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PDL 2483

XV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 2483



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa del deputato BELLILLO

Nuove disposizioni in materia di affidamento condiviso dei figli

Presentata il 3 aprile 2007


      

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Onorevoli Colleghi! - La famiglia, anche come istituzione costituzionalmente garantita, non cessa di far parlare di sé.
      Potremmo dire che la famiglia esiste proprio come trasformazione della relazione privata in relazione pubblica, quando cioè i due elementi della coppia, al di là del loro «fraseggio interdiadico» decidono di affrontare un livello superiore, diverso, sociale del loro «giocare insieme».
      Ecco quindi la richiesta, e la pressione, sui Ministri delle politiche per la famiglia e per i diritti e le pari opportunità, per il riconoscimento delle cosiddette «famiglie di fatto»; ecco che, a prescindere dal riconoscimento della famiglia di fatto, il nostro ordinamento ha, da sempre, riconosciuto come meritevole di «tutela», e quindi «pubblica», quella relazione dalla quale nasce un figlio, prescrivendo in concreto tutta una serie di norme a difesa della prole.
      In buona sostanza, dobbiamo notare che il confine tra l'ordinamento e la scelta assolutamente privata di vivere insieme corre proprio lungo il confine del «contenzioso di coppia», fermandosi per il resto il legislatore, anche nel caso di famiglia fondata sul matrimonio, a dettare norme per regolare, in via astratta, l'aspetto sostanzialmente patrimoniale della vita di una coppia e dei suoi figli.
      Ecco perché nessuna norma potrà mai essere considerata di troppo quando affronti gli aspetti delle «dinamiche oppositive» della coppia e degli effetti di queste sulla serenità e sullo sviluppo dei figli.
      Posto che, nel vivere la «crisi», verranno a galla, con estremo dolore, tutte le sensazioni legate alla proiezione relazionale fallita, con i suoi corollari della delusione, del rancore, della sostanziale incapacità di comprendere come e perché quel lui o quella lei non siano più gli stessi di sempre. Il momento della consapevolezza,
 

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quello che permetterà di comprendere agli ex elementi della coppia l'arcano della loro separazione (ovvero lui e lei non erano mai stati così come la proiezione li aveva fatti reciprocamente vedere) arriverà in un secondo tempo o, come l'esperienza insegna, può non arrivare mai.
      La presente proposta di legge trae la sua ragione d'essere dall'esame di quello che è stato il primo anno di applicazione delle norme introdotte nel febbraio 2006, con la legge n. 54 recante disposizioni in materia separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli. Applicazione che ha visto due sostanziali ostacoli, il primo dei quali è stato quello della mancata comprensione della portata innovativa del «diritto del minore a mantenere rapporti significativi con entrambi i genitori» - tanto che, in troppi casi, i tribunali hanno continuato a ragionare come se «l'affido condiviso» fosse un semplice nuovo nome con cui chiamare «l'affido congiunto», già esistente nel nostro ordinamento, mancando di osservare che la modifica non era solo letterale, ma concettuale, posto il richiamo della rubrica del novellato articolo 155 del codice civile allo specifico «diritto del minore» a mantenere rapporti continuativi con i genitori e non il contrario, e posto il mantenimento, in ogni caso, della potestà di entrambi.
      Per questo motivo è essenziale creare intorno al minore tutta una serie di «rimedi» che gli consentano di «rimanere a galla», durante il conflitto diadico, comunque traendo, da entrambi, quello che di buono e di costruttivo ogni genitore (e solo un genitore) può dare al proprio figlio.
      Nell'esaminare, quindi, le interrelazioni esistenti tra la tutela del minore e il suo coinvolgimento nel processo separativo dobbiamo in prima battuta tenere presente che il «figlio della coppia» è, e resterà, al centro di una «contesa fra due adulti» che, nella «normalità» dei casi, si svolge con modalità a dir poco conflittuali.
      E infatti, al di là delle aspirazioni o delle buone intenzioni sociali, non si può nascondere che la conflittualità agìta (spostamento esasperazione) o nascosta (congelamento) sia la vera e propria «colonna sonora» del momento separativo.
      Nessuno, a prescindere dal grado di cultura o dal livello sociale, è in grado di separarsi assumendo un atteggiamento freddo o distaccato nei confronti di un «evento» che lo tocca così profondamente sia sotto l'aspetto pubblico sia sotto l'aspetto personale.
      La crisi relazionale annulla tutte le differenze esistenti tra gli esseri umani, si è in quel momento tutti più eguali. Non si apprezza alcun diverso comportamento tra il «laureato» o il «cattedratico» rispetto a una diversa estrazione culturale o sociale.
      Il disagio di «tutti» troverà la sua origine sia nella perdita del quadro di riferimento (aspetto sociale) costituito dalla famiglia nel suo rapportarsi al mondo circostante, che porterà entrambi i coniugi a far in modo di «garantirsi» il massimo del «mantenimento» delle condizioni economiche, anche dopo la soluzione della vita di coppia, e non solo per egoismo ma per mantenere il «livello» di appartenenza, sia nella perdita (aspetto personale) di una «accettabile immagine di sé», che porta i coniugi a squalificare l'altro, consapevolmente o meno, come unico responsabile della chiusura del rapporto.
      Tali concetti, estremamente chiari in psicologia, tanto da essere posti a base dell'analisi in tutti i testi che affrontano la «crisi» di coppia e da aver costituito per diverse scuole di mediazione i minimi comuni denominatori del percorso mediativo, sono, per il mondo del diritto, semplicemente incomprensibili e quindi «non coniugabili» con il contenuto del «provvedimento» che andrà a regolare la vita dei coniugi all'atto della separazione.
      In altre parole ancora oggi, nonostante il fenomeno della «separazione» abbia raggiunto uno spessore di evidenza sociologica, le tematiche delle sentenze dei tribunali sono ferme nella loro arretratezza, e incapaci di vedere al di là del fenomeno della litigiosità, che si continua a considerare come un «elemento ostativo» a vivere la bigenitorialità.
 

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      Litigiosità: un termine dietro il quale si agitano, semplicemente, i concetti appena esposti. Quello che appare singolare è proprio l'incredibile paralisi, fino ad ora, del mondo del tribunali civili ad affrontare e ad analizzare nel concreto la famiglia e la sua «litigiosità», per umanizzarla e renderla, come nella realtà essa è, solo un modo di essere dell'agire dell'uomo.
      La legge e i suoi giudici sono da sempre stati in grado di affrontare quelle che venivano chiamate le «miserie umane», processi interi hanno sondato i drammi dell'uomo nel suo «commettere reati».
      Le aule di giustizia penale hanno visto nascere teorie di difesa che, nel «comprendere l'uomo», hanno accolto il diverso modo di sentire della società rispetto alla legge scritta, più lenta nell'adattarsi alle modifiche della vita di un popolo.
      Ma nelle aule di giustizia civile, il conflitto di coppia, le sue tematiche e le sue regole sono e restano, incredibilmente, cosa estranea alla comprensione del legale, quando, come ancora accade, ci si accontenta di un termine sotto il quale nascondere la superficialità di un ragionamento: la litigiosità.
      In troppe consulenze d'ufficio ancora si legge «la litigiosità tra i coniugi rende impossibile disporre l'affidamento all'uno o all'altro dei genitori» e si consiglia di pervenire, così, alla «soluzione transitoria» di «affidare» i minori ai servizi sociali competenti per territorio, semplicemente «allocandoli» presso un genitore (quasi sempre la madre), per poi immaginare un calendario di frequentazione per l'altro, rimandando, per un tempo ignoto, la decisione definitiva sull'affidamento al compiersi di quel percorso «immaginifico» di consapevolizzazione personale, al quale ognuno dei due «separandi» è invitato, puramente e semplicemente.
      Nel frattempo «il minore» rimane a vivere (anche se semplicemente «allocato») presso un solo genitore, che «purtroppo» lo potrà «arruolare silenziosamente», ed anche contro-voglia, nella guerra contro l'altro.
      Ma c'è di più: nei molti casi nei quali si riesce a ottenere un «approfondimento» delle «qualità e delle dinamiche genitoriali» i risultati del lavoro dei periti sono difficilmente traducibili nel linguaggio della giustizia.
      La relazione genitori-figli non è infatti statica, ma si sviluppa nel tempo, sia nel bene che nel male.
      E la «comportamentalità» dell'allocatario, che inchiodi il minore in atteggiamenti di ostilità nei confronti dell'altro genitore, renderà poi, nel tempo, anche quando la perizia potrà consentire una lettura delle dinamiche patologiche più chiara, molto difficile una via di soluzione, perché il tempo trascorso avrà radicato modi di essere e linguaggi che non potranno superarsi con semplicità.
      Ecco perché il nodo centrale della tutela del minore coinvolto nel processo separativo deve essere sciolto usando, tempestivamente, tutti i segnali di una «disfunzione genitoriale» che, anche se costituiscono materia prevalentemente psicologica, non possono non essere letti, con la dovuta immediatezza, dal giudice all'atto dell'emissione del suo primo provvedimento.
      Non può più, il giudice, fermarsi alla «favola» della litigiosità per escludere le parti dal coinvolgimento, ora finalmente accolto dall'ordinamento, della «responsabilità genitoriale»; le modifiche introdotte nella normativa vigente hanno questo senso profondo, e la loro applicazione è solo un fatto di progresso culturale.
      La litigiosità o, comunque, l'incapacità dei due coniugi a comunicare in modo sereno tra loro è cosa assolutamente diversa dal modo in cui ognuno dei due si rivolge al figlio.
      La guerra patrimoniale, quella per l'immagine del sé ferita e offesa, deve e può continuare; perché è semplicemente senza senso e senza alcun effetto il precetto che vorrebbe farla cessare, postponendola ad una «accettabile immagine del buon genitore».
      Il metro per poter leggere un buon genitore, il metro che potrebbe essere usato sia in ambito di lettura comportamentale sia in ambito di giustizia, è quello della considerazione e del rispetto dell'altro,
 

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come essenziale per un sereno ed equilibrato sviluppo del figlio comune.
      Il comportamento da sanzionare immediatamente, e saremmo tentati di dire senza appello, è quello che tende a escludere l'altro dalla fruizione del figlio.
      È un comportamento patogeno facilmente inquadrabile, viene considerato univocamente, dalla psicologia, come dannoso per la crescita del figlio, e deve trovare un ingresso, molto più efficace di ora, anche nel mondo del diritto.
      Diversamente, tutti i segnali di progresso giuridico, portati a compimento con il rendere dettato normativo la bigenitorialità (citata legge n. 54 del 2006), resteranno lettera morta, ma quel che è più grave è che non si riuscirà, per l'ennesima volta, a rendere giustizia a chi non si può difendere, a chi non può parlare, al minore, appunto.
      Questi, ancora una volta inascoltato, resterà incastrato nelle dinamiche degli adulti, sia in quelle di mamma e papà, che inconsapevoli continueranno nella loro «collusione» di coppia relegandolo inconsciamente ai margini del gioco, sia nella incapacità degli specialisti del diritto e della psicologia a fornire delle regole comportamentali, sviluppate dalla sinergia delle due culture, che pongano un freno e tutelino il piccolo dagli «effetti dannosi» della perdita del rapporto di crescita con un genitore.
      Riassumendo si può essere ottimi genitori anche se la dinamica con l'altro è, e resta, conflittuale.
      Il mondo della giustizia, quello dei precetti comportamentali, deve «assicurare ad entrambi i genitori» la fruibilità funzionale con i figli e, nel caso di comportamenti tesi a impedirla, «deve intervenire immediatamente» con la forza che gli è propria, quella della legge, per scongiurare il perseverare dei fenomeni di ablazione di una figura genitoriale. Soprattutto ora che l'ordinamento si è dotato, quasi inconsapevolmente, di norme che possono assicurare il raggiungimento di questo «obiettivo minimo», ma che, evidentemente, per la loro stessa novità filosofica stentano ad essere lette e applicate dagli operatori della giustizia.
      Nella prima verifica dell'applicazione della nuova legge di modifica della disciplina della separazione e del divorzio, conosciuta dal grande pubblico come quella che ha modificato i princìpi dell'affidamento dei figli, l'ostacolo maggiore è stato quello della «immobilità relativa» del mondo del diritto (citata legge n. 54 del 2006).
      Nessuno potrà mai porre rimedio ai danni derivanti da un affidamento sbagliato, né a quelli conseguenti a un'ablazione della figura di un genitore non contrastata per tempo.
      Le storie dei genitori che si separano sono un susseguirsi di racconti, di disagi e di peregrinazioni inutili, per tentare di vedere affermato un diritto che è tale solo sulla carta, ovvero quello ad essere genitore.
      La riforma operata dalla ricordata legge n. 54 del 2006 ha introdotto le basi di diritti ancora da adattare alla nostra realtà culturale (vedi, con l'articolo 709-ter del codice civile, il diritto ad ottenere il risarcimento del danno conseguente ad atteggiamenti contrari all'interesse dei minori) e alcune ottime diverse soluzioni (le possibilità di modificare con immediatezza un'allocazione) che, comunque, per affermarsi avranno bisogno di molto tempo.
      Quel tempo è da considerare troppo rispetto al numero dei minori che restano coinvolti nelle dinamiche conflittuali dei loro genitori, e che non hanno nessuna possibilità di veder mutare i loro destini perché l'approccio culturale «alla separazione e al tribunale per i minorenni» non è stato, ancora, modificato.
      Con questa consapevolezza possiamo ora tracciare alcune soluzioni per colmare i ritardi e le incongruenze oggi ancora esistenti nel sistema.
      All'articolo 1 della presente proposta di legge sono state previste delle modalità più efficaci per consentire ai figli il mantenimento di rapporti significativi con entrambi i genitori, tanto che secondo la nuova previsione: «il giudice (...) stabilisce, a loro garanzia, l'allocazione preferenziale
 

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presso la residenza di uno dei due genitori». Ma al fine di evitare che la tutela dei figli alla bigenitorialità resti lettere morta è stato previsto che «In ogni caso il giudice provvede a determinare con esattezza i tempi e le modalità della presenza dei figli con ciascun genitore». È così divenuto precetto normativo il rimedio della «esatta calendarizzazione» della frequenza dei figli con i genitori.
      Riteniamo questo principio estremamente importante perché non dobbiamo dimenticare che l'applicazione normativa in questione interviene nel momento di massima distanza della coppia, quando sono pesantemente in gioco i meccanismi di squalificazione e di negazione dell'altro, e quindi la legge, prevedendo un «provvedimento di giustizia» emesso per regolare le frequentazioni di mamma e di papà, resta il vero baluardo per il diritto dei figli a mantenere relazioni significative con entrambi.
      Quando questo provvedimento non ci sia, o sia poco articolato, lasciando alla «buona volontà» delle parti di mantenere gli equilibri, nella speranza che richiami generici alla civiltà o al benessere dei figli facciano il loro effetto, assistiamo a veri e propri «fenomeni di ablazione di una delle due figure genitoriali», che riguardano molto spesso, troppo spesso, il padre.
      L'obbligo per il magistrato di disporre «con esattezza i tempi e le modalità della presenza dei figli presso ciascun genitore» e, «in caso di contestazione tra le parti, avvalendosi di idonea consulenza tecnica» è il principio cardine per garantire il salto qualitativo della tutela del diritto dei figli a godere di entrambe le figure genitoriali.
      Il comma 2 del medesimo articolo 1, nel modificare l'articolo 155-quater del codice civile, mantiene la previsione generale di verificare il singolo caso, e così di evitare l'odioso fenomeno di «riserve di godimento della casa ex coniugale» in danno degli altri aventi diritto, a suo tempo estromessi dall'abitazione solo per tutelare le esigenze dei figli; ma nello specificare la portata della norma si è voluto mettere l'accento sulla centralità della tutela dell'interesse e della serenità della prole «a mantenere ivi l'allocazione» nei casi di un'eventuale convivenza more uxorio e di un nuovo matrimonio.
      Ciò comporta che è stata prevista l'abolizione di ogni automatismo nel considerare i due casi specifici richiamati (ricostituzione di un nuovo nucleo familiare con base nella ex casa coniugale), ma è stato lasciato al giudice il necessario potere di valutare caso per caso.
      Al comma 3 del citato articolo 1, nel modificare l'articolo 155-quinques del codice civile, si è voluto intervenire su un fenomeno che ha risvolti drammatici e che è conosciuto come «conflitto di lealtà».
      In buona sostanza, non è sufficiente essere maggiorenni per poter evitare di restare «paralizzati» dalle omissioni contributive di un proprio genitore, che facendo leva troppo spesso sui «rapporti filiali» raggiunge il risultato di «paralizzare» ogni richiesta economica «diretta del proprio figlio».
      Troppo spesso abbiamo sentito di figli a carico, o di figli ormai maggiorenni ma ancora studenti universitari, che, pur bisognosi di libri, del pagamento delle rette per palestre o per di altri sostegni economici per poter crescere, rinunciavano a questi benefìci perché l'onerato non vi provvedeva nonostante l'ordine del giudice, accontentandosi di quello che comunque gli veniva passato dal genitore convivente, ma rifiutandosi categoricamente di parlare o di richiedere qualcosa al genitore «omissivo al proprio obbligo».
      Dunque, se da un lato, con la modifica strategica prevista dalla presente proposta di legge si riuscirà, nel rendere concreta la bigenitorialità, a migliorare il rapporto con entrambi i genitori, e se, da un altro lato, è giusto prevedere la possibilità di un rapporto di «contributo al mantenimento diretto» tra il figlio maggiorenne e il genitore onerato, è comunque necessario e corretto lasciare la «facoltà al genitore allocatorio di poter agire direttamente» per poter ottenere quella forma di contributo «dovuta» che il figlio maggiorenne non ha avuto versata in suo favore.
      Al comma 4 del medesimo articolo 1 si è intervenuti necessariamente sull'articolo
 

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155-sexies, che è quello che ha reso obbligatoria l'audizione del minore nel processo di separazione dei suoi genitori.
      Salutato da molti come un'importante innovazione che mette al pari la nostra civiltà giuridica con quella delle altre nazioni, dimenticandosi che troppe volte sono proprio le differenze che ancora esistono nella nostra legislazione a fare dell'Italia un Paese all'avanguardia nel mondo della civiltà giuridica, nella stesura del citato articolo 155-sexies ci si era dimenticati di specificare due punti sostanziali affinché «l'audizione» fosse un'ulteriore garanzia dei diritti del minore e non una trovata di facciata.
      Con la modifica in oggetto si è quindi previsto l'obbligo di leggere le dichiarazioni del minore ricorrendo all'ausilio di un consulente specifico, con competenze psicologiche in materia di età evolutiva, perché l'esperienza sul campo ci insegna che quello che il minore «dice» è cosa a volte diametralmente opposta a quello che è il suo interesse. In questo ambito trova la sua massima applicazione la dinamica dell'arruolamento del minore con l'uno o l'altro dei due genitori. Arruolamento che è «inconscio» e che può avvenire con modalità adattive di rifiuto o di protezione.
      Così ci possiamo trovare al cospetto di minori che avendo assorbito l'atteggiamento (non chiaramente espresso verbalmente) di uno dei due genitori che squalifica l'altro, dichiareranno con «tranquillità e certezza» la loro «non voglia» a frequentarlo, magari completando la narrazione con elementi fantastici.
      O, al contrario, ci possiamo trovare al cospetto di minori che avendo sviluppato un atteggiamento di critica silenziosa verso un modo di essere antagonista tra la madre e il padre, sceglieranno il perdente e lo «adotteranno nella loro preoccupazione a proteggerlo» (fenomeni di adultizzazione), dichiarando così cose che apparentemente appaiono serene ed equilibrate, ma che nascondono nel modo di essere espresse altri drammi della crescita.
      Certo è che il giudice del tribunale civile, allo stato degli atti, non è in grado per propria specifica, legittima, incompetenza a leggere le «parole del minore nel corso della sua audizione». Ecco perché vi è la necessità, quando il minore abbia l'avventura di essere sentito, che vi sia qualcuno capace di capirne effettivamente «il linguaggio».
      Posto l'inserimento dell'audizione obbligatoria nel novero degli atti che formano il percorso giudiziario del processo separativo, è poi conseguenziale prevedere modalità operative per la stessa, comunque fuori dal contesto di aule affollate e chiassose, e con l'ulteriore previsione del diritto delle parti del processo, ove non sia possibile la registrazione audiovisiva, a far assistere all'audizione propri consulenti di parte, stante l'impossibilità con la semplice verbalizzazione di rendere il «contesto dell'audizione».
      Con la modifica recata dal medesimo comma 4, lettera b), si è voluta dare un'ulteriore forza all'affermazione della cultura della mediazione familiare, prevedendo l'obbligo della informazione «sulle opportunità offerte dal percorso di mediazione» e si è voluto espressamente evitare ogni diverso richiamo in merito nella certezza che l'approccio di un coppia alla mediazione familiare sia fruttuoso solo nel caso in cui questa venga liberamente scelta.
      All'articolo 2, comma 1, lettera a), della presente proposta di legge si prevede una modifica all'articolo 709-ter del codice di procedure civile nella parte in cui non individua, nel caso di procedimento separativo chiuso, il giudice competente a giudicare solo sulle «controversie insorte in ordine al pacifico esercizio della bigenitorialità». Lo si è quindi individuato nel giudice che ha emesso il provvedimento di regolamentazione in favore del minore, e che si assume violato, proprio per consentire una migliore capacità di analizzare la questione sulla base della già acquisita conoscenza, da parte del tribunale, della personalità dei genitori all'atto dell'emissione del provvedimento; evitando, pertanto, che successivi mutamenti della residenza del minore obblighino allo svolgimento di ulteriori accertamenti sulla personalità
 

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genitoriale, come accadrebbe nel caso in cui la competenza venisse fissata secondo il principio della «attuale» residenza del minore.
      Sempre al comma 1, lettera b), si è corretta doverosamente una «incompresibile» previsione che vedeva nella cassa delle ammende il beneficiario finale delle «ulteriori» sanzioni che il giudice civile ha il potere di comminare al genitore che con il suo comportamento sia di nocumento al figlio minore.
      Si è quindi prevista l'abrogazione del numero 4) del secondo comma dello stesso articolo 709-ter, posto il fatto che i numeri 2) e 3) del medesimo comma prevedono che il genitore inadempiente all'obbligo del rispetto della bigenitorialità può essere condannato a pagare, direttamente a titolo risarcitorio, una somma sia in favore dell'altro genitore sia in favore del figlio, e che un'ulteriore sanzione (prevista come sanzione amministrativa pecuniaria) in ambito delle relazioni intrafamiliari ha il solo effetto di rendere più tesi e conflittuali tutti i rapporti che, astrattamente, si pensa di tutelare.
      All'articolo 3 della presente proposta di legge si è prevista la soluzione della diatriba nata nel mondo del diritto sulla questione della competenza a conoscere tutte le questioni relative alla cessazione di un contesto familiare, prevedendo che questa sia riservata al tribunale ordinario.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Modifiche al codice civile).

      1. Il secondo periodo del secondo comma dell'articolo 155 del codice civile è sostituito dai seguenti: «Nell'applicazione del principio di cui al primo comma, il giudice determina prioritariamente che i figli siano affidati ad entrambi i genitori, e comunque stabilisce, a loro garanzia, l'allocazione preferenziale presso la residenza di uno dei genitori. In ogni caso il giudice provvede a determinare con esattezza i tempi e le modalità della presenza dei figli con ciascun genitore, avvalendosi nel caso di contestazioni o di specifiche richieste delle parti di idonea consulenza. Fissa altresì, nel medesimo provvedimento con il quale stabilisce circa l'affidamento e l'allocazione preferenziale, la misura delle contribuzioni che entrambi i genitori sono tenuti a dare ai figli per il loro mantenimento, disponendo anche il modo in cui ciascuno di essi deve provvedere alla cura, all'istruzione e all'educazione dei figli».
      2. Al terzo periodo del primo comma dell'articolo 155-quater del codice civile sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «; in tali casi la richiesta può essere accolta previa valutazione dell'interesse della prole a mantenere ivi l'allocazione con il medesimo genitore. Il provvedimento di caducazione del diritto al godimento della casa familiare deve essere espressamente motivato».
      3. Al primo comma dell'articolo 155-quinquies del codice civile è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Resta salva la facoltà per il genitore allocatario di poter agire direttamente per la corresponsione dell'assegno, ove non corrisposto al figlio

 

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dall'obbligato, anche ricorrendo al pagamento da parte di terzi datori di lavoro».
      4. All'articolo 155-sexies del codice civile sono apportate le seguenti modificazioni:

          a) al primo comma, dopo le parole: «Il giudice dispone,» sono inserite le seguenti: «sempre ricorrendo all'ausilio di un consulente che sia in grado di leggere, comprendere e tradurre le dichiarazioni di un minore,» ed è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «L'audizione viene disposta in locali diversi dall'aula di udienza e, ove questi non siano disponibili, in orari diversi da quelli delle udienze. All'audizione hanno diritto a presenziare i consulenti delle parti ove la stessa non possa essere registrata su supporto videofonico»;

          b) al secondo comma, sono premesse le seguenti parole: «Il giudice, sin dall'udienza presidenziale, in ogni caso, informa entrambe le parti sulle opportunità offerte dal percorso di mediazione familiare come soluzione per vivere una genitorialità paritetica».

Art. 2.
(Modifiche all'articolo 709-ter del codice di procedura civile).

      1. All'articolo 709-ter del codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:

          a) al primo comma, dopo il primo periodo è inserito il seguente: «Nel caso in cui il procedimento nel quale sono stati disposti i provvedimenti di cui agli articoli 155 e seguenti del codice civile sia definito, per la soluzione delle controversie insorte in ordine al pacifico esercizio della bigenitorialità è competente il tribunale che ha emesso i provvedimenti, che si assumono violati, in favore dei minori»;

          b) il numero 4) del secondo comma è abrogato.

 

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Art. 3.
(Modifica all'articolo 4 della legge 8 febbraio 2006, n. 54).

      1. All'articolo 4 della legge 8 febbraio 2006, n. 54, è aggiunto, in fine, il seguente comma:

      «2-bis. La competenza a decidere sui giudizi di cui alla presente legge è attribuita al tribunale ordinario».


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