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PDL 2381

XV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 2381



 

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PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE

d'iniziativa del deputato BIANCO

Modifiche agli articoli 75 e 138 della Costituzione, per l'elevazione del numero minimo di elettori necessario per la richiesta di referendum popolare

Presentata il 15 marzo 2007


      

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Onorevoli Colleghi! - La presente proposta fu da me presentata il 13 gennaio 1988 (atto Camera n. 2156), riprendendone una precedente che risaliva a metà degli anni '70.
      Sono trascorsi tre decenni circa e il problema dell'«inflazione referendaria» si è aggravato, con conseguente disaffezione dell'elettorato.
      Il «facilismo referendario» non aiuta certo la crescita democratica né risolve i problemi delicati degli assetti politici, elettorali ed istituzionali che vanno affrontati nella sede parlamentare.
      Non mi illudo che questa proposta in un tempo di crescente populismo culturale e politico possa essere presa in considerazione, ma viene ripresentata, indipendentemente dalle modificazioni dei dati, soprattutto per memoria storica e per ribadire la permanente validità di riconsiderare il problema referendario nell'attuale assetto costituzionale. La relazione introduttiva può certo dare luogo, dopo molti anni, a rilievi critici, ma viene da me riproposta con lo scopo di fissare un termine di paragone a distanza di trenta anni dalla prima presentazione della proposta di legge costituzionale.
      Essa tende a modificare il quorum necessario per la richiesta dei referendum popolari, aumentandone l'entità, in base a motivazioni di carattere costituzionale e politico, e con lo scopo fondamentale di mantenere inalterato l'equilibrio tra sistema parlamentare e strumenti di democrazia
 

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diretta nella misura voluta, nella sostanza, dalla nostra Carta fondamentale.
      È appena il caso di notare che la presente iniziativa non vuole essere una reazione alle recenti «campagne referendarie», di cui si parla nell'attuale polemica politica, anche se indubbiamente tali programmi referendari hanno riaperto il problema del significato stesso di questo istituto costituzionale, dell'attuazione pratica dei princìpi in esso contenuti e della opportunità di rivedere organicamente le norme della legge ordinaria di applicazione, norme che tra l'altro consentono la aberrante ipotesi della votazione popolare contemporanea su un numero illimitato ed eterogeneo di argomenti.
      Ancora è da premettere che la modifica del quorum dei richiedenti deve essere unificata nei due casi dell'abrogazione delle leggi ordinarie e dell'approvazione delle leggi costituzionali, così come vuole la Costituzione: è per questo che il presente progetto, anche se ha per obiettivo principale il «riequilibrio» del rapporto corpo elettorale-quorum in tema di referendum abrogativi, non può non estendere il suo dispositivo anche ai referendum previsti dall'articolo 138 della Costituzione.
      Si riproduce di seguito, pertanto, la relazione del citato atto Camera n. 2156.

      «Il problema è stato da tempo sollevato da varie parti politiche e da studiosi - tra l'altro - in un acuto articolo di Vincenzo Longi, sulla rivista "Parlamento" (marzo-aprile 1977) dal titolo: "Referendum: È ancora \`valido' il quorum di 500.000 richiedenti?". La penetrante ed articolata argomentazione dello studioso, condivisa dai proponenti, è in linea con le premesse della presente proposta di legge di revisione costituzionale.

I.  -  Il significato del quorum dei richiedenti il referendum secondo la volontà del costituente.

      Il primo problema da affrontare è quello di esaminare la vera volontà del costituente in tema di fissazione di un quorum determinato per le richieste dei referendum popolari: di vedere, cioè, se l'Assemblea costituente abbia inteso stabilire la cifra dei 500.000 elettori con riferimento al corpo elettorale dell'epoca in cui la disposizione fu approvata, ovvero se tale dato sia stato indicato come un punto fisso e immutabile da mantenere inalterato nel tempo.
      Lo studio degli atti parlamentari porta chiaramente a ritenere fondata la prima ipotesi.
      Alla II Sottocommissione della Commissione "dei 75" che affrontò il problema del referendum abrogativo delle leggi ordinarie, fu presentato un progetto che prevedeva il quorum dei richiedenti nella proporzione di un ventesimo del corpo elettorale: ciò avrebbe significato, nel 1947, circa 1 milione e 200 mila elettori. Questo limite fu difeso dall'onorevole Perassi (Atti A.C., vol. VII, II Sottocommissione, seduta del 17 gennaio 1947, pagina 1644), perché ritenuto "una base seria per il referendum". Anche l'onorevole Grieco (pagina 1648) si dichiarava favorevole a un quorum comunque "non basso", e a favore della proporzione del ventesimo si dichiarò anche l'onorevole Farini, mentre l'onorevole Cappi, ritenendo troppo elevata la cifra dei richiedenti che sarebbe risultata da tale proporzione, propose di portare quest'ultima a un quarantesimo del corpo elettorale (pagina 1656). Questa proposta (che oggi significherebbe quasi esattamente l'indicazione di 1 milione di elettori), praticamente prevalse, ma nella stesura dell'articolo, su proposta dell'onorevole Mortati, si preferì scrivere la cifra di 500.000, che trent'anni fa non si discostava molto dalla citata percentuale di 1/40, per un motivo di carattere formale, e cioè per analogia con le disposizioni sul referendum costituzionale che erano state approvate in precedenza e che appunto prevedevano la cifra espressa non in forma percentuale.
      La formulazione dei 500.000 elettori rimase inalterata nella discussione presso la Commissione plenaria dei 75 e in Assemblea, dove non mancarono comunque voci in favore dell'adozione di un quorum

 

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elevato per la richiesta stessa del referendum come notevole remora al tentativo di interferire senza precise garanzie nell'attività legislativa del Parlamento. Nella seduta della Commissione plenaria del 29 gennaio 1947 (Atti A.C., vol. VI, pagine 231 e 232) gli onorevoli Togliatti e Fabbri ammonirono i colleghi sul pericolo che la stessa cifra dei 500.000 avrebbe potuto rappresentare: bisogna tuttavia riconoscere, per l'obiettività, che in quel momento si trattava non soltanto del referendum abrogativo, ma anche di quello "sospensivo", sulle leggi ordinarie, istituto che non fu poi accolto nella nostra Costituzione.
      Da questo breve esame degli atti della Assemblea costituente si può sicuramente concludere che nella fissazione del quorum dei richiedenti i referendum popolari, fu nettamente presente il concetto della proporzione tra quorum stesso e corpo elettorale, e che comunque fu ribadita la necessità che il quorum dovesse rappresentare, per la sua entità, una garanzia seria contro una esagerata influenza degli strumenti di democrazia diretta rispetto alla attività legislativa del Parlamento.
      Il quorum dei richiedenti, quindi, anche se espresso in cifra non percentuale, deve corrispondere a tale fondamentale esigenza di equilibrio, per il rispetto dei caratteri del nostro sistema di democrazia parlamentare.

II.  -  Legittimità di adeguamenti costituzionali in base alla evoluzione del corpo sociale: la riforma del Parlamento del 1963.

      Che il Parlamento, nella sua qualità di legislatore anche costituzionale (con determinate garanzie e procedure), abbia la facoltà e anzi il dovere di procedere ad adeguamenti, modifiche e integrazioni della Costituzione quando il testo originario di essa contenga dati numerici non corrispondenti più al corpo sociale di un determinato momento storico, è dimostrato ampiamente dalla riforma del 1963, con la quale fu completamente modificato il criterio di composizione della Camera e del Senato.
      Secondo il testo originario degli articoli 56 e 57 della Costituzione, la Camera avrebbe dovuto avere un numero di membri nella proporzione di un deputato per 80.000 abitanti, e il Senato di un senatore elettivo per 200.000. Agli inizi degli anni '60 ci si convinse facilmente che, a causa dell'incremento naturale della popolazione la Camera avrebbe ben presto assunto proporzioni elefantiache, mentre il Senato avrebbe mantenuto ancora per molto tempo una composizione troppo esigua: ai nostri giorni, senza la riforma del '63, i deputati sarebbero oltre 700, mentre i senatori sarebbero circa 280. Il Parlamento, con una legge costituzionale votata all'unanimità e quasi senza discussione, decise quindi di abbandonare il principio della proporzionalità e di stabilire un numero fisso di deputati e di senatori elettivi indipendentemente dall'aumento della popolazione, fissando rispettivamente le cifre di 630 e di 315. In quella occasione fu anche parificata la durata delle due Camere, e reintrodotto nel nostro ordinamento il concetto di legislatura che il testo originario della Costituzione aveva ripudiato.
      Ora, è ben vero che in quella occasione si procedette a una operazione in un certo senso inversa a quella ora proposta per il numero dei richiedenti i referendum, e cioè si passò da un criterio proporzionale a uno "fisso": ma l'importante è sottolineare che il Parlamento si fece carico di una situazione materialmente insostenibile, modificando dati numerici in ordine all'esigenza primaria di salvaguardare il corretto andamento dei lavori parlamentari e la stessa funzionalità degli istituti rappresentativi.
      Cosi oggi, adeguando il numero minimo dei richiedenti i referendum alla effettiva consistenza del corpo elettorale (non si dimentichi che la Costituzione parla di un certo numero di "elettori" e non genericamente di "cittadini" che possono chiedere la votazione popolare), il Parlamento attuerebbe un'operazione analoga a quella del 1963, mantenendo quell'equilibrio tra

 

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istituzioni parlamentari e strumenti di democrazia diretta che è una delle massime garanzie del nostro ordinamento.

III.  -  L'aumento del corpo elettorale dal 1946 al 1979.

      Veniamo ora a esaminare in concreto le variazioni del corpo elettorale dal 1946 (elezioni per l'Assemblea costituente) al 1979 (anno in cui si tennero le elezioni politiche per la Camera: vale la pena di ricordare che possono richiedere i referendum anche i cittadini che votano per la sola Camera dei deputati).
      In questo trentennio, due sono gli elementi che hanno influito sul notevolissimo aumento del corpo elettorale:

          1) l'incremento naturale della popolazione, passata da 15 milioni a 56,8 milioni circa;

          2) l'abbassamento a 18 anni della maggiore età, che ha portato all'immissione nel corpo elettorale di altre classi di giovani.

      I dati ufficiali del fenomeno sono i seguenti.

          Elettori iscritti: dai 28.005.449 del 1946 si passa ai 42.223.813 del 1979, con un aumento del 66,32 per cento.

          Votanti: dai 24.947.187 del 1946 si passa ai 38.150.395 del 1979 (elezioni Camera) con un aumento del 65,39 per cento.

          Voti validi: dai 23.010.479 del 1946 si passa ai 36.629.743 del 1979 (elezioni Camera), con un aumento del 62,81 per cento.

      Va rilevato che nel raffronto il dato più significativo è il terzo, quello cioè dei voti validi, sia perché la documentazione è in questo settore assolutamente certa (contrariamente agli altri dati del 1946 che risentirono di molte imprecisioni nella formazione delle liste a causa degli eventi bellici), sia perché un paragone deve essere eseguito su dati omogenei. Ora è evidente che un elettore che non solo chiede con procedure corrette un referendum, ma che addirittura deve firmare tale richiesta e non può trincerarsi dietro la segretezza del voto, è un elettore "efficiente", un cittadino che sicuramente, alle elezioni politiche, andrà a votare e saprà votare validamente. Pertanto è lecito concludere che l'aumento vero dell'elettorato efficiente nell'ultimo trentennio è stato di circa il 60 per cento; e questa percentuale è destinata ad aumentare ancora, non solo per l'incremento naturale della popolazione, ma anche nell'ipotesi del voto degli italiani all'estero, per il quale già esistono progetti concreti.
      Orbene: è giusto che i 500.000 elettori del 1946, con quello che rappresentavano rispetto al corpo sociale ed elettorale, rimangano 500.000 nel 1981? Questo è il tema fondamentale al quale la nostra proposta di legge cerca di dare una risposta valida.
      D'altra parte, sarebbe ingiusto negare l'importanza di altre considerazioni che, al di là dei dati numerici, consigliano di elevare notevolmente il numero dei richiedenti i referendum: vi è oggi una maggiore facilità nella raccolta delle firme, specialmente quando essa sia effettuata da partiti organizzati e aventi rappresentanza parlamentare, con contributo finanziario da parte dello Stato e facoltà di accesso ai grandi mezzi di comunicazione e di propaganda.
      Infine, consideriamo la realtà storica del nostro Paese e osserviamo i dati effettivi che l'esperienza degli ultimi anni ci ha indicato. Quando un referendum - come quello sul divorzio - è stato il frutto di un vasto movimento popolare di opinione, esso ha ottenuto facilmente, anzi largamente superato, il milione di firme; mentre altri tentativi non hanno raggiunto la quota minima dei 500.000 richiedenti. Però di recente i referendum proposti dal "Movimento per la vita" hanno, su un tema di grande rilevanza, quale la regolamentazione degli aborti, superato in breve tempo i 2 milioni di firme. Ciò significa che una cifra corrispondente ad

 

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una percentuale pari al ventesimo degli elettori, è più che giusta per garantire l'effettuazione di un referendum che risponda ad una esigenza sentita da larghi strati di opinione pubblica, da vasti movimenti popolari; ma è anche una garanzia per evitare troppo facili intralci alla funzionalità delle istituzioni parlamentari e per un corretto equilibrio tra rappresentanza politica e corpo elettorale.
      Il problema del rapporto tra composizione del corpo sociale e norme costituzionali e legislative sull'esercizio dei diritti politici fondamentali non si esaurisce con la modifica del quorum dei richiedenti i referendum popolari. Altri problemi potranno venire in discussione su questo delicato tema in cui ai sacrosanti diritti delle minoranze deve sempre corrispondere certezza del diritto e solidità delle istituzioni rappresentative democratiche. Basti pensare che oggi l'Italia ha un elettorato di oltre 43 milioni, mentre i limiti numerici per le operazioni elettorali, per l'utilizzazione dei voti residui, per le iniziative legislative popolari e per tanti altri istituti giuridici sono ancora quelli di 20 o 30 anni fa.
      Indubbiamente, però, il problema del referendum è il più urgente ed importante, perché mette in gioco la stessa funzione del Parlamento e - al limite - lo stesso carattere essenziale del regime parlamentare.
      L'esigenza fondamentale, comunque, è quella di rispettare lo spirito della Costituzione: ma ciò implica, ove necessario, il coraggio di adeguare ad esso norme non più rispondenti alla realtà storica del Paese.
      È appena il caso di precisare che, in conseguenza della modifica proposta, per il quorum fissato dagli articoli 75 e 138 della Costituzione, dovrà conseguire la corrispondente modifica sulla cifra indicata nelle leggi ordinarie. Inoltre la legge di attuazione sul referendum dovrà esattamente precisare il momento a cui riferire il computo della percentuale degli elettori ai fini del quorum, tenendo conto delle vigenti disposizioni di legge in ordine alla formazione e all'aggiornamento delle liste elettorali».
 

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PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE

Art. 1.

      1. Il primo comma dell'articolo 75 della Costituzione è sostituito dal seguente:

      «È indetto referendum popolare per deliberare l'abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge, quando lo richiedono un ventesimo degli elettori iscritti nelle liste elettorali o cinque Consigli regionali».

      2. Il secondo comma dell'articolo 138 della Costituzione è sostituito dal seguente:

      «Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o un ventesimo degli elettori iscritti nelle liste elettorali o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi».


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