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PDL 1842

XV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 1842



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa del deputato TOLOTTI

Istituzione di una imposta sulle transazioni valutarie

Presentata il 23 ottobre 2006


      

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Onorevoli Colleghi! - Nel corso degli ultimi anni abbiamo assistito a notevoli cambiamenti negli scenari dell'economia mondiale. Secondo autorevoli esponenti della comunità accademica e importanti istituzioni internazionali come le Nazioni Unite o la Banca mondiale, alcune tra le più rilevanti trasformazioni si sono registrate nel campo della finanza e della distribuzione del reddito. L'accelerazione dei processi di deregolamentazione finanziaria è stata accompagnata da fenomeni di instabilità sempre più vistosi, soprattutto in campo valutario. Inoltre, il pressoché completo abbattimento dei vincoli alla libera circolazione internazionale dei capitali ha fortemente limitato le politiche economiche nazionali. E la combinazione tra instabilità finanziaria e impotenza della politica economica ha notevolmente contribuito alla inquietante divaricazione dei redditi verificatasi, durante gli anni '90, sia tra Paesi che all'interno dei singoli Paesi.
      È ormai vastissima la letteratura economica in grado di dare fondamento e supporto ai nessi appena delineati. Sul piano teorico, i recenti studi sull'incompletezza dei mercati, sulle asimmetrie informative, sul comportamento speculativo hanno ridestato l'attenzione degli economisti nei confronti del problema dell'instabilità finanziaria e valutaria. Sul piano dell'evidenza empirica, il frequente ripetersi di crisi valutarie in Europa, in Russia, nel Sud-Est asiatico e in America Latina, l'assenza di «basi oggettive» in grado di spiegare gli enormi, repentini afflussi e deflussi di capitale che spesso attraversano i Paesi meno sviluppati; questi e molti altri eventi hanno sollevato fortissimi dubbi sui meccanismi autoregolativi e sulle proprietà taumaturgiche della «mano invisibile» del libero mercato, in particolare del mercato finanziario.
      In tal senso, gran parte della comunità accademica sembra ormai aver fatto propria una famosa affermazione del premio
 

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Nobel per l'economia Joseph Stiglitz, secondo il quale il sostegno politico degli ultimi vent'anni alla deregolamentazione finanziaria è stato «fondato più su un legame ideologico nei confronti di una concezione idealizzata dei mercati che sull'analisi dei fatti o della teoria economica».
      La medesima concezione idealizzata dei mercati ha spesso indotto a trascurare le straordinarie divaricazioni dei redditi associate al dilagare dei fenomeni di instabilità valutaria e finanziaria. Eppure, a conferma dell'allargamento della forbice distributiva, basterebbe ricordare le forti sperequazioni che sono state determinate dalle minacce di fuga dei capitali e dalle conseguenti politiche restrittive e disinflazioniste, o i costi in termini di compressione dei salari e della spesa sociale fatti pagare ai lavoratori e alle categorie più svantaggiate per conferire ai singoli Paesi credibilità internazionale, oppure, ancora, l'arresto della crescita economica e la disoccupazione scaturiti dallo scoppio delle bolle speculative derivanti dall'apertura di molti Paesi emergenti ai capitali internazionali. Messico, Indonesia, Corea del Sud, Russia, ma in parte anche la stessa Italia nel corso dei primi anni '90, sono solo alcuni dei moltissimi Paesi che hanno vissuto simili fenomeni di spostamento dei redditi e della ricchezza, generalmente a favore delle speculazioni finanziarie e a danno dei lavoratori e dei beneficiari della spesa pubblica.
      La rinnovata presa di coscienza nei confronti della strutturale instabilità dei mercati monetari e finanziari e dei danni che essa è in grado di provocare, ha riaperto il dibattito sulla necessità di attribuire alla politica innovativi strumenti di controllo e di governo delle dinamiche economiche. Sul piano valutario, l'attuale impotenza delle istituzioni politiche nazionali si manifesta oggi nella esiguità delle riserve delle Banche centrali in confronto alla enorme massa di capitali privati circolanti, nella sostanziale incapacità dei singoli Paesi di controllare le ondate di capitale in entrata e in uscita, nel ricorso massiccio all'innalzamento dei tassi di interesse per tentare di rimediare alle crisi di fiducia.
      All'impotenza delle autorità nazionali si aggiungono poi inadeguatezza e limiti ampiamente dimostrati nella loro azione dalle istituzioni internazionali.
      È dunque sempre più sentita l'esigenza di conferire alla politica nuove leve, nazionali e internazionali, di controllo e di governo dei mercati. Un'esigenza così forte da aver indotto il premio Nobel per l'economia Amartya Seri ad invocare una riforma radicale dell'ordine monetario mondiale, una riforma che prenda «esplicitamente le distanze dall'architettura ereditata da Bretton Woods», ormai inadeguata a soddisfare sia le esigenze di stabilizzazione dell'economia mondiale che la domanda di giustizia sociale che sempre più imponente sta emergendo da tutti gli angoli del mondo.
      Non è tuttavia semplice aprire un dibattito sul delicatissimo tema della riforma dell'ordine monetario internazionale. La comunità finanziaria vi si oppone e, più in generale, le resistenze politiche sono ancora molto forti. Un primo passo nella direzione del cambiamento è stato allora individuato in una proposta, avanzata per la prima volta nel 1972 dal premio Nobel per l'economia James Tobin, basata sulla istituzione di un'imposta sulle transazioni valutarie, la cosiddetta «Tobin tax».
      Per quanto semplice e limitata, la proposta di Tobin ha raccolto negli ultimi anni il consenso di gruppi e di movimenti politici sempre più numerosi e significativi.
      Riguardo alla comunità accademica, si è verificata una straordinaria convergenza a sostegno della «Tobin tax» da parte di economisti di diversa provenienza culturale e politica. Le ragioni di un simile successo sono molte. Sul piano operativo, spicca il fatto che una tassa sulle transazioni valutarie appare in grado di contribuire contemporaneamente alla riduzione dell'instabilità sui mercati valutari, all'aumento dei margini di manovra delle autorità di politica economica nazionale e all'intervento redistributivo per rimediare,
 

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almeno in parte, alle sperequazioni dei redditi verificatesi nel corso di questi anni.
      Sul piano politico, l'istituzione della «Tobin tax» potrebbe simbolicamente rappresentare una netta inversione di tendenza rispetto alle scelte di deregolamentazione dell'ultimo ventennio. Uno strumento semplice, dunque, per il perseguimento di molti obiettivi complessi, sia operativi che politici.
      Il funzionamento della «Tobin tax» è relativamente agevole da comprendere.
      Essa consiste in un'imposta proporzionale al valore di ogni transazione valutaria effettuata, ed è pagata in eguale misura da entrambe le parti del contratto. Questo significa, ad esempio, che a fronte di una conversione di un milione di euro in dollari, un'imposta dello 0,1 per cento imporrebbe a ognuno dei contraenti di versare al fisco 1.000 euro, o il loro equivalente in dollari.
      Per avere un'idea intuitiva del modo in cui questo tipo di imposta persegue gli obiettivi menzionati è opportuno soffermare l'attenzione sul funzionamento del mercato valutario. Una parte importante delle transazioni effettuate su questo mercato è di natura speculativa. Esse sono, cioè, realizzate da operatori che scommettono sull'andamento futuro dei tassi di cambio. Opinione diffusa è che l'instabilità dei cambi derivi proprio da questo tipo di transazioni; alcuni ritengono, infatti, che la loro preponderanza sugli scambi commerciali tenda a dissociare i tassi di cambio da qualsiasi base oggettiva; altri, più semplicemente, affermano che gli speculatori, agendo in base ad un'ottica di brevissimo periodo, tendono a sconvolgere i piani a più lungo termine che caratterizzano gli investimenti produttivi e gli scambi commerciali. Ad ogni modo, l'istituzione della «Tobin tax» introdurrebbe una novità: essa indurrebbe gli speculatori ad effettuare soltanto le operazioni più redditizie, quelle, cioè, il cui guadagno atteso sia in grado di compensare l'imposta pagata. Pertanto, ridimensionando l'attività speculativa, questo tipo di imposta potrebbe anche ridurre le oscillazioni delle valute e i relativi turbamenti per l'attività produttiva e commerciale.
      Riguardo poi all'obiettivo dell'ampliamento dei margini di manovra della politica economica nazionale, va tenuto presente che gli operatori finanziari orientano i loro acquisti verso le valute in grado di assicurare i tassi di interesse più elevati. Pertanto, a parità di altre condizioni, una politica monetaria espansiva, che comporti tassi di interesse interni più bassi di quelli prevalenti a livello internazionale, rischia di dare luogo a ingenti vendite di valuta nazionale. L'istituzione della «Tobin tax» potrebbe entro certi limiti disincentivare quelle vendite, attribuendo così alle autorità di politica monetaria un maggiore spazio di manovra sui tassi interesse. A tutto ciò, e nonostante il fatto che l'imposta di per sé riduca il volume di transazioni, occorre infine aggiungere il gettito che da essa potrebbe scaturire.
      Quanto al suo funzionamento, la «Tobin tax» è stata oggetto di critiche di vario genere. Ad esempio, vi è stato chi ha sostenuto che l'imposta è distorsiva, poiché pregiudicherebbe l'allocazione efficiente delle risorse determinata dal libero operare delle forze di mercato.
      Ma questa obiezione si basa sull'ipotesi che il mercato si trovi perennemente in condizioni ottimali e che la speculazione sia sempre stabilizzante; assunzioni che la letteratura più avanzata considera ormai improponibili e che sopravvivono nel dibattito politico solo in base all'interesse o al pregiudizio ideologico. Altri hanno invece evocato il pericolo che l'imposta colpisca le transazioni commerciali piuttosto che l'attività speculativa. Ma, dato il basso livello dell'aliquota proposta, è ragionevole ritenere che l'imposta inciderebbe essenzialmente sugli speculatori, cioè su coloro che, effettuando il maggior numero di scambi valutari, sarebbero costretti a pagarla più spesso. Altri ancora hanno parlato di un pericolo di illiquidità o del fatto che l'imposta colpirebbe anche le operazioni di copertura contro il rischio. Ma pure nei confronti di tali perplessità la letteratura economica favorevole alla «Tobin tax» ha offerto argomentazioni convincenti,
 

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come ad esempio il fatto che, riducendo l'instabilità dei cambi, l'imposta potrebbe in molti casi liberare gli operatori dalla necessità stessa di coprirsi contro il rischio.
      Del resto, come è stato ammesso in un rapporto sulla «Tobin tax» del Parlamento europeo, è ormai assodato che le obiezioni più significative all'introduzione della tassa non sono di natura analitica, ma si riferiscono alla sua effettiva praticabilità politica.
      L'ostacolo fondamentale all'istituzione di un'imposta sulle transazioni valutarie è infatti sempre consistito nella difficoltà di immaginare un accordo mondiale per l'applicazione simultanea della stessa su tutte le piazze. Un simile accordo è ritenuto necessario per evitare di veder migrare gli scambi valutari nei mercati in cui l'imposta non sia applicata. Ma al di là di pochi, timidi tentativi delle Nazioni Unite a metà degli anni '90, un'intesa del genere non è mai stata effettivamente perseguita nelle sedi della politica internazionale.
      L'accordo multilaterale e simultaneo, insomma, appare difficilmente praticabile. Mia opinione, tuttavia, è che l'impraticabilità di un simile accordo derivi in gran parte dalla pretesa che esso debba emergere dal nulla, anziché, magari, da un complesso di iniziative minori già consolidate.
      È in questo senso che ritengo fondamentale, allo stato attuale del dibattito, promuovere l'introduzione di un'imposta sulle transazioni valutarie all'interno dell'Unione europea. Ed è nella medesima ottica che propongo, in subordine, che un'imposta ancora più contenuta venga istituita anche soltanto in Italia. L'Italia in Europa e l'Europa nel mondo potrebbero in tal modo assumere il ruolo di battistrada per il raggiungimento di un'intesa a livello mondiale.
      La critica principale che viene rivolta a tale «strategia dal basso», alternativa all'accordo multilaterale e simultaneo, è che la migrazione delle transazioni verso le piazze esentate dall'imposta sarebbe immediata e imponente. L'ipotesi è che la reattività degli operatori finanziari all'introduzione di una simile imposta sia molto alta, anche nel caso in cui l'aliquota sia contenuta, e che non sussisterebbero ostacoli significativi allo spostamento di enormi volumi di transazione da una piazza all'altra. La letteratura economica, tuttavia, ha ormai chiarito che tali assunzioni riflettono solo una possibilità estrema all'interno di un ventaglio molto più ampio di esiti possibili. Non va dimenticato, in tal senso, che sono già esistite in passato situazioni di coesistenza di regimi fiscali differenziati in un contesto di libera circolazione dei capitali, e che solo di rado si sono riscontrate reazioni immediate e violente da parte degli operatori finanziari. Ma soprattutto, è bene chiarire che il vizio fondamentale delle critiche basate sulla migrazione delle transazioni sta nel fatto che tali critiche assumono implicitamente lo scenario politico come un dato immutabile, laddove invece l'obiettivo fondamentale di una «strategia dal basso» verte proprio sull'intento di scuotere quello scenario, per sollecitare l'applicazione dell'imposta da parte di tutti i Paesi e più in generale per dimostrare che i tempi sono maturi per il rilancio del dibattito sulla riforma del sistema monetario internazionale.
      La «Tobin tax» dunque non è la panacea, ma uno strumento operativo di cui ormai conosciamo tutti i limiti, ma anche le oggettive potenzialità. È inoltre un simbolo politico di rinnovamento, un possibile segnale di svolta dopo anni di arretramento della politica dalla gestione della moneta e della finanza.
      La presente proposta di legge ripropone il testo unificato delle proposte di legge presentate nella XIV legislatura a prima firma Crucianelli (atto Camera n. 1233), Nesi (atto Camera n. 1301), Giovanni Bianchi (atto Camera n. 1475) e Grandi (atto Camera n. 3048), nonché di una proposta di legge d'iniziativa popolare sostenuta da 180.000 firme (atto Camera n. 3041), adottato il 13 dicembre 2005 dalle Commissioni riunite III e VI della Camera dei deputati.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Istituzione di una imposta di bollo sulle transazioni valutarie).

      1. Al fine di assicurare maggiori risorse agli interventi in favore dei Paesi meno sviluppati, ai sensi di quanto previsto dall'articolo 4, nonché di controllare e di scoraggiare le transazioni finanziarie internazionali a carattere speculativo, è istituita una imposta di bollo su tutte le transazioni valutarie in contanti e a termine, la cui aliquota è pari allo 0 per cento. Il 1o gennaio successivo all'adesione da parte di tutti i Paesi dell'area Euro oppure di almeno sei Paesi membri dell'Unione europea tale aliquota è elevata allo 0,1 per cento.
      2. Il Governo è impegnato a promuovere i necessari accordi internazionali, con particolare riguardo agli Stati membri dell'area Euro e dell'Unione europea, previo parere della Commissione di cui all'articolo 5, al fine di adottare l'imposta di cui al presente articolo.
      3. Con l'adozione da parte degli altri Paesi membri dell'Unione europea di un'imposta equivalente a quella di cui alla presente legge, l'aliquota prevista dal comma 1 può essere parificata al livello concordato con gli altri Paesi con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze. Tale aliquota è elevata automaticamente ai livelli previsti dall'articolo 3, comma 1, lettera b), nei casi di eccessiva turbolenza del tasso di cambio al fine di bloccare gli eccessi speculativi, secondo i criteri stabiliti dal decreto legislativo di cui al medesimo articolo 3.
      4. Il Governo è autorizzato, in qualsiasi momento, ad apportare modifiche all'aliquota di cui al comma 3 e alle altre previsioni della presente legge per armonizzarla a quelle adottate da altri Paesi,

 

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previo parere delle competenti Commissioni parlamentari e della Commissione di cui all'articolo 5.

Art. 2.
(Caratteristiche dell'imposta).

      1. L'imposta di cui all'articolo 1 si applica a tutte le transazioni valutarie dirette o indirette e compiute attraverso qualunque strumento finanziario, anche derivato di qualunque natura, effettuate in Italia o riferite a soggetti a qualunque titolo operanti in Italia.
      2. Ai fini della presente legge, costituiscono transazioni valutarie i contratti, sia in contanti che a termine, gli swap e tutti i contratti derivati, da qualunque soggetto e a qualunque titolo effettuati, aventi per oggetto lo scambio di valute.
      3. Dal pagamento dell'imposta di cui all'articolo 1 sono esenti le Banche centrali e le altre autorità di politica economica nazionale e internazionale.

Art. 3.
(Delega al Governo).

      1. Il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo recante la disciplina dell'imposta di cui all'articolo 1, sentite le competenti Commissioni parlamentari, secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:

          a) elencazione completa delle transazioni valutarie in contanti e derivate, da e per l'estero, soggette all'imposta di cui all'articolo 1;

          b) previsione dei casi di eccessiva turbolenza del tasso di cambio di una valuta, considerando come criterio di base l'oscillazione di tale tasso oltre il 20 per cento di una specifica media dei venti giorni dei movimenti dei precedenti ultimi valori dello stesso, e definizione della misura della elevazione, oltre l'aliquota di cui al comma 3 dell'articolo 1, in misura

 

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almeno proporzionale all'osservazione registrata e nel rispetto dell'articolo 59 del Trattato istitutivo della Comunità europea;

          c) definizione delle modalità attuative della riscossione del tributo da parte degli intermediari finanziari, degli istituti di credito e di tutti i soggetti abilitati a porre in essere transazioni valutarie, quali sostituti di imposta;

          d) coordinamento della disciplina dell'imposta di cui all'articolo 1 con le norme del diritto comunitario, nonché armonizzazione di tale imposta con gli accordi stipulati dal Governo italiano con altri Paesi per evitare la doppia imposizione;

          e) destinazione del gettito derivante dall'imposta di cui all'articolo 1 alla costituzione di un fondo finalizzato al finanziamento di interventi in favore dei Paesi meno sviluppati.

      2. Entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo di cui al comma 1, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi previsti dal medesimo comma e previo parere delle competenti Commissioni parlamentari e della Commissione di cui all'articolo 5, sono emanate, con uno o più decreti legislativi, le necessarie disposizioni integrative e correttive.

Art. 4.
(Destinazione del gettito).

      1. Il gettito dell'imposta di cui all'articolo 1 è destinato al finanziamento di programmi realizzati di intesa con enti, associazioni, organismi di rappresentanza sociale e organizzazioni non governative, per il perseguimento dell'aumento dei fondi per la cooperazione allo sviluppo e per la loro riallocazione al fine del miglioramento delle condizioni delle categorie socio-economiche più deboli e svantaggiate dei Paesi assistiti, calcolate in base ai seguenti indici del Programma di sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP): indice

 

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di sviluppo umano, indice di sviluppo di genere, indice di povertà umana, indici di sopravvivenza e di sviluppo dell'infanzia.
      2. Il gettito dell'imposta di cui all'articolo 1 non può essere contabilizzato nella percentuale del prodotto interno lordo (PIL) relativa ai fondi destinati all'aiuto pubblico allo sviluppo in attuazione degli obiettivi stabiliti dall'Agenda 21 dell'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU).

Art. 5.

(Istituzione di una Commissione per la elaborazione di una proposta per una imposta europea sulle transazioni valutarie).

      1. Presso la Presidenza del Consiglio dei ministri è istituita una Commissione incaricata di elaborare una proposta e di prendere tutte le iniziative bilaterali e multilaterali per sollecitare l'adozione di un'imposta europea sulle transazioni valutarie, di fornire pareri al Governo per il raccordo con le istituzioni europee e gli altri Paesi aderenti all'Unione e per promuovere iniziative nelle altri sedi internazionali.
      2. La Commissione è presieduta dal Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri incaricato ed è composta dal Ministro dell'economia e delle finanze, o da un suo delegato, e dai seguenti membri:

          a) un rappresentante del Ministero degli affari esteri;

          b) un rappresentante del Ministro per le politiche europee;

          c) un rappresentante della Banca d'Italia;

          d) un rappresentante della Commissione nazionale per le società e la borsa;

          e) un rappresentante dell'Ufficio italiano dei cambi;

          f) due esperti scelti dal Ministro dell'economia e delle finanze.

 

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      3. I componenti della Commissione sono nominati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri; con il medesimo decreto sono fissati i compensi spettanti ai membri della Commissione, nonché le modalità di funzionamento e la sede della stessa Commissione.
      4. Fanno altresì parte della Commissione tre rappresentanti dell'Associazione per la tassazione delle transazioni finanziarie e per l'aiuto ai cittadini (ATTAC), di cui due nominati dalla medesima Associazione.
      5. Entro il termine di sei mesi dalla data di insediamento, la Commissione provvede, altresì, alla redazione di uno studio riguardante misure finalizzate al raggiungimento dei seguenti obiettivi:

          a) definire con precisione le modalità di accertamento delle transazioni e di riscossione dell'imposta di cui all'articolo 1;

          b) stabilire una procedura per la revisione periodica dell'aliquota, entro il limite previsto dal comma 3 dell'articolo 1, al fine di individuare la misura corrispondente al migliore risultato conseguibile in termini di aumento del gettito;

          c) prevedere meccanismi di disincentivazione nei confronti delle transazioni effettuate con operatori situati nei Paesi a regime fiscale privilegiato nei quali l'imposta di cui all'articolo 1 non è applicata;

          d) stabilizzare i movimenti di capitale in entrata e in uscita e in particolare le fughe di capitale conseguenti a situazioni di crisi valutaria, eventualmente attraverso temporanei aumenti dell'aliquota di cui al comma 3 dell'articolo 1;

          e) promuovere l'adozione dell'imposta di cui all'articolo 1 anche da parte dei Paesi nei quali sono ubicati i mercati valutari più importanti;

          f) promuovere l'istituzione presso l'Unione europea, nelle more della sua futura costituzione presso l'ONU, di un fondo internazionale al quale partecipino rappresentanti dei Governi, di organizzazioni di rappresentanza sociale e di organizzazioni

 

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non governative, per la raccolta e la distribuzione del gettito derivante dall'imposta di cui all'articolo 1 ai fini del finanziamento della cooperazione allo sviluppo, della riduzione del debito estero dei Paesi a più basso reddito, dell'assistenza pubblica e delle misure per l'aumento dell'occupazione nelle aree depresse.

      6. Il Presidente del Consiglio dei ministri trasmette al Parlamento la proposta e lo studio elaborati dalla Commissione di cui al presente articolo, corredati da una relazione del Ministro dell'economia e delle finanze, per l'espressione, entro il mese successivo, di un parere da parte dei competenti organi parlamentari ai fini dell'adozione di un'iniziativa in sede comunitaria nell'ambito del Consiglio dei Ministri dell'Unione europea.

Art. 6.
(Transazioni valutarie con i Paesi a regime fiscale privilegiato).

      1. Per le transazioni valutarie con Stati o territori aventi regimi fiscali privilegiati l'aliquota dell'imposta sulle transazioni valutarie è pari a dieci volte l'aliquota di cui al comma 3 dell'articolo 1.
      2. Si considerano Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato quelli individuati dai decreti del Ministro delle finanze 4 maggio 1999, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 107 del 10 maggio 1999, relativamente alle transazioni valutarie effettuate da persone fisiche, e del 24 aprile 1992, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 104 del 6 maggio 1992, relativamente alle transazioni effettuate da persone giuridiche, e successive modificazioni.

Art. 7.
(Copertura finanziaria).

      1. Agli oneri derivanti dall'attuazione della presente legge si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale

 

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2006-2008, nell'ambito dell'unità previsionale di base di parte corrente «Fondo speciale» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2006, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al medesimo Ministero.
      2. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.


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