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PDL 2572

XV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 2572



 

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PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE

d'iniziativa dei deputati

FRANCO RUSSO, MASCIA, FRIAS

Modifiche agli articoli 48, 56, 57, 67, 70, 71, 72, 73, 74, 77, 80, 81, 83, 85, 86, 87, 88, 96, 116, 117, 118 e 126 e abrogazione degli articoli 58 e 59 della Costituzione, in materia di composizione e funzioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica nonché di disciplina del procedimento legislativo e delle competenze legislative dello Stato

Presentata il 2 maggio 2007


      

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Onorevoli Colleghi! - La Costituzione repubblicana, approvata il 22 dicembre 1947 ed entrata in vigore il 1o gennaio 1948, rappresentava il frutto di una sintesi fra le tre principali componenti presenti nell'Assemblea costituente: quella cattolica, quella liberale e quella socialista. Si trattò di un compromesso, che volutamente rinviava al legislatore ordinario la sua concreta attuazione.
      Questa duplice caratteristica - di rappresentare una sintesi e di rinviare al legislatore ordinario la sua concreta attuazione - investe anche una delle parti più innovative della Costituzione, il titolo V della parte seconda, dedicata al sistema delle autonomie regionali e locali.
      L'originario disegno costituzionale dell'ente regionale nasce da una sintesi di posizioni tra loro molto lontane, che contrassegnarono il contrastato, quanto appassionato, dibattito che si svolse all'Assemblea costituente. In particolare, essa è il punto di equilibrio tra: a) sostenitori di una potestà legislativa definita piena, primaria o esclusiva delle regioni; b) quanti, all'estremo opposto, propendevano per la caratterizzazione delle regioni come grandi enti autarchici, dotati esclusivamente di potestà amministrativa; c) fautori di un regionalismo moderato, favorevole all'esercizio di una limitata potestà legislativa. Fu quest'ultimo l'indirizzo che prevalse, con l'attribuzione alle regioni di una
 

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funzione legislativa concorrente su alcune materie puntualmente elencate nell'articolo 117 della Costituzione, «nei limiti dei princìpi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato, sempreché le norme stesse non siano in contrasto con l'interesse nazionale e con quello di altre Regioni».
      L'esito finale, come accennato, giunse al termine di un lungo ed approfondito dibattito: non a caso, l'articolo sulla potestà legislativa regionale fu quello sul quale si concentrò, nel corso della discussione nell'Assemblea costituente, il maggior numero di emendamenti: 102 su un totale di 1.663.
      Il primo periodo di vigenza della Costituzione, che vide il susseguirsi di Governi «centristi», rappresenta una fase di sostanziale congelamento della Costituzione, a cui viene data limitata attuazione a causa del cosiddetto «ostruzionismo di maggioranza» (Piero Calamandrei): solo nel 1956 è resa funzionante la Corte costituzionale, mentre il Consiglio superiore della magistratura dovette attendere fino al 1958.
      Per il resto, il periodo si concretizza, come detto, nel congelamento del testo costituzionale e perfino in alcuni tentativi di dare un'attuazione dimidiata dei precetti costituzionali: è il caso della legge n. 62 del 1953, destinata in apparenza a dare avvio all'istituzione delle regioni, ma in realtà improntata a una ispirazione fortemente centralista, che avrebbe finito per dispiegare alcuni effetti anche nella fase di concreto inizio dell'esperienza delle autonomie regionali.
      Per un cambiamento di prospettiva si deve attendere la fase dei Governi di centro-sinistra che porta, tra la fine degli anni sessanta ed i primi anni settanta del secolo scorso, alla prima concreta attuazione di una serie di importanti previsioni costituzionali, a partire dall'istituzione delle regioni ordinarie, con l'adozione degli statuti e l'inizio del funzionamento dei rispettivi organi (1970), con l'approvazione delle norme sui referendum e sull'iniziativa legislativa popolare (legge n. 352 del 1970) e l'approvazione di un testo di grande significato, anche alla luce dei princìpi fondamentali, come lo statuto dei lavoratori (legge n. 300 del 1970).
      Il concreto avvio dell'esperienza regionale fu seguito, a breve distanza di tempo, da un trasferimento di funzioni amministrative, operato prima timidamente (decreti legislativi del 1972) e a distanza di cinque anni in maniera più organica (decreto legislativo n. 616 del 1977).
      Gli anni ottanta e novanta del novecento sono stati caratterizzati da tentativi di mutare la forma di Stato e di governo, per imprimere alla democrazia italiana una svolta verso il cosiddetto «premierato assoluto» (Leopoldo Elia), il federalismo competitivo, l'indebolimento del ruolo delle istituzioni di garanzia (dal Presidente della Repubblica alla magistratura). Queste pulsioni autoritarie sono state battute con la vittoria del referendum costituzionale del giugno 2006, che ha segnato una svolta nella storia politica e costituzionale italiana. La bocciatura della controriforma - ha scritto Claudio De Fiores - voluta dalle destre è stata netta e, anche in ragione delle sue dimensioni, ha consentito di porre fine agli incalzanti tentativi di delegittimazione della Costituzione protrattisi nel corso dell'ultimo ventennio nel nostro Paese. Oggi, grazie anche all'esito referendario, l'idea di una «grande riforma» della Costituzione non è più all'ordine del giorno. È però necessario interrogarsi criticamente sulla capacità di tenuta del testo della Costituzione e procedere, laddove necessario, a puntuali interventi di manutenzione per rafforzarne l'ispirazione e i princìpi. A partire da questa prospettiva, occorre essere consci che oggi la Costituzione presenta al suo interno una vistosa zona di sofferenza: il titolo V della parte seconda. Occorre correggere il titolo V della parte seconda della Costituzione procedendo a puntuali interventi abrogativi (innanzitutto dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione e della lettera m) del secondo comma dell'articolo 117, che hanno introdotto in Costituzione l'autonomismo competitivo e la filosofia degli standard essenziali di prestazione dei diritti), di rettifica (a cui ha provveduto in questi ultimi anni la
 

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Corte costituzionale, con il superamento della nozione di «materia» e stabilendo di fatto una supremacy clause), integrativi: immediata istituzione di una Camera delle regioni e delle autonomie locali (d'ora in poi denominata: Senato della Repubblica). Di un Senato, cioè, chiamato a operare quale sede di compensazione del sistema, capace di mediare e di risolvere le crescenti istanze conflittuali che una incisiva riforma delle autonomie territoriali inevitabilmente comporta.
      Deve tuttavia trattarsi - si riprendono ancora le espressioni di Claudio De Fiores - di interventi di riforma, non solo puntuali, ma soprattutto omogenei nella loro ispirazione e caratterizzati da un solo comune obiettivo: contrastare con forza il federalismo egoistico e di impianto secessionista che punta alla frammentazione sociale, all'inasprimento della competizione fra i territori, alla rottura dell'unità dell'ordinamento giuridico nazionale. Nel respingere con forza tali istanze politiche e culturali, l'azione correttiva del titolo V della parte seconda della Costituzione dovrà, per converso, dimostrarsi capace di incarnare - conformemente ai princìpi contenuti nella prima parte della Costituzione - le ragioni dell'unità, dell'eguaglianza, della cittadinanza, che altro non è che la pretesa riconosciuta a ogni cittadino di essere trattato in egual modo in ogni parte del territorio dello Stato.
      Il tema della riforma del Senato si impone, come detto, come conseguenza della riforma del titolo V. Una riforma, da più parti definita di impianto federale, in ragione della significativa introduzione in Costituzione di alcuni istituti tipici di quella forma di Stato (clausola residuale a favore della regioni, abolizione del visto governativo sulle leggi regionali, autonomia fiscale). La revisione del titolo V realizzata con legge costituzionale n. 3 del 2001 evidenziava però una grave assenza, destinata irrimediabilmente a compromettere la presunta impronta federale del nuovo sistema: la Camera delle regioni e delle autonomie locali, che proponiamo di chiamare Senato della Repubblica (come detto sopra).
      Questa istituzione rappresenta, com'è noto, il cardine di tutti gli ordinamenti federali o comunque sia di tutti gli ordinamenti caratterizzati da forti istanze autonomiste: un'imperdonabile «distrazione» del legislatore costituzionale del 2001, destinata in breve tempo a pesare sugli sviluppi del sistema, come ripetutamente rilevato dalla stessa Corte costituzionale (si veda, a titolo esemplificativo, la sentenza n. 6 del 2004). È cardine per, almeno, due ragioni. La prima è che il Senato della Repubblica, come Camera delle regioni e delle autonomie locali, è chiamato a svolgere, sul terreno politico, una funzione conciliativa e di mediazione dei conflitti. Una funzione che, in sua assenza, è stata fino a oggi assorbita prevalentemente dalla Corte costituzionale. Tutto ciò ha prodotto, in questi anni, una spirale destinata a ripercuotersi gravemente sui rapporti tra diritto e politica: alla progressiva neutralizzazione della sfera politica si è accompagnata l'incalzante sovraesposizione, sul terreno politico, della Corte. La seconda ragione è che il Senato, in considerazione della sua articolata composizione (che sarà successivamente descritta), rappresenta un fattore di consolidamento dell'unità dell'ordinamento: una questione gravemente sottovalutata dalla riforma costituzionale del 2001. Le ragioni dell'unità dell'ordinamento per potersi incardinare nel sistema avevano bisogno di poggiare su energici istituti di raccordo, capaci di compensare i diversi e spesso conflittuali interessi territoriali presenti nel Paese.
      Quasi tutte le iniziative di riforma del Senato, fino a oggi avanzate, hanno rivelato, sul piano del metodo, un doppio vizio di fondo: mentre alcune sono state formulate prendendo in considerazione esclusivamente il profilo funzionale e politico della riforma (revisione del processo legislativo, funzioni di garanzia del Senato), altre, all'opposto, si sono limitate unicamente a indicare una soluzione di tipo organizzativo (ritagliata prevalentemente sulle esigenze e i timori del ceto politico). Si tratta ora di far convivere queste due istanze (ispirazione funzionale della ri
 

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forma e profili organizzativi), perché non ha senso ostinarsi ad affrontare il tema degli assetti istituzionali e, più in generale, delle forme della rappresentanza, continuando a eludere il nodo delle funzioni. Così come deve ritenersi, allo stesso tempo, sterile e fuorviante volere, a ogni costo, insistere nel ridefinire le funzioni del Parlamento, prescindendo da una coerente disamina della dimensione organizzativa della rappresentanza. Le due questioni si tengono insieme ed entrambe sono, quindi, indispensabili al coerente innesto della riforma sul terreno costituzionale. Da ciò discende che la questione che siamo chiamati oggi a porci non è più: quali funzioni per quale rappresentanza? Ma esattamente l'opposto: quale rappresentanza per quali funzioni?
      Il centro nevralgico della questione è senza dubbio rappresentato dall'esercizio della funzione normativa. In linea di principio, il criterio-base al quale una coerente riforma del bicameralismo in senso autonomistico dovrebbe scrupolosamente attenersi appare evidente: al Senato dovrebbe essere attribuita la competenza a condividere la funzione legislativa in ogni ambito che incida sugli interessi regionali e locali. Ma affermare ciò non aiuta a risolvere adeguatamente l'intricato nodo del riparto delle competenze legislative. Anzi, il ricorso a una formulazione così generica rischia di rivelarsi ambiguo e fuorviante. Per una ragione innanzitutto: tutte o quasi tutte le materie hanno un risvolto territoriale, perché tutte o quasi tutte incidono (direttamente o indirettamente) sugli interessi locali. Si è ormai affermato il sistema della legislazione complessa, detta anche organizzata, che prevede l'intervento di più livelli istituzionali, legislativi oltre che regolamentari e amministrativi, su una stessa «materia», cosicché risulta necessario costruire un sistema multilivello capace di intervenire con efficacia e trasparenza nella regolamentazione della vita sociale.
      Allo stesso modo e con altrettanta nettezza va altresì posta la seconda questione, quella concernente le forme della rappresentanza e i criteri di composizione del Senato. Anche in questo caso non ci troviamo di fronte a un modello esclusivo di bicameralismo. E anche in questo caso non vi è quindi alcuna strada tracciata per procedere facilmente all'istituzione del nuovo Senato delle regioni e delle autonomie locali. Le soluzioni sperimentate dal diritto costituzionale comparato sono molteplici. E molteplici sono anche i progetti di riforma fino ad oggi redatti a ridosso di tali modelli. Essi prevedono, in particolare, l'istituzione di un Senato direttamente elettivo; è la soluzione sperimentata negli Stati Uniti e in Svizzera, dove le elezioni esprimono un numero di rappresentanti eguali per ogni entità territoriale. Tuttavia, in particolare, negli Stati Uniti (come anche le recenti elezioni hanno dimostrato) la morfologia elettiva del Senato non ha una dimensione autenticamente federale. Essa rappresenta piuttosto un viatico privilegiato per selezionare le élites della nazione. Ciò non ha tuttavia mai determinato una vera e propria impasse all'interno del sistema, né, tanto meno, ha incrinato le fondamenta dell'ordinamento federale americano. E la ragione è evidente: negli Stati Uniti il federalismo gode di una congenita e spiccata legittimazione costituzionale e culturale in molti altri ambiti della vita politica, sociale e istituzionale. Anche per questa ragione, eventuali ipotesi di esportazione del modello americano all'interno del nostro ordinamento costituzionale andrebbero decisamente evitate: in Italia si ripeterebbe il modello di Senato attualmente vigente.
      Un'altra soluzione è un Senato a composizione mista (cioè in parte eletto direttamente dai cittadini e in parte formato dai rappresentanti delle autonomie territoriali). Tale soluzione, già discussa in seno alla Costituente (dove fu proposto di far eleggere i due terzi dei senatori direttamente e di far designare il restante terzo dalle autonomie territoriali) è stata più volte riproposta in questi anni, seppure avallando differenti equilibri tra le due componenti e sulla base di altre ipotesi compensative (metà e metà; elezione diretta solo per un terzo dei senatori, e così via). Anche tale soluzione appare tuttavia
 

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insoddisfacente per ragioni di ordine teorico e pratico, derivanti prevalentemente dalla difficoltà di far convivere principio elettivo e istanze di designazione all'interno del medesimo organo politico. Né a una soluzione più convincente pervengono quei progetti di revisione che prevedono (accanto alle autonomie territoriali) l'attiva partecipazione ai lavori parlamentari anche delle autonomie sociali (organizzazioni non profit, associazioni di stampo solidaristico, federazioni di categoria). Un esito, questo, destinato a risolversi nell'anacronistica riproposizione di una nuova Camera (mista) delle corporazioni.
      La proposta di legge costituzionale che qui presentiamo è guidata dall'idea di un Senato espressione delle regioni e delle autonomie locali. Siamo consapevoli di possibili esiti ambivalenti che tale opzione può comportare. Noi riteniamo che il Senato non debba rappresentare solamente le regioni, ma anche l'intero sistema delle autonomie locali. Certo, a nostro avviso, le regioni, in quanto dotate di competenze legislative, devono esprimere la maggioranza dei senatori. Ragioni, però, di ordine costituzionale (il primo comma dell'articolo 114 della Costituzione e l'introduzione del principio di sussidiarietà) e motivazioni di carattere storico e culturale (il radicato senso di appartenenza dei cittadini ai loro comuni) ci hanno indotto a prevedere una presenza del sistema delle autonomie locali nel Senato. E, infatti, non vi è dubbio che la storia italiana sia stata, fino a oggi, una storia fortemente segnata dalla cultura municipalista. A ben vedere, anche dalle sue ataviche perversioni: il municipalismo ha, infatti, storicamente rappresentato l'altra faccia del centralismo. Non è un caso che l'opposizione degli enti locali al cosiddetto «neocentralismo regionale» abbia, in questi anni, indotto sempre più i comuni a sentirsi maggiormente garantiti dallo Stato e a dialogare direttamente con esso. Riteniamo essenziale il coinvolgimento istituzionale degli enti locali nelle decisioni politiche nazionali. D'altronde il vero nucleo del problema è oggi rappresentato non dalla debolezza della dimensione nazionale degli enti locali, ma semmai dalla loro grave e perdurante marginalizzazione all'interno del sistema regionale (agli enti locali il vigente articolo 123 non consente nemmeno di poter richiedere un referendum sugli statuti regionali). Di qui l'esigenza di predisporre le misure idonee per assicurare un più incisivo ruolo degli enti locali all'interno del sistema regionale. A cominciare dall'attribuzione di un più energico e risolutivo ruolo al Consiglio delle autonomie anche ai fini della selezione della rappresentanza regionale in Senato. Su ciò occorre una riflessione che sfoci in ulteriori provvedimenti legislativi, innanzitutto a livello regionale.
      Un'ultima questione si pone, a livello sistematico: è preferibile la rappresentanza delle giunte (modello tedesco) o dei consigli (modello austriaco)?
      Le due soluzioni, per quanto raffigurate come alternative dalla prevalente dottrina, non paiono in realtà irrimediabilmente antitetiche o contraddittorie. È possibile anzi immaginare coerenti soluzioni di mediazione e di sintesi tra le due suddette opzioni, anche in ragione della comune derivazione politica dei due organi. D'altronde, sebbene la previsione di un Senato composto da soli esecutivi assicurerebbe, naturalmente, una maggiore efficienza alla sua azione (anche per l'attivo supporto degli apparati amministrativi di cui le giunte dispongono), per altri versi tale opzione deve ritenersi foriera di non poche incognite: un Senato, espressione esclusiva delle giunte regionali, rischia fatalmente di imbrigliare il libero esplicarsi delle dinamiche politiche all'interno delle regioni e nei rapporti che si andranno a instaurare fra regioni e Parlamento.
      Tale esito, determinando un ulteriore rafforzamento delle funzioni dei cosiddetti «governatori», finirebbe con l'introdurre insidiosi elementi di verticalizzazione politica anche all'interno della rappresentanza regionale in Senato. Anche per queste ragioni, appare preferibile accedere a una soluzione mista in grado di coniugare le istanze del pluralismo con quelle dell'azione di governo (regionale). La distribuzione dei seggi al Senato tra le varie
 

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componenti istituzionali può essere oggetto di ulteriore riflessione, e la sua definizione l'affidiamo al dibattito parlamentare. Un punto va tuttavia posto con particolare nettezza: si può parlare di Senato delle regioni e delle autonomie locali solo se le varie componenti del Senato sono organi o espressione dei diversi organi chiamati.
      La presente proposta di legge costituzionale, intervenendo sulla parte seconda della Costituzione, articola in un nuovo modo il sistema parlamentare italiano, introducendo in luogo dell'attuale bicameralismo perfetto - che è, per molti aspetti, in un'ottica comparatistica, un'anomalia italiana - un assetto differenziato, nel quale il Senato diventa finalmente l'organo rappresentativo delle regioni e delle autonomie locali. A essa si accompagna un'altra proposta di legge costituzionale, dedicata specificamente ad un assestamento dell'attuale forma di Governo, attraverso una modifica degli articoli 92 e 94, volta ad introdurre nella Carta costituzionale un'espressa previsione in merito alla revoca dei ministri e l'istituto della sfiducia costruttiva (atto Camera n. 2576).
      Le linee direttrici della riforma proposta sono così sintetizzabili:

          a) si introduce una differenziazione tra le due Camere che investe in primo luogo il profilo della rappresentanza: la Camera dei deputati mantiene la propria fisionomia attuale e continua a essere eletta direttamente da tutti i cittadini elettori; il Senato della Repubblica diventa la Camera di rappresentanza delle regioni e delle autonomie locali, con la presenza di tutti i Presidenti delle regioni, e di consiglieri regionali, consiglieri comunali, provinciali e delle città metropolitane (eletti tutti in secondo grado);

          b) dalla differente legittimazione derivano diverse funzioni: la Camera dei deputati resta l'organo politico e legislativo legato al Governo dal vincolo fiduciario; il Senato concorre alla funzione legislativa secondo le modalità previste nella nuova formulazione dell'articolo 70, che sarà poi illustrato;

          c) si innova il rapporto fiduciario, introducendo l'istituto della «sfiducia costruttiva» (atto Camera n. 2576);

          d) si riduce il numero di deputati e senatori, rispettivamente cinquecento e a duecento.

      Entrando nel dettaglio della proposta, l'articolo 1, attraverso l'abrogazione del terzo comma dell'articolo 48, ripristina il testo originario di tale articolo, come formulato dall'Assemblea costituente. Il terzo comma, relativo al diritto di voto degli italiani all'estero, è stato infatti introdotto dalla legge costituzionale n. 1 del 2000, che ha riconosciuto tale diritto, istituendo la circoscrizione Estero per l'elezione dei due rami del Parlamento. La riforma, nella sua prima attuazione nel 2006, ha evidenziato alcuni profili problematici che ne rendono necessario un ripensamento. L'abrogazione proposta è finalizzata a promuovere, anche sulla base dell'esperienza compiuta, un'analisi dei rapporti con i cittadini italiani residenti all'estero, con specifico riguardo a quelli di più antica emigrazione o di generazioni successive rispetto ai cittadini emigrati.
      L'articolo 2 riduce a cinquecento i componenti della Camera dei deputati. La riduzione del numero dei deputati, prevista in termini tali da non compromettere la funzionalità della Camera, risponde anche all'esigenza - da più parti sentita - di una riduzione dei costi della politica.
      Una riduzione ancora più significativa viene apportata nella composizione del Senato della Repubblica, che, come già anticipato, muta radicalmente la propria fisionomia. Il Senato infatti, secondo l'articolo 3, si comporrà di duecento membri, così individuati:

          a) i venti Presidenti di tutte le regioni;

          b) centoquaranta consiglieri regionali, eletti con voto limitato dai rispettivi consigli, in modo da garantire la presenza di tre membri in rappresentanza di ciascuna regione (per un totale di sessanta senatori)

 

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e di permettere che i restanti ottanta senatori siano eletti in modo da garantire una rappresentanza proporzionale alla popolazione di ciascuna regione;

          c) quaranta consiglieri comunali, provinciali e delle città metropolitane.

      Come sopra specificato, la distribuzione dei seggi e le componenti di cui si prevede la presenza al Senato può essere oggetto di modifica, in base alla discussione che avverrà in Parlamento.
      Gli articoli 4 e 5 sono consequenziali alla riforma del Senato:

          a) l'articolo 4 abroga gli articoli 58 e 59 della Costituzione, relativi alle modalità di elezione dei senatori e alla figura dei senatori di diritto e a vita;

          b) l'articolo 5 modifica l'articolo 67 della Costituzione, mantenendo fermi i due princìpi in esso presenti: ciascun membro del Parlamento, nell'esercizio delle sue funzioni, rappresenta la nazione e opera senza vincolo di mandato. La modifica si rende necessaria per rendere compatibile tale articolo con altre disposizioni della Costituzione e in particolare con l'articolo 121, quarto comma, che recita: «Il Presidente della Giunta rappresenta la Regione». Ferma restando tale previsione, si specifica che i presidenti delle regioni, unitamente agli altri componenti del Senato, nell'esercizio delle loro funzioni parlamentari, rappresentano la nazione nella sua interezza.

      L'articolo 6 sostituisce l'articolo 70 della Costituzione, che disciplina la funzione legislativa, distinguendola, in sostanza, in base a tre tipologie di leggi, con una clausola di salvaguardia, al quarto comma, posta a tutela del Senato.
      La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere su una serie di leggi considerate di particolare rilievo istituzionale e sociale: innanzitutto, sono devolute all'esame di entrambe le Camere tutte le leggi concernenti materie che la Costituzione affida alla cura della Repubblica in quanto soggetto ordinamentale composito o comunque a leggi approvate dalle due Camere; quindi, le leggi di revisione costituzionale e le altre leggi costituzionali. Nella prima categoria rientrano in realtà moltissimi ambiti sensibili dal punto di vista etico-sociale, quali - a titolo puramente esemplificativo - la famiglia (articoli 29 e 31), la tutela della salute (articolo 32), l'istruzione e il diritto allo studio (articoli 33 e 34), la tutela del lavoro, anche minorile (articoli 35 e 36), la funzione sociale della cooperazione (articolo 45), la tutela del risparmio (articolo 47).
      In tutte le materie di competenza esclusiva dello Stato ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, della Costituzione, la funzione legislativa è esercitata esclusivamente dalla Camera dei deputati salvo che il Senato non faccia apposita richiesta di esaminare il testo al fine di proporvi emendamenti, entro dieci giorni dall'approvazione dei progetti di legge da parte della Camera, a maggioranza dei suoi membri. Sugli emendamenti eventualmente proposti entro trenta giorni dal Senato si pronuncia in via definitiva la Camera. Si tratta di una clausola di salvaguardia che è stata inserita per introdurre un elemento di flessibilità a tutela del Senato, soprattutto in quei casi in cui l'individuazione del titolo di competenza esclusivo dello Stato non è assolutamente inequivoco. In tutte le materie di competenza concorrente di cui all'articolo 117, terzo comma, della Costituzione, la Camera dei deputati, una volta approvati i progetti di legge, li trasmette al Senato, il quale può proporre emendamenti, sui quali si pronuncia in via definitiva la Camera stessa. Per salvaguardare i tempi del procedimento legislativo, si prevede però, in questo come nel caso del terzo comma, che il Senato abbia trenta giorni di tempo per approvare proposte emendative (venti giorni nel caso di disegni di legge di conversione di decreti-legge).
      Il quinto comma del nuovo articolo 70 contiene un'altra clausola dettata dall'evenienza che in molti casi le leggi, per il loro frequente carattere multisettoriale, non trattano materie riferibili a una singola competenza, ma incidono contestualmente su materie di competenza esclusiva e di

 

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competenza concorrente. In tutti questi casi, il Senato potrà pronunciarsi in via automatica sulle materie di competenza concorrente e potrà attivare la clausola di salvaguardia prevista dal quarto comma per le materie di competenza esclusiva, potendo così formulare emendamenti sul complesso dei progetti di legge.
      L'ultimo comma contiene una clausola di chiusura, demandando la competenza a dirimere eventuali conflitti di attribuzione tra le due Camere a una deliberazione assunta di intesa dai Presidenti dei due rami del Parlamento.
      L'articolo 7, in conseguenza delle modifiche apportate al sistema bicamerale e alla funzione legislativa, prevede che tutti i progetti di legge siano presentati alla Camera dei deputati che, in combinato disposto con il nuovo testo degli articoli 70 e 72, è l'organo che inizia l'esame di tutti i progetti di legge, mantenendo ferma la possibilità dell'iniziativa legislativa anche per i senatori.
      Gli articoli 8, 9 e 10 apportano modifiche agli articoli 72, 73 e 74 della Costituzione consequenziali alla riforma del procedimento legislativo operata dalle disposizioni già esaminate.
      In particolare, gli articoli 8 e 9 limitano alla sola Camera dei deputati la possibilità di approvare i progetti di legge direttamente in Commissione e di dichiararne l'urgenza.
      L'articolo 11, nel modificare l'articolo 77 della Costituzione alla luce del nuovo procedimento legislativo, chiarisce che al procedimento di conversione dei decreti-legge si applica la disciplina di cui all'articolo 70: l'intervento del Senato sarà pertanto graduato con riferimento alle materie oggetto dei decreti stessi. Inoltre, è stato aggiunto un ulteriore comma, che rimanda ad una legge della Repubblica (quindi da approvare con il concorso delle due Camere) la definizione dei limiti di contenuto dei decreti-legge.
      Gli articoli 12 e 13 demandano alla competenza esclusiva della Camera dei deputati l'approvazione delle leggi di ratifica (articolo 80 della Costituzione) e delle leggi di bilancio, di assestamento e rendiconto finanziario (articolo 81 della Costituzione); per il procedimento di approvazione della legge finanziaria, dato il suo carattere necessariamente multisettoriale, si applica la disciplina recata dal quarto comma dell'articolo 70: il Senato ha quindi la possibilità di intervenire sul testo della legge nella sua interezza.
      Gli articoli 14, 15, 16, 17 e 18 apportano alcune modifiche al titolo II della parte seconda della Costituzione, dedicato al Presidente della Repubblica, in modo da aggiornarne il testo alla luce della proposta di riforma, per quanto riguarda:

          a) la composizione del collegio che elegge il Presidente della Repubblica, con abrogazione del secondo comma dell'articolo 83, che prevede l'integrazione del Parlamento in seduta comune con i delegati regionali, superata a seguito della riforma del Senato in senso federale, e consequenziale modifica dell'articolo 85, che investe più complessivamente il diverso assetto del bicameralismo;

          b) l'attribuzione delle funzioni di supplenza del Presidente della Repubblica al Presidente della Camera dei deputati (articolo 86), con l'introduzione di una clausola di salvaguardia, nel caso in cui si debba indire l'elezione del nuovo Presidente della Repubblica, nel momento in cui le sue funzioni sono esercitate dal Presidente della Camera. In tale ipotesi, non sarebbe il Presidente della Camera ad indire l'elezione, ma tale potere spetterebbe ai vicepresidenti, d'intesa tra di loro;

          c) la presentazione dei disegni di legge del Governo non più al Parlamento ma alla Camera dei deputati e l'attribuzione alla sola Camera dei deputati della competenza a esaminare, quando occorra, i disegni di legge di ratifica di trattati internazionali (articolo 87);

          d) lo scioglimento del Parlamento, che interessa, alla luce della riforma, soltanto la Camera, e non anche il Senato, eletto in secondo grado e non legato dal vincolo di fiducia al Governo (articolo 88).

      L'articolo 19 modifica l'articolo 96 della Costituzione, con riguardo all'autorizzazione

 

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a sottoporre alla giurisdizione ordinaria il Presidente del Consiglio dei ministri e i Ministri, per i reati commessi nell'esercizio delle loro funzioni: entrambi i poteri sono attribuiti alla sola Camera dei deputati.
      L'articolo 20 abroga il terzo comma dell'articolo 116, relativo all'attribuzione di forme e condizioni particolari di autonomia alle regioni, con legge dello Stato. Si manterrebbe così l'attuale assetto, che vede le regioni distinguersi per due sole forme di autonomia: da un lato le regioni a statuto speciale; dall'altro, le regioni a statuto ordinario.
      L'articolo 21 modifica la previsione della lettera m) del secondo comma dell'articolo 117, collegando la determinazione dei livelli delle prestazioni, concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, alla concreta attuazione dell'articolo 3, secondo comma, che, come è noto, attribuisce alla Repubblica il compito di «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e la uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese».
      L'articolo 22 abroga il quarto comma dell'articolo 118, relativo alla cosiddetta «sussidiarietà orizzontale», sul presupposto che la Costituzione già garantisce in altre disposizioni la libera iniziativa dei cittadini singoli e associati, senza necessità di un ulteriore riconoscimento che per di più appare stridente nel contesto in cui è situato, concernente il riparto delle funzioni amministrative tra i diversi livelli territoriali.
      L'articolo 23, infine, sopprime la Commissione parlamentare per le questioni regionali attribuendo le funzioni consultive sui decreti di scioglimento dei consigli regionali e di rimozione dei presidenti delle giunte regionali direttamente al Senato.
 

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PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE

Art. 1.

      1. Il terzo comma dell'articolo 48 della Costituzione è abrogato.

Art. 2.

      1. All'articolo 56 della Costituzione sono apportate le seguenti modificazioni:

          a) il secondo comma è sostituito dal seguente:

          «Il numero dei deputati è di cinquecento»;

          b) il quarto comma è sostituito dal seguente:

          «La ripartizione dei seggi tra le circoscrizioni si effettua dividendo il numero degli abitanti della Repubblica, quale risulta dall'ultimo censimento generale della popolazione, per cinquecento e distribuendo i seggi in proporzione alla popolazione di ogni circoscrizione, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti».

Art. 3.

      1. L'articolo 57 della Costituzione è sostituito dal seguente:

      «Art. 57. - Il Senato della Repubblica è composto di duecento membri, così individuati:

          a) venti Presidenti delle Regioni;

          b) centoquaranta consiglieri regionali, eletti con voto limitato dai rispettivi Consigli, dei quali sessanta in ragione di tre per ogni Regione e ottanta in proporzione alla rispettiva popolazione;

 

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          c) quaranta consiglieri comunali, provinciali e delle città metropolitane».

Art. 4.

      1. Gli articoli 58 e 59 della Costituzione sono abrogati.

Art. 5.

      1. L'articolo 67 della Costituzione è sostituito dal seguente:

      «Art. 67. - Ogni membro del Parlamento, nell'esercizio delle sue funzioni, rappresenta la Nazione e opera senza vincolo di mandato».

Art. 6.

      1. L'articolo 70 della Costituzione è sostituito dal seguente:

      «Art. 70. - La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere quando riguardi: ogni materia che la Costituzione affidi alla cura della Repubblica o comunque a leggi approvate dalle due Camere; le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali di cui all'articolo 138.
      La funzione legislativa è esercitata esclusivamente dalla Camera dei deputati quando concerne le materie di competenza esclusiva dello Stato di cui all'articolo 117, secondo comma.
      Nelle materie di competenza concorrente di cui all'articolo 117, terzo comma, la funzione legislativa è esercitata, in prima lettura, dalla Camera dei deputati, la quale, una volta approvati i progetti di legge, li trasmette al Senato della Repubblica. Il Senato, entro trenta giorni dalla trasmissione, può proporre emendamenti al testo già approvato dalla Camera dei deputati, sui quali si pronuncia in via definitiva la Camera stessa. Sui disegni di legge di conversione di cui all'articolo 77 il termine è di venti giorni.

 

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      La procedura di cui al terzo comma si applica anche nelle materie di cui al secondo comma qualora ne faccia richiesta il Senato della Repubblica a maggioranza dei suoi membri entro dieci giorni dall'approvazione dei progetti di legge da parte della Camera dei deputati.
      I progetti di legge approvati dalla Camera dei deputati che incidono contestualmente su materie di competenza esclusiva e di competenza concorrente sono trasmessi al Senato affinché si pronunci sulle disposizioni relative alla competenza concorrente o, previa deliberazione ai sensi del quarto comma, sul complesso del provvedimento.
      Le controversie in materia di individuazione del titolo di competenza delle Camere nel procedimento legislativo sono risolte congiuntamente dai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica entro quindici giorni dalla loro proposizione».

Art. 7.

      1. L'articolo 71 della Costituzione è sostituito dal seguente:

      «Art. 71. - I progetti di legge sono presentati alla Camera dei deputati dal Governo, da ciascun membro del Parlamento e dagli organi ed enti ai quali l'iniziativa delle leggi sia conferita da legge costituzionale.
      Il popolo esercita l'iniziativa delle leggi, mediante la proposta alla Camera dei deputati, da parte di almeno cinquantamila elettori, di un progetto redatto in articoli».

Art. 8.

      1. L'articolo 72 della Costituzione è sostituito dal seguente:

      «Art. 72. - Ogni progetto di legge presentato alla Camera dei deputati è, secondo le norme del suo regolamento,

 

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esaminato da una Commissione e poi dalla Camera stessa, che l'approva articolo per articolo e con votazione finale.
      Il regolamento stabilisce procedimenti abbreviati per i progetti di legge dei quali è dichiarata l'urgenza.
      Può altresì stabilire in quali casi e forme l'esame e l'approvazione dei progetti di legge sono deferiti a Commissioni, anche permanenti, composte in modo da rispecchiare la proporzione dei gruppi parlamentari. Anche in tali casi, fino al momento della sua approvazione definitiva, il progetto di legge è rimesso alla Camera dei deputati se il Governo o un decimo dei componenti della Camera o un quinto della Commissione richiedono che sia discusso e votato dalla Camera stessa, oppure che sia sottoposto alla sua approvazione finale con sole dichiarazioni di voto. Il regolamento determina le forme di pubblicità dei lavori delle Commissioni.
      La procedura normale di esame e di approvazione diretta da parte della Camera dei deputati è sempre adottata per i disegni di legge in materia costituzionale ed elettorale e per quelli di delegazione legislativa, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali, di approvazione di bilanci e consuntivi, di conversione di decreti di cui all'articolo 77.
      Ogni progetto di legge approvato dalla Camera dei deputati e trasmesso al Senato della Repubblica è, secondo le norme del suo regolamento, esaminato da una Commissione e poi dal Senato stesso, che può proporre emendamenti da sottoporre all'approvazione della Camera dei deputati».

Art. 9.

      1. Il secondo comma dell'articolo 73 della Costituzione è sostituito dal seguente:

          «Se la Camera dei deputati, a maggioranza assoluta dei suoi componenti, ne dichiara l'urgenza, la legge è promulgata nel termine da essa stabilito».

 

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Art. 10.

      1. L'articolo 74 della Costituzione è sostituito dal seguente:

      «Art. 74. - Il Presidente della Repubblica, prima di promulgare la legge, può con messaggio motivato chiedere una nuova deliberazione, che è effettuata ai sensi dell'articolo 70.
      Nel caso la legge sia nuovamente approvata, deve essere promulgata».

Art. 11.

      1. L'articolo 77 della Costituzione è sostituito dal seguente:

      «Art. 77. - Fatta eccezione per quanto previsto dall'articolo 76, il Governo non può emanare decreti che abbiano valore di legge ordinaria.
      Quando, in casi straordinari di necessità e d'urgenza, il Governo adotta, sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge, deve il giorno stesso presentarli per la conversione alla Camera dei deputati che, anche se sciolta, è appositamente convocata e si riunisce entro cinque giorni.
      I decreti perdono efficacia sin dall'inizio, se non sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione. La Camera dei deputati può tuttavia regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti.
      Al procedimento di conversione si applica la disciplina di cui all'articolo 70.
      Con legge della Repubblica sono definiti i limiti di contenuto dei decreti di cui al presente articolo».

Art. 12.

      1. L'articolo 80 della Costituzione è sostituito dal seguente:

      «Art. 80. - La Camera dei deputati autorizza con legge la ratifica dei trattati internazionali che sono di natura politica,

 

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o prevedono arbitrati o regolamenti giudiziari, o importano variazioni del territorio o oneri alle finanze o modificazioni di leggi.
      Si applica il quarto comma dell'articolo 70».

Art. 13.

      1. Il primo comma dell'articolo 81 della Costituzione è sostituito dal seguente:

          «La Camera dei deputati approva ogni anno le leggi di bilancio, finanziaria, di assestamento e di rendiconto finanziario. Al procedimento di approvazione della legge finanziaria si applica il quarto comma dell'articolo 70».

Art. 14.

      1. Il secondo comma dell'articolo 83 della Costituzione è abrogato.

Art. 15.

      1. L'articolo 85 della Costituzione è sostituito dal seguente:

      «Art. 85. - Il Presidente della Repubblica è eletto per sette anni.
      Trenta giorni prima che scada il termine, il Presidente della Camera dei deputati convoca in seduta comune il Parlamento, per eleggere il nuovo Presidente della Repubblica.
      Se la Camera dei deputati è sciolta, o manca meno di tre mesi alla sua cessazione, la elezione ha luogo entro quindici giorni dalla riunione della Camera nuova. Nel frattempo sono prorogati i poteri del Presidente in carica».

Art. 16.

      1. L'articolo 86 della Costituzione è sostituito dal seguente:

      «Art. 86. - Le funzioni del Presidente della Repubblica, in ogni caso che egli non

 

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possa adempierle, sono esercitate dal Presidente della Camera dei deputati.
      In caso di impedimento permanente o di morte o di dimissioni del Presidente della Repubblica, il Presidente della Camera dei deputati o, qualora questi si trovi nell'esercizio delle funzioni di cui al primo comma, i vicepresidenti della Camera di intesa tra loro, indicono la elezione del nuovo Presidente della Repubblica entro quindici giorni, salvo il maggior termine previsto se la Camera è sciolta o manca meno di tre mesi alla sua cessazione».

Art. 17.

      1. All'articolo 87 della Costituzione sono apportate le seguenti modificazioni:

          a) il quarto comma è sostituito dal seguente:

      «Autorizza la presentazione alla Camera dei deputati dei disegni di legge di iniziativa del Governo»;

          b) l'ottavo comma è sostituito dal seguente:

      «Accredita e riceve i rappresentanti diplomatici, ratifica i trattati internazionali, previa, quando occorra, l'autorizzazione della Camera dei deputati».

Art. 18.

      1. Il primo comma dell'articolo 88 della Costituzione è sostituito dal seguente:

      «Il Presidente della Repubblica può, sentito il suo Presidente, sciogliere la Camera dei deputati».

Art. 19.

      1. L'articolo 96 della Costituzione è sostituito dal seguente:

      «Art. 96. - Il Presidente del Consiglio dei ministri ed i ministri, anche se cessati dalla carica, sono sottoposti, per i reati

 

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commessi nell'esercizio delle loro funzioni, alla giurisdizione ordinaria, previa autorizzazione della Camera dei deputati, secondo le norme stabilite con legge».

Art. 20.

      1. Il terzo comma dell'articolo 116 della Costituzione è abrogato.

Art. 21.

      1. La lettera m) del secondo comma dell'articolo 117 della Costituzione è sostituita dalla seguente:

          «m) determinazione dei livelli delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, in attuazione dell'articolo 3, secondo comma».

Art. 22.

      1. Il quarto comma dell'articolo 118 della Costituzione è abrogato.

Art. 23.

      1. Il terzo periodo del primo comma dell'articolo 126 della Costituzione è sostituto dal seguente: «Il decreto è adottato sentito il Senato della Repubblica, che si pronuncia a maggioranza dei suoi membri».


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