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PDL 2177

XV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 2177



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

LUCÀ, LENZI, ASTORE, BENZONI, BURTONE, CANCRINI, CARTA, CESINI, CODURELLI, DI GIROLAMO, GIANNI FARINA, FEDI, FRONER, GRASSI, INTRIERI, LAGANÒ FORTUGNO, LOVELLI, NANNICINI, OTTONE, PIRO, RAMPI, RANIERI, SAMPERI, SANNA, SCHIRRU, VANNUCCI, VELO, ZUCCHI

Riconoscimento giuridico di diritti, responsabilità e facoltà alle persone che fanno parte di unioni di fatto

Presentata il 26 gennaio 2007


      

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Onorevoli Colleghi! - Nello scrivere la presente proposta di legge, sono stati assunti due fondamentali punti di riferimento: per un verso la realtà, letta nella sua evidenza, al di là delle preferenze di ciascuno, e per un altro verso il programma dell'Unione, sottoposto al voto degli elettori.
      La realtà è indubbiamente quella di una diffusione del fenomeno delle coppie di fatto eterosessuali, spesso come tappa intermedia verso il matrimonio, ed è anche quella di una emersione del fenomeno delle coppie omosessuali.
      Il programma dell'Unione, com'è noto, prevede:

      «L'Unione proporrà il riconoscimento giuridico di diritti, prerogative e facoltà alle persone che fanno parte delle unioni di fatto. Al fine di definire natura e qualità di una unione di fatto non è dirimente il genere dei conviventi e il loro orientamento sessuale. Va considerato piuttosto quale criterio qualificante il sistema di relazioni sentimentali, assistenziali e di solidarietà, la loro stabilità e volontarietà».

 

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      È evidente che il testo, pur nella sua brevità e genericità, intende escludere differenze tra eterosessuali e omosessuali, e quindi intende ricercare soluzioni che valgano a prescindere dall'orientamento sessuale, una sorta cioè di «regole ombrello», valide per entrambi, e non una giustapposizione tra soluzioni diverse.
      Più complicata è la distinzione tra diritti delle persone (riconosciuti) e diritti delle unioni (non riconosciuti). Se si tratta di diritti è chiaro, come hanno già rilevato in molti tra gli studiosi e tra i responsabili politici, che essi devono essere opponibili ai terzi, e quindi che non possono essere limitati ai rapporti tra privati (che poi la legge li ponga nel codice civile o, comunque, in altre discipline di natura privatistica, è scelta secondaria) ed è altresì evidente che, se questi sono diritti che spettano a persone che «fanno parte delle unioni di fatto», bisogna pure trovare un modo per certificare che ciò corrisponda a una effettiva realtà, e quindi rilevare giuridicamente, ovvero amministrativamente, l'esistenza delle unioni di fatto.
      La differenza con la famiglia, e quindi l'interpretazione più precisa del programma dell'Unione, sembra possa dunque essere la seguente: la famiglia è fondata sul matrimonio, pertanto i diritti specifici sono consequenziali a quel fondamento.
      Le unioni di fatto, invece, sono realtà nelle quali il diritto nasce dal fatto, non da un fondamento; sono una tipologia di «formazioni sociali», di cui all'articolo 2 della Costituzione, come ha affermato più volte la Corte costituzionale, in cui i diritti sono riconosciuti rispetto alla funzione di fatto esercitata da esse.
      Riteniamo, pertanto, che il miglior modo di collegare la realtà con il programma dell'Unione sia il seguente:

          a) definire sempre i diritti come diritti delle persone nelle unioni e non delle unioni come tali, analogamente a quanto stabilito nel programma;

          b) prevedere la certificazione a livello comunale non per celebrare unioni, ma per formalizzare la loro previa esistenza, per cui appunto il diritto nasce dal fatto e non viceversa;

          c) che i diritti siano proporzionati a tali doveri e pertanto coinvolgano almeno l'estensione dell'assistenza sanitaria e penitenziaria, la successione nel contratto di locazione, il rilievo per le graduatorie occupazionali e per l'edilizia popolare, i trattamenti previdenziali e la successione.

      Passando a illustrare, nello specifico, i singoli articoli della proposta di legge, all'articolo 1 si definisce l'unione di fatto come una relazione affettiva tra due persone maggiorenni non interdette, che convivano stabilmente e che, nell'ambito della stessa convivenza, abbiano assunto gli impegni specificati all'articolo 3.
      L'articolo 2, al comma 1, prevede il riconoscimento dei diritti e delle facoltà, nonché delle relative responsabilità dei soggetti componenti l'unione di fatto, attraverso una dichiarazione congiunta, da presentare all'ufficiale di anagrafe presso il comune dove uno dei due ha la residenza, o dove essi intendono stabilire la loro residenza comune, ai sensi degli articoli 4, 13, comma 1, lettera b), 21 e 33 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223. Questo dispositivo, e l'esclusione, quindi, di forme celebrative para-matrimoniali, rappresenta uno degli elementi atti a mantenere l'unione nell'area del fatto, avendo la registrazione una funzione meramente certificativa. Con il comma 2 si specificano gli impedimenti a formare le unioni di fatto. I contenuti della dichiarazione di cui al comma 1 saranno definiti con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro per i diritti e le pari opportunità e con il Ministro delle politiche per la famiglia, da adottare entro due mesi dalla data di entrata in vigore della legge (comma 4).
      L'articolo 3 definisce i rapporti personali tra i soggetti componenti dell'unione di fatto, che sono tenuti ad assicurarsi reciproca assistenza morale e materiale in ragione delle proprie possibilità e capacità,

 

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e a garantire il mantenimento, l'istruzione e la formazione di eventuali figli.
      L'articolo 4 disciplina i rapporti economico-patrimoniali, indicando, tra l'altro, quale regime patrimoniale legale tra i componenti dell'unione di fatto quello della separazione dei beni. In ogni caso, si intende ribadire che il rapporto patrimoniale tra i conviventi è questione che interessa unicamente la loro autonomia privata.
      Il campo dell'assistenza sanitaria e penitenziaria, nonché quello delle decisioni correlate al momento della morte, di cui all'articolo 5, costituiscono senza dubbio uno dei settori in cui l'esigenza di equiparazione delle coppie di fatto ai coniugi appare maggiormente sentita.
      Il diritto alla successione nel contratto di locazione, di cui all'articolo 6, è già previsto in caso di morte dell'intestatario (articolo 6 della legge n. 392 del 1978, così come integrato dalla Corte costituzionale, con la sentenza 7 aprile 1988, n. 404). Si è ritenuto di estenderlo al caso di cessazione dell'unione, derivante da abbandono della comune residenza da parte dell'intestatario. Si è prevista poi, al comma 2, l'ipotesi di successione nel diritto di abitazione.
      L'articolo 7 stabilisce che l'unione di fatto sia titolo preferenziale, laddove lo è, nella legislazione vigente, l'appartenenza ad un nucleo familiare, per l'inserimento in graduatorie occupazionali e per l'assegnazione di un alloggio di edilizia popolare (previsione, questa, già applicata nei bandi di molti comuni).
      L'articolo 8 è, invece, relativo ai benefìci di natura previdenziale e alla successione patrimoniale. Essendo ambiti di notevole complessità e potendo prevedere, soprattutto le norme previdenziali, importanti previsioni di spesa, si è scelto di rimandare la definizione della normativa in oggetto a uno o più decreti legislativi, che il Governo dovrà emanare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge, secondo i princìpi e i criteri direttivi specificati nell'articolo stesso.
      L'impostazione generale della proposta di legge suggerisce, all'articolo 9, di evitare di parlare di scioglimento (in quanto peraltro non vi è costituzione), ma di cessazione. Così come nasce «in fatto», l'unione cessa «in fatto» e, dunque, non ha senso ipotizzare formalità di sorta, che non siano quelle strettamente inerenti alla funzione certificativa della dichiarazione.
      Il comma 1 stabilisce quindi che, in caso di cessazione dell'unione di fatto, ciascuno dei componenti presenti dichiarazione in forma scritta secondo le modalità previste per la dichiarazione istitutiva (articolo 2, comma 1).
      Il comma 2 chiarisce inoltre che, con la cessazione dell'unione di fatto, vengono meno i diritti, le responsabilità e le facoltà previsti dalla presente legge.
      La previsione di cui all'articolo 10, relativo all'obbligo alimentare, costituisce un'equa prorogatio dei doveri che ci si assume con la convivenza, beninteso per casi assolutamente estremi. Il presupposto, infatti, dell'obbligo alimentare (stato di bisogno) è totalmente diverso da quello che la legge prevede in caso di separazione e divorzio e, comunque, è limitato nel tempo. Inoltre, è prevista la cessazione dell'obbligo alimentare qualora l'avente diritto si sposi o formi una nuova unione di fatto.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Finalità).

      1. La presente legge, nel rispetto della tutela riconosciuta dall'articolo 29 della Costituzione alla famiglia fondata sul matrimonio, disciplina i diritti, le responsabilità e le facoltà spettanti ai soggetti componenti una unione di fatto, in attuazione degli articoli 2, 3, 30 e 31 della Costituzione.
      2. Per unione di fatto si intende una relazione affettiva tra due persone maggiorenni e non interdette, che convivono stabilmente e che, nell'ambito di tale convivenza, si sono impegnate ad assicurarsi reciproca solidarietà e assistenza morale e materiale, nonché a garantire mantenimento, istruzione e formazione agli eventuali figli comuni.
      3. Sono applicabili, ai figli eventualmente nati da precedenti unioni, le disposizioni in tema di legittimazione di cui agli articoli 280 e seguenti del codice civile.

Art. 2.
(Dichiarazione dell'unione di fatto).

      1. Ai fini del riconoscimento dei diritti e delle facoltà ad essi spettanti nonché dell'assunzione delle rispettive responsabilità, i componenti dell'unione di fatto presentano una dichiarazione congiunta in forma scritta all'anagrafe del comune dove uno dei due ha la residenza o dove essi intendono stabilire la loro residenza comune, ai sensi degli articoli 4, 13, comma 1, lettera b), 21 e 33 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223.
      2. Non possono presentare la dichiarazione di cui al comma 1:

          a) coloro che sono vincolati da precedente matrimonio o da una precedente unione di fatto;

 

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          b) le persone delle quali l'una è stata condannata per omicidio consumato o tentato sul coniuge dell'altra o sulla persona alla quale l'altra era legata in unione di fatto;

          c) le persone delle quali l'una è stata rinviata a giudizio, ovvero sottoposta a misura cautelare per i reati di cui alla lettera b);

          d) gli ascendenti e i discendenti in linea retta, entro il primo grado, legittimi o naturali;

          e) gli affini in linea retta, entro il secondo grado;

          f) l'adottante, l'adottato e i suoi discendenti;

          g) l'adottato e il coniuge dell'adottante, l'adottante e il coniuge dell'adottato;

          h) i soggetti legati da rapporti di tutela, curatela e amministrazione di sostegno;

          i) i soggetti legati da rapporti contrattuali, anche lavorativi, che comportino necessariamente la convivenza.

      3. I divieti di cui alle lettere f) e g) del comma 2 si applicano anche all'affiliazione.
      4. Con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro per i diritti e le pari opportunità e con il Ministro delle politiche per la famiglia, da adottare entro due mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, è definito il contenuto delle dichiarazioni di cui al comma 1 del presente articolo e di cui all'articolo 9.

Art. 3.
(Rapporti personali).

      1. Le persone componenti l'unione di fatto sono tenute ad assicurarsi reciproca assistenza e solidarietà morale e materiale, in ragione delle proprie possibilità e capacità, e a garantire il mantenimento,

 

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l'istruzione e la formazione degli eventuali figli.
      2. Le persone di cui al comma 1 fissano la residenza dell'unione di fatto secondo le esigenze di entrambi e quelle preminenti dell'unione medesima e stabiliscono insieme gli indirizzi della vita comune. A ciascun componente spetta il potere di attuare gli indirizzi concordati.

Art. 4.
(Rapporti economico-patrimoniali).

      1. Le persone componenti l'unione di fatto sono solidalmente obbligate nei confronti dei terzi per i debiti contratti, anche disgiuntamente, per soddisfare le esigenze che si manifestano nell'ambito della vita comune.
      2. Il regime patrimoniale legale tra le persone componenti l'unione di fatto è la separazione dei beni, secondo la disciplina del libro I, titolo VI, capo VI, sezione V, del codice civile.
      3. Gli atti di disposizione patrimoniale effettuati tra le persone componenti l'unione di fatto in proporzione ai propri redditi, alle proprie sostanze e alle proprie capacità lavorative costituiscono adempimento di obbligazione naturale, secondo la disciplina di cui all'articolo 2034 del codice civile.
      4. Salvo prova contraria, si presume che gli atti di disposizione patrimoniale eccedenti la misura individuata dal comma 3 costituiscono donazioni, per la cui validità sono richiesti i requisiti di cui al titolo V del libro II del codice civile.

Art. 5.
(Assistenza sanitaria e penitenziaria).

      1. Alle persone componenti l'unione di fatto sono estesi tutti i diritti e tutti i doveri relativi all'assistenza sanitaria e penitenziaria previsti dalla legislazione vigente in materia con riferimento ai coniugi.

 

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      2. Ciascun componente dell'unione di fatto, con atto scritto e autografo, può designare l'altro come persona di fiducia per l'assunzione di decisioni in materia di salute o riguardanti l'eventuale donazione di organi ovvero relative alle scelte di natura religiosa, culturale e morale conseguenti alla propria morte, ivi comprese le celebrazioni funerarie.

Art. 6.
(Successione nel contratto di locazione e nel diritto di abitazione).

      1. In caso di abbandono della comune residenza o di decesso del componente l'unione di fatto che risulta locatario, l'altro componente subentra nella titolarità del contratto di locazione.
      2. In caso di decesso del componente l'unione di fatto, proprietario dell'abitazione adibita a residenza comune, il superstite mantiene il diritto di abitare nel medesimo immobile ai sensi degli articoli 1022 e seguenti del codice civile.

Art. 7.
(Titolo preferenziale).

      1. Nel caso in cui l'appartenenza a un nucleo familiare è titolo di preferenza ai fini dell'inserimento in graduatorie occupazionali, tale diritto è esteso anche alle persone componenti l'unione di fatto.
      2. Nel caso in cui l'appartenenza a un nucleo familiare è titolo di preferenza nelle graduatorie per l'assegnazione di un alloggio di edilizia popolare, tale diritto è esteso anche alle persone componenti l'unione di fatto.

Art. 8.
(Delega al Governo per la disciplina di benefìci di natura previdenziale e in materia di successione).

      1. Il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in

 

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vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi recanti la disciplina dell'attribuzione ai componenti delle unioni di fatto di benefìci di natura previdenziale e in materia di successione, sulla base dei seguenti princìpi e criteri direttivi:

          a) la proporzionalità del beneficio concesso alla durata del rapporto, che comunque non può essere inferiore a sette anni, decorrenti dalla presentazione della dichiarazione di cui all'articolo 2;

          b) la continuità e la sufficiente stabilità dell'unione di fatto;

          c) la salvaguardia dei diritti eventualmente spettanti ad altri soggetti sulla base delle disposizioni legislative vigenti in materia.

      2. Ai soli fini della definizione della disciplina in materia previdenziale, i decreti legislativi di cui al comma 1 sono adottati sulla base dei seguenti ulteriori princìpi e criteri direttivi:

          a) la consistenza del reddito del convivente superstite;

          b) per quanto attiene ai figli di età non superiore a ventisei anni, la circostanza che siano a carico del genitore e non svolgano alcuna attività lavorativa o che, di qualunque età, siano inabili e a carico del genitore medesimo.

      3. I decreti legislativi di cui ai commi 1 e 2 sono adottati su proposta del Ministro della giustizia e del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro per i diritti e le pari opportunità e con il Ministro delle politiche per la famiglia, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per le conseguenze di carattere finanziario, da rendere entro trenta giorni dalla data di trasmissione dei relativi schemi. Decorso inutilmente tale termine, il decreto legislativo può essere comunque emanato. Lo schema di decreto legislativo deve essere corredato da relazione tecnica ai sensi dell'articolo 11-ter, comma 2, della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni.

 

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Art. 9.
(Cessazione dell'unione di fatto).

      1. La cessazione dell'unione di fatto è dichiarata all'anagrafe in forma scritta, da ciascuno dei componenti, secondo le modalità previste dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223.
      2. La cessazione dell'unione di fatto comporta il venire meno dei diritti, delle responsabilità e delle facoltà previsti dalla presente legge.
      3. Per le controversie eventualmente insorte tra i componenti dell'unione di fatto è competente il tribunale del luogo in cui il convenuto ha la residenza o il domicilio.

Art. 10.
(Obbligo alimentare).

      1. Nell'ipotesi in cui uno dei componenti versi nelle condizioni previste dall'articolo 438, primo comma, del codice civile, l'altro componente è tenuto a prestare gli alimenti per i due anni successivi alla cessazione dell'unione di fatto. In ogni caso l'obbligo di prestare gli alimenti cessa nel momento in cui l'avente diritto contrae matrimonio ovvero costituisce una nuova unione di fatto.


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