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PDL 1833

XV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 1833



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

MURGIA, BUONFIGLIO, BRIGUGLIO, AMORUSO, ANGELI, BARBIERI, BENEDETTI VALENTINI, BIANCOFIORE, BONO, CAMPA, CASTIELLO, CATANOSO, CATONE, CICCIOLI, CIRIELLI, COLUCCI, COSENZA, D'AGRÒ, D'IPPOLITO VITALE, DRAGO, EVANGELISTI, FORLANI, FORMISANO, FRASSINETTI, GARDINI, GERMANÀ, GERMONTANI, GOISIS, GRECO, LAMORTE, LENNA, LISI, LUCCHESE, LUMIA, MAZZOCCHI, RICARDO ANTONIO MERLO, MIGLIORI, MINASSO, MORRONE, NESPOLI, PELINO, ANTONIO PEPE, PORCU, RAISI, REINA, RICEVUTO, ROMAGNOLI, SALERNO, SPINI, TAGLIALATELA, TUCCI, ULIVI, ZACCHERA

Disposizioni per la concessione di un credito d'imposta
per la frequenza di corsi post-universitari all'estero

Presentata il 16 ottobre 2006


      

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Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di legge non ha la presunzione di risolvere tutti i mali causati dall'esportazione dei nostri migliori «cervelli» all'estero, ma, partendo dalla politica dei piccoli passi, si pone come obiettivo quello di favorire un immediato e conveniente rientro dei medesimi in Italia.
      La maggior parte dei nostri ricercatori sono andati e continuano ad andare via senza suscitare, purtroppo, alcun clamore. In genere, sono giovani che riescono a valorizzare altrove quel sapere che hanno coltivato in Italia. Non sappiamo, esattamente, quanti siano. Ma sappiamo che i «cervelli in fuga» dall'Italia stanno dando un contributo rilevante allo sviluppo della scienza e della ricerca e, quindi, dell'economia di Paesi come gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, la Germania e la Francia.
      La scienza è un'impresa umana che non conosce frontiere; la cultura scientifica
 

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di un Paese aumenta se il flusso di scienziati in uscita e in entrata è continuo e robusto e, soprattutto, equilibrato.
      La differenza tra l'Italia e la gran parte dei Paesi avanzati è questa: da noi il flusso di scienziati è quasi interamente in uscita e, per di più, chi parte raramente ha in tasca il biglietto di ritorno; in pratica l'Italia esporta gratuitamente «cervelli».
      Le conseguenze culturali di questa singolare esportazione sono certo gravi, anche se difficili da quantificare, ma quelle di natura economica sono sotto gli occhi di tutti. Il nostro Paese è l'unico, tra i circa trenta Paesi dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (l'organizzazione dei Paesi più industrializzati), ad avere un deficit strutturale nella bilancia dei pagamenti relativa alle tecnologie più avanzate. E la forbice aumenta non solo nei confronti dei Paesi più avanzati, ma anche dei Paesi emergenti. In Europa, in media, si investe per la ricerca l'1,6 per cento del prodotto interno lordo, in Italia, appena lo 0,8 per cento. La competitività nel campo dell'hi-tech è strettamente legata agli investimenti in ricerca e sviluppo e al numero di scienziati e di ingegneri che lavorano in un Paese. Ne discende che la fuga dei «cervelli italici» è connessa alla scarsa competitività del Paese nei settori economici di punta.
      Negli ultimi 50 anni, nel nostro Paese ha prevalso il composito gruppo di chi riteneva un lusso la ricerca scientifica e perdente la competizione economica nei settori di punta: l'errore macroscopico è stato quello di far svolgere la ricerca scientifica ad altri e di ritagliare all'industria italiana una nicchia nel campo dei beni di largo consumo a bassa intensità di innovazione.
      Risultati di questo conflitto storico sono stati: la progressiva erosione della grande industria italiana, ormai virtualmente scomparsa; lo sviluppo frenato della scienza nelle università e nei centri pubblici di ricerca; la mancanza quasi assoluta di ricerca scientifica e sviluppo tecnologico nelle industrie. L'insieme di queste componenti ha alimentato la predetta «fuga dei cervelli». L'università italiana formava giovani aspiranti ricercatori che la stessa università, gli enti pubblici di ricerca e, soprattutto, l'industria non assorbiva. E così questi giovani hanno iniziato ad andare all'estero, dove hanno trovato le migliori opportunità per valorizzare il loro sapere.
      L'Italia ha continuato e continua ad investire per formare studenti che poi hanno lavorato, e tuttora lavorano, allo sviluppo dei Paesi competitori. E tutto senza mostrare di averne coscienza.
      Altro problema connesso alla «fuga dei cervelli italiani» all'estero è quello rappresentato dalla persistente «baronia» dei professori e dei ricercatori universitari più anziani che ostacolano i nostri ricercatori senza dar loro il modo di progredire e di trovare spazi adeguati alla loro crescita professionale. Ancora oggi, nonostante in Italia esistano molti gruppi di eccellenza, non si riconosce ai giovani il diritto ad intervenire. Sono sempre gli «anziani» che decidono.
      È opportuno, allora, avanzare l'ipotesi che il futuro dei giovani dipenderà da come la politica si renderà conto delle loro esigenze e di quanti piccoli passi saprà muovere verso il reintegro in Italia dei nostri giovani ricercatori.
      Un grande passo era stato compiuto dall'allora Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, Letizia Moratti, che aveva dato seguito, nella passata legislatura, a un progetto ministeriale finalizzato a consentire a molti studenti e ricercatori italiani di rientrare in Patria. Il programma, a conferma del fatto che il problema posto dalla presente proposta di legge è, da tempo, molto «sentito», in cinque anni è stato utilizzato da 466 tra ricercatori e professori. La metà delle domande sono state presentate da studiosi italiani che sono così rientrati in Patria, l'altra metà da stranieri. Purtroppo, il programma non è stato più rifinanziato.
      Un piccolo passo verso questo nobile intento potrebbe essere compiuto dalla presente proposta di legge, di cui si auspica una rapida approvazione: proposta
 

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che, lo si ribadisce, non costituisce la panacea di tutti i mali, ma che, sicuramente, contribuisce alla risoluzione di questo annoso problema e non comporta oneri aggiuntivi a carico del bilancio dello Stato.
      Nell'articolato che segue, infatti, si propone di attribuire ai laureati, in caso di rientro in Italia, un credito di imposta pari al 45 per cento degli oneri sostenuti per corsi di formazione post-universitaria all'estero. Il finanziamento dei predetti corsi di formazione resta a carico dei singoli studenti. Lo Stato, però, incentiva tale propensione garantendo una cospicua detrazione e, quindi, riducendo l'incertezza sottesa alla richiesta del finanziamento necessario a investire sulla propria formazione. La detrazione risulta solo parziale, così come indicato dal comma 1, ed è vincolata alla permanenza in Italia per almeno tre anni, così come indicato dal comma 2.
      Per coprire le minori entrate derivanti dall'attuazione della presente proposta di legge, si dispone di aumentare, proporzionalmente, le tasse universitarie a quanti si iscrivono al terzo anno fuori corso. In pratica, si propone di incentivare il rientro degli studenti meritevoli, prevedendo un disincentivo per quanti, invece, sono «parcheggiati» a tempo indeterminato presso le nostre università. Sono esclusi dall'ambito di applicazione di tali disposizioni gli studenti che non hanno potuto completare il ciclo di studi nei tempi previsti per comprovate cause di salute o di necessità di lavoro.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art.1.

      1. Ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, ai soggetti che hanno sostenuto spese a titolo di tasse e di contributi universitari per la frequenza di corsi di istruzione post-universitari all'estero è riconosciuto un credito d'imposta nella misura del 45 per cento delle spese sostenute purché effettivamente risultanti a carico dei soggetti stessi.
      2. Il credito d'imposta di cui al comma 1 deve essere utilizzato entro i tre anni successivi alla conclusione con profitto del corso post-universitario all'estero. Tale utilizzo dovrà avvenire in quote annuali costanti e di pari importo.
      3. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano con riferimento agli oneri sostenuti a decorrere dal periodo d'imposta 2007.
      4. Alla copertura delle minori entrate derivanti dall'attuazione del presente articolo, stimate in 2,5 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2007, si provvede mediante corrispondente riduzione dei trasferimenti dello Stato alle università, effettuati a valere sul Fondo di finanziamento ordinario delle università statali, come determinato dalla Tabella C allegata alla legge 23 dicembre 2005, n. 266. Le università compensano la riduzione dei trasferimenti tramite un proporzionale aumento delle tasse universitarie a carico degli studenti che non hanno completato il ciclo di studi entro il secondo anno fuori corso. Sono esclusi dall'applicazione della disposizione del periodo precedente gli studenti che non hanno potuto completare il ciclo di studi per comprovate ragioni di salute o necessità di lavoro.
      5. Con regolamento del Ministro dell'economia e delle finanze, da adottare ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono stabilite,

 

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entro un mese dalla data di entrata in vigore della presente legge, previo parere del Ministro dell'università e della ricerca, le modalità di attuazione delle disposizioni di cui alla presente legge. Nella determinazione delle tasse universitarie di cui al comma 4 si deve tenere conto, in maniera direttamente proporzionale, dell'anzianità universitaria dello studente e dei livelli di reddito del nucleo familiare di appartenenza del medesimo.


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