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PDL 2399

XV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 2399



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa del deputato ANGELA NAPOLI

Disposizioni concernenti i dirigenti scolastici

Presentata il 15 marzo 2007


      

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Onorevoli Colleghi! - In dieci punti si espongono le ragioni politiche della proposta di legge:

          1) gli articoli 97 e 98 della Costituzione prevedono la distinzione - nel campo del potere esecutivo - tra la funzione di indirizzo politico-amministrativo esercitata dagli organi di governo e l'attività di gestione, esercitata dagli attuali dirigenti. Anteriormente alla Costituzione del 1948, tale distinzione era del tutto inesistente, per cui l'organo di governo riuniva in sé sia il potere di indirizzo che l'attività di gestione. Con la «legge Cavour» n. 1483 del 1853 venne codificata una concezione gerarchico-piramidale dell'amministrazione, durata formalmente fino al 1948;

          2) la dirigenza amministrativa attuale è filiazione organica degli articoli 97 e 98 della Costituzione e, dunque, del potere esecutivo, per cui è ad esso legata da «rapporto di fiduciarietà»;

          3) il rapporto di fiduciarietà ha natura precaria nel tempo, per cui può venire a mancare in qualsiasi momento, con ciò producendo diverse conseguenze, tra cui la cessazione dell'incarico dirigenziale;

          4) il rapporto di fiduciarietà, per la sua natura precaria nel tempo, ha come diretta conseguenza la configurazione di un rapporto di lavoro a tempo determinato;

          5) la dirigenza scolastica, ai sensi dell'articolo 21, comma 16, della legge delega 15 marzo 1997, n. 59, è filiazione organica dell'articolo 33, primo comma, della Costituzione: «L'arte e la scienza

 

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sono libere e libero ne è l'insegnamento». Essa deriva dalla unicità della funzione docente, costituendo - di essa - forma differenziata. I dirigenti scolastici sono reclutati esclusivamente all'interno del personale docente;

          6) l'attività didattica organizzata, di cui al piano dell'offerta formativa (articolo 3 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275), costituisce riserva di legge, per cui essa non è nella immediata disponibilità del potere esecutivo. In ragione di ciò, non può esistere - tra il titolare del potere di indirizzo politico e il dirigente scolastico - alcun rapporto di fiduciarietà. Non è il Ministro della pubblica istruzione - quale organo politico di indirizzo - a governare l'attività didattica organizzata attraverso proprie direttive;

          7) l'assenza di un qualsivoglia rapporto di fiduciarietà comporta, come diretta conseguenza, l'applicazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato e una valutazione dei risultati coerente con le finalità del nuovo sistema di autonomia della scuola;

          8) la dirigenza scolastica, ai sensi dell'articolo 33, primo comma, della Costituzione, costituisce snodo politico di fondo del nuovo sistema di autonomia della scuola, di cui all'articolo 21 della legge delega 15 marzo 1997, n. 59, ed al regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275, in quanto «garanzia di libertà di insegnamento e di pluralismo culturale»;

          9) la normativa vigente in materia di dirigenza scolastica fa espresso rinvio a diverse disposizioni che - nate antecedentemente ed esclusivamente per la dirigenza amministrativa di cui agli articoli 97 e 98 della Costituzione - risultano del tutto incompatibili con la fonte costituzionale che prevede la libertà di insegnamento (articolo 33, primo comma), con il comma 16 dell'articolo 21 della legge delega n. 59 del 1997 e con il regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 275 del 1999. La pedissequa applicazione di tali norme, recepite pienamente dal contratto collettivo nazionale di lavoro della categoria, non solo vanno a costituire violazione dell'articolo 33, primo comma, della Costituzione, ma costituiscono anche fonte perenne di contenzioso, stante le conclusioni assolutamente prive di logica e irrazionali alle quali la stessa applicazione può condurre, sia in ordine alla valutazione dei risultati, sia in ordine alla presenza di un contratto a tempo determinato per chi non è legato da rapporto di fiduciarietà con il titolare del potere politico di indirizzo;

          10) nell'ambito della «riforma globale» di tutto l'assetto statuale, il nuovo sistema di autonomia della scuola ha una propria peculiarità, che è quella dei princìpi costituzionali che ne sorreggono l'impianto. La dirigenza, all'interno dello stesso sistema, costituisce elemento di fondo ad esso coessenziale, cioè appartenente alla medesima essenza costituzionale, di cui all'articolo 33, primo comma, e non di cui agli articoli 97 e 98.

      Di qui la presente proposta di legge che, tuttavia, ne richiama altre due: atto Camera n. 647, recante «Disposizioni in materia di rappresentanza sindacale nelle istituzioni scolastiche», presentata il 10 maggio 2006, e atto Camera n. 2398, recante «Istituzione del servizio ispettivo tecnico nazionale della scuola», presentata il 15 marzo 2007. Le tre proposte di legge costituiscono un unico progetto politico per la definizione di un sistema di autonomia della scuola che - mantenendo alle istituzioni scolastiche il regime di autonomie funzionali in attuazione, tra l'altro, del principio di sussidiarietà orizzontale (esiste anche il principio della sussidiarietà verticale), in quanto formazioni sociali ai sensi dell'articolo 2 della Costituzione - sia già da oggi coerente con il processo di devoluzione in atto e, altresì, coerente con la natura «nazionale» del servizio scolastico e correttamente attuativo della normativa costituzionale che lo prevede. Non

 

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sono, assolutamente, proposte di legge a difesa di corporazioni, ma a difesa di un servizio da rendere, in libertà, alla persona.

Quadro normativo di riferimento.

      Il nuovo sistema di autonomia della scuola, conseguente all'attuazione dell'articolo 21 della legge delega 15 marzo 1997, n. 59, si pone all'interno della «riforma globale» di tutta la pubblica amministrazione, di cui la riforma della dirigenza pubblica costituisce passaggio obbligato e snodo politico di fondo.
      «Riforma globale» che ha visto nella legge 8 giugno 1990, n. 142, recante «Ordinamento delle autonomie locali» (le cui norme sono confluite nel testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267), e nella legge 7 agosto 1990, n. 241, recante «Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi», i testi legislativi di maggiore consistenza innovativa.
      Riforma avviata, nella sostanza, con la legge 23 ottobre 1992, n. 421, recante «Delega al Governo per la realizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale», nella quale, tra l'altro, veniva prevista:

          a) la separazione tra i compiti di direzione politica e quelli di direzione amministrativa; l'affidamento ai dirigenti - nell'ambito delle scelte di programma, degli obiettivi e delle direttive fissati dal titolare dell'organo - di autonomi poteri di direzione, di vigilanza e di controllo, in particolare la gestione di risorse finanziarie attraverso l'adozione di idonee tecniche di bilancio, la gestione delle risorse umane e la gestione di risorse strumentali; ciò al fine di assicurare economicità, speditezza e rispondenza al pubblico interesse dell'attività degli uffici dipendenti;

          b) la verifica dei risultati raggiunti mediante appositi nuclei di valutazione composti da dirigenti generali e da esperti, ovvero attraverso convenzioni con organismi pubblici o privati particolarmente qualificati nel controllo di gestione;

          c) la mobilità anche temporanea dei dirigenti, nonché la rimozione delle funzioni e il collocamento a disposizione in caso di mancato conseguimento degli obiettivi prestabiliti dalla gestione.

      Ciò, ovviamente, in attuazione degli articoli 97 e 98 della Costituzione, riguardanti la pubblica amministrazione cioè l'assetto e la struttura del potere esecutivo.
      In attuazione di tali precetti costituzionali, unitamente alla distinzione tra compiti di direzione politica e compiti di direzione amministrativa, che costituisce il presupposto inderogabile di ogni sistema di autonomia, viene configurata una dirigenza che è, propriamente, emanazione organica del potere esecutivo di cui agli articoli 97 e 98 e, dunque, ad esso legata da rapporto organico e da rapporto di fiduciarietà. I conseguenti decreti legislativi, tra cui il decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, recante «Razionalizzazione dell'organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell'articolo 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421» (le cui norme sono poi confluite nel decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165), avviano la prima fase di detta «riforma globale».
      È a seguito della legge 15 marzo 1997, n. 59, recante «Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa», e di tutti i provvedimenti attuativi di essa, che la «riforma globale» viene portata a certo compimento.
      È nell'articolo 21 della legge n. 59 del 1997 la previsione sia del nuovo sistema di autonomia della scuola, sia del conseguente conferimento della qualifica dirigenziale ai capi di istituto con la connessa responsabilità in ordine ai risultati.
      Dirigenza, comunque, che nasce come qualifica peculiare di una istituzione scolastica

 

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la cui attività istituzionale - quella didattica organizzata - è coperta da riserva di legge in attuazione di una precisa norma costituzionale (articolo 33, primo comma), che non è - né può essere - emanazione organica del potere esecutivo ai sensi degli articoli 97 e 98 della Costituzione, ma è libera, ai sensi dell'articolo 33, primo comma («L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento»), come lo stesso comma 16 dell'articolo 21 correttamente prevede.
      Al momento esistono - nella normativa applicabile a tale dirigenza - norme che, nate antecedentemente ed esclusivamente per la dirigenza amministrativa, risultano del tutto incompatibili con la nuova qualifica e che le fanno ritenere, quantomeno, di dubbia legittimità costituzionale, del tutto ostative al pieno esercizio della funzione e incompatibili, altresì, con la configurazione istituzionale e costituzionale dello stesso nuovo sistema di autonomia della scuola.

Indirizzo politico, pubblica amministrazione e dirigenza: un breve excursus storico.

      Il problema politico-istituzionale che coinvolge - contestualmente - l'indirizzo politico e l'attività di gestione nello Stato non è, certamente, di oggi. Esso ha radici lontane, come lontane sono le sue ascendenze dottrinali.
      Dire indirizzo politico e attività di gestione significa parlare del chiarimento dei complessi rapporti che corrono tra politica e amministrazione.
      È fuor di dubbio che la nozione di dirigenza nasce nel momento in cui, facendosi chiarezza su tale distinzione, si pone anche mano alla riforma della pubblica amministrazione in senso autonomistico. È, infatti, proprio e tipico dei sistemi di autonomia assegnare al vertice amministrativo dell'entità autonoma la responsabilità dei risultati e del buon andamento (in termini di efficienza, efficacia ed economicità) della stessa attività di gestione, in rapporto ovviamente all'indirizzo politico espresso dal potere esecutivo.
      Senza andare troppo a ritroso nel tempo, si cita la legge «Cavour» n. 1483 del 1853 che definisce - può dirsi - il modello di rapporti tra politica e amministrazione del tempo e che è rimasto in vigore fino alla Costituzione del 1948.
      Con essa venne codificata una concezione gerarchico-piramidale dell'amministrazione, che potrebbe definirsi di origine napoleonico-britannica, nel senso che la concezione francese dello Stato accentrato si stemperava con il principio - proprio della normativa inglese - della responsabilità dei Ministri innanzi al Parlamento. Tale legge riguardava i Ministri sia come membri del Governo che come responsabili di branche della pubblica amministrazione. All'interno di un tale modello «non si riconosceva rilevanza esterna agli atti dei direttori generali, i quali, peraltro, erano legati, da una parte al Ministro e, dall'altra, ai dipendenti di grado meno elevato da un vincolo di subordinazione gerarchica. Il modello accentrato, esteso allo Stato unitario, presentava alcuni inconvenienti ed incontrò aspre critiche. Innanzitutto, il rapporto tra Ministro e direttori generali non configurava un rapporto tra uffici esterni: l'unico strumento per liberare i Ministri dai numerosi adempimenti amministrativi era la cosiddetta "delega di firma", attraverso la quale i direttori generali, pur non essendo organi con competenza esterna, venivano legittimati a manifestare la volontà del Ministro nei confronti dei terzi. In secondo luogo, si affermava il principio della responsabilità del Ministro per gli atti amministrativi, attraverso una finzione che conduceva a ritenere impropriamente questi ultimi come atti propri del Ministro. Al principio della responsabilità ministeriale conseguiva non soltanto la deresponsabilizzazione di impiegati e di funzionari, considerati meri esecutori della volontà del responsabile politico, ma soprattutto la "politicizzazione" dell'attività amministrativa: è ovvio, infatti, che il Ministro, espressione della maggioranza politica, tendesse a trasfondere le scelte politiche di

 

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cui era portatore, negli atti da lui stesso emanati, contravvenendo ai princìpi dell'imparzialità e del buon andamento dell'andamento dell'amministrazione» (L. Ferluga, «Managerialità e responsabilità nella disciplina del pubblico impiego», Giuffrè, Milano, 1997, pagine 34 e 35).
      Tale modello restò, in buona sostanza, vigente fino alla data di entrata in vigore della nostra Costituzione del 1948, nella quale - recepita la stretta necessità di mantenere separata la politica dall'amministrazione - risultano sanciti i princìpi (articoli 97 e 98) che delineano la distinzione tra il ruolo di direzione politica e il ruolo svolto dai pubblici «funzionari» che, peraltro, sono «a servizio esclusivo della Nazione». Nella categoria dei «funzionari» non rientrano, ovviamente, i titolari della funzione docente secondo la nuova Carta.
      Completa il quadro di riferimento l'articolo 5 della Costituzione che, enunciando i princìpi del decentramento e dell'autonomia, permette la nascita «di una pluralità di centri decisionali a competenza esclusiva». È in attuazione di tali precetti costituzionali che ai «funzionari», oggi dirigenti, sono riconosciuti poteri autonomi.
      La revisione del vecchio modello accentrato si ha soltanto con il decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1972, n. 748, recante «Disciplina delle funzioni dirigenziali nelle Amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo».
      La riforma, comunque, fallisce completamente perché non accompagnata - per come prevedeva la legge di delega - dal riordinamento dei Ministeri, indispensabile al riassetto delle stessa dirigenza.
      È con la legge delega n. 421 del 1992, come ricordato, che si imbocca la strada di una riforma - contestuale - sia della pubblica amministrazione in senso autonomistico (articolo 5 della Costituzione), sia della dirigenza, ponendo a base il principio di fondo della distinzione tra indirizzo politico e attività di gestione.
      Il resto è storia di oggi.

La dirigenza scolastica come peculiare del sistema di autonomia cui inerisce.

      Si è detto nella «storia» della riforma globale come la dirigenza scolastica sia stata fatta nascere in modo del tutto abnorme, all'interno del processo di definizione del rapporto tra indirizzo politico e attività di gestione, in attuazione degli articoli 97 e 98 della Costituzione, ai quali l'attività didattica organizzata - quale attività istituzionale della scuola, peraltro coperta da riserva di legge - è del tutto estranea.
      Da una lettura attenta dell'articolo 21 della legge delega n. 59 del 1997 - che fissa i princìpi di fondo del nuovo sistema di autonomia della scuola e, altresì, i princìpi di fondo per la definizione della nuova qualifica dirigenziale nella scuola, anteriormente inesistente - si rileva, tra l'altro, che:

          a) la dirigenza scolastica nasce dalla funzione docente ai sensi dell'articolo 33, primo comma, della Costituzione, costituendone forma differenziata, non nasce in attuazione degli articoli 97 e 98 della medesima Costituzione;

          b) la dirigenza scolastica è concepita nel rispetto della libertà di insegnamento e nel rispetto delle competenze degli organi collegiali;

          c) i dirigenti scolastici sono reclutati esclusivamente tra il personale docente;

          d) la dirigenza scolastica è peculiare, cioè propria, del sistema di autonomia cui inerisce; la sua originarietà deriva dalla stessa fonte costituzionale da cui promana.

      Per questo essa non è fungibile.
      Il fatto che la dirigenza scolastica sia concepita «nel rispetto della funzione docente» sta pure a significare che tra il dirigente scolastico e i docenti non può esistere alcun rapporto di gerarchia, come invece esiste tra il dirigente amministrativo e i dipendenti dell'ufficio al quale lo stesso è preposto. Tra l'altro, nella scuola

 

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esiste un modello organizzativo collegiale e non gerarchizzato, che è del tutto estraneo agli ambiti operativi del dirigente amministrativo.
      Di qui i seguenti corollari:

          1) la dirigenza di cui agli articoli 97 e 98 della Costituzione costituisce emanazione organica del potere esecutivo e, dunque, è ad esso legata da rapporto fiduciario: la fiduciarietà essendo l'elemento qualificante che lega l'organo politico al dirigente;

          2) secondo la normativa vigente, si configura una «stretta» fiducia con i dirigenti di vertice e un rapporto fiduciario «attenuato» con gli altri dirigenti non di vertice. L'articolo 19, comma 8, del decreto legislativo n. 165 del 2001, già articolo 19 del decreto legislativo n. 29 del 1993, dispone che: «Gli incarichi di direzione degli uffici dirigenziali di cui al comma 3 [segretari generali di Ministeri, incarichi di direzione di strutture articolate al loro interno in uffici dirigenziali generali e quelli di livello equivalente], al comma 5-bis, limitatamente al personale non appartenente ai ruoli di cui all'articolo 23, e al comma 6, cessano decorsi novanta giorni dal voto sulla fiducia al Governo»;

          3) è dal rapporto di fiduciarietà, che per sua natura è sempre precario, che discende la regola del contratto a tempo determinato. Il rapporto di fiduciarietà rifiuta - proprio per la sua natura precaria - un rapporto di lavoro a tempo indeterminato;

          4) in quanto i programmi da realizzare da parte dei dirigenti, di cui agli articoli 97 e 98 della Costituzione, sono determinati dall'indirizzo politico-amministrativo del Governo, volta per volta, ne deriva che il conferimento di ciascun incarico di funzione dirigenziale sia conferito fiduciariamente e a tempo determinato, tenuto conto proprio delle «caratteristiche» degli stessi programmi e, di conseguenza, della capacità professionale del singolo dirigente;

          5) legittimamente, perciò, «I dirigenti ai quali non sia affidata la titolarità di uffici dirigenziali svolgono, su richiesta degli organi di vertice delle amministrazioni che ne abbiano interesse, funzioni ispettive, di consulenza, studio e ricerca o altri incarichi specifici previsti dall'ordinamento» (articolo 19, comma 10, del decreto legislativo n. 165 del 2001). Norma questa, come è di tutta evidenza, completamente estranea al nuovo sistema di autonomia della scuola e, dunque, con esso incompatibile;

          6) una dirigenza scolastica, allora, profondamente diversa da quella di cui agli articoli 97 e 98 della Costituzione, e dunque da regolamentare diversamente, secondo la propria natura e la natura del sistema cui inerisce.

      Sistema, ormai, pressoché definito normativamente (anche se manca ancora la legge di riforma degli organi collegiali interni alla istituzione scolastica). Il regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275, recante: «Norme in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche, ai sensi dell'art. 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59», e i contratti collettivi nazionali di lavoro della categoria hanno definito - pressoché compiutamente - la struttura portante del sistema, anche se con le profonde contraddizioni rilevate. Contraddizioni che, se mantenute, non potranno che provocare squilibri di vario genere e un costante contenzioso, a tutto danno della regolarità, efficacia ed efficienza del servizio; a parte le altre considerazioni di ordine costituzionale.
      Riassuntivamente:

          1) la dirigenza scolastica, unica risultando la funzione docente, è filiazione diretta e immediata dell'articolo 33, primo comma, non degli articoli 97 e 98 della Costituzione. Diverso, perciò, deve essere il suo ordinamento. Non può affermarsi, in alcun modo, che tale dirigenza possa costituire una species della dirigenza di cui ai citati articoli 97 e 98, diverse risultando le fonti costituzionali di riferimento;

 

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          2) l'attività istituzionale svolta dalle istituzioni scolastiche - in termini di attività didattica organizzata e di quanto ad essa accede per connessione - costituisce riserva di legge. Altro è l'attività strumentale, di natura amministrativo-contabile, svolta dalle stesse istituzioni;

          3) non esiste, né può esistere, un rapporto di fiduciarietà tra l'organo di governo titolare della funzione di indirizzo politico-amministrativo e il dirigente scolastico, stante la fonte costituzionale di riferimento (articolo 33, primo comma) e la riserva di legge di cui al numero 2). Ma questo non sta affatto a significare che tale dirigenza non possa o non debba essere valutata - dall'organo politico di governo - per i risultati che deve garantire e di cui è responsabile, bensì che ciò deve avvenire attraverso strumenti normativi ad essa peculiari e secondo le finalità del nuovo sistema di autonomia della scuola, che sono quelle di istruire, formare anche professionalmente ed educare il soggetto discente;

          4) in assenza di un rapporto di fiduciarietà, viene anche a cadere il suo principale corollario, quello del contratto di lavoro a tempo determinato.

      Di qui l'impossibilità che possano trovare applicazione - nei confronti della dirigenza scolastica - norme pensate esclusivamente per la dirigenza di cui agli articoli 97 e 98, perché intrinsecamente incompatibili. Eccone, in rapida sintesi le ragioni:

          a) l'articolo 19 del decreto legislativo n. 165 del 2001 prevede, al comma 1, che per il conferimento di ciascun incarico «si tiene conto, in relazione alla natura e alle caratteristiche degli obiettivi prefissati, delle attitudini e delle capacità professionali del singolo dirigente» e, al comma 2, che «Tutti gli incarichi di funzione dirigenziale nelle amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, sono conferiti secondo le disposizioni del presente articolo. Con il provvedimento di conferimento dell'incarico (...) sono individuati l'oggetto dell'incarico e gli obiettivi da conseguire (...) nonché la durata dell'incarico». È di per sé evidente come tali disposizioni risultino non coerenti e non compatibili con il «sistema scuola», al cui interno le singole istituzioni scolastiche, appartenenti ai singoli ordini e gradi di scuola, non sono oggettivamente graduabili come, invece, lo sono gli uffici amministrativi;

          b) gli uffici amministrativi sono gli uni diversi dagli altri, non soltanto in quanto ad attribuzioni e competenze organiche, ma anche sotto il profilo del loro «peso» politico o amministrativo, per cui è del tutto «naturale» che essi siano - per certi aspetti - graduabili;

          c) ogni ufficio amministrativo, in quanto diverso, ha un proprio specifico programma da realizzare;

          d) stante la diversità degli uffici, la diversità dei programmi e il diverso «peso» che ogni ufficio ha, ne deriva che - in modo del tutto coerente e conseguente - la scelta del dirigente va fatta in base alle sue attitudini e alla sua capacità professionale e rispetto al livello di fiducia che lo stesso riscuote presso il titolare del potere di indirizzo che conferisce l'incarico.

      Di esatto segno opposto sono le istituzioni scolastiche.
      Gli obiettivi da conseguire non sono stabiliti dalle direttive dell'organo politico di governo, ma - stante la riserva di legge - risultano enucleati nel piano dell'offerta formativa che è: «il documento fondamentale costitutivo dell'identità culturale e progettuale delle istituzioni scolastiche» (articolo 3, comma 1, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275).
      Gli obiettivi di cui al citato articolo 19, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001, fissati di volta in volta attraverso le direttive dell'organo politico di governo, sono certamente riferibili ai dirigenti di cui agli articoli 97 e 98 della Costituzione e ai diversi uffici amministrativi ai quali

 

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essi sono preposti; non possono essere gli obiettivi di cui al piano dell'offerta formativa, per cui non può essere lo strumento della direttiva ministeriale o del contratto a definirli.
      Peraltro, proprio in virtù del principio della libertà e dell'autonomia della scuola (regolamento di cui dal decreto del Presidente della Repubblica n. 275 del 1999), ogni piano dell'offerta formativa ha propri obiettivi «adeguati ai diversi contesti» e «coerenti con le finalità e gli obiettivi generali del sistema di istruzione» (articolo 1, comma 2, del medesimo regolamento).
      Tali obiettivi sfuggono completamente ai contenuti tipici delle direttive dell'organo politico.
      Da ultimo, pur esistendo altri elementi di contraddizione, va posto in evidenza quanto disposto dal comma 4 dell'articolo 23 del contratto collettivo per il personale dell'area V della dirigenza scolastica, in tema di affidamento dell'incarico dirigenziale: «I responsabili dei singoli Uffici Scolastici regionali effettueranno, con le procedure di cui all'articolo 27 [verifica dei risultati e valutazione dei dirigenti], entro tre mesi dalla scadenza naturale del contratto individuale, una valutazione complessiva dell'incarico svolto; qualora, nell'ambito dei criteri generali di cui al comma 2 [il comma 2 dell'articolo 23 dispone: «l'atto bilaterale di natura privatistica di definizione dell'incarico deve precisare, contestualmente o attraverso il richiamo delle direttive emanate dall'organo di vertice, la natura, l'oggetto, i programmi da realizzare, gli obiettivi da conseguire, i tempi di loro attuazione, le risorse umane e finanziarie, e strumentali a disposizione, la durata dell'incarico e il trattamento economico complessivo»], non venga confermato lo stesso incarico precedentemente ricoperto e non vi sia una espressa valutazione negativa ai sensi del citato articolo 27, sono tenuti ad assicurare al dirigente scolastico un incarico di norma equivalente». In merito si osserva che tale norma - propria e tipica della dirigenza di cui agli articoli 97 e 98 della Costituzione - risulta del tutto innaturale se riferita alla dirigenza scolastica, per la seguente ragione: non esiste alcun rapporto di fiduciarietà tra il dirigente di cui ai citati articoli 97 e 98 e il dirigente scolastico di cui all'articolo 33, primo comma (non esistendo, tra l'altro, alcun rapporto di gerarchia tra i due), tanto da consentire al primo, pur in presenza di una valutazione non negativa, di poter discrezionalmente rimuovere il secondo dall'incarico salvo poi ad assicurargli un incarico «di norma equivalente». Ciò costituirebbe violazione proprio dell'articolo 33, primo comma, della Costituzione.
      Tra l'altro, non sembra che nell'attuale ordinamento della scuola (non del Ministero e degli uffici scolastici regionali) siano rinvenibili incarichi «di norma equivalenti» rispetto a quello di dirigente scolastico.
      La disposizione riferita appare, certamente, di dubbia legittimità costituzionale; del tutto estranea e confliggente rispetto ai contenuti normativi del nuovo sistema di autonomia della scuola.
      La libertà della scuola e la libertà dell'insegnamento non sono - per dettato costituzionale - nella disponibilità del potere esecutivo. Altro problema, invece, è quello dell'organizzazione del servizio sul territorio, che spetta a tale potere.
      È come se si volesse affermare, analogamente e simmetricamente, l'esistenza di un rapporto di fiduciarietà tra il Ministro della giustizia e i magistrati, stante il precetto costituzionale della loro indipendenza. Altra questione, anche qui, è quella che riguarda i problemi della giustizia di pertinenza dello stesso potere.

La nuova configurazione giuridico-istituzionale delle istituzioni scolastiche in regime di autonomia.

      Ulteriore elemento chiarificatore del problema in esame è, certamente, la nuova configurazione giuridico-istituzionale delle istituzioni scolastiche in regime di autonomia, che incide costitutivamente nella

 

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definizione di una dirigenza scolastica con essa coerente.
      In attuazione dell'articolo 21 della legge delega 15 marzo 1997, n. 59, ogni istituzione scolastica è ente di diritto pubblico, con una propria personalità giuridica di diritto pubblico e una propria rappresentanza legale, tuttavia qualificabile come «autonomia funzionale». Le «istituzioni scolastiche sono espressioni di autonomia funzionale» (articolo 1, comma 1, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275).
      Ad ogni istituzione scolastica risulta, inoltre, conferita un'autonomia didattica; un'autonomia organizzativa; un'autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo, nel rispetto del sistema nazionale di istruzione e degli standard di livello nazionale (articolo 21, comma 7, della legge n. 59 del 1997).
      Sotto il profilo strumentale, in rapporto alla gestione amministrativo-contabile, ogni istituzione ha - anche - autonomia finanziaria e autonomia negoziale (regolamento di cui al decreto del Ministro della pubblica istruzione 1o febbraio 2001, n. 44).
      Nel merito va rilevato quanto segue.
      Ai sensi della citata legge n. 59 del 1997, alle regioni e agli enti locali sono conferite «tutte le funzioni e i compiti amministrativi relativi alla cura degli interessi e alla promozione dello sviluppo delle rispettive comunità, nonché tutte le funzioni e i compiti amministrativi localizzabili nei rispettivi territori in atto esercitati da qualunque organo o amministrazione dello Stato, centrali e periferici, ovvero tramite enti o altri soggetti pubblici» (articolo 1, comma 2).
      Dal conferimento a tali enti risultano, comunque, escluse una serie di materie, tra cui istruzione universitaria, ordinamenti scolastici, programmi scolastici, organizzazione generale dell'istruzione scolastica e stato giuridico del personale e inoltre, i compiti esercitati localmente in regime di autonomia funzionale.
      Gli enti aventi tale regime, come indicato dalla stessa norma (articolo 1, comma 4, lettera d), della legge n. 59 del 1997), sono le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e le università. Ad oggi, vigente il regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 275 del 1999, anche le istituzioni scolastiche vanno qualificate autonomie funzionali.
      Il processo di devoluzione, dal centro alla periferia, comprende così non soltanto l'allocazione delle funzioni amministrative dallo Stato agli enti locali, ma anche da quest'ultimo ad enti caratterizzati dall'autonomia funzionale. Devoluzione che attua, in modo probante, il principio di sussidiarietà il quale innerva, può dirsi, l'intera riforma (articolo 4, comma 3, lettera a), della legge n. 59 del 1997).
      In campo giuridico le autonomie funzionali sono rappresentate da enti pubblici dotati di una peculiare forma di autonomia sia dallo Stato che dagli altri enti territoriali e locali. È una sorta di tertium genus tra lo Stato-persona e l'ente territoriale.
      Si afferma, così, un principio profondamente innovativo. La devoluzione di funzioni dal centro agli organi più prossimi ai destinatari dell'azione amministrativa non necessariamente deve seguire gli schemi organizzativi dello Stato-persona: dal centro alle regioni, alle province, ai comuni e agli altri enti locali, ma, ove ricorrano determinati presupposti, tale devoluzione si concretizza in modelli di auto organizzazione di gruppi sociali, cioè costruiti su settori di interessi di categorie sociali non aventi rilievo specificatamente territoriale, che cioè non si esauriscano all'interno dell'ente locale.
      Nella legge delega n. 59 del 1997, il legislatore utilizza la formula dell'autonomia funzionale sia come categoria di carattere generale riferita ad enti cui il legislatore attribuisce - in autonomia - funzioni e compiti amministrativi sottratti alle regioni e agli enti territoriali e locali, sia in connessione a specifici istituti (come le università e le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e, oggi, anche le istituzioni scolastiche).
 

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      Proprio in tale previsione, nell'articolo 1, comma 4, della citata legge n. 59 del 1997, vengono esclusi dal conferimento alle regioni e agli enti locali «i compiti esercitati localmente in regime di autonomia funzionale».
      Le istituzioni scolastiche non appartengono più alla vecchia amministrazione periferica della pubblica amministrazione, ma assumono, appunto, la veste giuridica di ente di diritto pubblico ad autonomia funzionale, nei quali l'attività istituzionale svolta - quella didattica organizzata - non solo è coperta da riserva di legge, ma ha pure una sua definizione costituzionale.
      Le autonomie funzionali costituiscono, anche, forma di attuazione del principio di sussidiarietà il quale, tuttavia, non presenta soltanto una dimensione verticale limitata ai rapporti tra entità territoriali di diverso livello - Stato, enti locali, regioni - ma presenta altresì una dimensione orizzontale, riguardante le relazioni tra lo Stato e le diverse espressioni del pluralismo sociale. In tale contesto le autonomie funzionali costituiscono esplicitazione della sussidiarietà orizzontale; vale a dire una proiezione dell'essenziale funzione delle «comunità intermedie» in cui si svolge la personalità dell'uomo (articolo 2 della Costituzione). A tale riguardo, proprio alla luce del citato articolo 2, la scuola si qualifica come una «formazione sociale» al cui interno il soggetto che apprende ha il diritto, congiunto al dovere sociale, di svolgere la propria personalità attraverso l'acquisizione di apprendimenti liberi, critici, sistematici, unitari, disciplinari e non disciplinari, professionalizzanti e non professionalizzanti, in una previsione di istruzione, formazione ed educazione, per come la stessa Costituzione prevede e per come è ribadito dall'articolo 1, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275 («L'autonomia delle istituzioni scolastiche è garanzia di libertà di insegnamento e di pluralismo culturale e si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana, adeguati ai diversi contesti, alla domanda delle famiglie e alle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti, al fine di garantire loro il successo formativo, coerentemente con le finalità e gli obiettivi generali del sistema di istruzione e con l'esigenza di migliorare l'efficacia del processo di insegnamento e di apprendimento»).
      La destinazione di scopo della funzione dirigente nella scuola è tutta in tale previsione.
      L'articolo 21 della legge delega n. 59 del 1997, che contiene i princìpi ispiratori di fondo del nuovo sistema di autonomia della scuola, si inserisce in questo contesto, nel quale i vecchi capi d'istituto perdono per sempre la configurazione terminale dell'apparato periferico della pubblica istruzione, per acquistare una duplice veste: quella di vertice delle istituzioni scolastiche, con la necessaria rappresentanza legale di esse e quella di «soggetti responsabili sia della loro gestione che dei risultati».
      È tipico ed esclusivo dei sistemi di autonomia che i vertici amministrativi delle entità così organizzate devono dare conto e ragione - nelle modalità previste - dell'attività svolta e delle scelte effettuate.
      È tipico e proprio dei sistemi di autonomia che i vertici preposti alla gestione delle entità autonome rivestano la qualifica di dirigente, in quanto tale qualifica compendia in sé la specifica responsabilità in ordine agli obiettivi o risultati da conseguire.

Considerazioni conclusive.

      La presente proposta di legge non ha la sola finalità di definire correttamente - nel rispetto della normativa costituzionale in materia e dell'articolo 21, comma 16, della legge delega n. 59 del 1997 - la nuova qualifica dirigenziale, ma anche di riconoscere al nuovo sistema di autonomia della scuola la sua propria «identità istituzionale»

 

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che gli consenta - anche in una previsione di assetto federalista dello Stato - di continuare a mantenere il suo regime di «autonomia funzionale» e di «pubblico servizio nazionale».
      La previsione di un'offerta formativa - nel rispetto delle funzioni delegate alla regione e dei compiti trasferiti agli enti locali - adeguata ai diversi contesti esige propriamente che l'istituzione scolastica continui a mantenere e a rafforzare la sua attuale natura di autonomia funzionale e la sua potenzialità espansiva sul territorio in attuazione - nel caso in esame - del principio di sussidiarietà orizzontale e, infine, di costituire essa stessa fonte generativa di libertà per tutti e per ciascuno.
      L'articolo 1 della presente proposta di legge prevede la modalità di assegnazione della sede e il contratto a tempo indeterminato del dirigente scolastico, stante l'assenza di un rapporto di fiduciarietà tra il titolare del potere politico di indirizzo e il dirigente scolastico stesso.
      L'articolo 2 riguarda la materia dei trasferimenti di sede.
      L'articolo 3 attiene alla responsabilità dirigenziale propria e tipica dei dirigenti scolastici.
      L'articolo 4 attiene alle sanzioni disciplinari.
      L'articolo 5 definisce la nuova articolazione del comparto scuola, con la previsione che gli ispettori tecnici tornino a far parte del medesimo comparto.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Assegnazione di sede).

      1. A ciascun dirigente scolastico è assegnata la sede di servizio da parte dell'ufficio scolastico regionale competente.
      2. Ai vincitori del corso-concorso per dirigente scolastico è assegnata la sede di servizio secondo la posizione occupata nella graduatoria definitiva, in rapporto alle sedi effettivamente disponibili.
      3. L'incarico di dirigente scolastico è conferito a tempo indeterminato.

Art. 2.
(Trasferimenti di sede).

      1. I trasferimenti di sede dei dirigenti scolastici, nell'ambito della stessa regione, si effettuano in base ad una tabella di titoli valutabili approvata con decreto del Ministro della pubblica istruzione, sentito il Consiglio superiore della pubblica istruzione, su posti effettivamente vacanti.
      2. I trasferimenti di sede dei dirigenti scolastici da regione a regione si effettuano analogamente e successivamente ai trasferimenti di sede nell'ambito della stessa regione e su posti effettivamente disponibili.
      3. Non si fa luogo ad assegnazione provvisoria annuale di sede.

Art. 3.
(Responsabilità dirigenziale).

      1. Ferma restando la responsabilità disciplinare, amministrativa, civile e penale prevista per i pubblici dipendenti, i dirigenti scolastici sono responsabili in particolare del conseguimento dei risultati di ogni istituzione scolastica, conseguenti

 

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all'attuazione del piano dell'offerta formativa previsto dall'articolo 3 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275, alla regolarità, all'efficacia e all'efficienza dell'attività amministrativo-contabile, ai sensi del regolamento di cui al decreto del Ministro della pubblica istruzione 1o febbraio 2001, n. 44, e al pieno e corretto esercizio delle funzioni.
      2. I risultati conseguenti all'attività didattica esercitata ai sensi del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275, con riferimento ai diversi ordini e gradi di scuola, sono valutati in rapporto agli standard stabiliti dalle disposizioni vigenti in materia.
      3. Presso ogni ufficio scolastico regionale sono istituiti nuclei di valutazione, in rapporto al numero delle istituzioni scolastiche, composti da un ispettore tecnico, che lo presiede, da un esperto, anche non appartenente al Ministero della pubblica istruzione, e da un revisore dei conti di adeguata professionalità.
      4. Il Ministro della pubblica istruzione adotta preventivamente i criteri generali che informano la valutazione, in rapporto alla tipologia dei risultati da valutare.
      5. I risultati negativi rilevati, previa contestazione e contraddittorio, comportano per il dirigente scolastico interessato la revoca dell'incarico e la restituzione al ruolo di provenienza, ove richiesta.
      6. La valutazione del dirigente scolastico è effettuata annualmente.
      7. In caso di accertate gravi carenze nella gestione dell'istituzione scolastica, la valutazione dei risultati è effettuata anticipatamente rispetto alla comune scadenza prevista.

Art. 4.
(Sanzioni disciplinari).

      1. Nel caso di violazione dei propri doveri funzionali, al dirigente scolastico possono essere inflitte le seguenti sanzioni disciplinari:

          a) la censura;

 

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          b) la sospensione dall'ufficio fino a un mese;

          c) la sospensione dall'ufficio da oltre un mese a sei mesi;

          d) la destituzione.

      2. Il consiglio di disciplina per il personale dirigente della scuola è composto da un professore universitario di ruolo di materie giuridiche, da un dirigente dell'amministrazione di appartenenza e da un dirigente scolastico, nominati con provvedimento del dirigente generale responsabile dell'ufficio scolastico regionale. Con la medesima procedura sono nominati tre membri supplenti.

Art. 5.
(Articolazione del comparto scuola).

      1. Il comparto scuola è articolato, anche ai fini della contrattazione collettiva, nelle seguenti aree autonome:

          a) area della funzione docente;

          b) area della funzione dirigente;

          c) area della funzione ispettiva tecnica;

          d) area della funzione amministrativa, tecnica e ausiliaria.

      2. L'articolo 5 del decreto-legge 6 novembre 1989, n. 357, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 dicembre 1989, n. 417, è abrogato.


Frontespizio Relazione Progetto di Legge
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