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PDL 2079

XV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 2079



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

BUEMI, ANTINUCCI, BELTRANDI, BOSELLI, BUGLIO, CAPEZZONE, CREMA, D'ELIA, DI GIOIA, MANCINI, MELLANO, ANGELO PIAZZA, PORETTI, SCHIETROMA, TURCI, VILLETTI

Istituzione del giudice dell'esecuzione

Presentata il 18 dicembre 2006


      

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Onorevoli Colleghi! - Già agli albori della vigenza della nuova procedura penale, letteratura autorevole sottolineò che le scelte operative del legislatore tecnico delegato abiuravano - in modo parziale ma decisivo - i princìpi direttivi impartiti dalla legge di delegazione (legge 16 febbraio 1987, n. 81) con riguardo agli interventi giurisdizionali in executivis. Il riferimento era - oltre ai princìpi e criteri di cui all'articolo 2, numeri 96 e 98, per cui il nuovo codice di procedura penale doveva assicurare «garanzie di giurisdizionalità nella fase della esecuzione, con riferimento ai provvedimenti concernenti le pene e le misure di sicurezza», nonché doveva coordinare con i princìpi della delega i «procedimenti di esecuzione e di sorveglianza anche attraverso la regolamentazione delle competenze degli organi» - alla «direttiva di chiusura» di cui al numero 104, ove era richiesto l'adeguamento «di tutti gli istituti processuali ai princìpi e criteri innanzi determinati». L'esecutivo legiferante, quindi, aveva il compito di realizzare uno sforzo adeguatore generalizzato, teso a fornire copertura giurisdizionale ad ogni modulo procedimentale, principale o incidentale, cognitivo o esecutivo, contemplato dalla legge processuale penale. Si contestava - apprezzate comunque le innovazioni «portate» al tema dell'esecuzione - che al ribaltamento degli schemi classici del processo penale di cognizione, non fosse seguita - corrispondentemente - la revisione di tutti i meccanismi esecutivi, in armonia con le scelte accusatorie della delega, individuandosi, tra i momenti di più evidente «cedimento» rispetto alle «imposte» «garanzie di giurisdizionalità nella fase della esecuzione» (Gaito, L'evoluzione dell'esecuzione
 

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penale, Il giusto processo, 1990, pagina 52), l'aver dettato i criteri di individuazione del giudice «copiando fotostaticamente» il primo comma dell'articolo 628 e l'articolo 629 del codice di procedura penale del 1930. Questo il problema: è effettivamente terzo - rispetto alla res deducta in sede esecutiva - il giudice che ha deliberato il provvedimento, contenente il «comando» che si porta ad attuazione? Punto di inizio di qualsivoglia «ricostruzione», che - pur non potendo essere in questa sede esauriente - aspiri ad esser considerata - seppur in via tendenziale - «valida», è la presa d'atto di un problema, quello del difetto di terzietà del giudice dell'esecuzione rispetto alla pregressa vicenda processuale di merito, che esiste. Muovendo da ciò, ma soprattutto constatato che i compilatori del codice di rito ne avevano contezza, la quaestio litigiosa sembra essere un'altra: è effettiva in tale sede l'esigenza di evitare fenomeni di parzialità del giudice? Parrebbe un fuor d'opera negare l'esigenza segnalata, facendo leva sulla circostanza che la giurisdizionalità non ha un contenuto unitario ed omogeneo ma può essere realizzata a livelli diversi, e che - di conseguenza - si ritenne sufficiente, acché potessero considerarsi realizzate le prescritte «garanzie di giurisdizionalità», riconoscere un giudice «qualunque» titolare della giurisdizione esecutiva cosiddetta in senso stretto. Parimenti priva di «consistenza specifica» sarebbe la posizione di chi perduri nell'affermazione che la fase esecutiva «punti» simpliciter «alla fedele attuazione del giudicato». Osta a tale visione «fuori tempo» la possibilità, riconosciuta dal legislatore al giudice dell'esecuzione, di formulare giudizi, funzionali all'esercizio di poteri decisori di merito. Quanto detto assume, poi, particolare «utilità marginale», a seguito delle numerose sentenze costituzionali che hanno dato avvio al doveroso ampliamento dei confini dell'incompatibilità, sì come disegnati originariamente dall'articolo 34 del codice di procedura penale (si veda la sentenza della Corte costituzionale n. 432 del 15 settembre 1995). Gli svolgimenti della sentenza n. 432 del 1995 chiarificano, innanzitutto, che «ogni giudizio di responsabilità dell'imputato (...) vale a radicare l'incompatibilità» e che «l'articolo 34 mira ad impedire (...)» l'elaborazione di un giudizio, a chi abbia già compiuto una valutazione sul merito dei medesimi fatti: in altri termini risulti condizionato dalla cosiddetta forza della prevenzione, leggi «naturale tendenza a mantenere un giudizio già espresso o un atteggiamento già assunto in altri momenti decisionali dello stesso procedimento». Orbene: vi è in executivis l'esigenza tratteggiata che è elementare della giurisdizione? Evidentemente! Va da sé, infatti, che è da evitarsi che decida chi abbia - seppur da un angolo prospettico parzialmente diverso - già deciso. Mette conto, comunque, sottolineare che l'urgenza del problema - si tratta in altri termini di estendere al giudice dell'esecuzione gli effetti dell'articolo 34 del codice di procedura penale - ha trovato conferma in una decisione del Supremo collegio che, a chiare lettere, ha statuito che «anche in materia di esecuzione sussiste l'esigenza di assicurare un controllo imparziale ad opera di un giudice davvero terzo rispetto alle pregresse vicende del giudice di merito e la necessità di impedire che nella medesima vicenda interloquisca reiteratamente il magistrato che ha già preso parte allo stesso procedimento giudicando nel merito; perciò se l'organo dell'esecuzione può essere lo stesso che ha emesso il provvedimento di merito, di contro non può esercitare le funzioni di giudice dell'esecuzione il medesimo soggetto che abbia già giudicato della stessa vicenda pronunciando il provvedimento di merito della cui esecuzione si tratta» (decisione Cassazione III, 5 dicembre 1996, Angelucci, ricorrente, in Giurisprudenza italiana, 1997, II, pagina 454; contra Cassazione I, 25 marzo 1996, Lembi, in Cassazione penale, 1997, pagina 1425). Ad ogni buon conto, si mutua quanto si ebbe a dire dalla dottrina a commento della specifica pronuncia: «si profila (...) come non improbabile l'eventualità che i giudici dell'esecuzione comincino ad astenersi e che le parti private facciano ricorso alla ricusazione
 

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(...) è chiaro che siffatti espedienti tecnici non potrebbero trovare applicazione generalizzata in riferimento a qualsiasi contestazione - anche meramente formale - sul titolo esecutivo, bensì limitatamente alle sole questioni che comportino l'esercizio di poteri decisori di merito da parte del giudice dell'esecuzione. Dove, per dirla con chiarezza, i settori nevralgici in cui deve essere assicurato a tutti gli interessati il diritto ad un "giudice persona" diverso da quello delle precedenti fasi, sono tipicamente quelli del reato continuato e del patteggiamento in esecuzione e dell'abolitio criminis, ma non potrebbero essere trascurate le misure di coercizione reale, comprese quelle in funzione di confisca antimafia adottate nell'ambito del procedimento di prevenzione» (Gaito, Nel segno dell'imparzialità del giudice. Verso l'assimilazione della fase esecutiva alla fase del giudizio, Giurisprudenza italiana, 1997, II, pagina 455). Ad ogni buon conto, onde evitare la riduzione di quanto detto a sterile critica, con la presente proposta di legge si tratteggia una «riforma possibile» del giudice dell'esecuzione. In proposito, due i punti fermi: innanzitutto, va abbandonata la prospettiva per cui le modalità d'intervento del legislatore debbano comunque patire i condizionamenti della «ragion pratica» - rectius le scelte non devono essere «fuorviate» nella loro interezza da un'ottica pseudo-efficientista - dato che è la prassi che ha da «appiattirsi» sui princìpi e non viceversa (Relazione al progetto preliminare e al testo definitivo del codice di procedura penale, Gazzetta Ufficiale n. 250 del 24 ottobre 1998, supplemento ordinario n. 93). In secondo luogo, recisa - al comma 4 dell'articolo 665 del codice di procedura penale - l'indifferibilità del collegamento tra il provvedimento e il giudice che lo ha deliberato - pur se nella limitata prospettiva del concorso di pene - due ipotesi si «contendono il campo»: l'istituzione - analogamente a quanto avvenuto per il giudice per le indagini preliminari - di un ufficio del giudice dell'esecuzione ovvero l'«affidamento unitario della titolarità delle attribuzioni decisorie su tutte le questioni esecutive ad una struttura giudiziaria autonoma quale è la magistratura di sorveglianza». Al riguardo, il gradualismo riformista impone l'adesione all'ipotesi «soffice» di istituzione dell'ufficio del giudice dell'esecuzione, nella consapevolezza che - pur se inidonea a risolvere il problema della incompatibilità ambientale - pare la più agilmente praticabile.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

      1. Presso ciascun tribunale e ciascuna corte di appello è istituito l'ufficio del giudice dell'esecuzione.

Art. 2.

      1. Il giudice dell'esecuzione ha sempre composizione monocratica.

Art. 3.

      1. L'articolo 665 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:

      «Art. 665. - (Giudice competente). - 1. Salvo diversa disposizione di legge, competente a conoscere dell'esecuzione di un provvedimento è il giudice dell'esecuzione presso il giudice che lo ha deliberato.
      2. Quando è stato proposto appello, se il provvedimento è stato confermato o riformato soltanto in relazione alla pena, alle misure di sicurezza o alle disposizioni civili, è competente il giudice dell'esecuzione presso il giudice di primo grado; altrimenti è competente il giudice dell'esecuzione presso la corte di appello.
      3. Quando vi è stato ricorso per cassazione e questo è stato dichiarato inammissibile o è stato rigettato ovvero quando la Corte ha annullato senza rinvio il provvedimento impugnato, è competente il giudice dell'esecuzione presso il giudice di primo grado, se il ricorso fu proposto contro provvedimento inappellabile ovvero a norma dell'articolo 569, e il giudice dell'esecuzione indicato nel comma 2 negli altri casi. Quando è stato pronunciato l'annullamento con rinvio, è competente il giudice dell'esecuzione presso il giudice di rinvio.

 

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      4. Se l'esecuzione concerne più provvedimenti emessi da giudici diversi, competente è il giudice dell'esecuzione presso il giudice che ha emesso il provvedimento divenuto irrevocabile per ultimo. Tuttavia, se i provvedimenti sono stati emessi dal giudice ordinario, è competente in ogni caso il giudice dell'esecuzione presso quest'ultimo; se sono stati emessi da giudici ordinari e giudici speciali, è competente il giudice dell'esecuzione presso il giudice ordinario».

Art. 4.

      1. All'articolo 34 del codice di procedura penale, dopo il comma 3 è aggiunto il seguente:

      «3-bis. Il giudice che ha pronunciato ordinanza nei modi di cui all'articolo 667, comma 4, non può esercitare funzioni di giudice dell'esecuzione nel procedimento che eventualmente si instauri a seguito di opposizione».

Art. 5.

      1. Il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo contenente le norme per l'attuazione della stessa, sulla base dei princìpi e criteri direttivi in essa contenuti.


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