Frontespizio Relazione Progetto di Legge

Nascondi n. pagina

Stampa

PDL 713

XV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 713



 

Pag. 1

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

MARRAS, BERNARDO, BRUSCO, CICCIOLI, COLUCCI, DE CORATO, FABBRI, FALLICA, FERRIGNO, HOLZMANN, JANNONE, LENNA, LISI, LO MONTE, MISTRELLO DESTRO, MISURACA, MORMINO, ROMAGNOLI, TUCCI, VALENTINI

Disposizioni per l'affidamento dei condannati a comunità di lavoro e recupero sociale

Presentata il 16 maggio 2006


      

torna su
Onorevoli Colleghi! - Il dibattito, anche infuocato, tenutosi in questi anni sulle diverse ipotesi di amnistia e indulto ha opposto, da un lato, coloro che ritenevano necessario uno sfollamento delle strutture carcerarie in quanto non in grado di assicurare il diritto costituzionale dell'umanità e del rispetto della dignità della persona, dall'altro, coloro che si sono fatti carico dell'allarme sociale connesso alla messa in libertà, prima del termine stabilito, di soggetti ritenuti colpevoli in via definitiva.
      È noto che la situazione degli istituti penitenziari italiani è gravissima ed al limite del collasso. Stupisce anzi che non siano esplose proteste esagitate ed esasperate e ciò va ad onore di coloro che, per un motivo o per un altro, si trovano a scontare un periodo di detenzione.
      Secondo i dati pubblicati nel marzo 2003 dal sito INTERNET dei Radicali italiani, il più attento su tutte le questioni inerenti i problemi della giustizia, la popolazione detenuta in Italia è cresciuta dal 1991 al 2001 dell'80 per cento. A fronte di spazi e di strutture rimasti sostanzialmente invariati e quindi sempre più invivibili.
      Dei 55.275 detenuti presenti al 31 dicembre 2001, 15.442 erano tossicodipendenti (27,94 per cento); 1.421 erano i detenuti sieropositivi all'HIV (2,57 per cento del totale). Di questi 169 erano in stato di AIDS conclamato (al 31 dicembre 2000 erano 128).
      Fra tutti i detenuti nelle carceri italiane solo 13.704 hanno la possibilità di svolgere un lavoro. Si è passati da una percentuale del 43,54 per cento nel giugno 1990 al 24,79 per cento dell'agosto 2002. Un detenuto su quattro ha la possibilità di svolgere un lavoro a stipendio dimezzato perché condiviso con un altro detenuto
 

Pag. 2

che altrimenti non avrebbe questa opportunità.
      L'85 per cento dei detenuti lavoranti è alle dipendenze dell'amministrazione penitenziaria e svolge lavori di pulizia o di preparazione e distribuzione del vitto. Il restante 15 per cento è costituito per la maggior parte da detenuti in semilibertà dipendenti da datori di lavoro esterni.
      A fronte di questa situazione, la richiesta di costruire nuove carceri per detenere l'aumentata popolazione carceraria è semplicistica e cede di fronte alla semplice considerazione che in ogni caso occorrerebbero anni, se non lustri, per la loro realizzazione. E la filosofia del diritto ci insegna che se le carceri e le aule di tribunale sono troppo piene, c'è qualcosa che non va nella «Giustizia» nel suo complesso.
      Dalla metà degli anni '90, ad Arborea, in provincia di Oristano, un prete, don Giovanni Usai, ex cappellano carcerario, ha avviato un'esperienza di recupero, tra l'iniziale diffidenza della società civile, di altissimo valore morale e civile. Con il positivo concorso economico e di mezzi della diocesi, della regione Sardegna e del comune, ha aperto una casa di accoglienza, intitolata alla nostra Signora di Bonacatu, destinata a detenuti in semilibertà.
      Usufruendo di un istituto carcerario don Usai ha raccolto intorno a sé un gruppo di «dimenticati dagli uomini» per avviarli ad un ritorno alla società civile. Nella casa di accoglienza si lavorano i 40 ettari di terra concessi dall'Ente regionale sardo aziende territoriali, i prodotti sono venduti e viene riconosciuta una retribuzione ai lavoranti.
      Nella scorsa legislatura la casa ha raggiunto persino una propria autosufficienza economica e un plauso dal Ministro della giustizia Castelli, che già aveva convintamente partecipato alla sua inaugurazione nel novembre 2002.
      La presente proposta di legge intende sistematizzare e diffondere questa esperienza non solo per i suoi altissimi valori rieducativi e di recupero, ma anche per i suoi effetti positivi sulla riduzione della popolazione carceraria e sui costi di mantenimento della stessa.
      Pertanto, si introduce con l'articolo 1 un nuova misura alternativa alla detenzione: l'affidamento a comunità di lavoro e recupero sociale. Il suo obiettivo è il recupero mediante il lavoro retribuito. Le condizioni minime sono una pena non superiore a quattro anni per reati connessi a particolari situazioni sociali e personali e l'assenso del condannato, che può, altresì, proporre la relativa istanza. Le procedure sono modellate su quelle dell'altro istituto, l'affidamento in prova al servizio sociale, con competenza del giudice di sorveglianza, adeguate prescrizioni per l'esercizio dell'istituto, ulteriori benefìci a fronte di una prova positiva, attività di supporto da parte della comunità nei confronti dei soggetti più sensibili.
      Al detenuto è riconosciuta una retribuzione, la cui entità è determinata ai sensi di quanto già previsto dalla legislazione carceraria, salvi il vitto e l'alloggio. Altra disposizione di grande valore morale e sociale è quella che prevede che le comunità debbano tendere all'autosufficienza economica e che possano impiegare ex detenuti. Per tali motivi è preferibile che esse assumano la veste giuridica di organizzazioni non lucrative di utilità sociale o di organizzazione di volontariato.
      Il comma 9 dell'articolo 1 prevede innovativamente che l'affidamento possa essere disposto anche prima che il soggetto sia associato al carcere dal giudice che emette la sentenza di condanna, ai sensi dell'articolo 53 della cosiddetta «legge sulla depenalizzazione», legge n. 689 del 1981, con le limitazioni ivi previste.
      L'articolo 2 detta le disposizioni attuative da adottare con decreto del Ministro della giustizia: individuazione ed accreditamento delle strutture, procedure per la concessione di contributi e la cessione di strutture da parte dello Stato e degli enti territoriali.
 

Pag. 3


torna su
PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Affidamento a comunità di lavoro e recupero sociale).

      1. Al capo VI del titolo I della legge 26 luglio 1975, n. 354, dopo l'articolo 46 è inserito il seguente:

      «Art. 46-bis. - (Affidamento a comunità di lavoro e recupero sociale) - 1. Se la pena detentiva inflitta non supera quattro anni, il condannato, previo suo consenso, può essere affidato ad una comunità di lavoro e recupero sociale fuori dell'istituto, per un periodo uguale a quello della pena da scontare, nei casi in cui si può ritenere che il provvedimento stesso contribuisca alla rieducazione del reo e assicuri la prevenzione del pericolo che egli commetta altri reati.
      2. Il provvedimento è adottato tenendo conto delle condizioni sociali in cui è maturata l'attività delittuosa, della natura del reato e dei risultati della osservazione della personalità. L'osservazione deve essere condotta collegialmente per almeno un mese in istituto.
      3. L'affidamento può essere disposto senza procedere all'osservazione in istituto quando il condannato, dopo la commissione del reato, ha tenuto un comportamento tale da consentire il giudizio di cui al comma 2.
      4. Sull'istanza di affidamento, che può essere proposta in qualunque momento anche dal condannato medesimo, è competente il magistrato di sorveglianza in relazione al luogo dell'esecuzione, che decide entro quarantacinque giorni.
      5. All'atto dell'affidamento è redatto verbale in cui sono dettate le prescrizioni che il soggetto deve seguire in ordine ai suoi rapporti con la comunità di lavoro e recupero sociale, agli obblighi di lavoro, ai luoghi in cui esso si esercita, alla dimora,

 

Pag. 4

alla libertà di locomozione, al divieto di allontanarsi. Sono stabilite prescrizioni che impediscono al soggetto di svolgere attività o di avere rapporti personali che possono portare al compimento di altri reati. Nel corso dell'affidamento le prescrizioni possono essere modificate dal magistrato di sorveglianza. La comunità controlla la condotta del soggetto e lo aiuta a superare le difficoltà di adattamento alla vita sociale, anche mettendosi in relazione con la sua famiglia e con gli altri suoi ambienti di vita e riferendo periodicamente al magistrato di sorveglianza sul comportamento del soggetto.
      6. Per il lavoro svolto al soggetto è riconosciuta una retribuzione determinata ai sensi dell'articolo 22, da cui è sottratta un quota a titolo di vitto e di alloggio. A tale fine la commissione di cui al comma 1 del medesimo articolo 22 è integrata da un rappresentate della comunità di lavoro e recupero sociale affidataria. Si applicano gli articoli 2, 20, 20-bis, 23, 24 e 25.
      7. L'esito positivo del periodo di prova estingue la pena e ogni altro effetto penale. Al soggetto affidato alla comunità di lavoro e recupero sociale che ha dato prova nel periodo di affidamento di un concreto recupero sociale e di avere acquisito capacità lavorative, desumibili da comportamenti rivelatori del positivo evolversi della sua personalità, può essere concessa la detrazione di pena di cui all'articolo 54. Si applicano gli articoli 69, comma 8, e 69-bis nonché l'articolo 54, comma 3.
      8. L'affidamento è revocato se il comportamento del soggetto, contrario alla legge o alle prescrizioni dettate, con particolare riguardo agli obblighi di lavoro, appare incompatibile con la prosecuzione della prova.
      9. L'affidamento può essere disposto anche all'atto della pronuncia della sentenza, qualora il giudice ritenga che ricorrano le condizioni previste dal presente articolo. In tale caso si applicano le procedure e le prescrizioni di cui al capo III della legge 24 novembre 1981, n. 689, e successive modificazioni. Per le attività successive all'affidamento è competente il magistrato di sorveglianza».
 

Pag. 5

Art. 2.
(Disposizioni attuative).

      1. Il Ministro della giustizia, entro due anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, provvede, con uno o più decreti, all'individuazione e all'accreditamento, su basi territoriali, delle strutture destinate alle finalità di cui all'articolo 46-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, introdotto dall'articolo 1 della presente legge, ovvero all'accreditamento di comunità di lavoro e recupero sociale.
      2. Le comunità di lavoro e recupero sociale accreditate ai sensi del comma 1 devono tendere per quanto possibile all'autosufficienza economica e possono impiegare soggetti che hanno estinto la pena nel proprio ambito. Con i medesimi decreti di cui al citato comma 1 si provvede alla concessione di contributi per la realizzazione di sedi e di strutture finalizzati al conseguimento delle finalità della presente legge, nonché alla definizione delle procedure per la concessione di immobili e di strutture appartenenti allo Stato ed agli enti territoriali.


Frontespizio Relazione Progetto di Legge
torna su