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CAMERA DEI DEPUTATI
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N. 1885 |
medici laureati prima del 1994 non in possesso del titolo di formazione in medicina generale, che (per «diritto acquisito» definito all'articolo 36, paragrafo 2,
medici laureati dopo il 1994 che accedono alle graduatorie regionali solo dopo un corso triennale di formazione. Tra questi sono compresi i medici iscritti all'università prima del 1991 (data dell'entrata in vigore del primo decreto di recepimento), i quali, oltre a essere oggetto di esclusione dalla graduatoria regionale in quanto privi del titolo di formazione, vengono anche penalizzati nell'accesso al corso di formazione in quanto, ormai, definiti, troppo «anziani».
L'assurda conseguenza di questa situazione, tuttavia, è che per «carenze del territorio» si utilizzano comunque medici «post 1994» senza titolo di formazione specifica; si utilizzano per ricoprire temporaneamente incarichi nell'ambito della medicina generale (si vedano le sostituzioni dei medici di base particolarmente nel periodo estivo), della continuità assistenziale (le trimestralità attribuite per coprire le decine di posti vacanti), del pronto soccorso (presso cui lavorano medici con il contratto della continuità assistenziale, reso possibile dalla trasformazione del «pronto soccorso» in «punto di primo soccorso»). Giova ricordare che queste attività rappresentano allo stato attuale, in particolare in tutto il sud d'Italia, le uniche concrete possibilità di lavoro per i medici abilitati dopo il 1994, i quali, pur avendo conseguito una o più specializzazioni, si vedono di fatto esclusi dall'esercizio della professione nel loro settore specialistico per assenza di posti di lavoro.
La condizione è ulteriormente aggravata dalla carenza di una formazione post-laurea in medicina generale proporzionale al numero totale degli abilitati alla professione e comunque congruente con il fisiologico ricambio generazionale della categoria - si calcola che tra meno di quindici anni ci sarà il pensionamento di migliaia di medici, tra ospedalieri e medici di base.
Appare pertanto iniqua e insostenibile un'organizzazione tenuta in piedi da alcune categorie privilegiate che viene definita attraverso una pseudo «programmazione» pubblica. Non è altrettanto ammissibile l'ipocrisia di un sistema che da un lato richiede, per esercitare la professione in ambiti territoriali predefiniti, il possesso del titolo specifico di formazione in medicina generale e dall'altro, adducendo «carenze del territorio» e «stati di emergenza», impiega indistintamente i medici in forme di occupazione sottopagate, precarie e sul filo dell'illeggitimità. Infine la situazione è ulteriormente aggravata da alcune norme contrattuali; la norma finale 5 dell'accordo collettivo nazionale considera criterio prioritario di valutazione nelle graduatorie aziendali «la giovane età al momento della laurea» dimenticando come per i colleghi in graduatoria regionale (che fanno lo stesso identico lavoro) vengano considerati prevalenti i titoli accademici e l'anzianità di servizio.
Da questo contesto si evince l'urgenza di una soluzione normativa o legislativa per chi, nel limbo da dieci anni, fu vittima allora di una ingiusta «dimenticanza» e oggi subisce una progressiva esclusione dal mondo del lavoro.
1. Al comma 1 dell'articolo 30 del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 368, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, nonché i medici chirurghi iscritti al corso universitario in medicina e chirurgia prima del 31 dicembre 1991 e abilitati all'esercizio professionale dopo il 31 dicembre 1994. Agli stessi è riconosciuto il titolo di formazione equipollente in medicina generale, purché in possesso di un diploma di medico chirurgo specialista ai sensi dell'articolo 20 del presente decreto e di una esperienza professionale di almeno sei mesi anche non continuativa nell'ambito della medicina generale o nell'ambito di ogni altra attività equipollente, ovvero una formazione certificata ai sensi dell'articolo 16-bis del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, e di una esperienza professionale di almeno tre anni anche non continuativa nell'ambito della medicina generale o nell'ambito di ogni altra attività equipollente».
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