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PDL 2476

XV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 2476



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

TURCI, SCHIETROMA

Disposizioni per assicurare il diritto all'apprendimento permanente

Presentata il 29 marzo 2007


      

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Onorevoli Colleghi!

Una definizione di apprendimento permanente.

      Il punto di partenza è naturalmente la definizione di «lifelong learning» ovvero di «apprendimento permanente», adottata dall'Unione europea nella comunicazione della Commissione (Realizzare uno spazio europeo dell'apprendimento permanente): «(...) qualsiasi attività di apprendimento avviata in qualsiasi momento della vita, volta a migliorare le conoscenze, le capacità e le competenze in una prospettiva personale, civica, sociale e/o occupazionale (...)».

L'ancoraggio europeo.

      Dopo il Consiglio europeo di Lisbona del 23 e 24 marzo 2000 e dopo la risoluzione del Consiglio del 27 giugno 2002 sull'apprendimento permanente, le elaborazioni europee in materia di istruzione e formazione, ma soprattutto il loro inserimento nel contesto dell'apprendimento permanente, si sono via via fatti sempre più penetranti, anche sulla base del metodo di coordinamento aperto «inteso come strumento per diffondere la migliore pratica e conseguire una maggiore convergenza verso le finalità principali dell'Unione europea».
      Su questa base, come sappiamo, sono stati elaborati indicatori e benchmarks (livelli di riferimento prefissato) per i sistemi di istruzione e formazione e, più in generale, per l'apprendimento permanente, che nel loro insieme costituiscono un'importante cornice per le politiche nazionali e un loro punto di riferimento.
      Coerenza europeista vuole che le politiche nazionali tengano conto del quadro europeo e che, anzi, lo considerino come fattore di valorizzazione. Per esempio,

 

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l'Olanda ha approvato un Piano d'azione nazionale su come traslare i cinque benchmarks europei negli obiettivi e nelle politiche nazionali (Dutch EU Education Action Plan), la Svezia valuta le sue politiche ed i risultati raggiunti sulla base dei suddetti cinque benchmarks (A report on education and training in Sweeden and the shared European goals), la Norvegia ha pubblicato un rapporto sulle prospettive norvegesi utilizzando i ventinove indicatori e i cinque benchmarks.
      La presente proposta di legge, sia pure in ritardo, attua una chiara scelta politica, ovvero contribuire all'elaborazione europea e fare di essa il nostro punto di riferimento, cominciando ad attuare l'obiettivo concordato dal Consiglio europeo (Relazione intermedia congiunta del 3 marzo 2004 «Istruzione e formazione 2010: L'urgenza delle riforme per la riuscita della strategia di Lisbona»), secondo cui tutti gli Stati membri dovrebbero organizzare strategie di apprendimento permanente entro il 2006.

La situazione italiana.

      Paragonando la situazione italiana sia ai benchmarks europei, sia alle medie europee attuali, sia ai risultati di ricerche sui Paesi dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), appaiono evidenti i rilevanti problemi che ci si trovano fronte. Se osserviamo la situazione italiana, infatti, ci rendiamo conto della differenza in negativo delle performance italiane non solo rispetto ai benchmarks fissati per il 2010 ma anche, in molti casi, rispetto all'attuale media europea, come evidenziato dalla Relazione intermedia comune 2006 del Consiglio e della Commissione sui progressi compiuti nell'ambito del programma di lavoro «Istruzione e formazione 2010: Modernizzare l'istruzione e la formazione: un contributo fondamentale alla prosperità e alla coesione sociale in Europa» del 1o aprile 2006.
      Solo per quel che riguarda i laureati in matematica, scienze e tecnologia la performance italiana è buona, collocandosi l'Italia insieme a Slovacchia, Polonia e Spagna tra i Paesi che dimostrano negli anni recenti la crescita più forte.

Unione europea benchmarks.

Competenze di base - Key competences.

      Entro il 2010, la percentuale dei quindicenni con scarse capacità di lettura dovrebbe diminuire nell'Unione europea almeno del 20 per cento rispetto al 2000 (capacità di lettura «livello 1» e grado inferiore. Fonte: PISA: Programme for International Student Assessment (OCSE, 2000).

Abbandono scolastico prematuro - Early school leavers.

      Entro il 2010, nell'Unione europea si dovrebbe pervenire a una percentuale media non superiore al 10 per cento di abbandoni scolastici prematuri (percentuale della popolazione in età compresa tra 18 e 24 anni in possesso soltanto di istruzione secondaria inferiore o con un grado di istruzione ancora più basso e non inserita in un ciclo di istruzione o di formazione).

Completamento del ciclo di istruzione secondaria superiore - Completion of upper secondary education.

      Entro il 2010, almeno l'85 per cento della popolazione di ventiduenni dell'Unione europea dovrebbe avere completato un ciclo di istruzione secondaria superiore [percentuale della popolazione di ventiduenni che ha completato con esito favorevole almeno il ciclo di istruzione secondaria superiore (ISCED 3)].

Matematica, scienze e tecnologie - Graduates in mathematics, science and technology.

      Il totale dei laureati in matematica, scienze e tecnologie nell'Unione europea dovrebbe aumentare almeno del 15 per cento entro il 2010 e al contempo dovrebbe diminuire lo squilibrio tra i sessi.

 

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Apprendimento lungo tutto l'arco della vita - Partecipation in lifelong learning.

      Entro il 2010, il livello medio di partecipazione all'apprendimento lungo tutto l'arco della vita dovrebbe attestarsi nell'Unione europea almeno al 12,5 per cento della popolazione adulta in età lavorativa (fascia di età compresa tra 25 e 64 anni. Percentuale della popolazione di età compresa tra 25 e 64 anni che ha partecipato a un corso di istruzione e formazione nelle quattro settimane precedenti l'inchiesta).

Benchmarks europei. Stato ed evoluzione della situazione italiana dal 2000 al 2005 in valori percentuali.

  
Benchmarks

  

  
Anno

    

  
Italia

    

  
Unione
europea

    

 
Distanza dell'Italia
dal Benchmark
europeo (%)

Competenze di base (%)
2000
18,9
19,4
-20
  
2003
23,9
19,8
-30
  
Abbandono scolastico prematuro (%)
2000
25,3
17,7
-15,3
2003
23,5
16,1
-13,5
2004
22,3
15,6
-12,3
2005
21,9
14,9
-11,9
Completamento del ciclo di istruzione secondaria superiore (%)
2000
68,8
76,3
-16,2
2003
69,9
76,5
-15,1
2004
72,9
76,6
-12,1
2005
72,9
77,3
-12,1
Laureati in matematica, scienze e tecnologia (x 1.000)
2000
46,6
650
  
-15
  
2003
66,8
755
  
+12,8
Partecipazione in attività di apprendimento lungo tutto il corso della vita (%)
2000
5,5
7,9
-7,0
  
2003
4,7
9,3
-7,8
  
2004
6,8
10,3
-5,7
  
2005
6,2
10,8
-6,3
  

 

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      Una delle tre priorità approvate dal Consiglio dell'Unione europea nella decisione 2005/600/CE del 12 luglio 2005, sugli orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell'occupazione, decisione confermata con la decisione 2006/544/CE del Consiglio, del 18 luglio 2006, per il 2006 e ulteriormente confermata nella proposta di decisione della Commissione per il 2007, è l'aumento degli investimenti in capitale umano, migliorando l'istruzione e le qualifiche, e per questo vengono stabiliti due orientamenti, l'orientamento 23 - Potenziare e migliorare gli investimenti in capitale umano - e l'orientamento 24 - Adattare i sistemi di istruzione e formazione ai nuovi requisiti in termini di competenze - e alcuni obiettivi e parametri di riferimento che si aggiungono ai benchmarks di cui abbiamo parlato precedentemente.
      Se analizziamo gli indicatori utilizzati per monitorare le Linee guida troviamo l'Italia sempre sotto l'attuale media dei 25 Paesi membri dell'Unione. Ciò avviene per investimenti in risorse umane, investimenti delle imprese nella formazione degli adulti, livelli educativi dei giovani di ventidue anni di età, abbandono scolastico, partecipazione all'istruzione e alla formazione, partecipazione alla formazione continua.
      Negli indicatori sui servizi per i bambini vi è un dato positivo riguardante i servizi per bambini da 3 a 6 anni di età, mentre è negativo quello per i bambini da 0 a 3 anni (allegato 6 delle Linee guida).
      Dai risultati dell'indagine OCSE su «Letteratismo e abilità per la vita. Indagine nazionale sulla popolazione italiana 16-65 anni», pubblicata dall'Invalsi a cura di Vittoria Gallina, possiamo attingere ulteriori notizie e comparazioni internazionali interessanti. «L'indagine comparativa internazionale ALL (letteratismo e abilità per la vita) evidenzia:

          la drammatica limitatezza di competenze alfabetiche funzionali (letteratismo e abilità per la vita) della popolazione italiana;

          l'importanza del possesso di queste competenze in relazione alla occupabilità ed al livello di inclusione sociale della popolazione (esercizio dei diritti di cittadinanza e stabilità economica);

          le quote di giovani e di giovani adulti che denunciano limitate abilità/competenze, soprattutto se confrontate con quelle dei giovani degli altri Paesi [Bermuda, Canada, Norvegia, Svizzera, USA, Messico (Nuevo Leon)] che hanno partecipato all'indagine;

          la correlazione tra i livelli elevati di competenza e sviluppo dei settori produttivi strategici (...).

      I risultati della indagine ALL mettono in evidenza che:

          la popolazione adulta italiana, presa nel suo complesso, non possiede una competenza alfabetica funzionale (literacy) adeguata alle esigenze della società della conoscenza;

          il possesso di abilità/competenze dei giovani conta molto, perché questi potenzialmente contribuiranno per un tempo più lungo, con le loro competenze, allo sviluppo sociale ed economico del Paese;

          conoscere e intervenire sul deficit di competenze è una priorità per il Paese;

          l'istruzione è un fattore molto importante per garantire lo sviluppo di competenze di literacy ma non è il solo fattore determinante: il letteratismo si sviluppa e si consolida attraverso processi molto diversi e solo alcuni di questi sono riferibili ai sistemi formali di istruzione;

          una strategia di espansione graduale del sistema scolastico non appare sufficiente a colmare il deficit di competenze che si evidenzia nel mercato del lavoro e nella società attuale: dovrà passare molto temo prima che si possano sentire gli effetti dell'incremento della scolarità dei giovani attuali;

          il letteratismo è una competenza essenziale che incide sulla capacità degli adulti di apprendere in modo efficace, di

 

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essere flessibili e pronti a cogliere opportunità e occasioni di apprendimento: questo produce effetti positivi sullo sviluppo e sulla realizzazione di politiche e di iniziative di lifelong learning in un Paese;

          interventi efficaci e strategie adeguate devono essere costruiti valorizzando i meccanismi e i processi attraverso i quali gli adulti mantengono e aggiornano abilità e competenze: apprendimento sul lavoro, esperienze di vita e iniziative ed attività personali;

          le competenze/abilità alfabetiche funzionali, come i muscoli, si mantengono con l'esercizio e l'uso continuo ed efficace: la scuola ha un ruolo insostituibile nel fornire la base, ma solo l'uso continuo nelle attività quotidiane mantiene livelli adeguati di competenza;

          promuovere il lifelong learning significa mettere i cittadini in condizione di essere capaci di avere accesso agli ambienti in cui si promuove apprendimento: a casa, sul lavoro, nella comunità sociale;

          accrescere i finanziamenti per l'educazione degli adulti è una scelta necessaria, ma vanno supportate anche iniziative volte a motivare gli adulti alla partecipazione: apprendere in età adulta è un atto volontario, una scelta che dovrà coinvolgere strati di popolazione che oggi non sono motivati o non si sentono sostenuti in questi percorsi;

          la formazione sul lavoro tende a essere rivolta a persone che si trovano già a un certo livello di competenza: il rischio è che non vengano raggiunti quelli che hanno maggior bisogno;

          bassi livelli di competenza alfabetica sono associati con tassi più elevati di disoccupazione e questo si traduce in un costo personale e sociale molto elevato;

          dovranno essere sperimentate strategie mirate all'incremento della partecipazione ad attività formative di persone con livelli estremamente bassi di competenza, che nel nostro Paese superano il 40 per cento della popolazione;

          molti sono gli ambiti della vita sociale che, pur non configurandosi immediatamente come lavoro e istruzione, sono strettamente correlati ai livelli culturali della popolazione: l'incremento delle opportunità di studio e di qualificazione è un fattore essenziale nelle politiche di contenimento della criminalità e in quelle di prevenzione in campo sociosanitario;

          l'obiettivo di operare sulla cultura della popolazione è un elemento trasversale delle politiche rivolte sia ai giovani che ai cittadini più anziani;

          politiche di sostegno delle lingue e delle culture dei diversi gruppi sociali, che vivono entro un Paese, politiche di sostegno alla cittadinanza attiva ed all'esercizio dei diritti, politiche di welfare e di sviluppo produttivo sono dimensioni collegate ai patrimoni di competenze possedute (...)».

      I risultati del «Programme for Intemational Student Assessment (PISA)» 2003 dell'OCSE sul livello di competenza dei quindicenni in matematica, lettura, scienze e problem solving dimostrano la posizione bassa per non dire bassissima dei giovani italiani nei confronti dei loro coetanei di tanti altri Paesi, anche se è vera la differenza notevolissima nei livelli di competenza di coloro che abitano nelle regioni del nord-est e del nord-ovest piuttosto che nelle regioni meridionali. Ma dimostrano anche una correlazione tra i risultati di competenza matematica dei Paesi dell'OCSE e la percentuale della popolazione adulta giovane con un titolo di istruzione secondaria superiore. In Italia, inoltre, a una percentuale comparativamente bassa della popolazione adulta con un titolo di istruzione secondaria si aggiunge una percentuale più bassa, rispetto alla media internazionale, di adulti che hanno completato l'istruzione terziaria.
      In fin dei conti si arriva sempre alla stessa conclusione: in Italia è presente un problema di livelli di cultura e di processi di apprendimento che, se non superato, avrà conseguenze sempre più negativamente rilevanti sia sull'individuo, sia sulla società, sia sull'economia. Lo stesso Consiglio

 

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dell'Unione europea «(...) ha sottolineato a più riprese il doppio ruolo - sociale ed economico - dei sistemi d'istruzione e formazione. L'istruzione e la formazione sono infatti un fattore determinante per le potenzialità di ciascun paese in termini di eccellenza, innovazione e competitività. Al contempo esse sono parte integrante della dimensione sociale dell'Europa, perché trasmettono i valori della solidarietà, delle pari opportunità e della partecipazione sociale e al contempo producono effetti positivi sulla sanità, sulla sicurezza, sull'ambiente, sulla democratizzazione e sulla qualità complessiva della vita. È necessario che tutti i cittadini acquisiscano conoscenze, capacità e competenze e le aggiornino costantemente attraverso l'istruzione permanente; bisogna inoltre tenere conto delle necessità specifiche delle persone a rischio di emarginazione sociale. In tal modo contribuiremo all'aumento della quota di popolazione attiva e alla crescita economica, garantendo allo stesso tempo la coesione sociale.
      Investire nell'istruzione e nella formazione costa, ma a lungo termine le ripercussioni positive in termini individuali, economici e sociali bilanciano le spese sostenute. Le riforme dovrebbero dunque continuare a cercare le sinergie tra politiche economiche e sociali e obiettivi di politica sociale, due fattori che in realtà si rafforzano a vicenda.
      Queste considerazioni sono estremamente significative per l'attuale riflessione in corso nell'Unione riguardo al modello sociale europeo. L'Europa si trova oggi ad affrontare enormi sfide socioeconomiche e demografiche, associate all'invecchiamento della popolazione, all'alto numero di adulti con scarse qualifiche, all'alto tasso di disoccupazione eccetera. Al contempo vi è una necessità crescente di migliorare il livello delle competenze e delle qualifiche sul mercato del lavoro. È necessario rispondere a queste sfide per migliorare la sostenibilità a lungo termine dei sistemi sociali europei. L'istruzione e la formazione sono parte della soluzione a questi problemi (...)».

Investimenti in risorse umane.

      Ma guardiamo, infine, l'ultima delle conclusioni del Consiglio dell'Unione europea del maggio 2003 in merito ai livelli di riferimento del rendimento medio europeo nel settore dell'istruzione e della formazione e cioè l'investimento nelle risorse umane.
      La comunicazione del Consiglio «Modernizzare l'istruzione e la formazione: un contributo fondamentale alla prosperità e alla coesione sociale in Europa. Relazione intermedia comune 2006 del Consiglio e della Commissione sui progressi compiuti nell'ambito del programma di lavoro "Istruzione e formazione 2010"» del 1o aprile 2006 risponde chiaramente: «(...) Dal 2000, non si è ridotto il distacco tra l'Europa e i Paesi concorrenti come gli Stati Uniti per quanto riguarda gli investimenti totali nei settori chiave dell'economia della conoscenza.
      Alcuni Paesi asiatici, come la Cina e l'India, stanno rapidamente colmando il loro distacco.
      Tuttavia, le spese pubbliche destinate all'insegnamento, espresse in percentuale del PIL, sono in aumento in quasi tutti gli Stati membri dell'Unione europea (media UE: 4,9 per cento nel 2000, 5,2 per cento nel 2002).
      Il trend positivo osservato tra il 2000 e il 2002 è un incoraggiante segnale del fatto che i governi considerano le spese pubbliche per l'insegnamento come una priorità. Si constatano tuttavia forti variazioni tra i diversi Stati, visto che la quota oscilla tra il 4 per cento e l'8 per cento del PIL. La maggior parte dei governi sembra comunque riconoscere che le riforme necessarie non possono essere varate con gli attuali livelli e schemi d'investimento.
      Numerosi Paesi incoraggiano l'investimento privato dei singoli e delle famiglie, particolarmente nei settori in cui i coefficienti di rendimento privati sono elevati, ad esempio con misure d'incentivazione quali assegni-studio o conti individuali a fini di formazione (ad esempio, AT, BE, NL, UK6), incentivi fiscali (ad esempio FI,

 

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HU, LT, PT, SI) o il pagamento delle tasse d'iscrizione (ad esempio, BE, FR, PL, RO, UK). Gli sforzi volti ad incoraggiare i datori di lavoro ad investire maggiormente sono stati invece meno numerosi e la loro efficacia è meno dimostrabile. Sono invece pochi i segni di un aumento generale dell'investimento nella formazione continua da parte dei datori di lavoro (...)».
      L'Italia è di nuovo sotto la media europea e non risulta aver adottato forme di incentivazione non tradizionali.

La formazione continua dei lavoratori.

      Secondo il Rapporto 2005 sulla formazione continua dell'Istituto per lo sviluppo della formazione dei lavoratori (ISFOL) «(...) Nel complesso del periodo 2001-2004, per le politiche di formazione continua dei lavoratori sono state erogate risorse di natura pubblica per un ammontare di 2,2 miliardi di euro, il 19 per cento del totale delle risorse pubbliche per la formazione. Tali spese rappresentano solo una frazione delle politiche attive del lavoro: pur se con una certa cautela per via delle differenti definizioni contabili adoperate, si può stimare che le risorse per la formazione dei lavoratori ora dette rappresentino circa un ventesimo dell'intera spesa in politiche attive, che, come noto, è in prevalenza assorbita da incentivi all'occupazione sotto forma di decontribuzioni (ivi incluse quelle connesse al contratto di apprendistato).
      Il Fondo Sociale Europeo, includendo nel computo gli importi relativi al cofinanziamento nazionale, contribuisce alle politiche di formazione per lavoratori per circa il 60 per cento nella media del quadriennio, anche se vi è una tendenza ad accrescere il ruolo delle politiche nazionali rispetto al FSE. Nel 2004, con l'inizio delle erogazioni finanziarie ai Fondi interprofessionali per la formazione continua, il peso del FSE è calato al 50 per cento, ed è destinato a diminuire nei prossimi anni, sia come effetto del funzionamento ordinario dei Fondi interprofessionali, sia per la probabile riduzione degli apporti comunitari.
      Nel complesso della programmazione 2000-2006, il FSE ha messo a disposizione circa 2 miliardi di euro (sia per dipendenti pubblici che privati); di questi, risultano impegnati al primo semestre del 2005 il 45,8 per cento degli stanziamenti (50,9 per cento nelle regioni obiettivo 3 e 24,9 per cento nelle regioni obiettivo 1). Tramite la legge n. 236 del 1993 - su cui peraltro permangono forti carenze informative circa l'utilizzo delle risorse - si è continuato a finanziare le attività di formazione continua gestite dalle Regioni e dalle autonomie locali, accentuando in questi ultimi anni l'attenzione su gruppi target specifici (in alcuni casi identificabili come soggetti deboli nel senso prima ricordato) e sviluppando un canale di finanziamento per la formazione a domanda individuale. Nel complesso del periodo 2001-2004, sono stati trasferiti alle Regioni 370 milioni di euro, a cui si aggiungono i quasi 60 milioni di euro del 2005. Ancor più specificamente indirizzati alla formazione a domanda individuale sono le risorse di cui alla legge n. 53 del 2000, per la quale nel periodo 2001-2004 sono stati erogati circa 25 milioni di euro, a cui si aggiungono i 20 milioni di euro erogati alle Regioni nel 2005. Ciò sta contribuendo a ri-bilanciare il sistema verso interventi a domanda individuale, nella prospettiva di una definizione di veri e propri diritti individuali alla formazione. Resta peraltro da vedere se ciò abbia consentito di coprire soggetti che altrimenti non sarebbero stati coinvolti in iniziative formative (lavoratori con carriere non lineari, soggetti a basso titolo di studio o bassa qualifica), o, se invece, le risorse siano state utilizzate da soggetti che avrebbero in ogni caso autofinanziato la loro formazione (...). Anche con specifico riferimento alle attività formative in senso stretto, diversi sono i segnali di ritardo evidenziati dagli indicatori comparativi abitualmente considerati: solo un quinto dei lavoratori italiani partecipa ad attività formative rispetto ad una media europea del 40 per cento; solo un quarto delle imprese realizza attività di

 

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formazione, rispetto ad una media europea del 60 per cento. In parte ciò dipende dalle caratteristiche strutturali del sistema produttivo italiano e dalla composizione della forza lavoro per titoli di studio: piccole imprese, che operano su mercati locali e producono beni a bassa intensità di innovazione hanno "strutturalmente" una bassa propensione all'investimento formativo; al contempo, una forza lavoro con una prevalenza di titoli di studio medio-bassi riduce le convenienze - sia per l'impresa che per il lavoratore - ad investire in formazione. Il rischio è però che il paese rimanga intrappolato in un circolo vizioso, in cui la bassa dotazione di capitale umano induca assetti produttivi poco innovativi, che poi a loro volta distolgono dall'investimento in capitale umano, col risultato finale di rimanere vincolati ad attività obsolete e poco competitive.
      Tutto ciò costituisce la principale ratio di un intervento pubblico che, sostenendo il sistema della formazione, cerchi di eliminare tali rischi. Anche se la filiera formativa non può risollevarsi se non in congiunzione ad un più complessivo rafforzamento dei processi di investimento in capitale umano, vi è infatti spazio per interventi che tengano conto del fatto che le caratteristiche intrinseche di intangibilità e non verificabilità dell'investimento formativo (è difficile misurare in termini incontrovertibili la quantità e soprattutto la qualità della formazione) rendono difficile identificare chi, tra impresa e lavoratore, possa maggiormente trarne profitto, ed avere quindi un incentivo a finanziarla. L'intervento pubblico, nel creare un frame generale che faciliti la verificabilità degli investimenti formativi e nel sollecitare e incentivare questi ultimi, può portare ad un aumento dell'efficienza muovendo il sistema nella direzione dell'ottimo sociale.
      In un sistema in cui la formazione dipende in misura prevalente dal finanziamento e dalle scelte private, soprattutto delle imprese, la distribuzione delle opportunità di formazione tra i diversi gruppi di lavoratori si presenta inoltre assai ineguale. In questo contesto, le politiche pubbliche a favore della formazione dei lavoratori hanno un'ulteriore motivazione, di tipo equitativo.
      L'intervento pubblico può in particolare sostenere la formazione di gruppi di lavoratori "deboli" allo scopo di ridurre le disuguaglianze di reddito e di prospettive professionali. Nel caso più favorevole la formazione di soggetti "deboli" consente una riduzione delle disuguaglianze e, al tempo stesso, un miglioramento dell'efficienza. Ad esempio la formazione destinata a lavoratori occupati a tempo determinato, magari giovani (e quindi con un ritorno potenziale elevato degli investimenti formativi) ma con scarse risorse finanziarie e difficoltà ad investire in prima persona, ai quali le imprese hanno poca convenienza a offrire formazione a causa del loro elevato turnover. Un trade-off tra efficienza ed equità può invece sorgere quando la riduzione delle disuguaglianze richiede che si spinga la quantità di formazione al di là del livello ottimale, investendo anche su soggetti che, magari perché anziani e con scarsa scolarità, abbiano un ridotto ritorno diretto dall'investimento in formazione (...)».

L'educazione degli adulti nella scuola.

      Secondo il monitoraggio nazionale sull'educazione degli adulti (EDA) nell'anno scolastico 2003/2004 eseguito dall'Istituto nazionale di documentazione per l'innovazione e la ricerca educativa (INDIRE) «(...) Per l'anno scolastico 2003/2004 sono stati rilevati 540 Centri Territoriali Permanenti (CTP) e 675 Istituti di Istruzione secondaria di II grado gestori di corsi serali, per un totale complessivo di 1.215 sedi EdA.
      È da porre in evidenza che i CTP possono svolgere le proprie attività anche presso sedi ad essi collegate. Il censimento ha segnalato l'esistenza di 1.178 sedi collegate che, se aggiunte al numero di CTP rilevati (540), portano a 1.718 le sedi effettive delle attività formative dei CTP. I

 

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punti di erogazione dei corsi serali, invece, sono risultati complessivamente 705.
      I CTP e gli Istituti di Istruzione secondaria di II grado gestori di corsi serali, inoltre, possono svolgere attività formative, destinate ai cittadini soggetti a restrizione della libertà personale, nell'ambito di sedi carcerarie. Per l'anno scolastico 2003/2004 sono state rilevate complessivamente 232 sedi di attività formative presso luoghi di detenzione, che si aggiungono alle sedi collegate e ai punti di erogazione già evidenziati.
      L'analisi delle reti ha reso possibile la ricostruzione di un quadro nazionale che si rivela piuttosto articolato, soprattutto rispetto alle tipologie di partenariato, a seconda che si consideri l'assetto dei CTP oppure quello dei punti di erogazione dei corsi serali.
      Dai risultati è emerso che il 63,52 per cento dei CTP ha avuto contatti di rete, ovvero 343 su 540. I contatti di rete attivati dai CTP sono stati 881, di cui 241 con altri CTP, 283 con vari organismi del territorio impegnati nell'educazione degli adulti, 200 con Centri di Formazione Professionale ed, infine, 157 con Istituti gestori di corsi serali.
      I punti di erogazione dei corsi serali che hanno attivato contatti di rete sono stati 195, pari al 27,66 per cento del totale, con un numero complessivo di 427 contatti di rete: 117 con i CTP, 111 con altri gestori di corsi serali, 102 con vari organismi del territorio impegnati nell'EdA ed, infine, 97 con i Centri di Formazione Professionale.
      I corsi EdA, con esclusione di quelli finalizzati al conseguimento del diploma/qualifica, sono stati complessivamente 19.536, di cui: 2.996 finalizzati al conseguimento del titolo di studio (CTS-licenza elementare e media); 3.169 di integrazione linguistica e sociale per stranieri (CILS); 13.371 brevi e modulari, di alfabetizzazione funzionale (CBMAF).
      Gli iscritti ai corsi organizzati dai CTP e dagli Istituti di Istruzione secondaria di II grado sedi di corsi serali sono stati complessivamente 468.285 (...)».

Il ruolo delle università popolari e dell'Unieda (Unione italiana di educazione degli adulti).

      Negli ultimi venti anni si è sviluppato in Italia un forte movimento civico che ha consolidato e reso possibili progetti concreti di apprendimento permanente attraverso università polari, università della terza età e università civiche. Basti pensare che nell'anno scolastico 2003/2004 le università popolari italiane avevano 546 sedi legali, 546 sedi didattiche e un numero di partecipanti pari a 387.000. Il significato di questo movimento è da ricercare nella libera iniziativa dei cittadini che attraverso associazioni e strutture permanenti hanno supplito allo Stato e agli enti locali, comportando una partecipazione attiva da parte dei cittadini partendo dalla frequenza dei corsi e dei seminari per giungere a forme di partecipazione più avanzata sul piano culturale e scientifico, sia attraverso i viaggi e le visite culturali sia attraverso la gestione di piccoli musei, di scavi archeologici o la creazione di laboratori di apprendimento pratico (la cultura «dell'imparare a fare»). Nello stesso tempo si è sviluppata una classe dirigente che ha trasformato la struttura volontaristica in organizzata e stabile, contribuendo allo sviluppo dei servizi di formazione e di cultura ma anche alla stabilizzazione dei rapporti di lavoro, creando così occupazione per il personale dirigente, amministrativo e docente. Le forme più evolute di questo sistema sono da ricercare nell'istituzione da parte della regione Toscana dei circoli di studio, quale forma di organizzazione del bisogno di base di partecipazione con un decentramento su base provinciale, e da parte dell'Associazione di promozione sociale università popolare di Roma (Upter), che a sua volta nel 1998 ha fondato l'Unione italiana di educazione degli adulti (Unieda). La sola Upter, attraverso un'organizzazione capillare sul territorio romano dal 1998, ha aggregato oltre 300.000 cittadini attraverso le sue attività, con una partecipazione minima annuale di circa 35.000

 

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persone. Infatti, nell'anno accademico in corso 2006/2007 oltre 25.0000 persone hanno frequentato i suoi corsi (2.500 corsi per 125.000 ore di lezione) e circa 10.000 viaggi, visite culturali, presentazioni, scambi con altre istituzioni europee eccetera, occupando tra personale amministrativo e docenti oltre 500 persone. In Italia, l'Unieda è l'unico soggetto federativo (riconosciuta come associazione di promozione sociale nazionale dalla legge n. 383 del 2000) che attraverso il Forum del terzo settore nazionale promuove e costituisce associazioni sul territorio nazionale. L'Unieda è presente ormai in tutte le regioni italiane con le sue associate (le più grandi realtà sono a Roma, Firenze, Biella, Torino, Udine, Rimini, Bologna, Melfi, Lecce, Palermo eccetera). L'Unieda, attraverso suoi progetti nazionali, assicura una formazione costante degli associati per giungere a creare stabilmente una «nuova gamba» nell'ambito dell'apprendimento permanente. Con le sue riviste, input, percorsi e open, e la casa editrice EDUP (distribuita a livello nazionale) rappresenta una centrale di promozione e di formazione permanente al pari di quelle tedesche e inglesi. Inoltre dal 1996, anno di partenza effettivo dei programmi europei, culminati in Socrates e nello specifico in Grundtvig, le associazioni dell'Unieda rappresentano una quota rilevante nei progetti nazionali e internazionali con almeno 50 progetti annuali che coinvolgono non solo le sedi locali ma anche le associazioni e le istituzioni dei Paesi membri dell'Unione europea. Basta verificare all'agenzia nazionale Grundtvig presso l'Indire di Firenze. In definitiva, attraverso le associazioni sono almeno 1.000.000 le persone che accedono ad attività di apprendimento permanente organizzato.

Una legge nazionale sull'apprendimento permanente.

      Sintetizzando dunque le ragioni che legittimano la necessità di una legge nazionale italiana per l'apprendimento permanente, potremmo dire che essa è necessaria, anzi indispensabile, atteso che l'Italia voglia accettare la sfida della costruzione dell'economia e della società della conoscenza:

          a) affinché si realizzino in Italia le condizioni per l'esercizio del diritto all'apprendimento permanente, come condizione di libertà e di uguaglianza di tutti i cittadini, in relazione alle loro condizioni fisiche, culturali, sociali e di genere, di effettiva partecipazione all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese, di sviluppo della competitività del Paese nel mondo;

          b) per superare il distacco con una parte del mondo e con l'Europa per quel riguarda le competenze e la quantità e la qualità dei processi di apprendimento;

          c) per testimoniare e soprattutto per realizzare una priorità politica nazionale per le politiche della conoscenza e dell'apprendimento;

          d) per ridurre il distacco tra nord e sud e per rendere più efficiente e nello stesso tempo più equilibrato il nostro Paese.

      Un passo in avanti fu fatto quando fu sancito nel marzo 2000 nella Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, l'accordo tra Governo, regioni, province, comuni e comunità montane per riorganizzare e potenziare l'educazione permanente degli adulti e, pur essendo ancora utile riferirsi ad esso per molti dei suoi contenuti, è comunque da sottolineare che tale strumento non è più sufficiente dati gli impegnativi obiettivi che occorre porsi.
      E nello stesso Programma di governo 2006/2011 dell'Unione europea l'obiettivo di provvedere ad una normativa in materia è posto sia pur nei termini di una legge per alfabetizzare e rialfabetizzare.

Le scelte di una legge nazionale sull'apprendimento permanente.

      Nel delineare i contenuti di un'auspicata legge nazionale sull'apprendimento

 

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permanente, occorre naturalmente e per coerenza riferirsi all'elaborazione europea e ai suoi pilastri. Vale dunque la pena di ricordare che l'apprendimento permanente deve riguardare l'apprendimento da prima della scuola a dopo la pensione e comprendere l'intera gamma di modalità di apprendimento formale, non formale e informale e che le componenti fondamentali delle strategie coerenti da elaborare e attuare, secondo la comunicazione della Commissione europea «Realizzare uno spazio europeo dell'apprendimento permanente» del novembre 2001, sono così sintetizzabili:

          a) lavoro in partenariato;

          b) creazione di una cultura dell'apprendimento;

          c) aspirazione all'eccellenza;

          d) conoscenza della domanda di apprendimento;

          e) agevolazione dell'accesso;

          f) risorse adeguate.

      All'interno di esse stanno, come è noto, le priorità d'azione:

          a) valorizzare l'apprendimento;

          b) informazione, orientamento e consulenza;

          c) investire tempo e denaro nell'apprendimento;

          d) ravvicinare i discenti e le opportunità di apprendimento;

          e) competenze di base;

          f) soluzioni pedagogiche innovative.

      E dunque le scelte di una legge nazionale sull'apprendimento permanente che la presente proposta di legge si prefigge di attuare possono essere così indicate.
      Il diritto all'apprendimento permanente è un diritto individuale e al suo interno c'è un diritto alla formazione di base che riguarda tutti i cittadini dalla nascita fino al compimento del diciottesimo anno di età.
      Per la realizzazione di questo diritto occorrono il coinvolgimento e la responsabilità di tutti, siano essi istituzioni, soggetti della società o singoli cittadini e politiche complesse sia sul versante della domanda che sul versante dell'offerta. Si tutela ed esalta così la libertà di scelta individuale, si riducono gli ostacoli di natura economica e si aumenta il tempo disponibile per l'apprendimento.
      È insomma un'impresa collettiva quella che viene incentivata da una legge nazionale.
      L'apprendimento permanente, infatti, o è un impegno di tutti, degli individui, delle istituzioni e della società o non è realizzabile.
      Ma tutto questo non si raggiunge spontaneamente e dunque, per garantire l'accesso ad attività di apprendimento permanente a tutte le persone, indipendentemente dalla loro condizione lavorativa e di genere e dalla loro cittadinanza, per l'acquisizione di competenze utili alla loro crescita personale e professionale, la Repubblica deve rimuovere gli ostacoli che impediscono l'accesso alle attività di apprendimento permanente, con particolare riguardo ai soggetti svantaggiati dal punto di vista sociale e culturale, ai disabili, ai lavoratori anziani e a rischio di obsolescenza professionale, ai lavoratori discontinui, ai senza lavoro, agli stranieri.
      Alla estrema pluralità dei soggetti chiamati a processi di apprendimento permanente, alla difformità dei loro bisogni formativi, alla loro mutevolezza nel tempo non si può rispondere con pacchetti di offerta formativa preconfezionati. Mettere al centro del sistema gli utenti con le loro diverse e cangianti caratteristiche è davvero la precondizione per rendere l'apprendimento permanente un'opportunità per tutti e per questo occorrono politiche della domanda e politiche dell'offerta e non solo sul versante dell'iniziativa o dell'incentivazione finanziaria ma anche con la realizzazione di servizi di supporto.
      La domanda di formazione si incoraggia con «interventi che hanno per oggetto la riduzione degli ostacoli di natura economica, l'aumento del tempo disponibile a

 

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fini formativi, le libertà individuali in materia formativa.
      Per la riduzione degli ostacoli di natura economica contribuiscono interventi quali:

          allocazione di risorse in favore di soggetti altrimenti esclusi dall'accesso alla formazione;

          promozione e incoraggiamento di forme di risparmio a fini formativi, sia attraverso prestiti che forme assicurative;

          agevolazioni fiscali rapportate agli investimenti in formazione di individui e imprese.

      Per l'aumento del tempo disponibile a fini formativi contribuiscono interventi quali:

          il supporto alle diverse forme di permessi di studio retribuiti per lavoratori dipendenti e, più in generale, di rafforzamento della compatibilità tra orario di lavoro e tempi per la formazione;

          l'introduzione di diritti formativi individuali in materie particolari di interesse sociale.

      Al riconoscimento delle libertà individuali in materia formativa contribuiscono interventi quali:

          il diritto individuale all'informazione sull'offerta formativa esistente e sulla sua qualità;

          il diritto individuale alla scelta dell'offerta formativa rispondente agli interessi personali ed alla possibilità di personalizzare i percorsi formativi;

          il diritto individuale al riconoscimento ed alla certificazione delle competenze acquisite sia nella precedente esperienza di vita e di lavoro che al termine di un percorso formativo».

      Le politiche di supporto all'offerta di formazione promuovono e incoraggiano «la presenza su tutto il territorio nazionale di un sistema formativo integrato che assicuri un'offerta formativa differenziata per livelli, modalità, contenuti e volta a rispondere ai bisogni formativi dei diversi strati di popolazione dalla prima infanzia all'età più avanzata, dei lavoratori dipendenti, degli imprenditori e dei disoccupati.
      A questo fine contribuiscono interventi quali:

          gli investimenti pubblici e privati nel campo dell'edilizia e delle infrastrutture tecnologiche a carattere formativo;

          il rafforzamento dell'autonomia delle istituzioni formative pubbliche;

          lo sviluppo dell'iniziativa privata per la creazione di servizi formativi di interesse pubblico;

          lo sviluppo della ricerca a supporto dei processi di innovazione dell'offerta formativa;

          la riqualificazione dei percorsi di formazione iniziale e continua del personale addetto alla programmazione, alla gestione ed all'erogazione dei servizi;

          la diffusione di modelli di controllo e gestione della qualità dell'offerta formativa;

          lo sviluppo della qualità formativa dei luoghi di lavoro».

      E, infine, è necessaria una rete di servizi di supporto al sistema formativo integrato e ai cittadini in formazione.
      «Tali servizi assolvono a funzioni di supporto ai percorsi formativi individuali, di validazione delle competenze individuali, di monitoraggio e controllo del sistema formativo.
      All'assolvimento di funzioni di supporto ai percorsi formativi individuali contribuiscono interventi quali:

          la diffusione dei servizi di orientamento sia formativo che lavorativo e di consulenza individuale;

          la diffusione di servizi di informazione, dei centri di orientamento bibliografico e di documentazione di ogni tipo,

 

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dotati dei servizi che consentono l'accesso autonomo alle varie forme di sapere;

          la diffusione dell'erogazione dei servizi attraverso le nuove tecnologie.

      Alla validazione delle competenze individuali contribuiscono interventi quali:

          la creazione di un sistema nazionale delle competenze;

          l'introduzione di forme di riconoscimento e certificazione delle competenze;

          l'introduzione di norme che assicurino la mobilità degli individui tra sistemi formativi in ragione delle competenze possedute.

      Alle funzioni di monitoraggio e controllo del sistema formativo contribuiscono interventi quali:

          un sistema nazionale di valutazione;

          la definizione di obiettivi generali relativi a ciascuna delle componenti del sistema formativo;

          la adozione di comuni modelli di pianificazione e valutazione degli interventi».

      L'integrazione tra i sistemi dell'educazione, dell'istruzione, dell'orientamento, della formazione e del lavoro è lo strumento per rendere i percorsi formativi adatti alle esigenze differenziate di ognuno.
      La concertazione e la sussidiarietà sono la conseguenza, anzi, la condizione per fare della costruzione di un sistema di apprendimento permanente un progetto collegiale e condiviso.
      «I processi di formazione dei Piani di attività di formazione permanente si conformano ai princìpi del concorso istituzionale, della partecipazione sociale e dell'integrazione tra i sistemi di educazione, istruzione, orientamento, formazione professionale, lavoro e cultura».
      La vera novità nell'ambito dell'apprendimento permanente in Italia è lo sviluppo delle organizzazioni di terzo settore. Le recenti indagini dell'ISFOL (2002 e 2006) e le rilevazioni dell'Istituto nazionale di statistica concernenti l'offerta di formazione permanente in Italia evidenziano il consolidamento e la diffusione di organismi attivi, su base associativa, sotto forma di associazioni di promozione sociale, di organismi di volontariato, di cooperative sociali eccetera. Una legge nazionale sull'apprendimento permanente deve ormai riconoscere non solo le forme più avanzate di questi enti ma mettere in condizione coloro i quali intendano contribuire con la costituzione di nuove realtà locali di poter accedere attraverso modalità di sostegno finanziario e strutturale con il concorso delle regioni. Occorre investire nelle professionalità nuove, spontanee ma fortemente competenti, formatesi all'interno delle associazioni e delle organizzazioni, per dare alla formazione permanente una nuova «gamba», un nuovo spazio pubblico capace di accogliere la ricchezza della ricerca e delle attuazioni delle molteplici realtà di terzo settore. L'Unieda, prima ricordata, è un esempio di coordinamento di università popolari e di agenzie per l'apprendimento permanente. L'Unieda, attraverso la sua menzionata adesione al Forum del terzo settore e il riconoscimento giuridico operato dalla citata legge n. 383 del 2000, rappresenta una modalità di organizzazione e di riflessione sulle forme istitutive da intraprendere. Il terzo settore, nella sua costante dinamica organizzativa, è destinato a crescere così come le professioni che al suo interno si stanno sviluppando. Le università popolari possono diventare una struttura di massa, capillare, raccoglitrice di volontà di apprendimenti alternativi ai sistemi di formazione regionali e statali. La terza dimensione dell'apprendimento è rappresentata dalla nuova consapevolezza dei cittadini che apprendono per accrescere le proprie competenze ma anche per migliorare la loro personalità. Occorrerà dunque istituire attraverso modalità consolidate forme di controllo della qualità e garantire il rispetto della vocazione associativa. Mentre per quanto riguarda il

 

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rispetto ci sono già gli strumenti (varie leggi sull'associazionismo) per la qualità occorre, partendo dalla presente proposta di legge, promuovere una vera e propria «offensiva formativa» che coinvolga tutti gli operatori del settore.
      E dunque i soggetti che partecipano alla costruzione del sistema, autonomamente e con ruoli diversi ma anche in integrazione tra loro, non possono che essere molteplici e diversi sia per natura giuridica, sia per esperienza, sia per luogo privilegiato di attività: le istituzioni scolastiche, le istituzioni formative, le università, i centri di ricerca, le imprese, le organizzazioni sindacali, le associazioni e le organizzazioni, i soggetti pubblici e privati che operano nel campo dell'educazione formale, non formale e informale dei cittadini.
      Il mondo del lavoro è uno di quelli nel quale le esigenze dell'apprendimento permanente assumono una connotazione particolare per il suo legame, anche se non esclusivo, con le esigenze della formazione continua più vocata a fini professionalizzanti. Vi è un problema di raccordo con i servizi per l'impiego, vi è un problema di relazioni tra rappresentanze dei lavoratori e rappresentanze degli imprenditori e di contrattazione, vi è un problema di definizione delle caratteristiche e degli standard che i luoghi di lavoro devono avere per configurarsi come luoghi formativi. Impresa formativa e piano formativo sono i termini che possono essere usati in un ambito in cui naturalmente sono prioritari l'autonomia e il ruolo delle parti sociali che la legge deve in primis garantire. La legge fornisce la cornice ma sono le parti sociali che la devono riempire.
      La presente proposta di legge sull'apprendimento permanente si colloca all'interno delle competenze istituzionali disegnate dal titolo V della parte seconda della Costituzione. La costruzione di un sistema di apprendimento permanente è una responsabilità della Repubblica e per questo è opportuno sia definire le diverse responsabilità sia stabilire i luoghi di decisione congiunta. Per questo si disegna un quadro nel quale dal livello statale al livello comunale aumentano i poteri di gestione, anche se non diretta, e dal livello comunale al livello statale aumentano i compiti di indirizzo, anche se non esclusivo. Si deve naturalmente tenere presente che queste funzioni istituzionali si intrecciano con le responsabilità e con le autonomie delle parti sociali e, dunque, con il metodo della concertazione.
      Lo Stato ha i compiti e le funzioni concernenti:

          a) la programmazione, l'indirizzo, il coordinamento della progressiva ed equilibrata estensione dell'apprendimento permanente su tutto il territorio nazionale, in coerenza con le linee contenute nel «Piano di azione nazionale per la promozione dell'apprendimento permanente»;

          b) la determinazione degli obiettivi generali da conseguire nelle diverse articolazioni dell'offerta formativa;

          c) la promozione della qualità e dell'innovazione degli interventi;

          d) l'indirizzo e il coordinamento per acquisire ed elaborare dati e informazioni sulla domanda e sull'offerta di apprendimento permanente in coordinamento con le regioni;

          e) la determinazione e l'assegnazione delle risorse a carico del bilancio dello Stato.

      Le regioni hanno i compiti e le funzioni concernenti:

          a) l'indirizzo, la programmazione e lo sviluppo dell'apprendimento permanente, sulla base delle indicazioni del «Piano di azione nazionale per la promozione dell'apprendimento permanente», secondo specifiche esigenze di carattere unitario regionale;

          b) la ripartizione delle funzioni tra gli enti locali;

          c) la promozione della qualità e dell'innovazione degli interventi;

          d) il sistema di valutazione dell'offerta di apprendimento permanente;

 

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          e) lo sviluppo del sistema informativo regionale;

          f) l'indicazione degli indirizzi per l'attuazione di iniziative di formazione iniziale e continua delle diverse figure professionali impegnate nelle attività di apprendimento permanente, per quanto di competenza;

          g) la ripartizione agli enti locali delle risorse pubbliche in coerenza con quanto previsto dal «Piano di azione nazionale per la promozione dell'apprendimento permanente».

      La provincia svolge le seguenti funzioni:

          a) concorre con la regione alla definizione delle scelte di programmazione in tema di apprendimento permanente;

          b) predispone le linee generali per la programmazione territoriale, con particolare riferimento alla definizione del quadro complessivo delle risorse disponibili su scala provinciale;

          c) programma i servizi di informazione e di pubblicizzazione di interesse sovracomunale;

          d) collabora al monitoraggio del sistema a livello provinciale sulla base delle indicazioni ricevute dal livello regionale e in sinergia con eventuali progetti di monitoraggio e di valutazione di dimensione regionale.

      I comuni e le comunità montane svolgono le seguenti funzioni:

          a) concorrono con la regione e con la provincia alla definizione delle scelte di programmazione in tema di apprendimento permanente;

          b) provvedono al monitoraggio e all'analisi dei fabbisogni formativi e professionali che emergono dal territorio;

          c) programmano l'uso condiviso delle risorse disponibili;

          d) promuovono le iniziative nell'ambito dell'apprendimento permanente;

          e) concorrono alla definizione dei progetti pilota, sulla base delle priorità e delle vocazioni territoriali;

          f) promuovono la realizzazione e il coordinamento dell'insieme delle opportunità presenti a livello territoriale, ai fini del funzionamento integrato del sistema;

          g) organizzano iniziative per l'informazione e per l'orientamento degli utenti rispetto alle diverse opportunità.

      Lo strumento attuativo delle politiche nazionali è il menzionato «Piano di azione nazionale per la promozione dell'apprendimento permanente» approvato formalmente dal Governo e frutto di una intesa con la citata Conferenza unificata, previa concertazione con le parti sociali.

 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Princìpi generali).

      1. Ogni persona ha diritto all'apprendimento permanente.
      2. Per apprendimento permanente si intende ogni attività di apprendimento avviata in qualsiasi momento della vita, volta a migliorare le conoscenze, le capacità e le competenze in una prospettiva personale, civica, sociale e occupazionale.
      3. La Repubblica, in coerenza con le strategie dell'Unione europea, riconosce e promuove l'esercizio del diritto all'apprendimento permanente come condizione:

          a) di libertà e di uguaglianza di tutti i cittadini, in relazione alle loro condizioni fisiche, culturali, sociali e di genere;

          b) di effettiva partecipazione all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese;

          c) di sviluppo della competitività dell'Italia nel mondo.

      4. Il diritto all'apprendimento permanente ha per oggetto l'insieme dei processi formativi che riguardano i cittadini dalla nascita all'età avanzata e si esercita nell'insieme di opportunità di apprendimento a carattere formale, non formale e informale.
      5. Il diritto all'apprendimento permanente si esercita nel sistema integrato di educazione, istruzione, orientamento, formazione professionale, lavoro e cultura.

Art. 2.
(Diritto individuale alla formazione di base).

      1. Il diritto alla formazione di base riguarda tutti i cittadini fino al compimento del diciottesimo anno di età.

 

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      2. Tutte le bambine e i bambini, dalla nascita ai sei anni di età, senza alcuna distinzione, devono poter sviluppare pienamente le loro potenzialità di relazione, autonomia, creatività e apprendimento, in un adeguato contesto cognitivo, ludico e affettivo. A tale fine la Repubblica garantisce il diritto ad avere pari opportunità di educazione e di istruzione, di cura, di relazione e di gioco, superando disuguaglianze e barriere territoriali, economiche, etniche e culturali.
      3. In attuazione dell'articolo 34 della Costituzione, l'istruzione impartita per almeno dieci anni è obbligatoria ed è finalizzata a consentire il conseguimento di un titolo di studio di scuola secondaria superiore o di una qualifica professionale di durata almeno triennale entro il diciottesimo anno di età.
      4. È stabilito l'obbligo di frequenza di attività formative fino al compimento del diciottesimo anno di età o, comunque, sino al conseguimento di una qualifica di durata almeno triennale entro il diciottesimo anno di età. Tale obbligo può essere assolto in percorsi integrati di istruzione e di formazione:

          a) nel sistema dell'istruzione scolastica;

          b) nel sistema della formazione professionale di competenza regionale;

          c) nell'esercizio dell'apprendistato.

      5. L'obbligo di frequenza di attività formative si intende comunque assolto con il conseguimento di un diploma di scuola secondaria superiore o di una qualifica professionale.
      6. Le competenze certificate in esito a qualsiasi segmento dell'istruzione scolastica, della formazione professionale e dell'apprendistato costituiscono crediti per il passaggio da un sistema all'altro.
      7. L'età per l'accesso al lavoro è di sedici anni.
      8. È fatto divieto, prima del compimento del diciottesimo anno di età, di qualsiasi rapporto di lavoro che non abbia una valenza formativa certificabile e sanzionabile in caso di inadempienza.

 

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Art. 3.
(Diritto individuale all'apprendimento permanente).

      1. È garantito l'accesso ad attività di apprendimento permanente a tutte le persone, indipendentemente dalla loro condizione lavorativa, di genere, di età e dalla loro cittadinanza, per l'acquisizione di competenze utili alla loro crescita personale e professionale.
      2. La Repubblica rimuove gli ostacoli che impediscono l'accesso alle attività di apprendimento permanente, con particolare riguardo ai soggetti svantaggiati dal punto di vista sociale e culturale, ai disabili, ai lavoratori anziani e a rischio di obsolescenza professionale, ai lavoratori discontinui, ai disoccupati, agli inoccupati e agli stranieri.

Art. 4.
(Politiche di supporto alla domanda di apprendimento permanente).

      1. La Repubblica incoraggia la domanda di apprendimento permanente di tutti i cittadini attraverso interventi che hanno per oggetto la riduzione degli ostacoli di natura economica, l'aumento del tempo disponibile ai fini dell'apprendimento permanente, le libertà individuali in materia di apprendimento permanente.
      2. Per la riduzione degli ostacoli di natura economica sono previsti i seguenti interventi:

          a) allocazioni di risorse in favore di soggetti altrimenti esclusi dall'accesso all'apprendimento permanente;

          b) promozione e incoraggiamento di forme di risparmio a fini di apprendimento permanente, attraverso prestiti e forme assicurative;

          c) agevolazioni fiscali rapportate agli investimenti in apprendimento permanente di individui e di imprese.

 

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      3. Allo scopo di aumentare il tempo disponibile a fini di apprendimento permanente sono predisposti i seguenti interventi:

          a) il supporto alle diverse forme di permessi di studio retribuiti per lavoratori dipendenti e, in generale, di rafforzamento della compatibilità tra orario di lavoro e tempi per l'apprendimento permanente;

          b) la previsione di diritti individuali di apprendimento permanente in materie particolari di interesse sociale.

      4. Ai fini del riconoscimento delle libertà individuali in materia di apprendimento permanente sono previsti i seguenti interventi:

          a) il diritto individuale all'informazione sull'offerta esistente e sulla sua qualità;

          b) il diritto individuale alla scelta dell'offerta rispondente agli interessi personali e alla possibilità di personalizzare i percorsi di apprendimento permanente;

          c) il diritto individuale al riconoscimento e alla certificazione delle competenze acquisite sia nella precedente esperienza di vita e di lavoro che al termine di un percorso di apprendimento permanente.

Art. 5.
(Politiche di supporto all'offerta di apprendimento permanente).

      1. La Repubblica promuove e incoraggia la presenza su tutto il territorio nazionale di un sistema integrato di apprendimento permanente che assicuri un'offerta differenziata per livelli, modalità e contenuti, e volto a rispondere ai bisogni educativi dei diversi strati della popolazione dalla prima infanzia all'età avanzata, dei lavoratori dipendenti, dei lavoratori atipici, degli imprenditori e dei disoccupati.

 

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      2. Ai fini di cui al comma 1 sono previsti i seguenti interventi:

          a) investimenti pubblici e privati nel campo dell'edilizia e delle infrastrutture tecnologiche a carattere educativo;

          b) rafforzamento dell'autonomia delle istituzioni educative pubbliche;

          c) sviluppo dell'iniziativa privata per la creazione di servizi educativi di interesse pubblico;

          d) sviluppo della ricerca a supporto dei processi di innovazione dell'offerta;

          e) riqualificazione dei percorsi di formazione iniziale e continua del personale addetto alla programmazione, alla gestione e all'erogazione dei servizi;

          f) diffusione di modelli di controllo e di gestione della qualità dell'offerta;

          g) sviluppo della qualità educativa dei luoghi di lavoro.

Art. 6.
(Politiche di sviluppo dei servizi di supporto).

      1. La Repubblica promuove e incoraggia la presenza su tutto il territorio nazionale di una rete di servizi di supporto al sistema integrato di apprendimento permanente e ai cittadini.
      2. I servizi indicati al comma 1 sono di sostegno ai percorsi individuali, di validazione delle competenze individuali, nonché di monitoraggio e di controllo del sistema di apprendimento permanente.
      3. Per l'assolvimento di funzioni di supporto ai percorsi individuali sono previste:

          a) la diffusione di servizi di orientamento e di consulenza individuale;

          b) la diffusione di servizi di informazione, di centri di orientamento bibliografico e di documentazione di ogni tipo, dotati di servizi che consentono

 

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l'accesso autonomo alle varie forme di sapere;

          c) la diffusione dell'erogazione dei servizi di cui alle lettere a) e b) attraverso le nuove tecnologie.

      4. Per la validazione delle competenze individuali sono previste:

          a) la creazione di un sistema nazionale delle competenze;

          b) l'introduzione di forme di riconoscimento e di certificazione delle competenze;

          c) la previsione di norme che assicurino la mobilità degli individui tra sistemi in ragione delle competenze da essi possedute.

      5. Per le funzioni di monitoraggio e di controllo del sistema di apprendimento permanente sono previsti:

          a) un sistema nazionale di valutazione;

          b) la definizione di obiettivi generali relativi a ciascuna delle componenti del sistema;

          c) l'adozione di modelli comuni di pianificazione e di valutazione degli interventi.

Art. 7.
(Sussidiarietà e concertazione).

      1. Le attività di apprendimento permanente si conformano ai princìpi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, di cui al primo comma dell'articolo 118 della Costituzione, rivolti al sistema delle autonomie locali, e al principio di sussidiarietà, di cui al quarto comma del citato articolo 118 della Costituzione, rivolto all'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale.
      2. I processi di formazione dei piani di attività di apprendimento permanente si conformano ai princìpi del concorso istituzionale,

 

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della partecipazione sociale e dell'integrazione tra i sistemi di educazione, istruzione, orientamento, formazione professionale, lavoro e cultura.

Art. 8.
(Soggetti attuatori).

      1. Alla realizzazione delle attività di apprendimento permanente concorrono le istituzioni scolastiche, le istituzioni formative, le università, i centri di ricerca, le imprese, le organizzazioni sindacali, le associazioni, i soggetti pubblici e privati che operano nel campo dell'educazione formale, dell'educazione non formale e informale dei cittadini.
      2. I soggetti attuatori delle attività di apprendimento permanente operano in stretto collegamento tra di loro e interagiscono, quando necessario, con i servizi per l'impiego.
      3. I soggetti attuatori associati in reti nazionali costituiscono l'Osservatorio nazionale dell'apprendimento permanente, con finalità di indirizzo e di coordinamento del Piano di azione nazionale per la promozione dell'apprendimento permanente di cui all'articolo 14.
      4. Sono ammesse all'Osservatorio nazionale dell'apprendimento permanente le associazioni iscritte al registro nazionale di cui all'articolo 7 della legge 7 dicembre 2000, n. 388, e le organizzazioni sindacali e imprenditoriali.

Art. 9.
(Formazione continua aziendale. Impresa formatrice).

      1. È considerata impresa formatrice l'impresa che rispetta standard di qualità formativa nella gestione delle risorse umane.
      2. Gli standard indicati al comma 1 sono definiti in relazione:

          a) al contesto formativo strutturato che sostiene forme di organizzazione del

 

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lavoro finalizzate all'acquisizione di conoscenze e di competenze di base, trasversali e tecnico-professionali;

          b) alla capacità formativa adeguata per organizzare l'erogazione di interventi formativi specifici, avvalendosi di figure interne a tale fine formate e di lavoratori in grado di trasferire competenze con esperienze e titoli di studio adeguati, insieme al concorso di docenti esterni;

          c) alla disponibilità di locali idonei distinti da quelli destinati alla produzione e di strumenti didattici multimediali per la personalizzazione dei percorsi formativi;

          d) all'adozione di metodologie formative efficaci che comprendano formazione interna e formazione esterna per il miglioramento organizzativo, a partire dai problemi del contesto lavorativo;

          e) alla capacità di raccordarsi con agenzie formative esterne in caso di insufficienza delle strutture dell'impresa;

          f) alla disponibilità a concorrere alla certificazione degli esiti dei processi formativi che devono essere annotati dalle pubbliche amministrazioni nel libretto formativo del lavoratore;

          g) agli standard di accesso dei dipendenti alle opportunità formative interne ed esterne all'impresa;

          h) ai processi di educazione informale presenti all'interno dei luoghi di lavoro e connessi alla qualità delle relazioni tra le persone, alle competenze legate all'attività produttiva e alle conoscenze sulla sicurezza degli ambienti di lavoro.

      3. Le imprese formatrici che presentano le caratteristiche indicate al comma 2 possono essere riconosciute come soggetti formativi dalle pubbliche amministrazioni e costituire, insieme alle agenzie formative accreditate presenti nel territorio, una rete formativa usufruibile anche dalle imprese prive di tali caratteristiche, ma disponibili a fare formazione per i propri dipendenti.

 

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Art. 10.
(Piano formativo).

      1. Nelle imprese con più di quindici dipendenti e negli enti pubblici e privati il piano formativo è definito mediante accordo a livello sindacale aziendale nel quadro di quanto stabilito dai contratti collettivi nazionali di lavoro.
      2. L'accordo indicato al comma 1 definisce:

          a) i fabbisogni formativi in riferimento alle strategie aziendali, con particolare riguardo ai bisogni di aggiornamento e di qualificazione dei lavoratori a rischio di obsolescenza professionale, con livelli formativi più bassi, di età avanzata o in condizioni di svantaggio;

          b) l'entità del finanziamento aziendale;

          c) la partecipazione dei lavoratori in termini di utilizzo dei dispositivi contrattuali esistenti volti a rendere conciliabili i tempi della formazione con i tempi e con gli stili di vita dei lavoratori; è in ogni caso assicurato ad ogni lavoratore dipendente un pacchetto individuale di venti ore annue, cumulabile nell'arco di sei anni, destinato alla formazione professionale continua;

          d) l'impatto delle competenze acquisite dai lavoratori sui sistemi di inquadramento e di mobilità orizzontale e verticale.

Art. 11.
(Funzioni e compiti dello Stato).

      1. Lo Stato ha i compiti e le funzioni concernenti:

          a) la programmazione, l'indirizzo, il coordinamento della progressiva ed equilibrata estensione dell'apprendimento permanente su tutto il territorio nazionale, in coerenza con le linee contenute nel Piano di azione nazionale per la

 

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promozione dell'apprendimento permanente di cui all'articolo 14;

          b) la determinazione degli obiettivi generali da conseguire nelle diverse articolazioni dell'offerta di apprendimento permanente;

          c) la promozione della qualità e dell'innovazione degli interventi;

          d) l'indirizzo e il coordinamento per acquisire ed elaborare dati e informazioni sulla domanda e sull'offerta di apprendimento permanente in coordinamento con le regioni;

          e) la determinazione e l'assegnazione delle risorse a carico del bilancio dello Stato.

Art. 12.
(Funzioni e compiti delle regioni).

      1. Le regioni hanno i compiti e le funzioni concernenti:

          a) l'indirizzo, la programmazione e lo sviluppo dell'apprendimento permanente, sulla base delle indicazioni del Piano di azione nazionale per la promozione dell'apprendimento permanente di cui all'articolo 14, secondo specifiche esigenze di carattere unitario regionale;

          b) la ripartizione delle funzioni tra gli enti locali;

          c) la promozione della qualità e dell'innovazione degli interventi;

          d) il sistema di valutazione dell'offerta di apprendimento formativo;

          e) lo sviluppo del sistema informativo regionale;

          f) l'indicazione degli indirizzi per l'attuazione di iniziative di formazione iniziale e continua delle diverse figure professionali impegnate nelle attività di apprendimento permanente, per quanto di competenza;

          g) la ripartizione agli enti locali delle risorse pubbliche in coerenza con quanto

 

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previsto dal Piano di azione nazionale per la promozione dell'apprendimento permanente.

Art. 13.
(Funzioni e compiti degli enti locali).

      1. La provincia svolge le seguenti funzioni:

          a) concorre con la regione alla definizione delle scelte di programmazione in tema di apprendimento permanente;

          b) predispone le linee generali per la programmazione territoriale, con particolare riferimento alla definizione del quadro complessivo delle risorse disponibili su scala provinciale;

          c) programma servizi di informazione e di pubblicizzazione di interesse sovracomunale;

          d) collabora al monitoraggio del sistema a livello provinciale sulla base delle indicazioni ricevute dal livello regionale e in sinergia con eventuali progetti di monitoraggio e di valutazione di dimensione regionale.

      2. I comuni e le comunità montane svolgono le seguenti funzioni:

          a) concorrono con la regione e con la provincia alla definizione delle scelte di programmazione in tema di apprendimento permanente;

          b) provvedono al monitoraggio e all'analisi dei fabbisogni formativi e professionali che emergono dal territorio;

          c) programmano l'uso condiviso delle risorse disponibili;

          d) promuovono le iniziative nell'ambito dell'apprendimento permanente;

          e) concorrono alla definizione dei progetti pilota, sulla base delle priorità e delle vocazioni territoriali;

 

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          f) promuovono la realizzazione e il coordinamento dell'insieme delle opportunità presenti a livello territoriale, ai fini del funzionamento integrato del sistema;

          g) organizzano iniziative per l'informazione e per l'orientamento degli utenti rispetto alle diverse opportunità.

Art. 14.
(Piano di azione nazionale per la promozione dell'apprendimento permanente).

      1. Entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Governo predispone il Piano di azione nazionale pluriennale per la promozione dell'apprendimento permanente.
      2. Il Piano di azione di cui al comma 1 è adottato previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, sentiti i Ministri interessati, le organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori più rappresentative a livello nazionale e gli organismi di rappresentanza nazionale del terzo settore. Sullo schema di Piano è acquisita l'intesa con la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni.
      3. Il Piano di azione di cui al comma 1 è approvato all'inizio di ogni legislatura e ha una durata pari alla legislatura stessa.
      4. Il Piano di azione di cui al comma 1 deve prevedere un incremento della partecipazione ad attività di apprendimento permanente conforme agli obiettivi stabiliti dall'Unione europea.
      5. Il Piano di azione di cui al comma 1, sulla base di indicatori di evoluzione demografica e di riequilibrio territoriale, modula la destinazione delle risorse finanziarie alle regioni.
      6. Il Governo, entro il 30 giugno di ogni anno, trasmette al Parlamento e alla Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, il rapporto sullo stato di avanzamento del

 

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Piano di azione nazionale per la promozione dell'apprendimento permanente circa le attività e i risultati conseguiti al fine di assicurare lo svolgimento delle funzioni di verifica e di controllo.

Art. 15.
(Disposizioni finanziarie).

      1. Per il finanziamento del diritto all'apprendimento permanente è autorizzata la spesa di 50 milioni di euro per l'anno 2007, di 50 milioni di euro per l'anno 2008 e di 50 milioni di euro per l'anno 2009.
      2. All'onere derivante dall'attuazione della presente legge si provvede attraverso la corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa del Fondo nazionale per le politiche sociali di cui all'articolo 20, comma 8, della legge 8 novembre 2000, n. 328, come rideterminata dalla Tabella C della legge 27 dicembre 2006, n. 296.


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