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PDL 946

XV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 946



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa del deputato PEDRINI

Disposizioni concernenti l'esercizio della libera professione da parte del personale sanitario di cui alla legge 1o febbraio 2006, n. 43, dipendente da amministrazioni pubbliche

Presentata il 31 maggio 2006


      

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Onorevoli Colleghi! - È ormai acclarato che il nostro sistema sanitario risente gravemente della carenza di professionisti infermieri, di tecnici sanitari di radiologia medica e di altri operatori delle professioni sanitarie: una situazione, quella attuale, che attesta in tutta la sua dirompente evidenza l'inefficacia delle scelte effettuate in passato, carenti della necessaria integrazione in un quadro di efficace programmazione dei bisogni del cittadino e più specificatamente dei fabbisogni del sistema sanitario e sociale.
      La stessa Organizzazione mondiale della sanità, da ultimo in occasione dell'ultima edizione della Giornata mondiale della salute, incentrata sulla cosiddetta «crisi della forza lavoro nella sanità», ha sottolineato come la valorizzazione delle professionalità sanitarie debba essere considerata come l'elemento determinante per vincere la sfida volta ad assicurare agli abitanti della terra il diritto ad adeguati servizi sanitari.
      Orbene, tra le numerose iniziative adottate in passato per intervenire sull'annosa questione dell'emergenza relativa agli infermieri e alle altre categorie del comparto sanitario, ricordiamo quelle previste dal decreto-legge 12 novembre 2001, n. 402, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 gennaio 2002, n. 1, inerenti alla possibilità, per le strutture pubbliche, di riammettere in servizio infermieri e tecnici di radiologia che si sono dimessi volontariamente da non più di 5 anni (articolo 1, comma 1, lettera a)), nonché alla possibilità che questi ultimi esercitino attività libero-professionale in favore della medesima azienda per la quale prestano servizio
 

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(articolo 1, comma 2), ibrido per eccellenza che consente alle strutture sanitarie di rivolgersi agli infermieri e ad altro personale sanitario dipendente per chiedere prestazioni orarie aggiuntive. Peccato che tali prestazioni, remunerate a parte e secondo accordi predefiniti a livello sindacale, nulla hanno a che vedere con la libera professione, mentre hanno più il sapore di prestazioni di lavoro straordinario escluse dai limiti contrattuali!
      In alcune aziende sanitarie italiane si è arrivati addirittura al punto di immaginare, e in qualche caso sfortunato a operare di fatto, la sostituzione del professionista infermiere (che, attraverso l'odierna formazione, è a tutti gli effetti un dottore dell'assistenza, in attuazione delle previsioni del regolamento in materia di autonomia didattica degli atenei, di cui al decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca 22 ottobre 2004, n. 270) con svariate altre figure di supporto, tra le quali si cita solo a titolo di esempio, quella dell'operatore socio-sanitario, attentando così alla qualità di un sistema di prestazioni complesso e delicato come quello sanitario e nel contempo oberando i professionisti infermieri, sui quali, in tale maniera, viene acuito il peso del già grave fardello di incombenze e di responsabilità che oggi hanno.
      Si è anche pensato di assumere, ad esempio, infermieri professionali immigrati, al di fuori del sistema delle quote previste per le altre professioni, e tanti volenterosi sono arrivati in Italia, soprattutto dai Paesi dell'est. Purtroppo anche in questo caso le potenzialità professionali di tali operatori sono state messe a dura prova dall'esigenza evidente di una fluente e corretta capacità comunicativa, che deve essere a fondamento del rapporto tra l'operatore sanitario ed il cittadino che chiede le cure presso le strutture sanitarie italiane.
      È evidente che, nel rapporto tra cittadino e istituzione sanitaria, la fiducia gioca un ruolo fondamentale ed è proprio questo importante elemento che non deve venir meno se non si vuole compromettere il rapporto tra il cittadino e le istituzioni; inoltre è di tutta evidenza che l'immissione nei reparti ospedalieri di personale infermieristico con lacune spesso gravissime nella conoscenza della lingua italiana crea non pochi disagi all'organizzazione dei servizi assistenziali e specificatamente alle stesse attività infermieristiche, che troppo spesso vengono appesantite, oltre che dalle oggettive difficoltà di compensazione di turni e presenze con le quali ogni giorno ci si confronta, anche dalle carenze comunicative tra operatori della medesima professione.
      Orbene, una situazione organizzativa di tal genere, caratterizzata spesso dall'uso improprio di personale con qualifiche diverse per far fronte alla strutturale carenza di infermieri ed in ogni caso protesa ad un eccessivo e molto spesso improprio super-utilizzo di questi ultimi, riesce ad impattare negativamente finanche sulle dinamiche familiari di tali operatori, angariati da continui richiami in servizio e da un'organizzazione improntata ogni giorno sul modello della compensazione, in luogo della elaborazione ed attuazione di modelli personalizzati di assistenza, come previsto dalla legge 10 agosto 2000, n. 251, all'articolo 1, comma 3, lettera b).
      A tutto ciò deve aggiungersi che, quando un giovane decide di prepararsi per esercitare la professione infermieristica o una delle altre professioni sanitarie non mediche presso una struttura del Servizio sanitario nazionale, orientandosi verso i corsi di laurea specifici, sta assumendo, contemporaneamente ed in molti casi inconsapevolmente, la decisione di votarsi alla professione entro un rapporto di pubblico impiego caratterizzato da un ordinamento eccessivamente restrittivo e discriminatorio, che gli vieterà di esercitare la libera professione al di fuori del rapporto di lavoro.
      È vero infatti che - originariamente sulla base del testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, ed attualmente ai sensi del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, recante norme
 

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generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, l'infermiere pubblico dipendente e gli altri professionisti sanitari non medici devono prestare la propria attività in favore del datore di lavoro secondo un rapporto di esclusività. Per tali professionisti, quindi, non sarà possibile avere un secondo impiego, pubblico o privato che sia, ed esercitare attività libero-professionali, con l'unica eccezione di coloro che sono in part-time al 50 per cento, così come non sarà possibile per essi svolgere attività industriali, commerciali, professionali eccetera; e tutto questo in antitesi con le previsioni valide per i medici pubblici, ad esempio, per i quali ormai da lungo tempo è stato superato il divieto normativo attraverso un'articolata e coerente disciplina.
      Alla presente proposta di legge sottendono due esigenze fondamentalmente tra loro correlate.
      La prima esigenza, come si è detto, è quella dell'ormai annoso problema dell'emergenza consistente nella carenza, in Italia, di infermieri e di operatori di talune professioni tecnico-sanitarie. L'Italia, peraltro, in controtendenza tra i Paesi europei, si pone in evidenza per un'eccessiva disponibilità di personale di area medica, alla quale fa da contrappeso, come detto, un'acclarata insufficienza di professionisti infermieri e di altre qualificazioni.
      L'altra esigenza è quella di rimuovere in maniera compiuta gli ostacoli normativi e regolamentari che l'attuale ordinamento frappone al libero esercizio di talune professioni sanitarie per quei soggetti che hanno un rapporto di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione. L'attuale normativa inibisce, infatti, l'accostamento dei giovani alle professioni sanitarie, in specie a quella infermieristica, e concretizza nel contempo una palese discriminazione rispetto a quanto previsto per gli altri professionisti del medesimo ambito sanitario, a cominciare da medici e altri dirigenti.
      Ed è proprio riguardo a quest'ultimo aspetto che si pone in evidenza l'esigenza di attivare un coerente sistema di garanzie a doppio canale caratterizzate dalla possibilità, per i professionisti sanitari pubblici dipendenti, di esercitare attività libero-professionali presso terzi, purché tali attività non siano in contrasto con le attività istituzionali esercitate presso la pubblica amministrazione.
      Tale strumento consentirebbe di liberare una consistente quantità di energie professionali rendendole disponibili per le stesse amministrazioni pubbliche, le quali avrebbero così la possibilità di utilizzare professionisti qualificati e preparati, con una solida esperienza assistenziale maturata presso i servizi e le strutture del Servizio sanitario nazionale, in luogo del personale attualmente utilizzato per compensare la carenza delle svariate categorie di operatori.
      Contemporaneamente, la possibilità di esercitare attività libero-professionale consentirebbe agli operatori sanitari interessati di integrare il bagaglio delle competenze e delle abilità professionali già possedute, a tutto vantaggio della pubblica amministrazione, rendendo nel contempo più appetibili tali professioni per i giovani, con il conseguente incremento del numero di professionisti disponibili, ed eliminando la disparità di trattamento tra questi e i medici, i farmacisti, i veterinari e gli altri dirigenti del Servizio sanitario nazionale, per i quali il regime di esclusività è stato ormai da lungo tempo ampiamente superato.
      In conclusione, la proposta di legge in esame, recependo varie osservazioni da più parti pervenute, affronta in maniera ampiamente soddisfacente la ormai annosa questione dell'emergenza infermieristica in Italia, dando nel contempo una struttura giuridica ed una rinnovata dignità all'attività libero-professionale di tutti i professionisti sanitari in costanza di rapporto di lavoro; e attiva un importante strumento che consente anche di intervenire sussidiariamente, rispetto al Servizio sanitario nazionale, per tutto quell'ampio panorama di prestazioni di specifica competenza infermieristica, ma anche tecnico-sanitaria e della prevenzione, che le istituzioni
 

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non sono in grado di garantire in prima persona.
      Si tratta di una proposta di legge che tiene in opportuna considerazione gli svariati aspetti della problematica in esame e che integra le esigenze del sistema sanitario con le richieste provenienti dal mondo professionale, facendole confluire in una soluzione normativa ampiamente condivisibile, sia sotto il profilo politico che sociale. Infatti, se da un lato si riconoscono le potenzialità, le competenze e le capacità dei professionisti sanitari, dall'altro si riconosce nel capitale umano degli stessi non soltanto il vero fattore di differenziazione competitiva degli scenari dell'assistenza sanitaria globale, ma anche un patrimonio di potenzialità, di valori e di specifiche culture, capace di intervenire positivamente, nel doveroso rispetto della persona e delle sue peculiari esigenze di attenzione e cura, sui processi del sistema socio-sanitario pubblico, sempre più imperniati sui princìpi fondamentali dell'efficienza, efficacia ed economicità.
      È di tutta evidenza, infine, che le innovazioni proposte renderanno i professionisti delle varie qualificazioni sanitarie in grado di interagire sempre meglio con il cittadino e con le istituzioni, esprimendo ai massimi livelli le loro potenzialità specifiche per valorizzare in tal modo il ruolo e l'immagine del sistema socio-sanitario italiano in Europa.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

      1. Il personale che esercita le professioni sanitarie di cui all'articolo 1 della legge 1o febbraio 2006, n. 43, che presta la propria attività in regime di lavoro dipendente a tempo pieno presso strutture sanitarie pubbliche, ha diritto di esercitare attività libero-professionale, in forma individuale o associata, al di fuori dell'orario di servizio, purché non sussista comprovato e specifico conflitto di interessi rispetto all'espletamento delle attività istituzionali.
      2. L'intenzione di avvalersi del diritto di cui al comma 1 è comunicata alla struttura sanitaria di cui è dipendente dal professionista interessato, il quale fornisce contemporaneamente le informazioni inerenti ai tempi e alle modalità di esercizio dell'attività che intende svolgere.
      3. Congiuntamente all'invio della comunicazione di cui al comma 2, il professionista, nel rispetto delle previsioni di cui al comma 4, trasmette alla struttura pubblica di cui è dipendente idonea autocertificazione, ai sensi del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, e successive modificazioni, attestante l'assenza di conflitto di interessi tra l'attività libero-professionale che intende svolgere e le attività istituzionali che caratterizzano il rapporto di lavoro in essere con la struttura pubblica.
      4. Con decreto del Ministro della salute, di concerto con il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, da emanare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono individuate le tipologie di attività libero-professionale suscettibili di dare luogo a conflitto di interessi con il rapporto di lavoro dipendente

 

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presso le organizzazioni sanitarie e socio-sanitarie del Servizio sanitario nazionale e di altre amministrazioni pubbliche.
      5. Il personale sanitario che opera in regime di libera professione ai sensi della presente legge garantisce l'esercizio professionale nel rispetto delle disposizioni contenute nelle rispettive fonti di regolamentazione, applicando le tariffe previste dai nomenclatori tariffari dei propri ordini o collegi professionali.
      6. Dall'attuazione della presente legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.


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