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PDL 2339
XV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 2339



 

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PROPOSTA DI LEGGE
d'iniziativa dei deputati

DONADI, MURA, ANGELI, BARANI, BORGHESI, CATONE, COSTANTINI, EVANGELISTI, FADDA, FERRIGNO, LAGANÀ FORTUGNO, MISITI, LEOLUCA ORLANDO, OSSORIO, PALMIERI, PALOMBA, PEDICA, PISICCHIO, PORFIDIA, RAZZI, ROSSO

Modifiche al testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, e altre disposizioni a sostegno della maternità, istituzione dell'indennità di genitore ed elevazione dell'età pensionabile delle donne

Presentata il 7 marzo 2007


      

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Onorevoli Colleghi! - Il nostro sistema previdenziale ha sempre previsto un trattamento coerentemente e legittimamente differenziato tra uomo e donna. Infatti, anche a fronte di una aspettativa di vita più lunga per la popolazione di sesso femminile, le donne hanno sempre goduto di un'età pensionabile più bassa. Tale previsione è dovuta al fatto che lo Stato deve giustamente sostenere la generalità dei ruoli di cui la donna nella nostra società si fa carico: madre e lavoratrice, senza trascurare i gravosi compiti sostenuti all'interno dell'attività domestica. È assolutamente necessario considerare il gravame che il ruolo svolto dalla donna comporta.
      Pertanto, è nostra convinzione che la «forbice» relativa all'età pensionabile debba permanere, ma che debba essere differentemente equilibrata non solo per il sempre più ampio e marcato inserimento della donna nel mondo del lavoro, ma anche per le difficoltà sempre più pesanti che accompagnano la donna in particolare, e le famiglie più in generale, nella decisione di mettere al mondo un figlio.
      Crediamo quindi che il fondamentale ruolo della donna nella nostra società meriti un aiuto più sostanzioso in un'altra fascia di età, che non è quella, già favorita dalla legislazione vigente, intorno ai sessanta anni di età, ma il periodo della maternità.
 

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      Inoltre, vi è da considerare che siamo oramai di fronte a un cambiamento epocale, che negli ultimi anni ha assunto sempre di più una chiara fisionomia, ossia una modifica sostanziale nella composizione della popolazione italiana.
      Grazie, infatti, all'esistenza di livelli di benessere oggi sostanzialmente diffusi, e che abbiamo il dovere di continuare a salvaguardare, alle conquiste ottenute per l'affermazione di un sistema di welfare competitivo e soddisfacente, all'aumento dell'istruzione media e delle campagne di prevenzione e, soprattutto, grazie ai continui progressi scientifici in campo medico, oggi l'aspettativa di vita della popolazione italiana è, rispetto al recente passato, decisamente e rapidamente aumentata.
      In questo senso l'Italia si muove in linea con gli altri Paesi europei e, più in generale, con i Paesi industrializzati, nei quali, negli ultimi anni, si è registrato un trend costante nell'aumento dell'aspettativa di vita.
      Contemporaneamente i Paesi industrializzati, specie quelli occidentali, e quelli europei in particolare, stanno registrando un calo evidente delle nascite, più o meno marcato, a seconda delle diverse realtà nazionali, ma comunque considerevole.
      In questo quadro l'Italia è uno dei Paesi che mostra delle tendenze più accentuate verso la cosiddetta «nascita zero». È un dato allarmante che ci pone di fronte a difficoltà di breve ma anche di lungo periodo.
      Il calo delle nascite, incrociato con l'aumento delle aspettative di vita e dunque con l'innalzamento dell'età della popolazione italiana, crea una nuova realtà particolarmente complessa da governare. Sono sempre meno i cittadini in età lavorativa e sempre di più quelli in età da pensione. Questa tendenza è destinata inevitabilmente ad aumentare nei prossimi anni.
      Si deve, inoltre, considerare che il mercato del lavoro italiano, sulla scia di un processo sempre più veloce di globalizzazione, in questi anni ha subìto profondi cambiamenti, tali da trasformarlo completamente. Alla partizione classica tra lavoro autonomo e lavoro dipendente si è aggiunta, sovrapponendosi sempre più marcatamente, tutta una serie di nuove tipologie contrattuali finalizzate a una maggiore flessibilità del lavoro. Questa trasformazione sta provocando effetti notevoli sia sul livello retributivo che su quello contributivo e previdenziale per tutte le giovani generazioni che si affacciano al mondo del lavoro. Vi è inoltre da considerare che nel breve periodo l'attivazione di una maggiore flessibilità del mercato del lavoro è spesso avvertita dal singolo lavoratore come una forte precarizzazione della propria attività lavorativa.
      Ci troviamo, dunque, di fronte a una situazione nei suoi contorni evidentemente chiara: da una parte meno giovani lavoratori, per giunta più flessibili o precari che dir si voglia, dall'altra, invece, sempre più pensionati, che oggi, però, possono essere definiti «giovani pensionati».
      I progressi scientifici, infatti, quelli medici in particolare, ma più in generale il miglioramento delle condizioni di vita, non solo hanno prolungato le aspettative di vita ma, parimenti, hanno reso l'esistenza decisamente più vivibile e attiva.
      Fasce di età come quella tra i sessanta e i settanta anni, che fino a qualche tempo fa potevano essere definite «vecchie», oggi presentano ben altre caratteristiche, poiché tali soggetti sono e restano attivi, sicuramente in grado di poter continuare la propria attività lavorativa.
      È un'opportunità, quella che i progressi scientifici ci mettono a disposizione, che bisogna valutare attentamente, cercando di sfruttarne le potenzialità piuttosto che subirne gli effetti.
      Rispetto ai cambiamenti che abbiamo di fronte diventa altamente improbabile, e per molti aspetti anche rischioso, pensare di poter fare gravare i costi del mercato del lavoro su una popolazione di lavoratori attivi sempre più ristretta e, per giunta, flessibile o, ancora peggio, precaria.
      Appare socialmente non sostenibile lasciare che all'interno del mercato del lavoro, spesso negli stessi comparti, convivano e operino cittadini con un livello di
 

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tutele e di garanzie elevato e altri con un livello molto meno esteso.
      I costi della previdenza non possono restare sulle spalle di una ristretta minoranza di giovani lavoratori a cui non si può offrire, tra l'altro, lo stesso livello di garanzie e di tutele di chi li ha preceduti nell'attività lavorativa.
      Il legislatore ha il dovere di mantenere alti i livelli di welfare anche per le nuove generazioni, e per farlo è necessario saper adattare il nostro sistema di garanzie e di tutele ai mutati bisogni ed esigenze della popolazione.
      In particolare, sappiamo bene come oggi il ruolo della donna sia sempre più importante per la società contemporanea e come la sua attività si sia evoluta e modificata nel tempo. La donna non è più destinata esclusivamente a ricoprire un ruolo domestico; è invece, sempre più, protagonista del mercato del lavoro. Negli ultimi trent'anni le donne hanno conquistato meritevolmente sempre più autonomia e spazi nel mondo del lavoro, hanno una formazione sempre più competitiva e partecipano a pieno diritto allo sviluppo del mercato del lavoro: il loro è un contributo fondamentale e, insieme, una conquista sociale e una dimostrazione della civiltà del nostro Paese.
      Il contributo delle donne nelle professioni e nel mondo del lavoro non è però solo una conquista sociale, ma è anche una variabile determinante per la competitività dell'intero «sistema Italia». Inoltre, come se non bastasse, bisogna tenere presente, senza mai dimenticarlo, che senza il contributo lavorativo delle donne molte famiglie italiane, soprattutto nelle grandi città, non potrebbero sostenere il costante aumento dei costi della vita quotidiana e che l'economia di intere famiglie, senza il lavoro delle donne, sarebbe messa decisamente in crisi.
      Appare dunque fondamentale sostenere gli sforzi delle donne italiane ed è, pertanto, inaccettabile metterle di fronte a una scelta drammatica come quella di dover optare tra l'essere madri oppure mantenere la propria attività lavorativa, una scelta che purtroppo sempre più donne sono costrette ad affrontare.
      Il 17 gennaio 2007 l'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ha pubblicato i risultati delle seconda edizione dell'indagine campionaria sulle nascite riferita all'anno 2005. I risultati sono, a un tempo, desolanti e preoccupanti. In primo luogo è emerso che oramai nel nostro Paese il modello familiare nettamente prevalente è quello del figlio unico, e che l'età media delle madri è velocemente aumentata fino a raggiungere la soglia dei trent'anni. In secondo luogo, dall'indagine emerge che il motivo principale che impedisce alle donne di avere un secondo figlio è di carattere economico, la paura, cioè, o la certezza, di non potersi permettere di mantenere un secondo figlio.
      Connesso a questo, un altro motivo di impedimento alle nascite è il lavoro: le donne lavoratrici, come rileva la citata indagine dell'ISTAT, denunciano di trovarsi di fronte a una scelta netta tra l'essere madri o continuare a lavorare, Sempre secondo l'indagine dell'ISTAT, ben il 63 per cento delle neo madri che erano inserite nel mercato del lavoro al momento del parto, una volta uscite non sono più riuscite a rientrarvi.
      Bisogna dunque scegliere che strada prendere: costruire un mercato del lavoro caratterizzato dalla presenza di pochi lavoratori giovani, precari e tutti uomini, su cui fare gravare i costi di tutele e di garanzie destinate ad altri e di cui loro certamente non potranno usufruire, oppure costruire un mercato del lavoro più inclusivo nel quale, ad esempio, un cittadino di cinquantasette, sessanta o sessantacinque anni di età, e in particolare una donna, ancora nel pieno della vita, possa continuare a contribuire al benessere suo, dei suoi figli e delle nuove generazioni, favorendo, altresì, con il proprio lavoro, la creazione di una serie di ammortizzatori sociali che consentano alle giovani donne di scegliere con serenità di essere madri senza dover abbandonare la propria attività lavorativa.
      Onorevoli colleghi, lo scopo di questa proposta di legge è proprio quello di
 

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creare una serie di ammortizzatori sociali per le donne, per le giovani madri, per le lavoratrici, per le nuove famiglie italiane e, pertanto, in fondo, per il futuro di tutto il Paese. Continuare a pensare che i cittadini italiani si possano attestare sul livello di tutele e di garanzie appartenente a un'altra epoca significa solo fare della demagogia, oltretutto anche pericolosa perché fatta sulla «pelle della gente».
      Il Paese ha bisogno di riforme e, a quanto sembra, tutti sono pronti a dichiararsi riformisti; pochi però ricordano che le riforme, quelle vere, quelle utili, hanno sempre un costo. Obiettivo della presente proposta di legge è quello di individuare un costo sostenibile, accettabile a fronte della creazione di un necessario sostegno alle giovani donne e alle famiglie del nostro Paese.
      L'intervento è articolato in due differenti direzioni.
      La prima è quella di proporre il finanziamento di una serie di incentivi alla maternità che, come rilevato, risente gravemente della mancanza di un sistema di previdenza sociale che assicuri una protezione per le donne che decidono di mettere al mondo un figlio.
      La seconda, necessaria per consentire la fattibiltà della prima, è quella di proporre l'innalzamento dell'età pensionabile delle donne a sessantacinque anni, equiparandola sostanzialmente a quella degli uomini.
      In sintesi, al fine di finanziare gli interventi a sostegno della maternità, la proposta di legge prevede un innalzamento dell'età pensionabile coerente con l'allungamento della vita media e della sua qualità e, contemporaneamente, un rafforzamento degli istituti di garanzia e di sostegno della maternità, che attualmente, secondo la nostra opinione ampiamente suffragata dai fatti, sono carenti e assolutamente insufficienti.
      Più specificatamente, con la presente proposta di legge si prevedono la modifica del periodo obbligatorio di congedo per maternità, che dovrebbe passare dai due mesi precedenti e dai tre mesi successivi al parto ai due mesi precedenti e ai cinque mesi successivi, e la riduzione dell'ulteriore periodo facoltativo di congedo per maternità dai sei mesi attuali a quattro mesi.
      Si prevede, inoltre, la concessione alle madri dell'opportunità, al termine di questi due periodi di congedo, l'uno obbligatorio e l'altro facoltativo, di ottenere un reinserimento graduale nell'attività lavorativa attraverso la possibilità di chiedere un part time così articolato: a sei ore giornaliere (e in questo caso il datore di lavoro è obbligato ad acconsentire alla richiesta della donna) oppure a quattro ore giornaliere (e in questo caso il datore di lavoro non ha l'obbligo, ma solo la facoltà di acconsentire alla richiesta della donna). In entrambi i casi, però, i costi sostenuti dal datore di lavoro sono quasi completamente a carico dello Stato e sono finanziati dal risparmio prodotto dall'innalzamento dell'età pensionabile delle donne.
      Proponiamo anche di assimilare l'assunzione della donna che rientra nel mondo del lavoro entro i due anni successivi al parto all'assunzione dei lavoratori in mobilità, affinché il datore di lavoro che assume una donna in tale biennio possa usufruire di tutti gli sgravi fiscali e contributivi di cui usufruisce assumendo un lavoratore in mobilità. L'incentivo non si applica al datore di lavoro che ha licenziato una donna nei dodici mesi precedenti il parto.
      Per ciò che concerne gli asili nido, la proposta di legge prevede due tipologie di intervento.
      Con la prima si propongono sgravi fiscali per i datori di lavoro che prevedono autonomamente la realizzazione di uno specifico servizio di asili nido aziendali. Con la seconda si detta una norma di principio, nel rispetto del riparto di competenze di cui all'articolo 117 della Costituzione e della giurisprudenza costituzionale in materia, in base alla quale nell'ambito del piano straordinario di intervento per lo sviluppo del sistema territoriale dei servizi socio-educativi, di cui al comma 1259 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e a valere
 

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sulle risorse stanziate ai sensi del comma 1260 del medesimo articolo 1, ogni regione prevede opportuni incentivi affinché gli asili nido situati nel rispettivo territorio garantiscano un servizio che, per quantità di posti e per orario, riesca a consentire alle madri di svolgere un'attività lavorativa a tempo pieno nei primi cinque anni di vita del bambino.
      Si ritiene, inoltre, necessaria l'istituzione, sul modello tedesco, di una specifica indennità di genitore che sia per le famiglie italiane, e per le donne in particolare, uno strumento concreto, coerente, costante e, per quanto possibile, modulato a seconda della situazione economica di ogni singola famiglia, un riferimento sicuro per affrontare con le dovute serenità e sicurezza la scelta di essere madre.
      Infine, sono previste apposite sanzioni per coloro che, con false dichiarazioni, attestino redditi non corrispondenti al vero, al fine di avere diritto all'indennità di genitore prevista dall'articolo 7.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Durata del periodo di congedo obbligatorio per maternità).

      1. Alla lettera c) del comma 1 dell'articolo 16 del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, di seguito denominato «testo unico», e successive modificazioni, le parole: «durante i tre mesi dopo il parto» sono sostituite dalle seguenti: «durante i cinque mesi dopo il parto».
      2. Al comma 1 dell'articolo 20 del testo unico, le parole: «nei quattro mesi successivi al parto» sono sostituite dalle seguenti: «nei sei mesi successivi al parto».

Art. 2.
(Durata del periodo di congedo parentale facoltativo).

      1. All'articolo 32 del testo unico sono apportate le seguenti modificazioni:

          a) al comma 1:

              1) all'alinea, le parole: «eccedere il limite di dieci mesi» sono sostituite dalle seguenti: «eccedere il limite di sette mesi»;

              2) alla lettera a), le parole: «non superiore a sei mesi» sono sostituite dalle seguenti: «non superiore a quattro mesi»;

              3) alla lettera b), le parole: «non superiore a sei mesi, elevabile a sette» sono sostituite dalle seguenti: «non superiore a quattro mesi, elevabile a cinque»;

 

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              4) alla lettera c), le parole: «non superiore a dieci mesi» sono sostituite dalle seguenti: «non superiore a sette mesi»;

          b) al comma 2, le parole: «non inferiore a tre mesi» sono sostituite dalle seguenti: «non inferiore a due mesi» e le parole: «è elevato a undici mesi» sono sostituite dalle seguenti: «è elevato a otto mesi».

Art. 3.
(Misure di sostegno al reinserimento delle madri nel mondo del lavoro).

      1. Al capo IX del testo unico, dopo l'articolo 56, e successive modificazioni, è aggiunto il seguente:

      «Art. 56-bis. - (Misure di sostegno al reinserimento delle madri nel mondo del lavoro). - 1. Nel caso di instaurazione di un rapporto di lavoro con una lavoratrice nei due anni successivi al parto, le aliquote contributive previdenziali e assistenziali previste dalla legislazione vigente sono ridotte nella misura del 75 per cento per i primi trentasei mesi, ferma restando la contribuzione a carico della lavoratrice nelle misure previste per la generalità dei lavoratori.
      2. Le disposizioni del comma 1 non si applicano qualora il rapporto di lavoro tra i soggetti interessati sia stato interrotto nei ventiquattro mesi antecedenti all'assunzione della lavoratrice».

Art. 4.
(Orario di lavoro a tempo parziale).

      1. All'articolo 60 del testo unico sono aggiunti, in fine, i seguenti commi:

      «3-bis. La lavoratrice o il lavoratore che riprendono l'attività lavorativa dopo i periodi di congedo obbligatorio o facoltativo hanno diritto a un reinserimento graduale mediante l'applicazione di un orario di lavoro a tempo parziale.
      3-ter. La riduzione di orario di cui al comma 3-bis è applicata su richiesta della

 

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lavoratrice o del lavoratore e può essere modulata in:

          a) 30 ore lavorative settimanali. In tale caso il datore di lavoro è obbligato ad accettare la richiesta della lavoratrice o del lavoratore;

          b) 20 ore lavorative settimanali. In tale caso il datore di lavoro ha la facoltà di accettare o di rifiutare la richiesta della lavoratrice o del lavoratore.

      3-quater. Il diritto alla riduzione dell'orario di lavoro può essere esercitato per un periodo di dodici mesi, se la lavoratrice o il lavoratore ha utilizzato sia il congedo obbligatorio sia il congedo facoltativo, oppure per un periodo di diciotto mesi, se la lavoratrice ha fatto ricorso eslcusivamente al congedo obbligatorio.
      3-quinquies. In entrambi i casi di cui al comma 3-ter, è posto a carico all'INPS l'onere di provvedere alla contribuzione figurativa per la differenza di orario rispetto al rapporto di lavoro a tempo pieno limitatamente a dieci ore lavorative settimanali. In caso di richiesta di riduzione dell'orario di lavoro ai sensi della lettera b) del comma 3-ter, l'onere della contribuzione relativa alle ore lavorative eccedenti le dieci ore lavorative settimanali è posto a carico del datore di lavoro.
      3-sexies. In entrambi i casi di cui al comma 3-ter, le aliquote contributive previdenziali e assistenziali previste dalla legislazione vigente sono ridotte nella misura del 75 per cento per i primi trentasei mesi, ferma restando la contribuzione a carico della lavoratrice o del lavoratore nelle misure previste per la generalità dei lavoratori».

Art. 5.
(Benefìci fiscali per le imprese che istituiscono asili nido aziendali).

      1. Qualora il datore di lavoro provveda autonomamente alla realizzazione di uno specifico servizio di asilo nido aziendale, le relative spese di gestione o di partecipazione

 

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alla gestione sono deducibili fino a 3.000 euro annui per ciascun bambino ospitato nella struttura. Qualora il bambino sia ospitato nella struttura per una frazione d'anno, la quota deducibile è stabilita in misura proporzionale al periodo di permanenza effettiva, secondo i parametri stabiliti dal decreto di cui al comma 2.
      2. Le modalità per usufruire dei benefìci fiscali previsti dal comma 1 sono determinate con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, da adottare entro due mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge.

Art. 6.
(Incentivi per gli asili nido).

      1. Nell'ambito del piano straordinario di intervento per lo sviluppo del sistema territoriale dei servizi socio-educativi di cui al comma 1259 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e a valere sulle risorse stanziate ai sensi del comma 1260 del medesimo articolo 1, ogni regione prevede gli opportuni incentivi affinché gli asili nido situati nel rispettivo territorio garantiscano un servizio che, per quantità di posti e per orario, consenta alle madri di svolgere un'attività lavorativa a tempo pieno nei primi cinque anni di vita del bambino.

Art. 7.
(Indennità di genitore).

      1. È istituita l'indennità di genitore. L'indennità si applica esclusivamente ai lavoratori e alle lavoratrici dipendenti del settore pubblico e privato, genitori di figli nati successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge, che intendano ridurre la propria attività lavorativa o che siano privi di occupazione. L'indennità è erogata a cadenza mensile.
      2. In caso di riduzione dell'attività lavorativa, l'indennità di cui al comma 1 è dovuta al genitore richiedente applicando

 

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le seguenti aliquote all'importo della diminuzione netta del reddito familiare totale conseguente alla predetta riduzione.

          a) fino a 20.000 euro di reddito totale familiare: aliquota del 100 per cento;

          b) oltre 20.000 euro e fino a 30.000 euro di reddito familiare totale: aliquota del 50 per cento:

          c) oltre 30.000 euro e fino a 40.000 euro di reddito familiare totale: aliquota del 25 per cento;

          d) oltre 40.000 euro e fino a 50.000 euro di reddito familiare totale: aliquota del 10 per cento.

      3. Oltre 50.000 euro di reddito familiare totale, l'indennità di cui al comma 2 non è corrisposta.
      4. Ai fini dei commi 2 e 3, il reddito familiare totale è determinato al netto dell'importo della diminuzione conseguente alla riduzione dell'attività lavorativa.
      5. Se il genitore richiedente risulta privo di occupazione, l'indennità di cui al comma 1 è corriposta nelle seguenti misure mensili:

          a) 500 euro, se il reddito familiare totale non supera 10.000 euro;

          b) 375 euro, se il reddito familiare totale è compreso tra 10.001 euro e 20.000 euro;

          c) 250 euro, se il reddito familiare totale è compreso tra 20.001 euro e 40.000 euro;

          d) 125 euro, se il reddito familiare totale è compresa tra 40.001 euro e 50.000 euro.

      6. Le indennità di cui al presente articolo non possono comunque superare un importo massimo di 500 euro mensili e non spettano ai lavoratori o alle lavoratrici che hanno usufruito del congedo parentale facoltativo previsto dall'articolo 32 del testo unico, come modificato dalla presente legge.

 

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      7. Le indennità di cui al presente articolo sono erogate per i ventiquattro mesi successivi al parto.

Art. 8.
(Modifica della tabella A allegata al decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, in materia di età pensionabile delle donne).

      1. La tabella A allegata al decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, e successive modificazioni, è sostituita dalla tabella A di cui all'allegato 1 annesso alla presente legge.

Art. 9.
(Sanzioni).

      1. Chiunque, al fine di avere diritto alla concessione dell'indennità di genitore prevista dall'articolo 7, dichiara un reddito familiare totale non rispondente al vero è punito con la pena della reclusione da uno a cinque anni e con l'obbligo dell'integrale restituzione degli importi percepiti maggiorati di una sanzione pecuniaria pari al 10 per cento dei medesimi.

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Allegato 1
(Articolo 8, comma 1)

        «Tabella A

ETÀ RICHIESTA PER IL PENSIONAMENTO DI VECCHIAIA

Periodo di riferimento
Uomini
Donne
dal 1o gennaio 1994 al 30 giugno 1995
dal 1o luglio 1995 al 31 dicembre 1996
dal 1o gennaio 1997 al 30 giugno 1998
dal 1o luglio 1998 al 31 dicembre 1999
dal 1o gennaio 2000 al 31 dicembre 2007
dal 1o gennaio 2008 al 31 dicembre 2008
dal 1o gennaio 2009 al 31 dicembre 2009
dal 1o gennaio 2010 al 31 dicembre 2010
dal 1o gennaio 2011 al 31 dicembre 2011
dal 1o gennaio 2012 in poi
61o anno
62o anno
63o anno
64o anno
65o anno
65o anno
65o anno
65o anno
65o anno
65o anno
56o anno
57o anno
58o anno
59o anno
60o anno
61o anno
62o anno
63o anno
64o anno
65o anno

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