Frontespizio Relazione Progetto di Legge

Nascondi n. pagina

Stampa

PDL

XV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 2672


 

Pag. 1

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

BURGIO, PAGLIARINI, ROCCHI, DE CRISTOFARO, BALDUCCI, PORETTI, ROSSI GASPARRINI, SCHIRRU, BANDOLI, BELLILLO, BOATO, BUFFO, CANCRINI, CESINI, CRAPOLICCHIO, DATO, DE ANGELIS, DIOGUARDI, CINZIA MARIA FONTANA, FRIAS, LOMAGLIO, NAPOLETANO, NICCHI, PELLEGRINO, PERUGIA, FERDINANDO BENITO PIGNATARO, PROVERA, FRANCO RUSSO, SINISCALCHI, SMERIGLIO, SOFFRITTI, SPERANDIO, SUPPA, TRANFAGLIA, TRUPIA, VACCA, VELO, VENIER, ZANELLA, ZANOTTI

Modifica all'articolo 20 del testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, in materia di tutela dei diritti delle lavoratrici madri in caso di parto prematuro con ricovero del neonato

Presentata il 17 maggio 2007


      

torna su
Onorevoli Colleghi! - Lo scopo della presente proposta di legge è di rendere effettiva la tutela della maternità in caso di parto prematuro con ricovero del neonato.

      L'articolo 16 del testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, nel riprodurre il testo dell'articolo 4 della legge n. 1204 del 1971, ha aggiunto alla lettera d) la previsione secondo cui le donne non possono essere adibite al lavoro «durante gli ulteriori giorni non goduti prima del parto, qualora il parto avvenga in data anticipata rispetto a quella presunta. Tali giorni sono aggiunti al periodo di congedo di maternità dopo il parto».

      In virtù di tale norma, dunque, in caso di parto prematuro rispetto alla data presunta, al periodo di astensione post partum si aggiungono i giorni di astensione obbligatoria non goduti prima del parto, ferma restando, comunque, la durata massima di cinque mesi.

      Resta il problema, tuttavia, di stabilire da quale data debba farsi decorrere il
 

Pag. 2

periodo di astensione dal lavoro nei casi in cui il bambino nato prematuramente sia ricoverato per lungo tempo in ospedale: se da quella del parto prematuro, come attualmente ritiene l'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), ovvero, in omaggio al principio di effettività della tutela della madre e del bambino, da una data successiva (quella presunta del parto a termine ovvero quella di ingresso del neonato nella famiglia).

      La questione, nel vigore della precedente disciplina (legge n. 1204 del 1971), è stata risolta dalla Corte costituzionale, la quale, con sentenza n. 270 del 30 giugno 1999, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale «dell'articolo 4, primo comma, lettera c), della legge 30 dicembre 1971, n. 1204 (Tutela delle lavoratrici madri), nella parte in cui non prevede per l'ipotesi di parto prematuro una decorrenza dei termini del periodo dell'astensione obbligatoria idonea ad assicurare una adeguata tutela della madre e del bambino».

      In particolare, muovendo dal presupposto che «l'istituto dell'astensione obbligatoria dal lavoro post partum previsto dalla norma impugnata (...) - oltre ad essere volto a tutelare la salute della donna - considera e protegge il rapporto che, in tale periodo, necessariamente si instaura tra madre e figlio, anche in riferimento alle esigenze di carattere relazionale ed affettivo che sono decisive sia per un corretto sviluppo del bambino, sia per lo svolgimento del ruolo della madre», la Corte costituzionale ha osservato quanto segue in relazione alle ipotesi di parto prematuro: «è notoriamente indispensabile che il bambino - per un periodo talvolta lungo - sia affidato alle cure di specialisti ed all'apparato sanitario, mentre la madre, una volta dimessa e pur in astensione obbligatoria dal lavoro, non può svolgere alcuna attività per assistere il figlio ricoverato nelle strutture ospedaliere; ed è invece obbligata a riprendere l'attività lavorativa quando il figlio deve essere assistito a casa. È pertanto innegabile che detta situazione contrasti sia col principio della parità di trattamento, sia col valore della protezione della famiglia e con quello della tutela del minore, con violazione dei parametri costituzionali invocati (...). È appena il caso di accennare che da tempo è stata rilevata l'incongruenza della disposizione in parola nell'ipotesi di parto prematuro, e si propongono diverse soluzioni con specifico riguardo alla decorrenza del periodo di astensione, spostandone l'inizio o al momento dell'ingresso del neonato nella casa familiare, o alla data presunta del termine fisiologico di una gravidanza normale; la prima soluzione è analoga a quella relativa all'ipotesi di affidamento preadottivo del neonato (sentenza n. 332 del 1998). La seconda è parsa meritevole di essere seguita dal disegno di legge n. 4624 che detta "Disposizioni per sostenere la maternità e la paternità e per armonizzare i tempi di lavoro, di cura e della famiglia" presentato dal Governo alla Camera dei Deputati in data 3 marzo 1998. La scelta fra le diverse possibili soluzioni spetta al legislatore. Peraltro, accertata l'illegittimità costituzionale della norma, in assenza di intervento legislativo sarà il giudice a individuare nel complessivo sistema normativo la regola idonea a disciplinare la fattispecie in conformità dei principi indicati (sentenze n. 347 del 1998 e n. 295 del 1991)».

      Per converso, il giudice costituzionale inequivocabilmente rifugge la scelta di individuare il dies a quo del decorso del congedo nella data effettiva del parto poiché tale soluzione è certamente lesiva dei diritti dei genitori e del bambino costituzionalmente riconosciuti nei termini indicati.

      L'esplicitazione delle ragioni fondanti la decisione della Corte fin qui esaminate consente di valutare come le risposte successivamente fornite dal legislatore siano state del tutto inadeguate, rendendo indispensabile la presente proposta di legge.

      L'articolo 11 della legge n. 53 del 2000, rubricato «Parti prematuri», ha infatti aggiunto all'articolo 4 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, le seguenti disposizioni: «Qualora il parto avvenga in data anticipata rispetto a quella presunta, i giorni non goduti di astensione obbligatoria
 

Pag. 3

prima del parto vengono aggiunti al periodo di astensione obbligatoria dopo il parto.

      La lavoratrice è tenuta a presentare, entro trenta giorni, il certificato attestante la data del parto».

      Tale disposizione, come detto, è confluita nell'articolo 16, comma 1, lettera c), del testo unico di cui al decreto legislativo n. 151 del 2001, che impone il divieto di adibire le donne al lavoro «durante gli ulteriori giorni non goduti prima del parto, qualora il parto avvenga in data anticipata rispetto a quella presunta» e che prevede che «Tali giorni sono aggiunti al periodo di congedo di maternità dopo il parto». Questa soluzione, prescelta dal legislatore, appare rispettosa delle prescrizioni contenute nella decisione della Consulta n. 270 del 1999 unicamente in riferimento ai parti prematuri collocati non prima di due mesi rispetto alla data presunta del parto, ma non è certamente idonea ad assicurare la dovuta tutela nelle ipotesi di parti prematuri collocati nel periodo anteriore, cioè proprio in quelle situazioni che maggiormente la richiedono, in considerazione dell'alta probabilità di ricovero del neonato e della conseguente impossibilità di sviluppo del rapporto affettivo tra la madre e il figlio.

      In altri termini, l'attuale disposizione, se, da un lato, chiarisce e precisa che, in caso di parto prematuro, al periodo di astensione post partum si aggiungono i giorni di astensione obbligatoria non goduti prima del parto (ferma restando, comunque, la durata massima di cinque mesi), dall'altro non ha colmato il vuoto normativo in tema di dies a quo del termine sanzionato dalla Corte costituzionale e continua a costringere i giudici di merito, che non ritengono appagante (come in effetti non è) la soluzione contenuta nell'articolo 16 del testo unico di cui al decreto legislativo n. 151 del 2001, a svolgere un ruolo di supplenza normativa.
      Tra le due soluzioni originariamente prospettate dalla Corte costituzionale, l'interpretazione più aderente al profilo teleologico e a quello sistematico è quella che fissa il dies a quo del congedo di maternità alla data di dimissione del figlio dall'ospedale e di ingresso effettivo nella casa familiare. Questo appare il criterio più idoneo a garantire un'efficace tutela dei diritti di rilievo costituzionale della madre e del neonato, secondo le indicazioni contenute nella sentenza della Corte costituzionale n. 270 del 1999, poiché consente alla donna di astenersi dal lavoro proprio nel momento in cui il figlio, per essere uscito dall'ospedale, ha effettivamente bisogno del rapporto diretto e intimo con la madre.
      E, tuttavia, anche questa soluzione necessita di alcuni (minimi) correttivi, senza i quali rischia di violare quello stesso principio di effettività della tutela che ha ispirato la Corte costituzionale.
      La sentenza n. 270 del 1999 della Corte costituzionale riposa infatti sulla convinzione che l'ospedalizzazione del nato prematuro impedisca il sorgere di quel rapporto genitore-figlio la cui tutela è costituzionalmente imposta. E tuttavia è vero che, con l'approssimarsi della data presunta del parto, il nato prematuro comincerà ad avere sempre meno bisogno di interventi di terapia intensiva e potrà, viceversa, cominciare ad avere progressivi contatti con il mondo esterno, che culmineranno con l'inserimento nella famiglia natale. È pertanto certo che, già prima dell'inserimento in famiglia, l'instaurarsi del rapporto affettivo tra genitore e figlio è ben possibile anche in ambiente ospedaliero, ove la presenza dei genitori sia consentita nei reparti specializzati di neonatologia.
      La tendenza ormai più accettata nel campo della scienza medica conforta la scelta in favore di una decorrenza «individualizzata» del congedo di maternità, se è vero che la presenza dei genitori accanto al bambino deve essere incoraggiata e sostenuta facilitando il contatto madre-figlio, anche pelle a pelle (metodo «marsupio»), e l'allattamento al seno.
      Vale la pena, a questo proposito, di sottolineare che gran parte delle procedure assistenziali, improntate ai princìpi dell'umanizzazione e della care neonatale, sono state da tempo recepite e implementate.
 

Pag. 4

Vi è un accesso libero dei genitori in reparto, con alcune piccole limitazioni di orario durante la visita e l'espletamento di alcune manovre diagnostico-assistenziali particolari. Ai genitori è inoltre offerto un sostegno psicologico, per aiutarli a superare il primo impatto legato all'ingresso in reparti di terapia intensiva, per incoraggiarli a partecipare attivamente all'accudimento del loro bambino, anche con l'attuazione della marsupioterapia, e per favorire l'instaurarsi di un buon attaccamento precoce e l'inizio e il mantenimento dell'allattamento materno. In tale ipotesi il differimento del congedo di maternità al momento successivo dell'ingresso in famiglia potrebbe tradursi in un impedimento per i genitori lavoratori che intendessero essere assiduamente presenti nella struttura ospedaliera e, conseguentemente, in un grave danno per il neonato. La decorrenza del dies a quo del congedo deve allora essere sganciata da criteri rigidi e automatici, per essere di caso in caso legata alla certificazione delle strutture ospedaliere in ordine alla necessità, all'utilità e alla possibilità di garantire all'interno della struttura una costante presenza del genitore.
      Tale soluzione appare la più rispettosa dei diritti della famiglia e in special modo del neonato e della madre, in un sistema di diritto del lavoro e della sicurezza sociale improntato ai precetti costituzionali e quindi attento non solo ai rapporti aventi contenuto patrimoniale, ma innanzi tutto ai diritti della persona.
      Ecco, dunque, che, proprio in applicazione del principio di massima effettività dei diritti dei soggetti coinvolti e nel rispetto delle prioritarie esigenze di tutela del neonato in quanto soggetto più debole e della madre, l'individuazione della decorrenza del dies a quo del congedo di maternità nel caso di parto prematuro con ricovero del neonato può seguire una «terza via», più duttile e flessibile, che è quella oggetto della presente proposta di legge.
      In quest'ottica si muove la presente proposta di legge, ponendosi, nel rispetto delle indicazioni della Corte costituzionale, l'obiettivo della concreta realizzazione del principio di effettività della tutela. A questo fine, l'articolo 1 introduce un comma all'articolo 20 del testo unico di cui al decreto legislativo n. 151 del 2001, prevedendo una soluzione differenziata al problema del decorso del periodo di astensione dal lavoro nei casi in cui il bambino nato prematuramente sia ricoverato in ospedale.
      Tale termine, infatti, può decorrere dal momento delle dimissioni ospedaliere del neonato ovvero - quando la struttura ospedaliera di accoglienza e le condizioni del neonato lo consentano - dal diverso e anteriore momento in cui si instaura con continuità, in ambito ospedaliero, il rapporto madre-figlio.
      In osservanza a elementari esigenze di certezza del diritto e di stabilità dei rapporti tra i soggetti coinvolti (lavoratore, datore di lavoro e istituto erogatore dell'indennità di maternità), infine, la norma disciplina le modalità di esercizio del diritto, stabilendo che entro trenta giorni dalla data effettiva del parto (prematuro) e salvo i casi di oggettiva impossibilità, la lavoratrice madre è tenuta a dare comunicazione dell'opzione al datore di lavoro e all'istituto erogatore dell'indennità di maternità.
 

Pag. 5


torna su
PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

      1. All'articolo 20 del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, è aggiunto, in fine, il seguente comma:

      «2-bis. Ferma restando la durata complessiva del congedo di maternità, in caso di parto prematuro con ricovero del bambino a tempo pieno, le lavoratrici madri hanno la facoltà di astenersi dal lavoro, per i periodi di cui alle lettere c) e d) del comma 1 dell'articolo 16, a decorrere dalla data di effettivo ingresso del bambino presso il nucleo familiare, quale risulta dal certificato di dimissione ospedaliera, ovvero dalla data anteriore risultante dalla certificazione con cui la struttura ospedaliera attesta che, perdurando il ricovero, vi è la concreta possibilità di una stabile presenza della madre accanto al figlio. Ai fini dell'esercizio della facoltà prevista dal presente comma, la lavoratrice madre è tenuta, salvi i casi di oggettiva impossibilità, a dare comunicazione dell'opzione al datore di lavoro e all'istituto che eroga l'indennità di maternità entro trenta giorni dalla data effettiva del parto».


Frontespizio Relazione Progetto di Legge
torna su