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PDL 2479

XV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 2479



 

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PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE

d'iniziativa dei deputati

ZACCARIA, VIOLANTE, BOATO

Modifiche agli articoli 92 e 94 della Costituzione in materia di forma di governo

Presentata il 29 marzo 2007


      

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Onorevoli Colleghi! - A partire dagli anni ottanta, attraverso la riforma dei regolamenti parlamentari e le riforme elettorali del 1993, si è assistito a una significativa trasformazione della forma di governo in Italia. Da una forma di governo parlamentare caratterizzata da un «equilibrio paritario» tra Governo e Parlamento si è gradualmente approdati a una forma di governo parlamentare «a prevalenza del Governo sul Parlamento».
      Il rafforzamento dei poteri del Governo in Parlamento, l'introduzione di un sistema elettorale prevalentemente uninominale e il passaggio a un assetto bipolare del sistema politico hanno impresso una nuova fisionomia alla forma di governo italiana. Tutto ciò è avvenuto (per i profili che qui interessano) a Costituzione invariata e senza che ciò implicasse, comunque, l'abbandono della forma di governo parlamentare.
      Alla luce dell'esperienza delle quattro legislature nelle quali il sistema bipolare si è consolidato emerge chiaramente come, sebbene rilevanti risultati siano stati conseguiti nel senso di conferire maggiore stabilità ed efficacia all'azione dei Governi, ancora non possa dirsi raggiunta la realizzazione di una forma di governo che assicuri una compiuta efficacia all'azione dell'Esecutivo.
      Per poter comprendere il funzionamento di una forma di governo è necessario compiere un'analisi attraverso un triplice livello: quello delle disposizioni
 

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costituzionali, quello del sistema elettorale e quello del sistema partitico.
      È evidente che la frammentazione di quest'ultimo e le perduranti inefficienze del sistema elettorale sono le principali cause della persistente debolezza dei Governi italiani. La semplificazione del quadro partitico è ormai all'ordine del giorno nel dibattito interno ai partiti e la riforma della legge elettorale è divenuta, specie dopo la recente crisi del Governo Prodi (poi superata attraverso un rinnovato voto di fiducia), una priorità dell'agenda politico-parlamentare anche su impulso del Presidente della Repubblica.
      Per quanto attiene al versante costituzionale, nel dibattito in sede politica ed accademica si registra oggi un'ampia convergenza sull'introduzione di alcuni correttivi finalizzati a conferire maggiore efficienza alla forma di governo. Per quanto riguarda la revisione delle disposizioni costituzionali relative al Parlamento è unanimemente condivisa la necessità di giungere a un superamento del bicameralismo perfetto, differenziando le funzioni e la struttura di Camera e Senato; per quanto attiene invece alla disciplina del Governo, si affacciano proposte volte ad assicurare ad esso maggiore stabilità ed efficienza, ad esempio attraverso l'introduzione della «sfiducia costruttiva», secondo il modello tedesco.
      Non occorre, dunque, una «grande riforma», come ha evidenziato recentemente Enzo Cheli: sono sufficienti interventi sul piano della legislazione elettorale, anche di contorno, sul piano dei regolamenti parlamentari, sulla legislazione ordinamentale degli organi costituzionali e, infine, in modo circoscritto, sul piano costituzionale.
      Con la presente proposta di legge costituzionale si intende apportare, sul versante costituzionale, un decisivo contributo all'esigenza di rafforzare il ruolo dell'Esecutivo nel sistema parlamentare italiano. Non solo introducendo il potere del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio, di revocare i ministri. Ma iniziando parallelamente a scalfire il bicameralismo perfetto (che così marcatamente caratterizza il sistema parlamentare italiano) proprio sul versante che maggiormente condiziona l'azione del Governo: il rapporto fiduciario. Dall'approvazione della presente proposta di legge discenderebbe infatti, tra l'altro, l'attribuzione alla sola Camera dei deputati della funzione di accordare la fiducia al Presidente del Consiglio dei ministri.
      Sono due gli irrinunciabili presupposti politico-istituzionali sui quali si fonda la presente proposta di legge.
      Il primo è che qualsiasi ipotesi di revisione costituzionale che, come la presente, incida sulla forma di governo non abbandoni il solco della forma di governo parlamentare.
      E il secondo, logicamente conseguente al primo, è che ogni ipotesi di rafforzamento dell'Esecutivo all'interno della forma di governo parlamentare passi attraverso un'implementazione dei poteri del Governo o, come in questo caso, del Presidente del Consiglio e non attraverso il depotenziamento delle funzioni (specie quella di controllo) del Parlamento.
      Non sono affatto riflessioni ovvie. I principali tentativi di revisione della forma di governo sperimentati negli ultimi anni abbandonavano l'impianto parlamentare della forma di governo a favore di un «semipresidenzialismo all'italiana» (è il caso del testo elaborato dalla Commissione bicamerale per le riforme della XIII legislatura) o di un premierato definito da Leopoldo Elia come «assoluto» (è il caso della riforma costituzionale approvata nella scorsa legislatura).
      La necessità di non abbandonare l'alveo della forma di governo parlamentare non discende solo dal fatto che con il referendum costituzionale del 25 e 26 giugno 2006, con una percentuale del 61 per cento dei voti, il corpo elettorale si è espresso contrariamente a una revisione della Costituzione che, appunto, segnava il superamento di un simile modello; ma, ancor più significativamente, deriva dal rischio che può discendere dall'abbandono della forma di governo parlamentare, con le inevitabili ripercussioni sui «princìpi
 

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supremi» o, comunque, sulla prima parte della nostra Costituzione.
      È in questo contesto che si inserisce la presente proposta di riservare alla sola Camera dei deputati la funzione di accordare la fiducia al Presidente del Consiglio dei ministri (articolo 94 della Costituzione).
      Il sistema bicamerale italiano è stato da alcuni definito come il più simile ad un sistema monocamerale, dato il pressoché identico assetto strutturale e (soprattutto) funzionale di Camera e Senato. Se la scelta del bicameralismo fu comunque dettata ai Costituenti dall'esigenza di assicurare che lo svolgimento del procedimento legislativo avvenisse nel modo più ponderato e inclusivo possibile, oggi l'identità di funzioni delle due Camere appare più come un ostacolo alla piena efficienza del sistema. A ciò si aggiunga che una differenziazione delle funzioni e della struttura del Senato, attraverso una sua caratterizzazione in senso «regionale», consentirebbe oggi di rispondere a quelle esigenze di raccordo Stato-Regioni a livello legislativo emerse con la riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione (legge costituzionale n. 3 del 2001). La trasformazione del Senato in una «Camera del sistema delle autonomie» è un'innovazione che ci si augura completi il disegno riformatore che si intende mettere in moto con la presente proposta.
      Intervenendo sul rapporto di fiducia, si intende infatti compiere solo il primo passo nella direzione del superamento del bicameralismo perfetto, quello più urgente. Come Augusto Barbera ha ricordato nel corso dell'indagine conoscitiva svoltasi nella scorsa legislatura presso la I Commissione Affari costituzionali del Senato, quello italiano è rimasto, dopo la riforma della Costituzione rumena, l'unico sistema parlamentare al mondo che affida il rapporto fiduciario ad entrambe le Camere. Nel caso in cui l'esito delle elezioni produca una divaricazione nella composizione politica delle due Camere o comunque non assicuri in una di esse una maggioranza numericamente solida, come è accaduto al Senato con le elezioni del 1994 e del 2006, la necessità che il Governo abbia la fiducia di entrambe le Camere rappresenta un pesante elemento di disfunzionalità del sistema parlamentare.
      Accanto a ciò, si propone che sia «il Presidente del Consiglio dei ministri», dopo aver presentato il «suo programma», ad «avere la fiducia della Camera dei deputati». Un elemento che introdurrebbe un rafforzamento della posizione del Presidente del Consiglio e recepirebbe a livello costituzionale quelle trasformazioni della «costituzione vivente» manifestatesi negli ultimi anni e che vedono il Presidente del Consiglio svolgere un attivo ruolo di indirizzo e direzione nell'attuazione del programma di governo.
      Nella stessa direzione va la proposta di attribuire al Presidente della Repubblica il potere, su proposta del Presidente del Consiglio, di revocare i ministri (articolo 92 della Costituzione).
      Sebbene nel dibattito politico e accademico si sia in passato sostenuto, come fece ad esempio autorevolmente Alberto Predieri, la natura del potere di revoca da parte del Presidente della Repubblica come «correlativa» al potere di nomina dei ministri, la lettera della Costituzione e la prassi repubblicana non consentono oggi di riconoscere tale potere al Capo dello Stato.
      La Corte costituzionale ha sì riconosciuto, nella sentenza n. 7 del 1996, sul caso Mancuso, che spetta al Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio, «sostituire il ministro», ma nel caso in cui nei confronti di quest'ultimo «una Camera abbia approvato una mozione di sfiducia» e questi «non si sia dimesso».
      L'attribuzione al Presidente della Repubblica del potere di revoca dei ministri, su proposta del Presidente del Consiglio, introdurrebbe un elemento di rafforzamento, all'interno dell'organo Governo, del Presidente del Consiglio stesso, che secondo l'articolo 95 della Costituzione «dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile» e «mantiene la unità di indirizzo politico ed amministrativo, promovendo
 

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e coordinando l'attività dei ministri». Come è noto, il modello costituzionale dell'organo Governo introdotto dai Costituenti (una sorta di «terza via» tra il modello collegiale e quello monocratico) ha finito nella prassi per tramutarsi in un modello «a direzione plurima dissociata» o di «Governo per ministeri», come lo definì Enzo Cheli, modello che portò allo scadimento della funzione direzionale del Presidente del Consiglio in «mera funzione mediatrice».
      Le cose sono cambiate con le trasformazioni degli ultimi venti anni alla luce dell'evoluzione descritta ma, dati i perduranti ostacoli che ancora oggi la funzione direzionale del Presidente del Consiglio trova ad esplicarsi compiutamente, l'introduzione del potere di revoca dei ministri da parte del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio, sembra essere un efficace correttivo per attribuire a quest'ultimo maggiore forza persuasiva e di direzione del Governo.
      Parallelamente la presente proposta di legge manterrebbe intatta la funzione di controllo costituzionale esercitata dal Presidente della Repubblica in uno snodo cruciale quale quello della nomina (e revoca) dei ministri. Il potere di nomina (e revoca) rimarrebbe infatti formalmente attribuito al Capo dello Stato. Alcuni precedenti della storia costituzionale repubblicana hanno mostrato come il ruolo del Presidente della Repubblica, in un atto come quello della nomina, possa essere decisivo e non meramente notarile, non solo come strumento di controllo formale ma come «camera di compensazione» a fronte di scelte anomale che possono presentarsi.
 

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PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE

Art. 1.

      1. Il secondo comma dell'articolo 92 della Costituzione è sostituito dal seguente:

      «Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, nomina e revoca i ministri».

Art. 2.

      1. L'articolo 94 della Costituzione è sostituito dal seguente:

      «Art. 94. - Il Presidente del Consiglio dei ministri deve avere la fiducia della Camera dei deputati.
      La Camera dei deputati accorda o revoca la fiducia mediante mozione motivata e votata per appello nominale.
      Entro dieci giorni dalla formazione del Governo, il Presidente del consiglio dei ministri presenta il suo programma alla Camera dei deputati per ottenerne la fiducia.
      Il voto contrario della Camera dei deputati su una proposta del Governo non importa obbligo di dimissioni.
      La mozione di sfiducia deve essere firmata da almeno un decimo dei componenti della Camera dei deputati e non può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla sua presentazione».


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