un risparmio cospicuo per la famiglie ed una contrazione delle entrate dello Stato.
      Non è pensabile che ci possa essere una compensazione aumentando le aliquote per tutti i contribuenti. La pressione fiscale media rimarrebbe invariata, ma non vediamo le condizioni politiche di un ritocco compensativo. Come dire che non ci sono le condizioni per eliminare l'imposta implicita che grava sulla famiglia con un'altra imposta.
      La soluzione la dobbiamo cercare nella lotta all'evasione e all'elusione, destinando le risorse recuperate al risanamento del bilancio, al sostegno del sistema produttivo, alla diminuzione della pressione fiscale. L'introduzione del quoziente familiare si colloca in questa prospettiva, da portare a termine nell'arco di una legislatura.

      La modifica di sistema che noi proponiamo avrebbe effetti più contenuti ove si abolisse di fatto, con la sostanziale riduzione ad una delle aliquote, il carattere progressivo dell'imposizione fiscale. Rimarrebbe in ogni caso la necessità di dare giustizia alle famiglie monoreddito, per le quali la detrazione per produzione di
 

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reddito si applica una sola volta e non due.
      Quanto costerà, a regime, questa riforma? Sebbene si tratti di una questione centrale, possiamo cambiare il tipo di approccio e partire dalle risorse che riusciremo a mettere a disposizione ogni anno; il problema diventa quindi quanti anni ci vorranno per andare a regime. Il costo è legato poi a molti altri fattori:

          - l'ammontare del reddito familiare a cui applicare il quoziente familiare;

          - la definizione dello stesso reddito familiare;

          - l'ammontare dei coefficienti;

          - eventuali clausole di salvaguardia.

      La nostra proposta è per una legge delega che fissi gli obiettivi da raggiungere, rimandando la verifica delle risorse alle leggi finanziarie.
      Devono concorrere, a nostro parere, al reddito familiare tutti i redditi da lavoro dipendente o autonomo, di impresa o da attività finanziaria, dei coniugi, dei figli fino alla maggiore età (elevata secondo le norme vigenti), dei familiari perennemente inabili al lavoro, delle altre persone indicate nell'articolo 433 del codice civile purché conviventi e a condizione che non posseggano redditi propri di importo superiore all'assegno sociale. Sono quindi esclusi i figli maggiorenni che rimangono nel nucleo originario oltre la maggiore età, calcolata con i criteri ricordati; perché non si deve penalizzare la famiglia, ma non si deve neppure dare un vantaggio a coloro che, per vocazione o convenienza, rinunciano alla formazione di una coppia.
      Concorrono in ogni caso alla determinazione del reddito familiare tutti i cespiti che sono inseriti nella tassazione a base individuale.
      Il quoziente familiare si applica al reddito familiare fino al triplo della media dei redditi dichiarati nell'ultimo anno, rispettivamente dai lavoratori dipendenti e dai lavoratori autonomi. La scelta di arrivare fino a tre volte il reddito medio è tesa a non realizzare un eccessivo appiattimento e a non penalizzare la tensione a migliorare la propria condizione. Proponiamo di raggiungere il livello delle tre volte il reddito medio di cui sopra in maniera progressiva, compatibilmente con le risorse disponibili, nell'arco di una legislatura. Nulla impedisce naturalmente che in futuro il limite di reddito possa essere elevato.
      Sono state fatte molte proiezioni sugli effetti prodotti dalla tassazione a base familiare, combinata con deduzioni e detrazioni; e si sono anche indicate alcune possibili contraddizioni marginali. Proponiamo che sia prevista una clausola di salvaguardia, una norma transitoria, che permetta agli interessati di rimanere ancorati ad una tassazione a base individuale ed alla amministrazione di fare i necessari aggiustamenti.
      Infine quali coefficienti applicare? Li abbiamo già indicati, qui possiamo accennare anche a un'altra opzione possibile, nella considerazione che coefficienti e tempi di attuazione sono legati. Atteso che noi facciamo nostra la scala di equivalenza di cui all'allegato n. 1, potremmo anche considerare la proposta di un abbassamento dei coefficienti per tener conto delle difficoltà finanziarie. Noi preferiamo agire non sui coefficienti, ma sui livello di reddito familiare interessato dal nuovo trattamento fiscale, livello da innalzare gradualmente fino al limite già indicato.
      Dobbiamo ricordare che c'è una vasta letteratura sulla materia, quasi tutta convergente sui valori che noi abbiamo fatti nostri. Si discute ancora sul valore del coefficiente da attribuire al coniuge, assai meno se fissare il coefficiente 1 a cominciare dal secondo o dal terzo figlio.
      Cominciamo dal coefficiente da attribuire ai figli, perché queste norme sono anche correlate alla volontà di sostenere il tasso di natalità nel nostro Paese; avvertiti sempre, tuttavia, che la scelta di maternità e paternità è prima di tutto una vocazione, un atto di donazione. Considerato che il tasso di natalità nel nostro Paese è oggi di 1,23 per donna fertile, riteniamo di fissare il coefficiente 1 fin dal secondo figlio, 1 per il terzo, 0,5 per i successivi e gli altri

 

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familiari a carico, escluso ovviamente il coniuge.
      Per il coniuge, fissare un coefficiente pari ad 1, come parrebbe logico ad un primo impatto, significherebbe non tener conto del reddito figurativo rappresentato dal coniuge impegnato totalmente in ambito familiare; gli studi fissano in una forbice 0,50- 0,65 la scelta più giusta. Noi scegliamo l'ipotesi 0,65 perché più fondata nelle indagini; per il primo percettore di reddito il coefficiente, ovviamente, non può che essere uguale ad 1.
      Il quoziente familiare naturalmente non cancella, ma ridefinisce il sistema delle deduzioni e detrazioni, che dovrà essere combinato in sede di decreto legislativo.

Allegato 1

Stime della povertà e scale di equivalenza. Il costo di mantenimento di un bambino.

      F. Perali. Stime della povertà e scale di equivalenza. Il costo di mantenimento di un bambino, Paper presentato al convegno della Commissione di indagine sull'esclusione sociale «Misure della povertà e politiche per l'inclusione sociale», Milano, 19-20 novembre 2004.

      Le scale di equivalenza rispondono al quesito «qual è il livello di reddito aggiuntivo di cui una famiglia composta da due adulti ed un bambino ha bisogno rispetto ad una famiglia senza bambini, al fine di godere dello stesso livello di benessere economico».
      La stima delle scale di equivalenza assume una rilevanza particolare nei sistemi fiscali in cui l'unità impositiva dell'imposta personale sul reddito è la famiglia e la tassazione del reddito familiare viene effettuata per parti attraverso il calcolo del quoziente. L'aliquota viene calcolata sul reddito equivalente che è il reddito familiare diviso per la scala di equivalenza familiare. Questo metodo incorpora il criterio di equità orizzontale che riconosce, a parità di reddito, che la famiglia più numerosa è relativamente più povera e corregge la distorsione implicita nei regimi a tassazione separata che penalizza i contribuenti con familiari a carico e le famiglie monoreddito.
      Il calcolo del costo del bambino si riferisce in genere al solo costo di mantenimento deducibile dalle spese per beni necessari quali le spese per l'alimentazione, la casa, i vestiti. È però importante riconoscere che il costo di mantenimento di un bambino è molto diverso dal costo contabile associato all'accrescimento del bambino o costo di produzione. Questo tiene conto anche del valore del tempo investito dai genitori, dell'investimento sulla qualità dei figli e di altri costi relativi a spese non necessarie per i figli. Per questo motivo è naturale pensare che il costo di accrescimento di un figlio vari significativamente al variare del reddito. Mentre le stime del costo di mantenimento del bambino servono per operare confronti interpersonali e correggere stime di povertà ed ineguaglianza, le stime del costo di produzione del bambino possono essere impiegate per spiegare le scelte di fertilità.
      La ricerca - che si propone di dare un contributo all'aggiornamento della stima del costo di mantenimento dei figli attualmente adottata nella costruzione dell'Indicatore delle condizioni socio-economiche che risale al 1985 - utilizza un concetto esteso di scale di equivalenza in quanto la sua misurazione tiene conto della grande eterogeneità tra famiglie in termini anche di stili di vita, delle diverse tecnologie familiari adottate per catturare le economie di scala e, almeno in linea teorica, delle diverse modalità di allocazione delle risorse all'interno della famiglia.
      Le scale in uso non riconoscono un peso diverso, in termini di necessità, alle diverse componenti familiari come, per esempio, la differenza in età dei bambini; un secondo limite sta nell'assunzione di una divisione equa delle risorse familiari monetarie e di tempo tra i membri. Questo implica che i livelli di benessere, e conseguentemente della povertà, siano gli stessi per ogni componente. I livelli di

 

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benessere individuali sono stimabili a condizione che si conosca come sono distribuite le risorse all'interno della famiglia, vale a dire, nel nostro caso, quanto viene speso per la componente adulta e quanto per i bambini. Possono di fatto verificarsi situazioni in cui esistono bambini «poveri» in famiglie ricche e bambini «ricchi» in famiglie povere. Se non si tiene conto delle modalità di condivisione delle risorse all'interno della famiglia si corre il rischio di escludere da forme di aiuto bambini che dovrebbero di fatto essere inclusi. Per esempio, la povertà dei bambini si misura tradizionalmente calcolando la proporzione di famiglie con bambini che sono al di sotto della linea di povertà, senza tener conto dell'effettivo livello di benessere del bambino. Lo studio cerca di risolvere entrambi questi limiti stimando sia scale di equivalenza specifiche a ogni componente della famiglia in modo da incorporare la differenze tra famiglie in modo più appropriato e di ottenere una più precisa misurazione della povertà e della ineguaglianza; sia la regola di condivisione delle risorse familiari (utilizzando un sistema di domanda completo basato sulla teoria collettiva e l'informazione relativa al consumo di beni esclusivi quali il vestiario per adulti e per bambini). Data la conoscenza della regola di condivisione è possibile derivare sia una stima approssimativa del costo di accrescimento del bambino, sia i livelli di benessere e di povertà individuali.
      Utilizzando i bilanci familiari ISTAT relativi al 2002, la ricerca stima i costi dei singoli componenti della famiglia allo scopo di rendere i livelli di reddito comparabili tra famiglie di diversa composizione e consentire analisi di povertà ed ineguaglianze più accurate.
      Gli indici del costo della caratteristica «presenza di uno o più bambini» sono stati calcolati per le tre classi di età 0-5, 6-13, 14-18, e per Italia, Nord, Centro e Sud. La famiglia di riferimento è la coppia senza figli. Le famiglie costituite da due genitori e da un bambino 0-6 anni richiedono 1,27 volte la spesa totale della coppia senza figli di riferimento per avere lo stesso livello di benessere. Un bambino di età inferiore ai 6 anni accresce i costi di una coppia di circa il 27 per cento e costituisce circa il 53 per cento del costo di un adulto equivalente. Un bambino di età compresa fa i 6 ed i 13 anni aumenta i costi di una coppia senza figli di circa il 30 per cento, mentre un bambino della classe di età superiore li accresce del 17 per cento, che corrisponde al 35 per cento rispetto ad un adulto equivalente.
      È interessante notare che tra le diverse regioni le differenze nelle scale non sono economicamente significative ad eccezione del costo di un bambino di età inferiore ai 6 anni nel Sud Italia che è superiore rispetto alle altre macro regioni italiane.

Allegato 2

      L'applicazione del quoziente familiare ha lo scopo di ristabilire una equità orizzontale attraverso il riconoscimento e la non imponibilità delle spese sostenute dalla famiglia per il mantenimento del coniuge e dei figli, dando attuazione al precetto costituzionale di riconoscimento della famiglia.
      Il rapporto della Commissione di indagine sull'esclusione sociale riporta, tra i contributi presentati al convegno del 19-20 novembre 2004 (F. Perali, Stime della povertà e scale di equivalenza: il costo di mantenimento di un bambino), le scale di equivalenza con il metodo di Engel allo scopo di rendere i livelli di reddito comparabili proponendo, con una elaborazione che riguarda i bilanci familiari ISTAT 2002, la prima tabella (partendo dalla coppia senza figli posta al parametro 2,00) e considerando il numero dei figli, proponendo risultati coerenti con le evidenze empiriche e con le esperienze di altri paesi.

N. figli minori Quoziente di equivalenza

0 2,00
1 2,499
2 3,122
3 3,902

 

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      Noi nella nostra elaborazione calcoliamo il coniuge pari a 0,65, e quindi la tabella di equivalenza andrebbe rideterminata con i seguenti valori.

N. figli minori Quoziente di equivalenza

0 1,65
1 2,149
2 2,772
3 3,552

      L'applicazione delle scale di equivalenza porterebbe ad una riduzione rilevante del gettito e quindi si pone il problema della sua messa a regime nel periodo medio. Nell'articolato abbiamo scelto di demandare al decreto delegato l'individuazione della necessaria gradualità. Si può operare partendo da limiti di reddito più bassi per raggiungere il limite massimo individuato nel medio periodo; si privilegerebbe cioè una estensione graduale iniziando dai redditi minori. O rifacendosi alla proposta Acli-Campiglio.
      Questa proposta, sempre in considerazione del costo della riforma, punta a dare in una prima fase un peso ridotto ai quozienti familiari: 0,5 per il coniuge (e non 0,65), 0,25 per il figlio a carico (in luogo di 0,5-1). In questo caso sarebbero immediatamente interessate tutte le famiglie che rientrano nei limiti di reddito familiare, e la messa a regime sarebbe affidata all'innalzamento graduale dei coefficienti.

 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

      1. Il Governo è delegato ad adottare, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro delle politiche per la famiglia, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo concernente la revisione del trattamento tributario del reddito della famiglia, secondo i princìpi e i criteri direttivi di cui alla presente legge.

Art. 2.

      1. Il reddito familiare, determinato secondo il metodo del quoziente familiare, è ottenuto sommando i redditi prodotti dai coniugi, non legalmente o effettivamente separati, dai figli legittimi o legittimati, naturali riconosciuti, adottivi, affiliati ed affidati, minori di età o perennemente invalidi al lavoro, e quelli di età non superiore a ventisei anni dediti agli studi o a tirocinio gratuito, nonché delle altre persone indicate nell'articolo 433 del codice civile purché conviventi e a condizione che non posseggano redditi propri di importo superiore a quello dell'assegno sociale vigente nell'anno di produzione del reddito. Non si considerano i redditi esclusi nella valutazione del diritto all'assegno sociale.

Art. 3.

      1. Il reddito familiare, determinato ai sensi dell'articolo 2, è diviso per la somma dei coefficienti attribuiti ai componenti della famiglia nelle seguenti misure:

          a) 1 per il primo percettore di reddito;

 

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          b) 0,65 per il coniuge;

          c) 0,5 per il primo figlio;

          d) 1 per il secondo e il terzo figlio;

          e) 0,5 per i figli seguenti e per le altre persone di cui all'articolo 433 del codice civile.

      2. L'imposta familiare è calcolata applicando, al reddito determinato in base al comma 1, le aliquote vigenti, comprese le detrazioni, e moltiplicando l'importo ottenuto per la somma dei coefficienti attribuiti ai componenti della famiglia.

Art. 4.

      1. Il trattamento fiscale determinato secondo il modello del quoziente familiare si applica a tutti i redditi familiari fino a un ammontare pari a tre volte il reddito medio complessivo, rispettivamente dei lavoratori dipendenti e dei lavoratori autonomi. Oltre tale importo si applicano le modalità della tassazione su base individuale.

Art. 5.

      1. I contribuenti hanno facoltà di optare, per ogni dichiarazione dei redditi, per la tassazione a base individuale, purché entrambi i coniugi vi consentano. Il decreto legislativo di cui all'articolo 1 può stabilire un limite temporale per esercizio della predetta facoltà.
      2. I lavoratori dipendenti che intendono avvalersi della tassazione a base familiare, i cui redditi sono tassati invece tramite ritenuta alla fonte, da parte del datore di lavoro, su base individuale, recuperano le somme a credito in sede di dichiarazione dei redditi.

Art. 6.

      1. La completa attuazione della disciplina relativa al trattamento tributario sulla base del quoziente familiare deve essere portata a compimento in un arco

 

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temporale di cinque anni. Ai fini della progressiva attuazione della predetta disciplina, la legge finanziaria indica annualmente il livello massimo di reddito familiare cui applicare il trattamento del quoziente familiare e individua le risorse stanziate a questo fine.

Art. 7.

      1. Il reddito familiare, determinato ai sensi dell'articolo 2, è preso a riferimento per la determinazione delle tariffe dei servizi dalle amministrazioni pubbliche. A questo reddito possono aggiungersi le valutazioni sul patrimonio. Il decreto legislativo di cui all'articolo 1 provvede all'armonizzazione delle norme di cui alla presente legge con quelle del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109.

Art. 8.

      1. Il decreto legislativo di cui all'articolo 1 reca le disposizioni necessarie per il coordinamento con la disciplina degli oneri deducibili e delle detrazioni di imposta, nonché per il coordinamento delle norme in vigore relative all'accreditamento, alla riscossione, alle sanzioni, al contenzioso e ad ogni altro adempimento connesso all'introduzione dell'imposizione secondo il metodo del quoziente familiare sulla base dei seguenti princìpi e criteri direttivi:

          a) dal reddito complessivo di ciascun componente della famiglia si deducono, se non sono deducibili nella determinazione dei singoli redditi che concorrono a formarlo, gli oneri di cui all'articolo 10 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, ad eccezione di quanto indicato nel comma 2, terzo periodo, del medesimo articolo;

          b) dall'imposta lorda complessiva della famiglia si detrae un importo pari al 19 per cento degli oneri sostenuti dalla stessa, come previsti dall'articolo 15 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, se non deducibili nella determinazione dei singoli

 

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redditi che concorrono a formare il reddito complessivo. Si operano inoltre le detrazioni previste dall'articolo 16 del medesimo testo unico, che devono essere rideterminate tenendo conto dei livelli di reddito della famiglia, e quelle relative al recupero del patrimonio edilizio, di cui alla legge 27 dicembre 1987, n. 449, e successive modificazioni, nonché le altre detrazioni stabilite da norme di legge non afferenti carichi di famiglia.

      2. L'articolo 4, comma 1, lettera c), del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986 è soppresso.
      3. All'articolo 10, comma 2, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, le parole: «fiscalmente a carico» sono sostituite dalle seguenti: «appartenenti al nucleo familiare».

Art. 9.

      1. Con il decreto legislativo di cui all'articolo 1 si provvede a introdurre le seguenti nuove tipologie di detrazioni:

          a) per l'acquisto dei libri di testo per gli alunni delle scuole medie, nei limiti della spesa indicata dal Ministro della pubblica istruzione;

          b) per le spese documentate sostenute dai genitori per il pagamento di rette relative alla frequenza di asili nido, per una detrazione complessiva non superiore a 632 euro annui per ogni figlio ospitato negli stessi asili nido.

Art. 10.

      1. Con il decreto legislativo di cui all'articolo 1 si provvede a introdurre specifiche modalità di attribuzione ai nuclei familiari numerosi di crediti in relazione alla partecipazione al nucleo familiare dei seguenti soggetti, per i quali non deve sussistere il possesso di redditi di importo superiore a quello dell'assegno sociale:

          a) coniuge;

 

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          b) figli, compresi i figli naturali riconosciuti, i figli adottivi e gli affidati e gli affiliati;

          c) ogni altra persona indicata nell'articolo 433 del codice civile che conviva con il contribuente o percepisca assegni alimentari non risultanti da provvedimenti dell'autorità giudiziaria.

Art. 11.

      1. Nel caso in cui i crediti e le detrazioni complessivamente spettanti alla famiglia siano superiori all'imposta lorda calcolata in base alle disposizioni del decreto legislativo di cui all'articolo 1, alla famiglia è riconosciuto un credito pari al massimo dell'importo relativo ai crediti per carichi familiari e altri eventuali crediti spettanti. Alla corresponsione dei crediti si provvede in sede di dichiarazione dei redditi.

Art. 12.

      1. Il Governo trasmette, per il parere, lo schema di decreto legislativo di cui all'articolo 1 alla Commissione parlamentare di cui all'articolo 17, terzo comma, della legge 9 ottobre 1971, n. 825, nella composizione stabilita dall'articolo 1, comma 4, della legge 29 dicembre 1987, n. 550. La Commissione esprime il proprio parere entro due mesi dalla ricezione dello schema, indicando specificatamente le eventuali disposizioni che non ritiene rispondenti ai princìpi e ai criteri direttivi della presente legge. Il Governo, nel mese successivo, esaminato il parere, trasmette nuovamente, con le osservazioni e le eventuali modificazioni, lo schema alla Commissione per il parere definitivo, che deve essere espresso entro un mese.
      2. Le disposizioni del decreto legislativo hanno effetto a decorrere dal 1o gennaio 2008.


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