Frontespizio Relazione Progetto di Legge

Nascondi n. pagina

Stampa

PDL 2371

XV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 2371



 

Pag. 1

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

DELBONO, CARBONELLA, FARINONE, VIOLA

Disposizioni per la tutela delle vittime di vessazioni o maltrattamenti psicologici nell'ambito dell'attività lavorativa (mobbing)

Presentata il 14 marzo 2007


      

torna su
Onorevoli Colleghi! - Nonostante la disciplina in materia di tutela dei lavoratori sia particolarmente avanzata nel nostro Paese, l'esperienza quotidiana degli ultimi anni sta facendo emergere la rilevanza del mobbing, fenomeno caratterizzato da una serie di atti e di comportamenti vessatori nei luoghi di lavoro che, pur non essendo penalmente perseguibili, incidono in misura determinante sulle condizioni fisiche e psicologiche dei lavoratori.
      Si tratta di situazioni vessatorie, attentamente studiate dalla sociologia e dalla psicologia del lavoro, derivanti anche dai profondi mutamenti sopravvenuti nel mondo del lavoro (flessibilità, intensificazione dei ritmi, competizione esasperata, inserimento di sempre maggiori elementi di contrattazione individuale rispetto a quella collettiva eccetera) e che rappresentano attualmente uno dei problemi più gravi nella vita professionale delle persone.
      La letteratura anglosassone ha dedicato particolare attenzione al tema definendo con l'espressione «mobbing» tutti quegli atti e comportamenti assunti prevalentemente dai datori di lavoro, ma in qualche caso anche dai soggetti sovraordinati o addirittura da colleghi pari grado che, traducendosi in atteggiamenti vessatori posti in essere con evidente determinazione, arrecano danni rilevanti alla condizione psico-fisica dei lavoratori che li subiscono. I danni, che incidono sulla salute e sull'autostima del lavoratore, possono scatenare anche condizioni di grave depressione; in Svezia si stima che addirittura il 15 per cento dei suicidi è attribuibile al mobbing.
      La «sindrome da mobbing» è un male sociale sempre esistito, anche se non ha
 

Pag. 2

nulla a che fare con il fenomeno già noto del cosiddetto «fantozzismo», in quanto spesso colpisce lavoratori preparati e capaci, ma che nonostante ciò divengono vittime di discriminazioni e di terrorismo psicologico sul luogo di lavoro.
      Tuttavia, è solo da poco tempo che il mobbing si è posto all'attenzione di sociologi, psicologi del lavoro, psichiatri e magistratura, evidenziando l'esigenza di proteggere la persona sul luogo di lavoro sotto il profilo sociale, etico e morale.
      È importante avere presenti le legislazioni che alcuni Paesi europei hanno adottato per contrastare il fenomeno.
      La Svezia è stato il primo Paese europeo a dotarsi di una legge nazionale sul mobbing, entrata in vigore il 31 marzo 1994, recante misure contro ogni forma di «persecuzione psicologica» negli ambienti di lavoro, integrata successivamente, nel 1997, con nuovi atti dispositivi relativi alle misure da adottare contro le forme di persecuzione psicologica in ambito lavorativo.
      La Norvegia ha introdotto, fin dal 1977, una specifica previsione di tutela contro il mobbing all'interno della legge sulla tutela dell'ambiente di lavoro.
      La Francia si è dotata di una delle leggi più organiche in materia di mobbing, dal 2002 (lutte contre le harcèlement moral au travail), disponendo esplicitamente che: «Nessun lavoratore deve subire atti ripetuti di molestia morale che hanno per oggetto o per effetto un degrado delle condizioni di lavoro suscettibili di ledere i diritti e la dignità del lavoratore, di alterare la sua salute fisica o mentale o di compromettere il suo avvenire professionale.
      Nessun lavoratore può essere sanzionato, licenziato o essere oggetto di misure discriminatorie, dirette o indirette, in particolare modo in materia di remunerazione, di formazione, di riclassificazione, di qualificazione o classificazione, di promozione professionale, di mutamento o rinnovazione del contratto, per aver subito, o rifiutato di subire, i comportamenti definiti nel comma precedente o per aver testimoniato su tali comportamenti o averli riferiti».
      Con questa legge del 17 gennaio 2002, la Francia è, dopo la Svezia, il secondo Paese comunitario ad essersi dotato di uno strumento legislativo per la lotta contro il mobbing.
      Le due peculiarità della legge francese riguardano: l'introduzione dell'istituto dell'inversione dell'onere della prova - per cui è il soggetto accusato di aver posto in essere azioni dirette o indirette di violenza morale in ambito lavorativo a dover dimostrare l'estraneità da qualsiasi forma di responsabilità - e l'introduzione di un'apposita figura di reato, con l'inserimento nel codice penale francese di una nuova sezione intitolata all'harcèlement moral, contenente una norma che sanziona espressamente «il fatto di molestare gli altri attraverso comportamenti ripetuti aventi per oggetto o per effetto una degradazione delle condizioni di lavoro suscettibili di ledere i suoi diritti e la sua dignità, di alterare la sua salute fisica o mentale o di compromettere il suo avvenire professionale», con la pena della reclusione fino a un anno o della multa di 15.000 euro.
      Anche il Belgio ha regolamentato il fenomeno con legge (Loi relative à la protection contre le violence et le harcèlement moral au sexuel au travail, dell'11 giugno 2002), che prevede l'obbligo per il datore di lavoro di designare, in accordo con i rappresentanti dei lavoratori, un consigliere per la prevenzione con specifiche competenze psico-sociali in particolare riferite all'ambiente lavorativo. Già da alcuni anni poi, grazie all'azione svolta dal sindacato, si è costituita presso i servizi pubblici per la prevenzione e protezione sul lavoro una commissione «d'avviso» composta da rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro, con lo scopo di offrire ai lavoratori vittime del mobbing un'assistenza al di fuori della realtà lavorativa.
      In Spagna è assente una disciplina specifica sul mobbing (tradotto con il termine acoso moral), ma il dibattito sull'opportunità di un intervento legislativo è fervido, come si desume dalla presenza al Congreso de los Deputatos, e nei vari
 

Pag. 3

parlamenti regionali, di diverse proposte di legge di regolamentazione normativa della fattispecie, nonché di modifica della legge in materia di salute e sicurezza, in maniera tale da includere la prevenzione dell'acoso moral tra le obbligazioni del datore di lavoro.

      In Germania, pur non essendoci una legge specifica, vi sono segnali importanti come l'accordo firmato tra il sindacato e la Volkswagen, fin dal 1996, con l'obiettivo di prevenire molestie sessuali, mobbing e ogni forma di discriminazione e di creare un clima di lavoro positivo basato sulla reciproca collaborazione, e l'accordo del 1988 per contrastare il mobbing nell'area del pubblico impiego.
      Anche nel diritto austriaco si rinviene una esplicita menzione del mobbing, all'interno del piano d'azione per la parità uomo-donna approvato il 16 maggio 1998, dove si ravvisa che «tra i comportamenti che ledono la dignità delle donne e degli uomini nel luogo di lavoro vanno annoverati in particolare le espressioni denigratorie, il mobbing e la molestia sessuale. Le collaboratrici devono essere edotte sulle possibilità giuridiche di tutela dalle molestie sessuali».
      Inoltre, vanno ricordate le numerose prese di posizione a livello internazionale per contrastare il fenomeno, in particolare da parte delle organizzazioni specializzate dell'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), come l'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) e l'Organizzazione internazionale del lavoro (ILO) che hanno promosso azioni contro la violenza sul luogo di lavoro. Nel corso della «Conferenza internazionale sul trauma sul luogo di lavoro» tenutasi l'8 e il 9 novembre 2000 a Johannesburg, intitolata «La violenza sul lavoro: la minaccia globale», è stato riconosciuto il grande impatto sul lavoro della violenza psicologica, cui ricondurre diversi atti e comportamenti, tra cui il mobbing e il bullyng.
      Nel settembre 2001, il Parlamento europeo, attraverso una specifica risoluzione sul mobbing sul posto di lavoro (2001/2339(INI)), ha evidenziato la necessità per gli Stati membri di approfondire lo studio del fenomeno, al fine di pervenire ad una comune definizione della fattispecie del mobbing esortando gli Stati membri, le parti sociali e le istituzioni comunitarie a delineare un programma d'azione per contrastarlo. Dell'impegno comunitario si trova traccia già nella decisione n. 2003/578/CE del Consiglio, del 22 luglio 2003, alla quale sono seguite altre decisioni in materia, fino alla decisione n. 2005/600/CE del Consiglio, del 12 luglio 2005 (le cui disposizioni sono state confermate anche dalle successive decisioni) sugli orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell'occupazione, nella quale si sollecitano gli Stati membri a promuovere e ad adottare misure atte a combattere le discriminazioni sul posto di lavoro, nell'ottica di una complessiva attività di promozione di coesione sociale.
      L'Italia, a differenza di altri Paesi europei che da tempo conoscono il fenomeno e che hanno approntato tutele specifiche per farvi fronte, non si è ancora dotata di una legislazione specifica in materia, nonostante risulti da recenti ricerche che il fenomeno delle violenze psicologiche nei luoghi di lavoro sia esteso in tutti i settori produttivi e interessi circa 1,5 milioni di lavoratori italiani, cifra che, tenendo conto dei familiari delle vittime, porta a circa 3 milioni di persone coinvolte dal mobbing.
      Hanno contribuito all'emersione del fenomeno alcuni interventi del sindacato, mentre alcune decisioni giurisprudenziali (a partire dalla sentenza della Corte di cassazione n. 8438 del 4 maggio 2004 e dalla sentenza della Corte costituzionale n. 359 del 19 dicembre 2003) hanno aiutato a definire più rigorosamente il fenomeno e conseguentemente a rinvenire in concreto l'atteggiarsi di nuove forme di vessazione nei luoghi di lavoro, diverse dal passato.
      Anche dalla considerazione di ciò muove la presente proposta di legge, che mira a colmare alcune lacune del nostro ordinamento (evitando sovrapposizioni con le norme vigenti e che già vengono utilizzate per fronteggiare il fenomeno), accogliendo alcune previsioni normative proprie della legislazione francese - l'inversione del
 

Pag. 4

l'onere della prova in tema di mobbing - e alcuni degli orientamenti comunitari in materia, in modo da rafforzare la portata dell'intervento legislativo.
      Scopo della proposta di legge, che si compone di sette articoli, è quello di integrare la normativa vigente in tema di tutela dei lavoratori, con riguardo alla tutela della personalità morale e al patrimonio professionale del lavoratore, oltre che alla sua integrità psico-fisica strettamente intesa, mediante la previsione di ulteriori e più efficaci strumenti per combattere il fenomeno del mobbing, attraverso:

          l'introduzione nel nostro ordinamento di chiari indicatori del fenomeno e della definizione di mobbing (articoli 1 e 2);

          la previsione di una accentuata attività di prevenzione, fondamentale per intervenire sulle cause che originano il fenomeno di mobbing, anche mediante una più rigorosa regolamentazione degli obblighi e dei doveri a carico dei datori di lavoro, in ordine alle iniziative dirette a prevenire il verificarsi di tali atti e comportamenti, e la previsione di misure volte a fornire ai lavoratori tutte le informazioni relative all'organizzazione del lavoro, spesso causa di conflitti palesi o nascosti o latenti (articolo 3);

          il rafforzamento delle tutele in favore delle vittime, mediante l'importante previsione dell'inversione dell'onere della prova ai fini dell'azione giudiziaria, oggi a carico delle vittime e che rappresenta una delle difficoltà maggiori in cui si imbattono i lavoratori oggetto delle azioni mobbizzanti (articolo 4);

          la previsione di specifiche sanzioni e della nullità degli atti di ritorsione che possono condizionare l'iniziativa di tutela del lavoratore vittima della violenza psicologica, fino al ripristino delle situazioni professionali colpite da azioni di mobbing (articolo 5);

          l'individuazione di precise responsabilità disciplinari e di adeguate azioni di tutela giudiziale (tra cui anche il ricorso al giudice affinché emani provvedimenti d'urgenza, ai sensi dell'articolo 700 del codice di procedura civile, per fare cessare atti di persecuzione psicologica, nelle more della decisione di merito), compresa la previsione del ricorso al tentativo di conciliazione (articolo 6);

          la possibilità per le associazioni portatrici di interessi diffusi, rispondenti a criteri definiti, di poter agire in giudizio per chiedere controlli sui luoghi di lavoro e denunciare situazioni di bossing (articolo 6);

          la definizione di criteri per il risarcimento del danno che consegue dalla condotta vessatoria, sia mediante l'indicazione degli elementi di cui il giudice deve tenere conto ai fini della liquidazione del danno, sia mediante l'indicazione di un minimo e di un massimo (da 10.000 euro a 90.000 euro), atta a garantire un'equa forma di ristoro (articolo 7);

          la previsione di misure di riparazione specifica, a carico del soccombente, in sostegno delle vittime del mobbing (articolo 7).

      Nel proporre nuove norme a tutela delle vittime del mobbing, vi è alla base la convinzione che un efficace intervento legislativo contribuisca a far crescere la consapevolezza dell'esistenza del fenomeno e che, intervenendo sulle sue cause, si possa ridurre la naturale propensione del lavoratore «mobbizzato» ad autocolpevolizzarsi (inducendosi la cosiddetta «mentalità da capro espiatorio») e che tali norme possano operare da volano di prevenzione, con efficacia dissuasiva per la categoria, peraltro affollatissima, dei cosiddetti «mobber potenziali».

 

Pag. 5


torna su
PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Finalità).

      1. La presente legge è diretta a scoraggiare il fenomeno delle vessazioni o maltrattamenti psicologici nell'ambito dell'attività lavorativa, denominato «mobbing» e definito ai sensi dell'articolo 2, e a tutelare i lavoratori da atti e da comportamenti ostili e vessatori che assumono le caratteristiche della violenza e della persecuzione psicologica nell'ambito dei rapporti di lavoro, nonché da comportamenti e atti capaci di produrre un degrado delle condizioni di lavoro, di ledere i diritti e la dignità del lavoratore, di alterare la sua salute fisica e mentale e di compromettere il suo futuro professionale.

Art. 2.
(Definizioni).

      1. Ai fini della presente legge, per «mobbing» si intende una situazione lavorativa caratterizzata da condotte vessatorie sistematiche, durature e intense, da parte del datore di lavoro, denominata «mobbing verticale», o di colleghi, denominata «mobbing orizzontale», nei confronti di una o più persone che vengono fatte oggetto di maltrattamenti morali o di pressione psicologica, con la conseguenza di una esplicita o implicita minaccia sotto i profili della professionalità, dell'immagine sociale, della sicurezza e della salute.
      2. Per «professionalità» si intende l'intera esperienza e il patrimonio professionale acquisiti dal lavoratore, ivi comprese le aspettative di promozione e di carriera attraverso l'attitudine all'esercizio delle mansioni svolte e le diverse capacità di inserimento nel mondo del lavoro.
      3. Per «salute e sicurezza» si intende uno stato complessivo di benessere fisico,

 

Pag. 6

mentale, sociale e relazionale della persona, considerati elementi che concorrono a determinare l'integrità fisica e la personalità morale del lavoratore.
      4. Per «bossing» si intende una situazione vessatoria rientrante nel mobbing denominato «strategico», attuato, in situazioni di non praticabilità di licenziamento, mediante piani persecutori, con finalità di riorganizzazione aziendale, di riduzione del personale o di esclusione di lavoratori considerati scomodi o in esubero.

Art. 3.
(Prevenzione e informazione).

      1. I datori di lavoro, pubblici e privati, sono tenuti a pianificare e ad organizzare il lavoro in modo da prevenire ogni forma di persecuzione morale e psicologica nei luoghi di lavoro e sono obbligati ad adottare le seguenti iniziative:

          a) informare i lavoratori, con mezzi adeguati e inequivocabili, che le forme di persecuzione non possono essere assolutamente tollerate nel corso dell'attività lavorativa nonché adottare e pubblicizzare nei modi e nelle forme più opportuni un codice comportamentale interno per la gestione delle relazioni sociali sul luogo di lavoro;

          b) in collaborazione con il responsabile del servizio di prevenzione e protezione e con il medico competente, previa consultazione del rappresentante per la sicurezza, prevedere procedure idonee a individuare i sintomi derivanti da condizioni di lavoro persecutorie o vessatorie, l'esistenza di problemi inerenti all'organizzazione del lavoro o le eventuali carenze per quanto riguarda la cooperazione fra i dipendenti durante l'attività lavorativa;

          c) in collaborazione con le rispettive rappresentanze sindacali, provvedere a rendere note tutte le informazioni rilevanti per l'organizzazione del lavoro, con riferimento alle modalità di utilizzo dei lavoratori, alle assegnazioni di incarichi, ai trasferimenti, alle variazioni nelle qualifiche e nelle mansioni affidate;

 

Pag. 7

          d) qualora, nonostante l'attività preventiva, si verifichino fenomeni di mobbing, adottare immediatamente efficaci contromisure volte anche a individuare le eventuali carenze organizzative causa dell'insorgere del fenomeno; per i fini di cui alla presente lettera è concesso al datore di lavoro, nell'ambito delle sue funzioni di sorveglianza, il diritto di:

              1) interrogare i dipendenti, anche attraverso questionari anonimi, sui comportamenti adottati sui luoghi di lavoro e in generale su ogni elemento che potrebbe avere attinenza con eventuali fenomeni di mobbing nell'ambiente di lavoro;

              2) effettuare inchieste all'interno del luogo di lavoro al fine di accertare la fondatezza delle accuse esposte dal lavoratore e di fare prendere coscienza ai vertici aziendali delle responsabilità che essi hanno in tali situazioni;

          e) provvedere a fornire forme di aiuto specifico e immediato per le vittime del mobbing, anche avvalendosi di enti, organizzazioni o comunque soggetti esterni al luogo di lavoro, esperti del settore, ritenuti capaci di mediare o risolvere il conflitto;

          f) nei casi di protratti periodi di mobilità o di maternità, favorire il rapido reinserimento del lavoratore nel luogo di lavoro;

          g) nell'ambito delle funzioni di vigilanza sul corretto svolgimento delle relazioni sociali nei luoghi di lavoro, esercitare il diritto di adottare le misure, anche di tipo disciplinare, volte a prevenire comportamenti vessatori ai danni dei lavoratori.

      2. È fatto obbligo ai lavoratori di collaborare con i colleghi, i superiori e il datore di lavoro nella risoluzione di circostanze di conflittualità concernenti il lavoro e i rapporti sociali interni al luogo di lavoro.
      3. Nell'ambito delle iniziative di formazione previste dalla normativa vigente in materia rientrano anche corsi specifici di

 

Pag. 8

gestione delle relazioni interpersonali, della conflittualità o del mobbing affidati a soggetti, anche esterni, accreditati come esperti del settore.

Art. 4.
(Accertamento della situazione di mobbing).

      1. Nei casi in cui il lavoratore agisce giudizialmente per la tutela dei suoi diritti relativi ad una situazione di mobbing, l'onere della prova è a carico del soggetto chiamato in causa.
      2. È posto a carico di colui che è accusato di perpetrare una condotta di mobbing l'onere di dimostrare l'inesistenza della predetta condotta di mobbing o delle vessazioni lamentate, la legittimità dei comportamenti adottati e, nel caso del datore di lavoro, l'adeguatezza delle misure di prevenzione o di repressione impiegate, quando il lavoratore ha presentato indizi sufficienti per lasciare presumere l'esistenza di una forma di mobbing ai suoi danni, ai sensi del comma 3.
      3. Si presume il mobbing fino a prova contraria in presenza di provati e ripetuti comportamenti che hanno per oggetto o per effetto quelli di:

          a) ridurre o danneggiare i contatti umani attraverso critiche e rimproveri ingiustificati, gesti e insinuazioni con significato negativo, minacce, limitazioni delle possibilità espressive e della libertà di pensiero;

          b) produrre sistematicamente isolamento ed emarginazione, anche attraverso la deliberata negazione di informazioni relative al lavoro o la manipolazione delle stesse;

          c) variare in senso negativo le mansioni o le responsabilità del lavoratore senza ragionevoli motivi, anche sottoponendolo a sforzo fisico o psichico ovvero negandogli permessi od opportunità formative;

          d) attaccare la reputazione, l'immagine e la dignità della persona tramite

 

Pag. 9

calunnie, offese, abusi, espressioni maliziose, insultanti o intimidatorie, ovvero anche attraverso l'applicazione ripetuta di sanzioni disciplinari e l'utilizzo di strumenti di controllo;

          e) condurre ad atti o minacce di violenza anche tramite sabotaggi o impedimenti deliberati nell'esecuzione del lavoro.

      4. Il comportamento qualificato come mobbing ai sensi della presente legge è valutato tenendo conto dei parametri fondamentali della durata, della frequenza e del tipo delle azioni aventi carattere di mobbing, della progressione della vicenda, del dislivello tra i soggetti coinvolti nonché delle finalità lesive dell'autore.
      5. È riconosciuto, fino a prova contraria, al datore di lavoro il diritto di rivalsa nei confronti di colui che è riconosciuto come diretto responsabile dei danni causati per effetto del mobbing, salvo quando:

          a) la mancata cooperazione fra i dipendenti deve essere imputata a una inadeguata organizzazione del lavoro o a una carenza di informazione interna e di direzione;

          b) in presenza di contestazioni provenienti dal lavoratore, sintomatiche di condizioni di lavoro rientranti nel mobbing, il datore di lavoro non si è adoperato per applicare efficaci contromisure;

          c) sussistono problemi organizzativi preesistenti e insoluti.

Art. 5.
(Sanzioni).

      1. Il datore di lavoro può stabilire per giusta causa l'allontanamento, la sospensione o anche il licenziamento del lavoratore che ha compromesso il sereno svolgimento dell'attività lavorativa ripetutamente e volontariamente.
      2. È nullo ogni atto di modificazione contrattuale in peius delle condizioni lavorative del dipendente relative alle mansioni, alla remunerazione, all'assegnazione,

 

Pag. 10

alla destinazione e ai trasferimenti, ogni atto di rottura del rapporto di lavoro, ovvero dimissioni o licenziamenti, nonché ogni sanzione disciplinare in qualunque modo ricollegabile causalmente a pratiche di mobbing.

Art. 6.
(Azioni di tutela giudiziaria).

      1. Il lavoratore che ha subìto violenza o persecuzione psicologica nel luogo di lavoro e che non ritiene di avvalersi delle procedure di conciliazione previste dai contratti collettivi, ma che intende adire in giudizio, può promuovere il tentativo di conciliazione ai sensi dell'articolo 410 del codice di procedura civile, anche attraverso le rappresentanze sindacali aziendali.
      2. È competente per le cause in materia di mobbing il giudice del lavoro ai sensi degli articoli 409 e seguenti del codice di procedura civile.
      3. Nei casi di maggiore gravità il soggetto leso può adire il giudice in via d'urgenza ai sensi dell'articolo 700 del codice di procedura civile affinché questi, con decreto motivato e immediatamente esecutivo, ordini al datore di lavoro la cessazione degli atti, atteggiamenti o comportamenti pregiudizievoli, adottando ogni altro provvedimento idoneo a rimuoverne gli effetti e stabilendo le modalità di esecuzione della decisione.
      4. L'efficacia esecutiva del decreto di cui al comma 3 non può essere revocata fino alla sentenza con cui il giudice competente definisce il giudizio instaurato ai sensi del comma 2.
      5. Qualora venga presentato ricorso in via d'urgenza ai sensi del presente articolo, non trovano applicazione l'articolo 410 del codice di procedura civile e l'articolo 65 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.
      6. Accanto all'azione giudiziaria del singolo lavoratore, che tende a ottenere la pronuncia di inefficacia dei provvedimenti adottati e il risarcimento dei danni subiti, è prevista la facoltà per i portatori di

 

Pag. 11

interessi diffusi, costituiti in associazioni, di denunciare situazioni di bossing all'autorità giudiziaria competente attraverso un'azione inibitoria collettiva, di chiedere controlli all'interno dei luoghi di lavoro, di presentare segnalazioni agli enti competenti, nonché di ricorrere al giudice per l'inibizione di comportamenti di bossing o di mobbing come politica aziendale.
      7. Le associazioni di cui al comma 6, per poter agire in giudizio e richiedere controlli all'interno dei luoghi di lavoro, devono avere i seguenti requisiti:

          a) avvenuta costituzione, per atto pubblico o per scrittura privata autenticata, da almeno cinque anni e possesso di uno statuto che sancisce un ordinamento a base democratica e che prevede come scopo esclusivo dell'associazione la tutela contro il mobbing, senza fine di lucro;

          b) tenuta di un elenco degli iscritti, aggiornato annualmente con l'indicazione delle quote versate direttamente all'associazione per gli scopi statutari;

          c) numero di iscritti complessivo non inferiore a cinquecento, distribuiti in ambito nazionale, da certificare con dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà resa dal legale rappresentante dell'associazione con le modalità previste all'articolo 47 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445;

          d) svolgimento di un'attività continuativa nei cinque anni precedenti;

          e) previsione nel proprio organico di almeno un esperto di mobbing e garanzia di consulenza legale, psicologica, medica e medico-legale da parte di professionisti accreditati come esperti del settore;

          f) i propri rappresentanti legali non devono avere subìto condanna, passata in giudicato, in relazione all'attività dell'associazione medesima, nonché essere titolari di alcun rapporto di lavoro subordinato con soggetti pubblici o privati, né devono svolgere ruoli sindacali o politici.

 

Pag. 12

      8. È istituito presso il Ministero del lavoro e della previdenza sociale un elenco pubblico e nazionale delle associazioni di cui ai commi 6 e 7.

Art. 7.
(Liquidazione e riparazione del danno da mobbing).

      1. Il danno da mobbing deve essere valutato con riguardo all'insieme dei suoi riflessi pregiudizievoli rispetto a tutte le attività, le situazioni e i rapporti in cui la persona esplica se stessa nella propria vita, anche con riferimento alla sfera spirituale, culturale, affettiva, sociale e sessuale e ad ogni altro ambito e modo in cui il soggetto svolge la sua personalità.
      2. Il giudice liquida il danno in via equitativa, tenuto conto anche della riduzione della capacità lavorativa subita.
      3. La presente legge adotta come criterio comune di computo la somma minima di risarcimento pari a 10.000 euro e quella massima pari a 90.000 euro.
      4. La liquidazione del danno, entro il limite minimo e massimo di cui al comma 3, deve essere calcolata in relazione ai parametri stabiliti ai sensi della presente legge, anche avvalendosi della consulenza di esperti del settore.
      5. Come forma di riparazione specifica, il giudice dispone, in aggiunta alla liquidazione del danno e su istanza della parte interessata, uno o più cicli di cure mediche e di interventi di sostegno di tipo psicologico, di durata non superiore a un anno a decorrere dalla data di emanazione della sentenza, in favore del lavoratore che ha subìto violenza o persecuzione psicologica nel luogo di lavoro, a spese del soccombente, in seguito ad azione giudiziaria, di cui all'articolo 6.


Frontespizio Relazione Progetto di Legge
torna su